SENTENZA N.
320
ANNO 2011
Commento alla decisione di
Fulvio Costantino
per g.c. della Rivista AIC
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003,
n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse economico generale. Norme in
materia di gestione dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di
risorse idriche), in attuazione dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191», promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 febbraio-2
marzo 2011, depositato in cancelleria il 1° marzo 2011 ed iscritto al n. 12 del
registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di
costituzione della Regione Lombardia;
udito
nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2011 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato
dello Stato Giacomo Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per
Ritenuto in
fatto
1. – Con ricorso notificato il 25
febbraio 2011 e depositato il successivo 1° marzo (r. ric. n. 12 del 2011), il
Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato l’art. 1, comma 1, lettera t),
della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21, recante «Modifiche
alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di
interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di
energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione
dell’art. 2, comma 186-bis, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191», per la parte in cui introduce nell’art. 49
della legge regionale n. 26 del 2003 i commi 2, 4 e 6, lettera c). La disposizione è impugnata in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), m), s),
della Costituzione, nonché, limitatamente all’introduzione del comma 2
nell’art. 49 della legge reg. n. 26 del
Il citato comma 2 stabilisce che «Gli
enti locali possono costituire una società patrimoniale d’ambito ai sensi
dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs. 267/2000, a condizione che questa sia
unica per ciascun ATO [ambito territoriale ottimale] e vi partecipino
direttamente o indirettamente mediante conferimento della proprietà delle reti,
degli impianti, delle altre dotazioni patrimoniali del servizio idrico
integrato e, in caso di partecipazione indiretta, del relativo ramo d’azienda,
i comuni rappresentativi di almeno i due terzi del numero dei comuni
dell’ambito». Il comma 4 del medesimo articolo della legge regionale prevede
che la società patrimoniale d’ambito «In ogni caso […] pone a disposizione del
gestore incaricato della gestione del servizio le reti, gli impianti e le altre
dotazioni patrimoniali» e che «L’ente responsabile dell’ATO può assegnare alla
società il compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio, le
attività di progettazione preliminare delle opere infrastrutturali relative al
servizio idrico e le attività di collaudo delle stesse». Il successivo comma 6,
lettera c), dispone che, al fine di
ottemperare nei termini all’obbligo di affidamento del servizio al gestore
unico, l’ente responsabile dell’ambito territoriale ottimale, tramite l’Ufficio
d’ambito di cui all’art. 48 della stessa legge reg. n. 26 del 2003, effettua
«la definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle
gestioni esistenti».
2. – Con riguardo all’art. 1, comma 1,
lettera t), per la parte in cui
introduce il comma 2 nell’art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26 del
2003, il ricorrente afferma che tale disposizione, nell’autorizzare «ai sensi
dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs. 267/2000», il conferimento in proprietà
delle infrastrutture idriche a società patrimoniali d’ambito a capitale
interamente pubblico, non cedibile, víola: a) l’art.
117, secondo comma, lettere e), l), m),
s), Cost.; b) l’art. 117, primo
comma, Cost.
Quanto alla violazione del secondo comma
dell’art. 117 Cost., il ricorrente si duole che la disposizione impugnata
contrasta con la seguente normativa statale, adottata nell’esercizio della
competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della concorrenza,
ordinamento civile, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei
diritti civili e sociali, tutela dell’ambiente (articolo 117, secondo comma,
lettere e, l, m, s): a) i commi 5 e 11
dell’art. 23-bis del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133; b) l’art. 143, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152
(Norme in materia ambientale), il quale, in combinato disposto con gli artt. 822, 823 e 824 del codice
civile, qualifica le infrastrutture idriche come beni demaniali e ne dispone
l’inalienabilità «se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge».
Secondo la difesa dello Stato, il
conferimento in proprietà previsto dall’impugnato comma 2 dell’art. 49 non può
trovare fondamento nell’espresso richiamo che tale comma opera alla disciplina
statale di cui al comma 13 dell’art. 113 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in
seguito indicato come TUEL. La disposizione da ultimo citata, infatti, sarebbe
stata implicitamente abrogata dai commi 5 e 11 dall’art. 23-bis del citato decreto-legge n. 112 del
2008. Dal comma 5, che, affermando il principio della proprietà pubblica delle
reti, ne vieta la cessione a soggetti privati quali sono le società
patrimoniali d’àmbito, nonostante il loro capitale totalmente pubblico; dal
comma 11, che dispone l’abrogazione dell’art. 113 del TUEL nelle parti
incompatibili con il menzionato art. 23-bis.
Con tale abrogazione sarebbe venuta meno la norma statale dalla quale il comma
2 impugnato traeva l’autorizzazione a intervenire in una materia riservata alla
legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lettere l) e s).
In subordine, la difesa erariale deduce
il contrasto dell’impugnato comma 2 con la normativa statale vincolante in tema
di servizio idrico integrato di cui all’art. 143, comma 1, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). Quest’ultimo
stabilisce che «Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le
altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna
e/o di misurazione, fanno parte del demanio ai sensi dell’art. 822 e ss. del
codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla
legge». Da tale articolo, nella sua connessione sistematica con gli artt. 822,
823 e 824 del cod. civ., si evince, secondo il ricorrente, che gli acquedotti
provinciali e comunali sono soggetti al regime del demanio pubblico. Di qui
l’illegittimità costituzionale del denunciato comma
Quanto alla violazione del primo comma
dell’art. 117 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta che la
disposizione impugnata disattende un vincolo derivante dall’ordinamento
comunitario e reso operante attraverso l’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni
urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con
modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, il quale prevede
che «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato
devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto
gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche».
2.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato anche l’art. 1, comma 1, lettera t), per la parte in cui introduce il comma 4 nell’art. 49 della
legge reg. Lombardia n. 26 del 2003. Tale comma è censurato in quanto,
prevedendo la possibilità di assegnare alla società patrimoniale d’àmbito il
compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio, si porrebbe in
contrasto con l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 e con l’art. 12,
comma 1, lettera b), del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
n. 133). La suddetta normativa statale prevede, infatti, che spetti
all’Autorità d’ambito aggiudicare la gestione del servizio idrico integrato. La
riserva alla legge statale del potere di attribuire a diversi organi ed enti le
funzioni già di competenza degli ATO è confermata, secondo la difesa erariale,
dall’art. 2, comma 186-bis, della
legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), il quale, nel
prevedere la soppressione delle AATO, ammette soltanto la loro attribuzione in
blocco ad altro, unico soggetto, non anche, come previsto dalla disposizione
regionale, lo scorporo di singole attribuzioni da devolvere a soggetti diversi.
2.2. – L’art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg. Lombardia n. 21 del
2010 è impugnato, infine, per la parte in cui introduce nell’art. 49 della
citata legge della Regione Lombardia n. 26 del 2003 il comma 6, lettera c), il quale attribuisce all’ente
responsabile dell’ATO la competenza a definire i criteri per il trasferimento
dei beni e del personale delle gestioni esistenti. La norma, secondo
l’Avvocatura dello Stato, si collega all’impugnato comma 2 del medesimo art.
49, perché presuppone il trasferimento di proprietà da questa autorizzato.
Siffatto trasferimento – secondo la già illustrata doglianza del ricorrente –
è, tuttavia, vietato dalla legge statale. Ne consegue, secondo la difesa dello
Stato, che al comma 6, lettera c),
del citato art. 49 sono riferibili le medesime censure formulate rispetto al
comma 2 dell’art. 49 nel precedente punto 2.
3. – Si è costituita in giudizio
3.1. – In merito all’impugnazione del
comma 2 dell’art. 49, la difesa regionale nega che il comma 13 dell’art. 113
del TUEL sia stato implicitamente abrogato dall’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. Si osserva in proposito che
l’art. 23-bis prevede – nel comma 11
– l’abrogazione delle disposizioni previgenti incompatibili, ma demanda pure –
nel comma 10, lettera m) – ad un
regolamento di delegificazione l’espressa individuazione delle norme da
abrogare. E l’art. 12, comma 1, lettera a),
di tale regolamento (d.P.R. n. 168 del 2010) indica
quali norme abrogate – a decorrere dall’entrata in vigore dell’atto
regolamentare di cui è parte – i commi 5, 5-bis,
6, 7, 8, 9, escluso il primo periodo, 14, 15-bis, 15-ter e 15-quater del menzionato art. 113 del TUEL,
senza fare menzione del comma 13. Di qui la conclusione che il comma 13
dell’art. 113 del TUEL, al quale – come visto – l’impugnato comma 2 dell’art.
49 si richiama quale suo fondamento, deve considerarsi pienamente vigente.
Inoltre, prosegue la resistente, non
sussisterebbe alcuna incompatibilità fra il predetto art. 23-bis e il comma 13 dell’art. 113 del
TUEL. Quest’ultimo, argomenta la difesa regionale, autorizzando il conferimento
della «proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni
patrimoniali a società a capitale interamente pubblico» e sancendone
l’incedibilità, non contraddice il comma 5 dell’art. 23-bis, il quale stabilisce che la proprietà delle reti è pubblica.
Alle società patrimoniali, infatti, dovrebbero essere attribuite «le funzioni
che normalmente competono ai soggetti proprietari, senza che ciò metta in
discussione lo status pubblicistico di tali funzioni e dei relativi beni
infrastrutturali». Il modello della separazione fra gestione delle reti ed
erogazione del servizio sarebbe stato abbandonato proprio a seguito della sentenza di questa
Corte n. 307 del 2009, e ciò, secondo la difesa regionale, renderebbe
possibile l’affidamento del servizio idrico integrato a un gestore unico di
natura privatistica.
Ugualmente insussistente, secondo la
difesa regionale, sarebbe il contrasto dell’impugnato comma 2 dell’art. 49 con
il comma 1 dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 – il quale assoggetta le
reti e le infrastrutture idriche al regime del demanio pubblico – nonché con la
disciplina dei beni demaniali cui tale comma fa rinvio (artt. 822 e seguenti
del codice civile). Infatti, la società patrimoniale d’àmbito, al di là della
veste formale di diritto privato, «costituisce chiaramente un’articolazione
funzionale degli enti locali», come emerge dalla circostanza che detta società
deve possedere un capitale interamente pubblico di cui è espressamente sancita
l’incedibilità. Il modello gestionale prescelto dal legislatore regionale,
prosegue
3.2. – Quanto al comma 4 dell’art. 49
della legge reg. n. 26 del 2003, impugnato perché, consentendo di «sottrarre
all’ATO la competenza ad aggiudicare la gestione del servizio idrico
integrato», violerebbe l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, la
difesa regionale deduce che la censura statale muove da una ricostruzione
inesatta del quadro normativo. Si afferma, al riguardo, che il potere di
riallocazione delle funzioni precedentemente svolte dalle soppresse Autorità
d’àmbito territoriale ottimale (AATO) – che lo Stato contesta alla Regione di
essersi arbitrariamente assegnato – è stato in realtà attribuito alle Regioni
dal legislatore statale, dal comma 186-bis
dell’art. 2, della legge n. 191 del 2009. Questo comma ha stabilito la
soppressione delle Autorità d’ambito operanti nei settori del servizio idrico
integrato e dei rifiuti a decorrere dal 1° gennaio 2011 e ha inoltre previsto
che le Regioni, entro il 31 dicembre 2010, debbano attribuire con legge le
funzioni prima esercitate dalle Autorità d’ambito, nel rispetto dei principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. In conformità con il predetto comma
186-bis – che ha trasferito alle
Regioni la potestà di distribuire funzioni per l’innanzi riconducibili ad
ambiti di legislazione statale esclusiva – la legge regionale n. 21 del 2010,
cui appartiene il denunciato comma
4. – In prossimità dell’udienza
pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha presentato ulteriori
memorie nelle quali rileva che, per effetto del referendum popolare svoltosi il
12 e 13 giugno 2011, il piú volte richiamato art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 è
stato abrogato, ma che permane l’interesse alla decisione della causa, poiché
il tema della proprietà delle reti non è stato inciso in alcun modo dall’esito
referendario. La difesa erariale ribadisce che il predetto art. 23-bis ha determinato l’abrogazione per
incompatibilità del comma 13 dell’art. 113 del TUEL e osserva che l’intervenuta
abrogazione in via referendaria dello stesso art. 23-bis non fa rivivere automaticamente il comma 13, come del resto
avrebbe chiarito la sentenza di questa
Corte n. 24 del 2011. Secondo l’Avvocatura dello Stato, nel quadro
normativo risultante dall’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis verrebbe in rilievo la direttiva
2004/17/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti
erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto
e servizi postali. Tale direttiva, prosegue la difesa erariale, nulla
prescrive in merito al regime giuridico delle infrastrutture, e anzi, nel
considerando n. 10, prevede che «sia lasciato impregiudicato il regime di
proprietà esistente negli Stati membri», in ciò conformandosi all’art. 345 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in
seguito indicato come TFUE) che pone la medesima norma quale principio
generale del diritto dell’Unione. In conclusione, la natura
pubblica della proprietà delle reti sarebbe tuttora prevista, dovendosi ancora
considerare applicabile il comma 1 dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006; e
con il regime pubblico della proprietà contrasterebbe la norma regionale
impugnata, la quale, conferendo in proprietà le reti idriche, le trasformerebbe
in patrimonio aziendale privato e le renderebbe pertanto soggette a
trasferimento in favore di un terzo o ad azioni esecutive, con violazione degli
artt. 822, 823 e 824 del codice civile. Ne resterebbe confermata
l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 49 della legge reg. n. 26
del 2003.
4.1. – Quanto al comma 4 dell’art. 49
della legge reg. n. 21 del 2010, come introdotto dall’impugnato art. 1, comma
1, lettera t), la difesa erariale
osserva che esso era stato denunciato, nel ricorso, per il contrasto con il
comma 2 dell’art. 150 del d.lgs. n. 152 del 2006 e con il comma 1, lettera b), dell’art. 12 del d.P.R.
n. 168 del 2010. La richiamata abrogazione referendaria del citato art. 23-bis del decreto-legge n. 133 del
5. – Anche
Dell’abrogazione, si prosegue nelle
memorie, mancherebbe il presupposto sostanziale, non ravvisandosi alcuna
incompatibilità fra il predetto art. 23-bis
e il comma 13 dell’art. 113 TUEL. Il comma 5 dell’art. 23-bis, là dove stabilisce «ferma restando la proprietà pubblica delle
reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati», dovrebbe essere
interpretato, secondo la resistente, nel senso che «gli enti locali non possono
cedere la proprietà delle infrastrutture, ma possono conferire la proprietà delle
stesse a società patrimoniali a capitale interamente pubblico incedibile,
perpetuandosi, cosí, per tale via, il regime di
proprietà pubblica degli asset». In seguito
all’abrogazione referendaria dell’art. 23-bis,
inoltre, sarebbe divenuta immediatamente applicabile la normativa comunitaria,
che è meno restrittiva. Il diritto europeo, infatti, non impone obblighi di
privatizzazione per le imprese pubbliche o incaricate della gestione di servizi
pubblici, in quanto nell’art. 345 del TFUE enuncia il principio di neutralità
rispetto al regime pubblico o privato della proprietà e nell’art. 106 del TFUE,
enuncia i principi di libertà di definizione e di proporzionalità, stabilendo
che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale
o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del TFUE, e
in particolare alle regole di concorrenza «nei limiti in cui l’applicazione di
tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della
specifica missione loro affidata». Secondo
Il medesimo comma, secondo
5.1. – In replica alle censure formulate
avverso il comma 4 dell’art. 49 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, come
sostituito dall’impugnato art. 1, comma 1, lettera t),
5.2. – Venendo alla censura concernente
il comma 6, lettera c), dell’art. 49 della legge reg. n. 26 del 2003, come
sostituito dal denunciato art. 1, comma 1, lettera t), la resistente chiede di dichiararla inammissibile per la sua
genericità, lacunosità e incompiutezza. La disposizione impugnata, si
argomenta, si riferisce alle aziende che attualmente effettuano il servizio di
gestione in alcune parti del territorio regionale in assenza di un titolo di
affidamento coerente con le disposizioni legislative in materia. Il comma
impugnato si limiterebbe a prescrivere agli enti responsabili degli ATO la
verifica propedeutica all’individuazione di un gestore d’ambito, e farebbe
riferimento ai dipendenti delle aziende allo stato operanti e ai beni
strumentali i cui costi sono stati coperti dalle tariffe introitate dal
servizio. Secondo la difesa regionale, in conclusione, la norma denunciata
disciplina oggetti su cui nulla si dice né nel ricorso, né nelle memorie
depositate in vista della trattazione in udienza pubblica, che omettono del tutto
di richiamare questa doglianza. Di qui l’inammissibilità, in parte qua, del ricorso statale.
Considerato
in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettera t), della legge della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21,
recante «Modifiche alla legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei
servizi locali di interesse economico generale. Norme in materia di gestione
dei rifiuti, di energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in
attuazione dell’art. 2, comma 186-bis,
della legge 23 dicembre 2009, n. 191», per la parte in cui introduce nell’art.
49 della legge regionale 12 dicembre 2003, n. 26, i commi 2, 4 e 6, lettera c). La disposizione è impugnata in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e), l), m), s),
della Costituzione, nonché, limitatamente all’introduzione del comma 2
dell’art. 49 della legge reg. n. 26 del
Tale comma 2 dell’art. 49 stabilisce che
«Gli enti locali possono costituire una società patrimoniale d’ambito ai sensi
dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs. 267/2000, a condizione che questa sia
unica per ciascun ATO e vi partecipino direttamente o indirettamente mediante
conferimento della proprietà delle reti, degli impianti, delle altre dotazioni
patrimoniali del servizio idrico integrato e, in caso di partecipazione
indiretta, del relativo ramo d’azienda, i comuni rappresentativi di almeno i
due terzi del numero dei comuni dell’ambito». Il comma 4 del medesimo articolo
della legge regionale prevede che la società patrimoniale d’àmbito «In ogni
caso […] pone a disposizione del gestore incaricato della gestione del servizio
le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali» e che «L’ente
responsabile dell’ATO può assegnare alla società il compito di espletare le
gare per l’affidamento del servizio, le attività di progettazione preliminare
delle opere infrastrutturali relative al servizio idrico e le attività di
collaudo delle stesse». Il successivo comma 6, lettera c), dispone che, al fine di ottemperare nei termini all’obbligo di
affidamento del servizio al gestore unico, l’ente responsabile dell’àmbito
territoriale ottimale [ATO], tramite l’Ufficio d’àmbito di cui all’art. 48
della stessa legge reg. n. 26 del 2003, effettua «la definizione dei criteri
per il trasferimento dei beni e del personale delle gestioni esistenti».
2. – Con riguardo al comma 2 dell’art.
49 della legge reg. Lombardia n. 26 del 2003, il ricorrente afferma che tale
comma, nell’autorizzare, «ai sensi dell’articolo 113, comma 13, del d.lgs.
267/2000», il conferimento in proprietà delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali del servizio idrico integrato a società patrimoniali
d’àmbito a capitale interamente pubblico, non cedibile, víola:
a) l’art. 117, secondo comma, lettere e),
l), m), s), Cost.; b) l’art.
117, primo comma, Cost.
Quanto alla violazione del secondo comma
dell’art. 117 Cost., la difesa dello Stato deduce che la denunciata
disposizione si pone in contrasto con la seguente normativa emessa dallo Stato
nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva nelle materie tutela
della concorrenza (lettera e),
ordinamento civile (lettera l),
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e
sociali (lettera m), tutela
dell’ambiente (lettera s): a) i commi
5 e «10» [recte:
11] dell’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i quali,
rispettivamente, affermano il principio di pubblicità delle reti dei servizi
pubblici locali di rilevanza economica ed abrogano l’art. 113 del d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti
locali) – in séguito indicato come TUEL –, nelle parti incompatibili con lo
stesso art. 23-bis e, quindi, anche
nelle parti incompatibili con tale principio di pubblicità; b) comunque, l’art.
143, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
il quale, «in lettura combinata» con gli artt. 822, 823 e 824 del codice
civile, assoggetta le infrastrutture idriche al regime del demanio pubblico e
ne dispone l’inalienabilità, salvi i casi e i modi stabiliti dalla legge.
Quanto alla violazione del primo comma
dell’art. 117 Cost., la difesa dello Stato deduce che la denunciata disposizione
si pone in contrasto con «un vincolo derivante dall’ordinamento comunitario in
ossequio al quale l’art. 15, comma 1-ter del decreto-legge n. 135 del
2.1. – Con riferimento alla prospettata
violazione dell’art. 117, secondo comma, Cost., la questione è fondata nei
limiti qui di séguito precisati.
2.1.1. – Al momento dell’emanazione
della legge regionale recante la disposizione impugnata, era già vigente il
principio generale stabilito – per tutti i servizi pubblici locali (SPL) di
rilevanza economica (salvo quelli afferenti ad alcuni specifici settori,
tassativamente indicati dalla legge statale) – dalla prima parte del comma 2
dell’articolo 113 del citato TUEL, secondo cui «Gli enti locali non possono
cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni
destinati all’esercizio dei servizi pubblici», salva la possibilità, prevista
dal successivo comma 13, di «conferire la proprietà» dei beni medesimi «a
società a capitale interamente pubblico, che è incedibile», purché tale
conferimento «non sia vietato dalle normative di settore». Sempre al momento
dell’emanazione della stessa legge regionale vigeva anche il comma 5 dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008 il quale, con riguardo in genere ai SPL di rilevanza economica, stabiliva
– in parziale contrasto con detto comma 13 dell’art. 113 del TUEL – che, «Ferma
restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata
a soggetti privati».
La disposizione regionale censurata
prevede, sia pure con riferimento alle sole infrastrutture idriche, un caso di
cessione ad un soggetto di diritto privato – la società patrimoniale d’àmbito a
capitale pubblico incedibile – di beni demaniali e, perciò, incide sul regime
giuridico della proprietà pubblica. Essa va, pertanto, ascritta alla materia
ordinamento civile, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Ne segue che
2.1.2. – Nella specie, una siffatta
normativa statale manca, non potendo essa essere individuata nel citato comma
13 dell’art. 113 del TUEL, nonostante che la stessa disposizione regionale
impugnata lo richiami quale norma statale da attuare. Detto comma 13, infatti,
non poteva costituire il fondamento della competenza legislativa regionale in
tema di regime proprietario delle infrastrutture idriche, perché doveva
ritenersi già tacitamente abrogato, per incompatibilità, dal comma 5 dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008, il quale – come si è visto – aveva stabilito il principio secondo cui le
reti sono di «proprietà pubblica»; principio evidentemente in contrasto con il
richiamato comma 13, che consentiva, invece, il conferimento delle reti in
proprietà a società di diritto privato a capitale interamente pubblico. Al
riguardo, va osservato che la proprietà pubblica delle reti implica,
indubbiamente, l’assoggettamento di queste – e, dunque, anche delle reti
idriche – al regime giuridico del demanio accidentale pubblico, con conseguente
divieto di cessione e di mutamento della destinazione pubblica. In particolare
le reti, intese in senso ampio, vanno ricomprese, in quanto appartenenti ad
enti pubblici territoriali, tra i beni demaniali, ai sensi del combinato
disposto del secondo comma dell’art. 822 e del primo comma dell’art. 824 cod.
civ. Il comma 1 dell’art. 143 del d.lgs. n. 152 del 2006 (anch’esso anteriore
alla disposizione regionale impugnata) conferma la natura demaniale delle
infrastrutture idriche, dettando una specifica normativa di settore. Esso
dispone, infatti, che: «Gli acquedotti, le fognature, gli impianti di
depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al
punto di consegna e/o di misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli
articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e
nei limiti stabiliti dalla legge».
È, perciò, evidente l’incompatibilità
del regime demaniale stabilito dal comma 5 dell’art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e dal comma l dell’art. 143
del d.lgs. n. 152 del 2006 con il conferimento in proprietà previsto dal comma
13 dell’art. 113 del TUEL.
2.1.3. – La difesa della Regione resistente
obietta che la disposizione impugnata, nel prevedere espressamente
l’incedibilità del capitale della società a totale partecipazione pubblica e
nel richiamare il comma 13 dell’art. 113 del TUEL, garantisce il mantenimento
del regime giuridico proprio dei beni demaniali conferiti in proprietà alla
società patrimoniale d’àmbito.
L’obiezione non è fondata.
È noto che il patrimonio sociale
costituisce una nozione diversa da quella di capitale sociale: il primo è rappresentato
dal complesso dei rapporti giuridici, attivi e passivi, che fanno capo alla
società; il secondo è l’espressione numerica del valore in denaro di quella
frazione ideale del patrimonio sociale netto (dedotte, cioè, le passività) che
è fissata dall’atto costitutivo e non è distribuibile tra i soci. Ne deriva che
l’incedibilità delle quote od azioni del capitale sociale – sia essa frutto di
una pattuizione fra i soci (art. 2341-bis
cod. civ.) o, come nel caso di specie, di una previsione legislativa – non
comporta anche l’incedibilità dei beni che costituiscono il patrimonio della
società; beni, perciò, che possono liberamente circolare e che integrano la
garanzia generica dei creditori (art. 2740 cod. civ.), limitabile solo nei casi
stabiliti dalla legge dello Stato nell’esercizio della sua competenza esclusiva
in materia di ordinamento civile. La sola partecipazione pubblica, ancorché
totalitaria, in società di capitali non vale, dunque, a mutare la disciplina
della circolazione giuridica dei beni che formano il patrimonio sociale e la
loro qualificazione.
A sostegno dell’incedibilità dei beni
conferiti in proprietà nella società patrimoniale d’àmbito non può invocarsi –
come fa la difesa regionale – neppure il disposto dell’art. 7 del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni
finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del
sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed
adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e
finanziamento delle infrastrutture), convertito, con modificazioni, dalla legge
15 giugno 2002, n. 112, secondo cui il
conferimento in proprietà di beni demaniali dello Stato alla «Patrimonio dello
Stato S.p.A.», anch’essa società a capitale interamente pubblico, non comporta
la modificazione del regime giuridico di tali beni, quale stabilito dagli
articoli 823 e 829, primo comma, cod. civ. Tale normativa statale, infatti, non
riguarda i beni demaniali degli enti pubblici territoriali considerati dalla
disposizione impugnata, perché ha introdotto una speciale disciplina del regime
proprietario dei soli beni demaniali dello Stato, insuscettibile di
applicazione estensiva o analogica.
2.1.4. – Non può opporsi all’indicata
abrogazione tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL il fatto che tale comma
non è stato inserito dall’art. 12, comma 1, lettera a), del regolamento di delegificazione di cui al d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 (Regolamento in materia di
servizi pubblici locali di rilevanza economica, a norma dell’articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
n. 133), tra le disposizioni del medesimo art. 113 abrogate ai sensi dell’art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008.
Va precisato in
proposito che l’art. 23-bis ha
previsto due diverse modalità di abrogazione delle norme previgenti: a) nella
lettera m) del comma
In altri termini, il fatto che il
menzionato regolamento di delegificazione non abbia ricompreso il comma 13
dell’art. 113 del TUEL tra le disposizioni abrogate non esclude che l’effetto
abrogativo si sia già verificato a far data dalla promulgazione della lex posterior (art.
23-bis del decreto-legge n. 112 del
2008). E ciò indipendentemente dalla circostanza che il ricordato regolamento –
adottato, come si è visto, sulla base del comma 10, lettera m), dell’art. 23-bis – è
stato ormai privato del suo fondamento normativo dall’art. 1, comma 1, del d.P.R. 18 luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di
referendum popolare, dell’art. 23-bis
del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge
n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito
della sentenza
della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di
affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), il
quale ha dichiarato l’intervenuta abrogazione dell’intero art. 23-bis per effetto dell’esito del
referendum popolare indetto con d.P.R. 23 marzo 2011.
2.1.5. – È necessario, infine, avvertire
che il piú volte menzionato comma 13 dell’art. 113
del TUEL non ha ripreso vigore a séguito della dichiarazione – ad opera del
citato art. 1, comma 1, del d.P.R. n. 113 del 2011 –
dell’avvenuta abrogazione dell’intero art. 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (in questo senso,
specificamente, sentenza
n. 24 del 2011).
Questo quadro normativo non è stato
modificato neppure dal decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con
modificazioni, dal comma 1 dell’art. 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il comma 28 dell’art. 4 di tale decreto, nel riprodurre letteralmente il
contenuto del comma 5 dell’art. 23-bis
del d.lgs. n. 112 del 2008 – abrogato, come si è visto, in seguito a referendum
popolare –, ha ripristinato il principio (dettato in generale per i SPL di
rilevanza economica) secondo cui, «Ferma restando la proprietà pubblica delle
reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati». Con riferimento
al regime della proprietà delle reti, tale principio non solo è incompatibile –
per le ragioni già esposte al punto 2.1.2. – con il comma 13 dell’art. 113 del
TUEL, ma è espressamente dichiarato non applicabile al settore idrico dal comma
34 dello stesso art. 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 («Sono esclusi
dall’applicazione del presente articolo il servizio idrico integrato […]»). Ne
deriva che questo settore continua ad essere disciplinato dalla sopra
evidenziata normativa e, in particolare, dal citato art. 143 del d.lgs. n. 152
del 2006, che, come visto, prevede la proprietà demaniale delle infrastrutture
idriche e, quindi, la loro «inalienabilità se non nei modi e nei limiti
stabiliti dalla legge».
2.2. – In conclusione, la rilevata
abrogazione tacita del comma 13 dell’art. 113 del TUEL, per incompatibilità con
il comma 5 dell’art. 23-bis del
decreto-legge n. 112 del 2008, preclude alla Regione resistente di disciplinare,
in attuazione del medesimo comma 13, il regime della proprietà di beni del
demanio accidentale degli enti pubblici territoriali, trattandosi di materia
ascrivibile all’ordinamento civile, riservata dall’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato. Da ciò consegue la violazione, da parte
della Regione Lombardia, di tale sfera di competenza statale e, quindi,
l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 49 della legge reg. n. 26
del 2003, quale introdotto dalla disposizione impugnata.
Restano assorbiti gli altri profili di
censura prospettati dal ricorrente in relazione al medesimo comma dell’art. 49.
3.– Con riguardo al comma 4 dell’art. 49
della legge reg. n. 26 del 2003, il ricorrente afferma che tale disposizione,
nella parte in cui stabilisce che «l’ente responsabile dell’ATO può assegnare
alla società il compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio
[…]», si pone in contrasto con la seguente normativa emessa dallo Stato
nell’esercizio della sua competenza legislativa esclusiva, ad esso riservata
dalle lettere e), l), m)
e s) del secondo comma dell’art. 117
Cost.: a) l’art. 150, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall’art. 12, comma 1, lettera b),
del d.lgs. n. 168 del 2010, secondo cui «l’Autorità d’ambito aggiudica la
gestione del servizio idrico integrato»; b) l’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n.
191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2010), il quale, prescrivendo che «le regioni
attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dall’Autorità […]», avrebbe
previsto l’attribuzione di tali funzioni «in blocco ad altro, unico soggetto
anziché […] l’enucleazione di una singola attribuzione da devolvere a soggetto
formalmente privato isolatamente dalle rimanenti competenze».
Questa Corte deve preliminarmente
rilevare che la disposizione denunciata, prevedendo la possibilità di assegnare
il compito di espletare le gare per l’affidamento del servizio idrico alla
società patrimoniale d’àmbito di cui al precedente comma 2 dello stesso art.
49, fa riferimento ad un soggetto la cui costituzione è prevista da una
disposizione della quale è stata accertata, al punto 2, l’illegittimità costituzionale.
Da tale illegittimità consegue quindi, necessariamente, anche quella del
denunciato comma 4, senza che debba procedersi allo scrutinio di tale comma in
base ai parametri evocati.
4. – Con riguardo al comma 6, lettera c), dell’art. 49 della legge reg.
Lombardia n. 26 del 2003, secondo cui l’ente responsabile dell’ATO effettua «la
definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del personale delle
gestioni esistenti», il ricorrente afferma che tale disposizione víola le lettere e),
l), m) e s) del secondo comma
dell’art. 117 Cost., perché sussistono «le medesime illegittimità» già
prospettate con riferimento al «collegato» comma 2 dello stesso articolo 49.
La questione non è fondata.
Il ricorrente, muovendo dalla premessa
interpretativa che il denunciato comma 6, lettera c), sia «collegato» al precedente comma 2, ripropone le medesime
censure prospettate in relazione a quest’ultimo comma. Detta premessa è, però,
erronea, perché il comma 2 riguarda, come visto, il conferimento in proprietà
delle infrastrutture idriche alla società patrimoniale d’àmbito, mentre
l’impugnato comma 6, lettera c),
concerne solo la definizione dei criteri per il trasferimento dei beni e del
personale delle gestioni esistenti al gestore unico del servizio idrico
integrato, gestore che è soggetto diverso dalla società patrimoniale d’àmbito.
Risulta, quindi, evidente che non sussiste il dedotto collegamento tra il comma
2 e il comma 6, lettera c), dell’art.
49 e che, di conseguenza, le censure prospettate dal ricorrente nei riguardi
della prima disposizione non possono valere con riferimento al contenuto
normativo della seconda.
per questi motivi
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dei commi 2 e 4 dell’art. 49 della legge della
Regione Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di
interesse economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di
energia, di utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), introdotti dall’art.
1, comma 1, lettera t), della legge
della Regione Lombardia 27 dicembre 2010, n. 21, recante «Modifiche alla legge
regionale 12 dicembre 2003, n. 26 (Disciplina dei servizi locali di interesse
economico generale. Norme in materia di gestione dei rifiuti, di energia, di
utilizzo del sottosuolo e di risorse idriche), in attuazione dell’articolo 2,
comma 186-bis, della legge 23
dicembre 2009, n. 191»;
2) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale della lettera c) del comma 6 dell’art. 49, della legge
reg. Lombardia n. 26 del 2003, introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera t), della legge reg. Lombardia n. 21 del
2010, proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettere e),
l), m) e s), della
Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21
novembre 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2011.