SENTENZA N.
114
ANNO 2012
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5,
commi 1 e 4, e 9, commi 4, alinea 1, 6 e 7, della legge della Provincia
autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n.
4 (Misure di contenimento dell’inquinamento luminoso ed altre disposizioni in
materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed
urbanistica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con
ricorso notificato il 5-7 settembre 2011, depositato in cancelleria il 13
settembre 2011 ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione
della Provincia autonoma di Bolzano, nonchè l’atto di
intervento, fuori termine, di Federterme, Federazione
italiana delle industrie termali e delle acque curative;
udito nell’udienza
pubblica del 20 marzo 2012 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato dello Stato
Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei
ministri e gli avvocati Giuseppe Franco Ferrari e Roland Riz
per la Provincia autonoma di Bolzano.
Ritenuto in
fatto
1.―
Con ricorso, spedito per la notifica in data 5 settembre 2011, ricevuto il
successivo 7 settembre, depositato presso la cancelleria della Corte il
successivo 13 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso
questione di legittimità costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1
e 3, 5, commi 1 e 4, e 9, commi 4, alinea 1, 6 e 7, della legge della Provincia
autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento
dell’inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di
acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), in riferimento
agli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972,
n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige», nonché in
relazione all’articolo 117, primo comma, e secondo comma, lettere e), l)
ed s), della Costituzione.
1.1.―
Il ricorrente premette che la Provincia, ai sensi dell’art. 8, comma 1, punti nn. 5, 10 e 14 del d.P.R. n. 670
del 1972, ha competenza primaria in materia di urbanistica, edilizia, miniere,
comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere e, in base ai punti nn. 9 e 10 dell’art. 9 dello stesso statuto speciale,
competenza legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque
pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico, nonché di
igiene e sanità. Dette competenze devono essere esercitate nel rispetto dei
limiti di cui agli artt. 4 e 5 dello stesso statuto e cioè, per le competenze
sia primarie che concorrenti, in armonia con la Costituzione ed i principi
dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nel rispetto degli obblighi
internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali di
riforma economico-sociale della Repubblica, mentre per le sole competenze
concorrenti, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello
Stato.
Tenuto
conto di tale quadro costituzionale, il ricorrente sostiene che alcune norme
della legge provinciale n. 4 del 2011 eccedano dalle competenze statutarie,
invadendo competenze legislative che l’art. 117, secondo comma, lettere e), l)
ed s), Cost., riserva allo Stato in
via esclusiva nelle materie della tutela della concorrenza, dell’ordinamento
civile e della tutela dell’ambiente.
In
particolare, il ricorrente ricorda che, quanto all’ambiente, secondo una
consolidata giurisprudenza costituzionale spetta al legislatore statale,
titolare della competenza esclusiva stabilita dalla lettera s) del secondo comma dell’art. 117
Cost., disciplinare l’ambiente inteso come entità organica, dettando norme che
«hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del
tutto», posto che una simile disciplina inerisce ad un interesse pubblico di
valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del
1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1978) e deve garantire, come
prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale
inderogabile da altre discipline di settore.
Il
Presidente del Consiglio dei ministri precisa altresì che tale disciplina
unitaria del bene complessivo ambiente deve prevalere su quella dettata dalle
Regioni o dalle Province autonome in materie di competenza propria.
Tanto
premesso, il ricorrente prospetta svariate censure di illegittimità
costituzionale nei confronti delle citate disposizioni della predetta legge
provinciale n. 4 del 2011.
1.2.―
È censurato, in primo luogo, il comma 10 dell’art. 2 della legge provinciale n.
4 del 2011, che sostituisce il comma 1 dell’art. 16 della legge provinciale 30
settembre 2005, n. 7, nella parte in cui prevede il rinnovo automatico trentennale
di tutte le concessioni alla loro scadenza, ad eccezione di quelle a scopo
idroelettrico, il cui regime è disciplinato dal successivo art. 3.
Tale
norma, nel disporre ex lege il rinnovo trentennale delle concessioni,
violerebbe l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto si
porrebbe in contrasto «con i principi dell’ordinamento comunitario e con le
leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva competenza
statale».
La
medesima norma, inoltre, violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto si porrebbe in
contrasto con la normativa statale vigente in materia di ambiente di cui al
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale». In particolare, essa, non subordinando il rinnovo delle
concessioni di derivazioni di acqua alla procedura di valutazione di impatto
ambientale (di seguito VIA), come previsto dagli Allegati alla Parte II del d.lgs.n. 152 del 2006, si porrebbe in contrasto, in specie,
con i punti nn. 13, 16 e 18 dell’Allegato II e con le
lettere b), t), af)
e ag)
dell’Allegato III, nonché con i punti nn. 1, lettera d), 7, lettera d), m) ed o), e 8, lettera t) dell’Allegato IV.
Il
ricorrente precisa che, in tema di autorizzazioni "postume”, la giurisprudenza
della Corte di giustizia dell’Unione europea è ispirata a criteri
particolarmente rigorosi (sentenza
3 luglio 2008, procedimento C-215/06, Commissione delle Comunità europee contro
Irlanda), ribadendo che «a livello di processo decisionale è necessario che
l’autorità competente tenga conto il prima possibile delle eventuali
ripercussioni sull’ambiente di tutti i processi tecnici di programmazione e di
decisione, dato che l’obiettivo consiste nell’evitare fin dall’inizio
inquinamenti ed altre perturbazioni, piuttosto che nel combatterne
successivamente gli effetti». Una simile esigenza sarebbe difficilmente
compatibile con un sistema precedente che non prevedeva (o poteva non
prevedere) l’obbligo della VIA, né all’atto dell’adozione del provvedimento autorizzatorio, né alla sua scadenza, posto che «in luogo
di una "nuova” autorizzazione (o di un "rinnovo” della precedente), si sostituisce
ex lege la perdurante validità del
vecchio titolo, senza possibilità di verificare se, a causa dell’esercizio
della relativa ( e legittima) attività, possa essersi cagionato o meno un danno
per l’ambiente».
In
sostanza, il ricorrente osserva che se, da un lato, nessun elemento normativo
garantisce (anzi, tutto sembra deporre per il contrario) che le autorizzazioni
in corso di "esercizio” (originario o prorogato) fossero state assoggettate a
VIA, dall’altro, il mantenimento del precedente regime cristallizzerebbe
l’elusione dell’obbligo e, con esso, il mancato rispetto della normativa
statale.
1.3.―
Oggetto di censure è, poi, l’art. 3 della citata legge provinciale, nella parte
in cui, al comma 1, stabilisce che «ai fini di migliorare lo stato di qualità
ambientale dei corsi d’acqua interessati, i titolari di due o più concessioni
di derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico esistenti, relative ad impianti
consecutivi, possono richiedere l’accorpamento delle stesse», e, al comma 3,
prescrive che, in tal caso, il termine di scadenza delle concessioni accorpate
corrisponde alla scadenza della concessione accorpata con la durata residua più
lunga.
Tale
norma, in quanto suscettibile di determinare in modo automatico la proroga di
una o più delle concessioni di derivazione a scopo idroelettrico accorpate, si
porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e con l’art. 12, comma 1, del
decreto legislativo 16 marzo del 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica).
Quest’ultimo, in conformità ai principi di tutela della concorrenza e di
apertura al mercato, di derivazione comunitaria, (su cui si è soffermata anche
la Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza n. 205 del
2011), stabilisce che l’attribuzione della concessione deve avvenire
tramite «una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa vigente e
dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di stabilimento,
trasparenza e non discriminazione». A tal proposito il Presidente del Consiglio
dei ministri evidenzia che la legislazione provinciale è in ogni caso
assoggettata agli obblighi internazionali e, quindi, ai vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’UE e che, comunque, nella materia
dell’affidamento delle concessioni di derivazione di acque a scopo
idroelettrico la disciplina rientra nella competenza esclusiva statale in
materia di "tutela della concorrenza”.
1.4.―
Viene altresì impugnato l’art. 5, comma 1, della legge provinciale n. 4 del
2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte degli enti locali, della
proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate
all’esercizio dei servizi di acquedotto.
Tale
norma violerebbe il principio generale di inalienabilità dei beni demaniali ex artt. 822, 823 e 824 del codice
civile, espressamente richiamato dall’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 ed
evocato anche all’art. 113, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.
267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), invadendo
così la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento
civile.
1.5.―
Sarebbero, inoltre, costituzionalmente illegittime anche le disposizioni di cui
agli artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1, nella parte in cui rinviano alla
Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure e direttive
tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la produzione
di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli edifici.
Tali
disposizioni, non richiamando la Giunta all’osservanza di quanto stabilito dal
decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) in materia di
procedure semplificate per la posa in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma
5) ed in materia di principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili
negli edifici di nuova costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a
ristrutturazioni rilevanti (art. 11, comma 1, ed Allegato 3), violerebbero la
competenza statale in materia di tutela dell’ambiente.
1.6.―
Vengono, infine, impugnate le disposizioni di cui all’art. 9, commi 6 e 7,
nella parte in cui prevedono, ai fini dell’isolamento termico degli edifici e
dell’utilizzo dell’energia solare, la possibilità di derogare alle distanze tra
edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini previsti nel
piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle
distanze previste dal codice civile, in contrasto con le disposizioni precettive di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968 n.
1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i
fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti
residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività
collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della
formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli
esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765).
Dopo
aver premesso che, in specie, l’art. 9 del citato d.m.
n. 1444, in tema di distanze fra edifici, costituisce, per giurisprudenza
consolidata (Consiglio di Stato, sentenze n. 7731/2010 e n. 4374/2011),
principio inderogabile della materia anche per Regioni e Province autonome che
siano titolari di competenza esclusiva nella materia dell’urbanistica, ed
integra – come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 232 del
2005, sentenza
n. 120 del 1996) – la disciplina privatistica delle distanze, il ricorrente
sostiene che le disposizioni provinciali impugnate, non prevedendo il rispetto
delle altezze e delle distanze di cui al suddetto decreto ministeriale
contrastino con l’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
Le
norme del predetto d.m. ed in specie l’art. 9,
secondo quanto riconosciuto dalla medesima Corte costituzionale (sentenza n. 232 del
2005) prevarrebbero, pertanto, sia sulla potestà legislativa regionale, sia
sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei
Comuni (Cass. civ., sentenza n. 23495 del 2006), sia sull’autonomia negoziale
dei privati, in quanto a tutela di interessi pubblici che per loro natura
igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (Consiglio Stato,
sezione IV, n. 3094 del 2007). L’introduzione di deroghe da parte delle
normative regionali o comunali (con l’individuazione di distanze inferiori
rispetto alla misura minima prescritta dal citato art. 9) sarebbe infatti
consentita solo nell’ambito della pianificazione urbanistica, come nell’ipotesi
di cui all’art. 9, comma 3, del medesimo d.m., che
riguarda edifici tra loro omogenei perché inseriti in un piano
particolareggiato o in un piano di lottizzazione (sentenza n. 232 del
2005).
2.―
Nel giudizio si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo che il
ricorso in esame venga dichiarato (manifestamente) inammissibile oltre che, in
ogni caso, manifestamente infondato.
2.1.―
Quanto alle censure di violazione dei principi dell’ordinamento comunitario e
di contrasto con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di esclusiva
competenza statale, aventi ad oggetto l’art. 2, comma 10, della legge
provinciale n. 4 del 2011, la Provincia ne deduce in primo luogo
l’inammissibilità, posto che, nel ricorso, i principi comunitari di cui si
assume la violazione non sarebbero affatto indicati, mentre sarebbero solo
genericamente richiamate le disposizioni in materia concorrenziale di matrice
statale, senza che siano individuati «i termini di esplicazione della lamentata
compressione delle prerogative dello Stato», né «le disposizioni normative cui
occorra fare riferimento ai fini della valutazione della ricorrenza, o meno, di
tale lesione». Posto che la norma impugnata costituisce risultato
dell’esercizio legittimo della competenza legislativa concorrente della
Provincia in materia di "utilizzazione delle acque pubbliche” e che la
competenza statale esclusiva in materia di tutela della concorrenza costituisce
limite all’esercizio delle competenze legislative esclusive o residuali delle
Regioni e Province autonome, non potendolo però precludere tout court, per il solo fatto che la disposizione provinciale o
regionale abbia ricadute di natura concorrenziale (sentenze n. 246 del 2006,
n. 183 del 2006,
n. 336 del 2005,
n. 232 del 2005,
n. 259 del 2004,
n. 407 del 2008),
sarebbe stato necessario ai fini dell’inquadramento della questione di
costituzionalità – a parere della resistente – che il ricorrente individuasse i
principi di matrice statale, dettati nella materia trasversale della tutela
della concorrenza, ritenuti violati nella fattispecie.
Tali
censure sarebbero, comunque, anche infondate nel merito.
La
norma impugnata non conterrebbe la previsione di un meccanismo di rinnovo delle
concessioni automatico o condizionato alla mera richiesta del concessionario
uscente, ma di un’ipotesi di rinnovo subordinata a valutazioni
dell’Amministrazione concedente fondate, in
primis, sull’indispensabile rispondenza del rinnovo stesso al "superiore
interesse pubblico”. Pertanto, l’eventuale violazione dei principi
concorrenziali e di apertura al mercato non deriverebbe dalla norma in sé
considerata, ma dall’applicazione che della stessa dovesse farsi in ipotesi
concrete, «pretermettendo la fase di selezione
concorrenziale del contraente anche quando la scelta disposta in via diretta
attraverso il rinnovo non si dimostri maggiormente confacente all’interesse
pubblico».
2.1.1.―
Egualmente priva di fondamento sarebbe, secondo la Provincia, la censura di
violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. proposta nei
confronti del medesimo art. 2, comma 10.
Posto
che la competenza a legiferare in via concorrente in materia di utilizzo delle
acque pubbliche (art. 9, numero 9, statuto speciale), nonché in via primaria in
materia di tutela del paesaggio (art. 8, numero 6, statuto speciale), è
pacificamente di spettanza della Provincia, che la esercita con l’unico obbligo
del rispetto degli standard uniformi di protezione dell’ambiente, validi su
tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo dalle
Regioni (sentenze di questa Corte n. 246 del 2006,
n. 183 del 2006,
n. 336 del 2005,
n. 232 del 2005,
n. 259 del 2004,
n. 407 del 2008),
la resistente ritiene che, nella specie, tale unico limite sia stato
rispettato.
Premesso
che il Codice dell’ambiente non disciplina espressamente l’ipotesi di rinnovo
delle autorizzazioni o concessioni riguardanti l’attività avviata in un momento
in cui non era prescritta la VIA, la Provincia sostiene che la norma censurata
non incide sul regime di valutazione di impatto ambientale di cui al d.lgs. n.
152 del 2006, cui devono essere assoggettati i progetti di opere finalizzate
all’utilizzo delle acque pubbliche, come sarebbe dimostrato dal fatto che
l’art. 3 della legge provinciale 30 settembre 2005, n. 7 (Norme in materia di
utilizzazione di acque pubbliche e di impianti elettrici), che disciplina
l’istruttoria delle concessioni rinnovabili di cui si discute, al comma 6-ter espressamente fa salva la procedura
di VIA ove prevista.
L’impugnato
art. 2, comma 10, non introdurrebbe nella legge provinciale n. 7 del 2005
un’ipotesi di rinnovo automatico, ma subordinerebbe tale rinnovo alla verifica
di precisi presupposti quali l’assenza di un contrario interesse pubblico, la
persistenza dei fini della derivazione e dell’esercizio dell’utenza, la non
contrarietà al buon regime delle acque e la conformità allo stato della
tecnica. Ai sensi dell’art. 4 della citata legge provinciale n. 7 del 2005 si
riconoscerebbe espressamente la facoltà dell’amministrazione concedente di
aggiungere o modificare prescrizioni tecniche senza obbligo di indennizzo,
qualora esigenze di difesa del suolo, di tutela dell’ambiente, della natura e del
paesaggio o comunque di interesse pubblico lo richiedano.
La
Provincia, pertanto, conclude sul punto osservando che la norma censurata
consentirebbe di «verificare se l’attività a suo tempo assentita risulti ancora
aderente allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della proroga o
del rinnovo del provvedimento di autorizzazione» (sentenza di questa
Corte n. 67 del 2010), escludendo così ogni altro profilo di doglianza per
pretesa inidoneità della stessa a garantire il rispetto del bene "ambiente”.
2.2.―
Anche le censure promosse nei confronti dell’art. 3, commi 1 e 3, sarebbero ad
avviso della Provincia prive di fondamento.
L’accorpamento
delle concessioni previsto dalla norma provinciale, (che costituisce il
risultato dell’esercizio della competenza legislativa provinciale in materia di
utilizzazione delle acque pubbliche, oltre che in materia di acquedotti e
lavori pubblici di interesse provinciale, assunzione e gestione di servizi
pubblici, urbanistica, tutela del paesaggio ed opere idrauliche), non
determinerebbe alcuna violazione del principio di concorrenzialità, posto che
non sono previsti meccanismi di proroga o rinnovo, ma viene semplicemente
disposto, su richiesta dei concessionari, l’accorpamento di concessioni
consecutive, estendendosi alla nuova concessione il termine di durata residua
della concessione più "longeva”. Alla scadenza della concessione accorpata, la
Provincia rileva che potrà procedersi al collocamento
sul mercato della concessione stessa, senza che ciò possa ritenersi precluso
dal comma 1 dell’art. 3 in esame. Le impugnate disposizioni, pertanto, non
inciderebbero né sul regime di rinnovo delle concessioni, né su connesse
esigenze a contenuto concorrenziale, e non potrebbero comunque ritenersi lesive
di quanto previsto dal richiamato d.lgs. n. 79 del 1999, che ha ad oggetto le
sole grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, presentando, quindi, un
ambito di applicazione non sovrapponibile a quello del censurato art. 3.
2.3.―
Nessuna lesione delle competenze statali in materia di ordinamento civile si
determinerebbe, poi, per effetto dell’impugnato art. 5, comma 1, della legge
provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte
degli enti locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre
dotazioni destinate all’esercizio dei servizi di acquedotto.
La
Provincia ricorda che l’art. 68 dello statuto speciale stabilisce che «le
Province, in corrispondenza delle nuove materie attribuite alla loro
competenza, succedono, nell’ambito del proprio territorio, nei beni e nei
diritti demaniali e patrimoniali della Regione, esclusi in ogni caso quelli
relativi al demanio militare, a servizi di carattere nazionale e a materie di
competenza regionale». In attuazione di tale previsione l’art. 8 del decreto
del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento
alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali
dello Stato e della Regione), ha disposto il trasferimento del demanio idrico-statale alla Provincia. Considerato inoltre che le
Province autonome sono dotate di competenza legislativa primaria in materia di
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale e di opere
idrauliche, oltre che delle connesse potestà amministrative, la resistente
conclude nel senso della riconducibilità al demanio provinciale delle opere
destinate al servizio di acquedotto e la sussistenza della competenza
legislativa primaria nella relativa materia di afferenza.
Alla
luce di ciò, deve quindi escludersi, ad avviso della Provincia, la rilevanza e
l’applicabilità anche in ambito provinciale di quanto disposto dal legislatore
statale con gli articoli del codice civile sul regime dei beni del demanio
pubblico: l’applicazione di tali norme, attraverso l’imposizione di uno
specifico e puntuale regime giuridico di beni rientranti nel patrimonio
provinciale ed assoggettati alla potestà legislativa provinciale,
determinerebbe l’illegittima compressione della competenza provinciale.
2.4.―
Inammissibili oltre che infondate sarebbero, inoltre, le censure proposte nei
confronti degli artt. 5, comma 4, e 9, comma 4, alinea 1, nella parte in cui
rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure
e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la
produzione di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli
edifici.
La
Provincia premette che ad essa spetta la competenza legislativa primaria in
tema di "miniere, comprese le acque minerali e termali, cave e torbiere”, nel
cui alveo rientrano le risorse geotermiche, oggetto della disciplina
provinciale impugnata (sentenza di questa
Corte n. 65 del 2001) e che le norme di attuazione dello statuto di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia
di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere,
commercio, fiere e mercati) le hanno trasferito anche le attribuzioni statali
in tema di miniere e, con il decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo
1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Trentino-Alto Adige in materia di energia), tutte le funzioni inerenti alle
attività di ricerca, stoccaggio, conservazione, trasporto e distribuzione di
qualunque forma di energia, ai sensi e nei limiti di cui agli artt. 8, 9 e 16
dello statuto speciale. A ciò si aggiunge la considerazione – prosegue ancora
la Provincia – che anche la disciplina delle fonti rinnovabili e della loro
integrazione negli edifici di nuova costruzione rientrerebbe nelle competenze
statutariamente assegnate alla medesima Provincia in materia di tutela del
paesaggio e di governo del proprio territorio. Le norme censurate
costituirebbero, pertanto, ancora una volta, frutto dell’esercizio legittimo
delle proprie competenze legislative, il cui unico limite (esterno) sarebbe
costituito dal rispetto degli standard di tutela dell’ambiente stabiliti dal
legislatore statale.
2.5.―
Infine, anche le questioni promosse nei confronti dell’art. 9, commi 6 e 7,
sarebbero secondo la Provincia prive di fondamento.
Tali disposizioni, che prevedono, ai
fini dell’isolamento termico degli edifici e dell’utilizzo dell’energia solare,
la possibilità di derogare alle distanze tra edifici, alle altezze degli
edifici ed alle distanze dai confini previste dal d.m.
n. 1444 del 1968, si collocano in un articolato nel quale si precisa che la
deroga opera in riferimento agli strumenti di pianificazione comunali ed ai
relativi piani attuativi, con contestuale conferma della inderogabilità delle
distanze imposte dal codice civile. In altri termini, osserva la resistente, le
norme impugnate prevedono una sola ipotesi derogatoria e la riconducono
unicamente alle distanze previste dagli strumenti urbanistici, in armonia con
quanto riconosciuto dalla Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 173 del
2011, dopo aver affermato che la disciplina della materia urbanistica
rientra pacificamente nelle competenze legislative provinciali primarie, ha
ritenuto legittima la deroga dei parametri e indici urbanistici ed edilizi di
cui al regolamento locale ovvero al piano regolatore comunale, «fatto salvo il
rispetto della disciplina sulle distanze tra fabbricati», rispetto che sarebbe
garantito dalle norme censurate dal richiamo esplicito alle disposizioni del
codice civile, che si integrano con le previsioni di cui al d.m.
n. 1444 del 1968, assoggettati al medesimo regime di inderogabilità.
3.―
Con memoria, depositata il 14 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha ribadito le richieste di declaratoria di illegittimità
costituzionale delle richiamate disposizioni della legge provinciale n. 4 del
2011.
4.―
Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Provincia autonoma di Bolzano ha
depositato memoria, chiedendo che la Corte costituzionale dichiari la manifesta
inammissibilità, oltre che, in ogni caso, la manifesta infondatezza delle
questioni di legittimità sollevate nei confronti degli artt. 2, comma 10, 3,
commi 1 e 3, 5, commi 1 e 4, 9, commi 4, alinea 1, e 6 e 7 della legge
provinciale n. 4 del 2011.
La
Provincia, in particolare, con riferimento alle censure mosse nei confronti
dell’art. 2, comma 10, della legge provinciale n. 4 del 2011, segnala che
l’art. 16, comma 1, oggetto delle modifiche apportate dalla citata norma
impugnata, è stato ulteriormente modificato proprio al fine di rendere
maggiormente chiara la norma in esame, con l’art. 24, comma 2, della legge
provinciale 21 dicembre 2011 n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio
di previsione per l’anno finanziario 2012 e per il triennio 2012-2014 – Legge
finanziaria 2012). A seguito di tale modifica la norma censurata ora dispone
che «nel rispetto delle procedure di evidenza pubblica e previo espletamento
della procedura di valutazione di impatto ambientale o previa verifica di
assoggettabilità a VIA, tutte le concessioni, ad eccezione delle concessioni a
scopo idroelettrico, alla loro scadenza sono rinnovate per un periodo di 30
anni, fatta salva la fissazione di un termine più breve ai fini dell’esame di
misure necessarie al buon regime delle acque e per minimizzare l’impatto
ambientale, a condizione che sussistano i seguenti presupposti: non osti un
superiore interesse pubblico, persistano i fini della derivazione e l’utenza
sia in esercizio e non sia contraria al buon regime delle acque, gli impianti
siano conformi allo stato della tecnica e, in caso di acquedotti potabili, il
comune acconsenta alla continuazione dell’esercizio ai sensi dell’articolo 13
della legge provinciale 18 giugno 2002, n. 8 e successive modifiche». Posto che
la norma in esame, in pendenza di giudizio, non avrebbe trovato applicazione
nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano, secondo la resistente
sussisterebbero tutti i presupposti per una dichiarazione di cessazione della
materia del contendere.
In
ordine poi alle censure sollevate in riferimento all’art. 5, comma 4, ed
all’art. 9, comma 4, alinea 1, della impugnata legge provinciale, la Provincia
– ribadita l’inidoneità lesiva delle disposizioni censurate che si
limiterebbero ad individuare il soggetto competente a definire procedure e
direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda e ad
individuare i criteri di valutazione delle prestazioni energetiche degli
edifici di nuova costruzione, senza fornire indirizzi o indicazioni di sorta
che consentano di prefigurare la paventata violazione dei principi imposti con
il d.lgs. n. 28 del 2011 – richiama all’attenzione la circostanza che detta
norma è stata oggetto di ulteriori modifiche ad opera dell’art. 25 della legge
provinciale n. 15 del 2011, tali che l’attuale formulazione del comma 1-bis dell’art. 19 della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque),
come risultante dalla norma oggi impugnata, risulta la seguente: «Le sonde
geotermiche in falda per la produzione di calore senza prelievo di acqua sono
realizzate secondo le procedure e le direttive tecniche stabilite dalla Giunta
provinciale nel rispetto delle norme in materia di procedure semplificate per
la posa in opera di sonde geotermiche».
Anche
l’art. 9, commi 6 e 7, della medesima legge provinciale n. 4 del 2011, –segnala
ancora la resistente – è stato oggetto di precisazioni mediante l’art. 26,
comma 3, della legge provinciale n. 15 del 2011, il quale avrebbe confermato
l’inderogabilità delle distanze tra gli edifici imposte dal codice civile e
relative norme connesse (d.m. n. 1444 del 1968).
5.―
Infine, in data 9 marzo 2012, risulta depositato atto di intervento ad opponendum
da parte di Federterme, Federazione italiana delle
industrie termali e delle acque minerali curative.
Considerato
in diritto
1.―
Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità
costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3 commi 1 e 3, 5 commi 1 e 4, 9,
comma 4, alinea 1, e commi 6 e 7 (recte: art. 9, comma 4, alinea 6 e 7), della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011, n. 4 (Misure di contenimento
dell’inquinamento luminoso ed altre disposizioni in materia di utilizzo di
acque pubbliche, procedimento amministrativo ed urbanistica), in riferimento
agli articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972,
n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in relazione all’articolo
117, primo comma, e secondo comma, lettere e),
l) ed s) della Costituzione.
2.―
In via preliminare, l’intervento nel giudizio da parte di Federterme,
Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative,
va dichiarato inammissibile.
Indipendentemente
dalla considerazione che l’intervento è stato effettuato con atto del 9 marzo
2012, oltre il termine di cui all’articolo 4 delle Norme integrative per i
giudizi dinanzi alla Corte costituzionale approvate il 16 marzo 1956, secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di legittimità
costituzionale in via principale si svolge esclusivamente fra soggetti titolari
di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i
mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di
fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a
questa Corte in via incidentale (sentenze nn. 405 del 2008 e 469 del 2005).
3.―
Ciò posto, devono essere scrutinate le censure secondo l’ordine ad esse
attribuito dal ricorrente.
4.―
Il Presidente del Consiglio dei ministri assume, in primo luogo, che l’art. 2,
comma 10, della legge provinciale n. 4 del 2011, nella parte in cui, modificando
il comma 1 dell’articolo 16 della legge provinciale 30 settembre 2005, n. 7
(Norme in materia di utilizzazione di acque pubbliche e di impianti elettrici),
prevede il rinnovo automatico trentennale di tutte le concessioni alla loro
scadenza, ad eccezione di quelle a scopo idroelettrico, violerebbe l’art. 117,
primo comma, e secondo comma, lettera e),
Cost., in quanto si porrebbe in contrasto con i principi dell’ordinamento
comunitario e con le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, di
esclusiva competenza statale.
La
medesima norma, inoltre, violerebbe anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto sarebbe difforme
dalla disciplina stabilita in materia di ambiente, dato che non subordina il
rinnovo delle concessioni di derivazioni di acqua alla procedura di valutazione
di impatto ambientale (di seguito VIA), come previsto dagli Allegati alla Parte
II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia
ambientale», in contrasto, in specie, con i punti nn.
13, 16 e 18 dell’Allegato II e con le lettere b), t), af) e ag) dell’Allegato
III, nonché con i punti nn. 1, lettera d), 7, lettera d), m) ed o), e 8, lettera t), dell’Allegato IV.
4.1.―
La questione è fondata.
4.2.―
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla
Provincia autonoma, secondo la quale, con riferimento alla violazione dell’art.
117, primo comma, e secondo comma, lettera e),
Cost., il ricorrente non avrebbe indicato specificamente i principi comunitari
e le leggi statali in materia di tutela della concorrenza, che sarebbero
violati dalla norma.
La
palese incidenza della disciplina censurata sulla materia della concorrenza e
la evidente interferenza del disposto normativo rispetto ai principi generali,
stabiliti dalla legislazione statale e comunitaria, della temporaneità delle
concessioni e dell’apertura alla concorrenza, rende, infatti, superflua ogni
ulteriore specificazione delle singole norme di riferimento, trattandosi peraltro
di norma che si muove pressoché integralmente nella materia della tutela della
concorrenza, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
4.3.―
Ancora in limine, va rilevato che,
nonostante la disposizione impugnata sia stata modificata dall’art. 24, comma
2, della legge provinciale 21 dicembre 2011, n. 15 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2012 e per il
triennio 2012-2014 – Legge finanziaria 2012), il contenuto normativo risultante
appare sostanzialmente immodificato.
Quest’ultima
norma ha, infatti, innovato l’incipit
del citato art. 2, comma 10, che ha modificato il comma 1 dell’articolo 16
della citata legge provinciale n. 7 del 2005, attraverso l’introduzione del
seguente disposto: «nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica e previo
espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale o previa
verifica di assoggettabilità a VIA».
Orbene,
l’evocato rispetto delle procedure di evidenza pubblica, nonché di VIA, appare
inconciliabile con il disposto rinnovo automatico delle concessioni, che
esclude in radice la partecipazione di altri soggetti economici e pertanto
anche l’incidenza di procedure di valutazione.
La
sostanziale identità precettiva della disposizione,
nel testo da ultimo modificato dal citato art. 24, comma 2, fa sì che la
questione di legittimità costituzionale – in forza del principio di effettività
della tutela costituzionale – deve essere trasferita sulla norma nel testo
risultante dalla modifica realizzata dall’art. 24, comma 2, della legge
provinciale n. 15 del 2011 (tra le molte, sentenza n. 40 del
2010).
4.4.―
Nel merito, tale norma, nel disporre ex lege il rinnovo trentennale delle concessioni, si pone
in contrasto con l’art. 117, primo comma, e secondo comma, lettera e), della Costituzione.
Secondo
la costante giurisprudenza di questa Corte, è infatti, inibito al legislatore
regionale di disciplinare il rinnovo delle concessioni in violazione dei
principi di temporaneità e di apertura alla concorrenza, impedendo «l’accesso
di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere
all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori» (sentenze n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010).
La disposizione in esame contrasta, inoltre, con la normativa statale vigente
in materia di ambiente, pure evocata dal ricorrente, con riferimento, in
particolare, ai punti nn. 13, 16 e 18 dell’Allegato
II e con le lettere b), t), af) e ag) dell’Allegato III, nonché con
i punti nn. 1, lettera d), 7, lettere d), m) ed o), e 8, lettere t),
dell’Allegato IV del d.lgs n. 152 del 2006. La
proroga stabilita dalla disposizione finisce con l’impedire, infatti,
l’espletamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale, inserendo
nella relativa disciplina una regola difforme dalle previsioni vigenti, poste
nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela
dell’ambiente.
5.―
Relativamente all’articolo 3, commi 1 e 3, della legge provinciale n. 4 del
2011, il ricorrente assume che, consentendo l’accorpamento di più concessioni
di derivazione a scopo idroelettrico e determinando come unica scadenza quella
relativa alla concessione più lunga, la norma violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera e), della
Costituzione, perché in contrasto con l’art. 12, comma 1, del decreto
legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), il quale, in
conformità ai principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di
derivazione comunitaria, stabilisce che l’attribuzione della concessione deve
avvenire tramite «una gara ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa
vigente e dei principi fondamentali di tutela della concorrenza, libertà di
stabilimento, trasparenza e non discriminazione».
5.1.―
La questione è fondata.
5.2.―
Le disposizioni impugnate stabiliscono che, «ai fini di migliorare lo stato di
qualità ambientale dei corsi d’acqua interessati, i titolari di due o più
concessioni di derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico esistenti, relative ad
impianti consecutivi, possono richiedere l’accorpamento delle stesse», e, in
tal caso, il termine di scadenza delle concessioni corrisponde alla scadenza
della concessione accorpata con la durata residua più lunga.
La disciplina censurata,
indipendentemente dalla finalità espressa, è con evidenza suscettibile di determinare in modo automatico la proroga
di una o più delle concessioni di derivazione a scopo idroelettrico accorpate,
con il risultato di porsi in aperta violazione, per le concessioni più brevi,
con l’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999, il quale, in conformità ai
principi di tutela della concorrenza e di apertura al mercato, di libertà di
stabilimento, trasparenza e non discriminazione, prevede espressamente la
necessità di una gara ad evidenza pubblica.
6.―
Il ricorrente deduce, altresì, che l’art. 5, comma 1, della legge provinciale
n. 4 del 2011, nella parte in cui prevede la cessione, da parte degli enti
locali, della proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni
destinate all’esercizio dei servizi di acquedotto, violerebbe l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost.,
invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
ordinamento civile, nel cui ambito insisterebbe il principio generale di
inalienabilità dei beni demaniali desunto dagli artt. 822, 823 ed 824 del
codice civile, ed espressamente richiamato dall’art. 143 del d.lgs. n. 152 del
2006 nonché evocato anche all’art. 113, comma 2, del decreto legislativo 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali).
6.1.―
La questione è fondata.
6.2.―
La disposizione impugnata sostituisce il comma 4 dell’articolo 5 della legge
provinciale 18 giugno 2002, n. 8 (Disposizioni sulle acque), stabilendo che
«gli enti locali, anche in forma associata, possono cedere la proprietà degli
impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinate all’esercizio dei
servizi di acquedotto, fognatura e depurazione esclusivamente a consorzi, a
società a prevalente o totale partecipazione pubblica, alle comunità
comprensoriali costituite ai sensi della legge provinciale 20 marzo 1991, n. 7,
e successive modifiche, o al comune sede di impianto. Nel caso di scioglimento
di consorzi, la proprietà delle opere e degli impianti di interesse sovracomunale di cui al comma 1, lettera a), va trasferita a titolo gratuito ad
una delle forme di collaborazione definite dalla Giunta provinciale ai sensi
del comma 2 o al comune sede di impianto».
La
norma, attraverso la prevista possibilità di cessione delle infrastrutture
idriche, chiaramente incide sul regime della proprietà di tali beni, che, a
prescindere dalla titolarità, rientrano nella disciplina demaniale. È pur vero,
infatti, come sostiene la Provincia, che il decreto del Presidente della Republica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento
alle province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali
dello Stato e della Regione) ha disposto il trasferimento ad essa del demanio
idrico statale, così che tutte le acque, superficiali e sotterranee, rientrano
nel demanio provinciale e sono, conseguentemente, assoggettate all’esercizio da
parte della Provincia di tutte le attribuzioni proprie inerenti a tale demanio.
Tuttavia, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, si deve ritenere
che il settore resti disciplinato dall’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006, il
quale prevede il regime demaniale delle infrastrutture idriche e, quindi, la
loro «inalienabilità se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge» e
dalle norme del codice civile richiamate dal ricorrente. Siffatta disciplina
statale impedisce, quindi, di modificare «il regime della proprietà di beni del
demanio accidentale degli enti pubblici territoriali, trattandosi di materia
ascrivibile all’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma,
lettera l)» (in particolare, sentenza n. 320 del
2011), alla quale non può sottrarsi neppure la Provincia autonoma di
Bolzano, non essendo rinvenibile alcun titolo competenziale
specifico al riguardo.
7.―
Vengono poi sottoposti a giudizio di legittimità costituzionale gli artt. 5,
comma 4, che aggiunge il comma 1-bis
all’articolo 19 della legge provinciale n. 8 del 2002, e l’art. 9, comma 4,
alinea 1, che modifica il primo comma dell’articolo 127 della legge provinciale
11 agosto 1997, n. 13 (Legge urbanistica provinciale), nella parte in cui
rinviano alla Giunta provinciale, rispettivamente, la definizione di procedure
e direttive tecniche per la realizzazione di sonde geotermiche in falda per la
produzione di calore e la determinazione delle prestazioni energetiche degli
edifici.
Secondo
il ricorrente, dette disposizioni, non richiamando la Giunta all’osservanza di
quanto stabilito dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della
direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE), in materia di procedure semplificate per la posa in
opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi minimi
di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova costruzione e
negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (art. 11 ed
Allegato 3), violerebbero la competenza statale in materia di tutela
dell’ambiente e, quindi, l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
7.1.―
Anche in questo caso, la norma risulta modificata dalla legge provinciale n. 15
del 2011, la quale, all’art. 25, riformulando il comma 1-bis dell’art. 19 della legge provinciale n. 8 del 2002, ha
precisato che le procedure e le direttive tecniche siano stabilite dalla Giunta
provinciale nel rispetto delle norme in materia di procedure semplificate per
la posa in opera di sonde geotermiche. La medesima legge ha, poi, disposto che
le prestazioni energetiche determinate dalla Giunta provinciale, siano emanate
anche nel rispetto dei principi minimi di integrazione delle fonti rinnovabili
negli edifici.
In
virtù di tale intervento, la Giunta provinciale viene richiamata all’osservanza
di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003/30/CE), proprio in materia di procedure semplificate per la posa
in opera di sonde geotermiche (art. 7, comma 5) ed in materia di principi
minimi di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici di nuova
costruzione e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti
(art. 11, comma 1 ed Allegato 3). La disposizione in esame, a seguito della
suindicata, sopravvenuta modifica, appare dunque pienamente satisfattiva
delle ragioni dedotte dal ricorrente.
Conseguentemente,
in considerazione dell’espressa dichiarazione di mancata applicazione della
norma formulata dalla difesa della Provincia, nonché del breve lasso di tempo
fra i due interventi normativi e della mancata definizione delle direttive
tecniche in questione, va dichiarata la cessazione della materia del
contendere.
8.―
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 9, commi 6
e 7 (recte:
art. 9, comma 4, alinea 6 e 7, trattandosi dei commi 6 e 7 dell’articolo 127
della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13, modificato dalla legge
impugnata), nella parte in cui prevedono, ai fini dell’isolamento termico degli
edifici e dell’utilizzo dell’energia solare, la possibilità di derogare alle
distanze tra edifici, alle altezze degli edifici ed alle distanze dai confini
previsti nel piano urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto
delle distanze prescritte dal codice civile.
A
suo avviso, dette disposizioni, non prevedendo il rispetto delle altezze e
delle distanze di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e
rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde
pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art.
17 della L. 6 agosto 1967, n. 765), contrasterebbe con l’art. 117, secondo
comma, lettera l), della
Costituzione.
8.1.―
La questione è fondata.
8.2.―
In linea preliminare, va osservato che i commi 6 e 7 dell’articolo 127 della
legge provinciale n. 13 del 1997, nel testo modificato dalle disposizioni
impugnate, così dispongono: «6. Ai fini dell’isolamento termico degli edifici
già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati
prima di tale data, è possibile derogare alle distanze tra edifici, alle
altezze degli edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano
urbanistico comunale o nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze
prescritte dal codice civile. 7. La Giunta provinciale definisce le
caratteristiche tecniche delle verande la cui costruzione vale come misura per
l’utilizzo di energia solare ai sensi del comma 5. A tale fine si può derogare
alle distanze tra edifici, alle distanze dai confini nonché all’indice di area
coperta previsti nel piano urbanistico o nel piano di attuazione, nel rispetto
delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza verso il
confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell’altezza della facciata
della veranda».
Successivamente
alla proposizione del ricorso, l’art. 26, comma 3, della legge provinciale n.
15 del 2011, ha nuovamente modificato tali disposizioni, così sostituendole: «6. Ai fini dell’isolamento termico per
garantire le prestazioni energetiche, definite ai sensi del comma 2, degli
edifici già legalmente esistenti alla data del 12 gennaio 2005 o concessionati prima di tale data, è permesso derogare nella
misura massima di 20 centimetri alle distanze tra edifici, alle altezze degli
edifici e alle distanze dai confini previsti nel piano urbanistico comunale o
nel piano di attuazione, nel rispetto delle distanze prescritte dal codice
civile, salvo quanto disposto dalla normativa di attuazione della direttiva 2006/32/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa
all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi. La deroga può essere
esercitata nella misura massima da entrambi gli edifici confinanti. 7. La
Giunta provinciale definisce le caratteristiche tecniche delle verande la cui
costruzione vale come misura per l’utilizzo di energia solare ai sensi del
comma 5. A tal fine si può derogare alle distanze tra edifici, alle distanze
dai confini nonché all’indice di area coperta previsti nel piano urbanistico,
nel rispetto delle distanze prescritte dal codice civile e purché la distanza
dal confine di proprietà non sia inferiore alla metà dell’altezza della
facciata della veranda».
Dal
raffronto fra le disposizioni risulta evidente che l’ultima modifica, dato il
suo carattere sostanzialmente marginale, non incide in modo significativo sul
contenuto precettivo delle disposizioni impugnate, e certamente non ha
contenuto satisfattivo, per cui la questione va
trasferita sulla nuova norma, in applicazione del succitato principio di
effettività della tutela costituzionale.
8.3.―
La censura verte sul mancato richiamo al rispetto delle norme sulle distanze
fra edifici, integrative del codice civile e, in particolare, dell’art. 9 del
citato d.m. n. 1444 del 1968.
In
tale ambito, questa Corte ha in più occasioni precisato che le norme in materia
di distanze fra edifici costituiscono principio inderogabile che integra la
disciplina privatistica delle distanze.
In
particolare, data la connessione e le interferenze tra interessi privati e
interessi pubblici in tema di distanze tra costruzioni, l’assetto
costituzionale delle competenze in materia di governo del territorio
interferisce con la competenza esclusiva dello Stato a fissare le distanze minime,
sicché le Regioni devono esercitare le loro funzioni nel rispetto dei principi
della legislazione statale, potendo, nei limiti della ragionevolezza, fissare
limiti maggiori. Le deroghe alle distanze minime, poi, devono essere inserite
in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di
determinate zone del territorio, poiché la loro legittimità è strettamente
connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio,
non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati (sentenza n. 232 del
2005).
Nel
caso di specie, la norma in questione, attraverso il mero richiamo delle norme
del codice civile, è suscettibile di consentire l’introduzione di deroghe
particolari in grado di discostarsi dalle distanze di cui all’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n.
1150, recante «Legge urbanistica» (introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto
1967, n. 765), avente, per giurisprudenza consolidata, un’efficacia precettiva e inderogabile.
In quanto tali deroghe non attengono
all’assetto urbanistico complessivo delle zone di cui si verte, il mancato
richiamo alle norme statali vincolanti per la Provincia, determina
l’illegittimità costituzionale delle relative norme per violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera l),
Cost., avendo invaso la competenza statale in materia di ordinamento civile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile
l’intervento spiegato in giudizio dalla Federterme,
Federazione italiana delle industrie termali e delle acque minerali curative;
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale degli articoli 2, comma 10, 3, commi 1 e 3, 5, comma 1, 9, comma
4, alinea 6 e 7, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno
2011, n. 4 (Misure di contenimento dell’inquinamento luminoso ed altre
disposizioni in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo
ed urbanistica);
3) dichiara l’illegittimità
costituzionale degli articoli 24, comma 2, e 26, comma 3, della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 21 dicembre 2011, n. 15 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2012 e per il
triennio 2012-2014 – Legge finanziaria 2012);
4) dichiara cessata la materia
del contendere, con riferimento all’articolo 5, comma 4, ed all’articolo 9,
comma 4, alinea 1, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 21 giugno 2011,
n. 4 (Misure di contenimento dell’inquinamento luminoso ed altre disposizioni
in materia di utilizzo di acque pubbliche, procedimento amministrativo ed
urbanistica), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2012.