Sentenza n. 120 del 1996

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SENTENZA N. 120

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 872, capoverso, del codice civile e 17, lettera c), della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1995 dal Tribunale di Spoleto nel procedimento civile vertente tra Tulli Antonia ed altri e Capoccia Lidia, in proprio e nella qualità, ed altro, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 1996 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1.-- Nel corso di un giudizio promosso da Antonia Tulli ed altri nei confronti di Lidia Capoccia e Fernando Antonini, avente ad oggetto l'accertamento dell'inosservanza della distanza legale fra edifici, il Tribunale di Spoleto, con ordinanza emessa il 22 marzo 1995, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 872, capoverso, del codice civile e 17, lettera c), della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consentono di ritenere a distanza illegale, e quindi soggetto alla demolizione, un edificio che fronteggi un altro preesistente ma realizzato in totale difformità dalla licenza.

Premette in fatto il giudice a quo che dagli atti di causa emerge, da un lato, che la costruzione del prevenuto non risulta avere rispettato le distanze legali fra edifici, e, dall'altro, che la costruzione del preveniente è stata realizzata in totale difformità dalla licenza edilizia, sia per essere stato costruito un edificio in luogo di un capannone industriale, sia per non essere stata rispettata la collocazione prevista nel progetto autorizzato che ubicava il fabbricato in un luogo diverso e più distante dal confine.

Tanto premesso, osserva il giudice rimettente che le norme impugnate, con il consentire anche all'autore di un abuso edilizio la possibilità di agire a tutela dell'osservanza delle distanze legali tra edifici da parte del vicino, che al contrario non ha posto in essere alcuna violazione edilizia, si porrebbero in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto viene assicurata la stessa tutela - quanto all'osservanza della distanza - sia a colui che edifica nel rispetto delle norme urbanistico-edilizie che a colui che costruisca senza licenza ovvero in totale difformità; con l'art. 24 della Costituzione in quanto si consente di agire in giudizio anche a tutela di posizioni soggettive afferenti a cose che costituiscono prodotto o profitto di reato; con l'art. 42 della Costituzione in quanto non garantiscono il prevenuto nel godimento della proprietà; con l'art. 97 della Costituzione perché non può dirsi rispettoso dei principi di buon andamento e coerenza della pubblica amministrazione un sistema normativo che, da un lato, impone al giudice di disporre la demolizione delle opere edilizie abusive e, dall'altro, consente che nel giudizio civile si dia tutela all'autore dell'illecito fino al punto di imporre al confinante un rilevante sacrificio economico quale è quello della demolizione dell'edificio.

2.-- Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale nessuna delle parti private si è costituita né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.-- Il Tribunale di Spoleto sottopone all'esame di questa Corte la questione se gli artt. 872, capoverso, del codice civile e 17, lettera c), della legge 6 agosto 1967, n. 765, nella parte in cui consentono di ritenere a distanza illegale, e quindi soggetto all'azione di riduzione in pristino, un edificio che fronteggi altro preesistente realizzato abusivamente perché in totale difformità dalla licenza, siano in contrasto:

- con l'art. 3 della Costituzione in quanto assicurano la stessa tutela, quanto all'osservanza delle distanze legali, a colui che costruisce nel rispetto delle norme urbanistico-edilizie e a colui che invece edifica senza licenza ovvero in totale difformità dalla stessa;

- con l'art. 24 della Costituzione perché consentono di agire in giudizio anche a tutela di posizioni giuridiche soggettive afferenti a cose che, sostanzialmente, costituiscono il prodotto o il profitto di reato;

- con l'art. 42 della Costituzione in quanto non garantiscono al prevenuto il pieno godimento della proprietà;

- con l'art. 97 della Costituzione in quanto non può considerarsi in linea con i principi di buon andamento e coerenza della pubblica amministrazione un sistema normativo che, da un lato, impone al giudice di disporre la demolizione dell'opera abusiva e, dall'altro, riconosce, nell'ambito del giudizio civile, tutela all'autore dell'abuso fino al punto di imporre al vicino un rilevante sacrificio economico quale è quello della demolizione dell'edificio confinante.

2.-- La questione non è fondata.

L'art. 41 - quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) - norma aggiunta dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 - stabilisce che nei Comuni sprovvisti di piano regolatore o di programma di fabbricazione, l'edificazione a scopo residenziale è soggetta, tra l'altro, alla limitazione di distanza dagli edifici vicini, che non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.

Nella specie è questa la norma da applicare, poiché il piano regolatore di quel Comune era stato approvato soltanto il 6 maggio 1976.

La predetta norma sulle distanze tra edifici, deve considerarsi integrativa di quelle previste dal codice civile (art. 873 e segg.), e dà luogo alla legittimazione del proprietario frontista a chiederne il rispetto, con tutte le conseguenze nel caso di violazione.

3.-- L'ordinanza di rimessione, pur riconoscendo l'esattezza di quanto sopra ricordato, dubita della legittimità costituzionale di questa situazione normativa. Si deduce, in particolare, che ravvisare l'obbligo del frontista che ha costruito successivamente ad osservare la distanza legale rispetto al precedente edificio anche quando questo sia stato eseguito in modo difforme dalla concessione edilizia, si risolve in un riconoscimento del primo abuso, che non è invece meritevole di tutela.

In realtà - soggiunge l'ordinanza di rimessione - una serie di norme (in tema di nullità degli atti aventi ad oggetto unità prive di concessione, di divieto di erogazione di servizi pubblici, di sanzioni disciplinari per i notai, di esclusione da condono), indirettamente dissuasive dell'abusivismo, confermano la predetta immeritevolezza di tutela da parte dell'ordinamento della pretesa all'osservanza della distanza legale; e ciò anche in coerenza con le norme costituzionali sopra indicate.

4.-- A livello interpretativo va rilevato che indubbiamente la costruzione di un primo edificio in violazione della concessione edilizia comporta conseguenze, anche penali, nell'ambito del rapporto fra costruttore e pubblica amministrazione; e pure i proprietari di terreni limitrofi possono attivarsi per denunziare detta irregolarità, impedirne il protrarsi, ed in particolare pretendere la osservanza delle distanze e delle altezze previste dalla legge. Ma, una volta che quel primo fabbricato sia stato realizzato, il secondo frontista, in osservanza del c.d. principio della prevenzione, è tenuto a rispettare la distanza legale tra edifici, salva l'esistenza di un titolo contrario consolidatosi per l'acquisto della corrispondente servitù.

Questa interpretazione delle norme viene giustificata da specifici motivi. Ed invero, la rilevanza giuridica della licenza e della concessione edilizia si esaurisce nell'ambito del rapporto pubblicistico tra pubblica amministrazione e privati; gli effetti delle violazioni edilizie si muovono su due piani distinti di rapporti giuridici: uno, pubblicistico, tra costruttore ed organi pubblici preposti alla vigilanza del territorio ed alla repressione degli illeciti, l'altro, privatistico, tra lo stesso costruttore o proprietario dell'opera ed i titolari di diritti soggettivi che possono rimanere lesi dall'attività edificatoria del primo.

Da ciò consegue che il proprietario di una costruzione eseguita in violazione delle norme edilizie, mentre rimane esposto alle sanzioni previste per dette violazioni, non rimane nel contempo sprovvisto della tutela apprestata a favore della proprietà nel caso di violazione da parte di terzi delle norme che disciplinano tale diritto, poiché l'osservanza della legge può essere pretesa anche nel caso in cui il richiedente si trovi, su un piano diverso, in posizione contrastante con altre norme.

5.-- L'esposta interpretazione delle disposizioni in materia non appare in conflitto con norme costituzionali.

Se l'ordinamento giuridico, pur prevedendo una serie di divieti e di altre reazioni negative per dissuadere dall'abusivismo edilizio e concedendo ai proprietari vicini di denunziare o impedire l'altrui illegalità, non toglie al frontista che ha costruito abusivamente il diritto di pretendere dal prevenuto il rispetto della distanza minima, ciò risulta ragionevole (oltre che per i motivi prima esposti), soprattutto per il rilievo specifico che le disposizioni sulle distanze fra costruzioni sono giustificate dal fatto di essere preordinate, non solo alla tutela degli interessi dei due frontisti, ma, in una più ampia visione, anche al rispetto di una serie di esigenze generali, tra cui i bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio.

Dalla serie di considerazioni svolte deriva quindi l'infondatezza del denunziato contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione; tanto più che tale ultimo parametro, - come di recente affermato - risulta estraneo al lamentato contrasto fra decisione del giudice civile e decisione in sede penale, essendo invece invocabile esclusivamente con riguardo "alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo" (ex plurimis ordinanza n. 69 del 1996).

Né può dirsi fondata la denunciata violazione dell'art. 24 della Costituzione, in quanto, come più volte affermato da questa Corte (ordinanza n. 96 del 1988 e, più recentemente, sentenza n. 306 del 1993) non può sindacarsi, sotto il profilo della violazione del diritto di difesa, una norma non avente carattere processuale ma sostanziale, risultando, in tale ultimo caso, male invocato il riferimento al predetto parametro.

E' infine destituita di fondamento la doglianza riferita all'art. 42 della Costituzione, posto che il rispetto delle distanze legali costituisce uno dei limiti alla proprietà previsti dalla legge allo scopo di assicurarne la funzione sociale, così come stabiliscono la citata norma costituzionale e l'art. 832 del codice civile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 872, capoverso, del codice civile e 17, lettera c), della legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 97 della Costituzione dal Tribunale di Spoleto con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 aprile 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1996.