SENTENZA N. 259
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1994 dal Tribunale superiore delle acque pubbliche nel procedimento civile vertente tra Prosperi Raffaele e il Comune di Cori ed altri, iscritta al n. 787 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1995.
Visti gli atti di costituzione del Comune di Cori, del Comune di Artena e degli eredi di Prosperi Raffaele, nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1996 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi l'avvocato Vincenzo Cerulli Irelli per il Comune di Cori e per il Comune di Artena e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. Nel corso del procedimento civile vertente tra Raffaele Prosperi e il Comune di Cori ed altri, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, adito quale giudice di appello nei confronti della decisione del Tribunale regionale delle acque pubbliche (che aveva dichiarato la natura pubblica del lago di Giulianello, con esclusione dei diritti dei privati sullo stesso), ha sollevato, con ordinanza in data 5 dicembre 1994 (depositata il 18 luglio 1995 e pervenuta alla Corte costituzionale il 24 ottobre 1995: R.O. n. 787 del 1995), questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sopravvenuta nelle more del giudizio. Tale norma dispone che "tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata e utilizzata secondo criteri di solidarietà", innovando rispetto alla disciplina previgente, di cui all'art. 1 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), in base alla quale erano pubbliche le acque che avessero o acquistassero attitudine ad usi di pubblico generale interesse.
Ad avviso del collegio rimettente, la norma impugnata, nella parte in cui afferma il carattere pubblico di tutte le acque, si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, sottraendo al dominio privato tutte le acque in modo indiscriminato, a prescindere dalla sussistenza di un interesse pubblico da tutelare e dalle ragioni di solidarietà economica e sociale, che, sole, potrebbero giustificare tale sottrazione.
Appare irragionevole al giudice a quo la parificazione, ai fini del trasferimento integrale nell'ambito del demanio idrico, di tutte le acque (e relativi terreni di contenimento), ivi comprese quelle che non suscitano pubblico interesse, sia pure operata a scopo di tutela ambientale.
In ogni caso, infatti, la demanializzazione non potrebbe essere prevista senza la indicazione specifica del criterio di individuazione del bene.
Né sembra al giudice a quo che la legge denunciata autorizzi una concezione nuova del demanio ed una visione dell'acqua come bene che non formi oggetto di dominio, bensì di uso, perché anche in tal caso un criterio di identificazione dei limiti della potestà di disporre del bene in questione non potrebbe mancare.
2. Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti i Comuni di Cori ed Artena, concludendo per la manifesta infondatezza della questione.
3. Si sono altresì costituiti, ma fuori termine, gli eredi di Raffaele Prosperi.
4. Ha spiegato intervento nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la ratio della demanializzazione di tutte le acque, disposta dalla norma denunciata, risiede nella considerazione che l'acqua è il bene primario della vita, con caratteristiche ontologiche peculiari ed esclusive, e che essa non è suscettibile di dominio, ma solo di uso. L'Avvocatura sottolinea, altresì, la esigenza di evitare sottrazioni all'uso pubblico di un bene progressivamente meno disponibile, nel quadro della ottimizzazione delle risorse idriche e di una gestione dei servizi idrici locali efficiente sotto il profilo funzionale ed economico.
Il mutamento di regime voluto dal legislatore sarebbe, quindi, frutto di una scelta razionale, e la nuova normativa peraltro, osserva l'Avvocatura, non ancora pienamente vigente, richiedendo essa vari adattamenti nella fase transitoria (artt. 32 e segg.) non sarebbe in contrasto con nessuno dei principi costituzionali invocati dal collegio rimettente.
5. Nell'imminenza della udienza hanno depositato memorie sia la difesa dei Comuni di Artena e di Cori, sia quella degli eredi Prosperi.
La prima ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione per irrilevanza nel giudizio a quo, atteso che il carattere pubblico delle acque del lago di Giulianello era già stato affermato nella sentenza di primo grado del Tribunale regionale delle acque pubbliche sulla base di una indagine tecnica.
Nel merito, si insiste per la infondatezza della questione, osservandosi che la legge n. 36 del 1994 va inserita nel sistema vigente delle leggi sulle acque pubbliche attraverso l'apposito regolamento che il Governo dovrà adottare ai sensi dell'art. 32 della stessa legge, sicché non è pubblico il genus acqua come categoria in sé, ma in quanto costituente uno specifico corpo idrico individuato secondo i criteri del t.u. n. 1775 del 1933, e, come tale, utilizzabile per i bisogni collettivi.
Considerato in diritto
1. La questione sottoposta all'esame della Corte riguarda l'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), nella parte in cui stabilisce che "tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche_. Tale norma, ad avviso del Tribunale superiore delle acque pubbliche, si porrebbe in contrasto con gli artt. 2, 3, e 42 della Costituzione, in quanto parificherebbe tutte le acque indiscriminatamente, sia che abbiano attitudine ad usi di pubblico interesse, sia che non la abbiano, e le sottrarrebbe integralmente alla proprietà privata, trascurando i limiti della solidarietà economica e sociale, nonché i motivi che consentono una ragionevole parificazione di cose diverse o discriminazione di cose uguali, e le ragioni che possono giustificare la proprietà pubblica, e creando un nuovo demanio pubblico, in cui l'interesse pubblicistico assume caratteri generalissimi. Secondo l'ordinanza del collegio rimettente, l'acqua sarebbe un bene essenziale della vita, ma non un bene unitario, esistendo quantità infinite di acque che non suscitano pubblico interesse o non sono unificabili. La ragione ispiratrice della legge risiederebbe nella tutela ambientale, che, peraltro, tuttora non giustificherebbe la proprietà pubblica di tutti i territori dello Stato in cui vi sia presenza di acqua. Le norme costituzionali richiamate non consentirebbero, infatti, "l'integrale trasferimento di tutte le acque (e relativi terreni di contenimento) nell'ambito del pubblico demanio idrico, con abolizione di ogni proprietà privata".
2. Preliminarmente deve essere esaminata l'eccezione proposta dalla difesa dei Comuni di Artena e di Cori di inammissibilità per irrilevanza della questione sotto il profilo che il carattere pubblico delle acque del lago in contestazione sarebbe già stato affermato nella sentenza di primo grado sulla base di una indagine tecnica.
L'eccezione è infondata, in quanto la natura pubblica del lago era stata oggetto di appello, ed è implicito nella ordinanza di rimessione che la sopravvenuta legge 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, comma 1 (della cui costituzionalità si dubita) viene ad incidere sulla soluzione della controversia pendente avanti al giudice a quo, relativa al carattere pubblico o meno delle acque, attesa l'interpretazione dello stesso giudice di indiscriminata (e contestata) pubblicità di tutte le acque senza distinzione.
3. Nel merito, la questione non è fondata.
Le modificazioni legislative del regime di utilizzazione o di proprietà di determinate categorie di beni, caratterizzati da pubblico interesse, non sono, di per sé, contrarie a Costituzione, sulla base dei parametri denunciati (artt. 2, 3 e 42 della Costituzione) quando siano intervenute trasformazioni della rilevanza pubblica di tali beni e dell'interesse generale.
Né le innovazioni introdotte nella legge denunciata sono del rilievo e nel segno affermati dall'ordinanza del giudice a quo. I criteri discretivi delle acque pubbliche e private hanno subito, sotto il profilo storico, dallo scorso secolo (e non solo in Italia), una evoluzione progressiva con caratterizzazione in crescendo dell'interesse pubblico, correlata all'aumento dei fabbisogni, alla limitatezza delle disponibilità e ai rischi concreti di penuria per i diversi usi (residenziali, industriali, agricoli), la cui preminenza è venuta nel tempo ad assumere connotati diversi.
Nello stesso tempo, soprattutto sotto la spinta di una serie di iniziative in ambito europeo (a cominciare dalla Carta europea dell'acqua, approvata il 16 maggio 1968 dal Consiglio d'Europa) e di direttive della Comunità europea, e della raggiunta consapevolezza della limitata disponibilità idrica, è emerso un maggiore interesse per la protezione delle acque.
In particolare l'attenzione si è soffermata sull'acqua (bene primario della vita dell'uomo), configurata quale "risorsa" da salvaguardare, sui rischi da inquinamento, sugli sprechi e sulla tutela dell'ambiente, in un quadro complessivo caratterizzato dalla natura di diritto fondamentale a mantenere integro il patrimonio ambientale.
L'aumento dei fabbisogni derivanti dai nuovi insediamenti abitativi e dalle crescenti utilizzazioni residenziali anche a seguito delle tecnologie introdotte nell'ambito domestico, accompagnato da un incremento degli usi agricoli produttivi e di altri usi, ha indotto il legislatore (legge 5 gennaio 1994, n. 36), di fronte a rischi notevoli per l'equilibrio del bilancio idrico, ad adottare una serie di misure di tutela e di priorità dell'uso delle acque intese come risorse, con criteri di utilizzazione e di reimpiego indirizzati al risparmio, all'equilibrio e al rinnovo delle risorse medesime.
Di qui la esigenza avvertita dallo stesso legislatore di un maggiore intervento pubblico concentrato sull'intero settore dell'uso delle acque, sottoposto al metodo della programmazione, della vigilanza e dei controlli, collegato ad una iniziale dichiarazione di principio, generale e programmatica (art. 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994), di pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee, indipendentemente dalla estrazione dal sottosuolo. Tale dichiarazione è accompagnata dalla qualificazione di "risorsa salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà". Questa finalità di salvaguardia viene, subito dopo, in modo espresso riconnessa al diritto fondamentale dell'uomo (e delle generazioni future) all'integrità del patrimonio ambientale, nel quale devono essere inseriti gli usi delle risorse idriche (art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 36 del 1994).
In sostanza, la "pubblicità delle acque" ha riguardo al regime dell'uso di un bene divenuto limitato, come risorsa comune, mentre il regime (pubblico o privato) della proprietà del suolo in cui esso è contenuto diviene indifferente in questa sede di controllo di costituzionalità dell'art. 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994, potendo formare oggetto di una questione di legittimità costituzionale solo in presenza di acquisizione coattiva di manufatti e opere o terreni necessari per la captazione o l'utilizzo.
4. La dichiarazione anzidetta di pubblicità di tutte le acque non deve indurre ad un equivoco: l'interesse generale è alla base della qualificazione di pubblicità di un'acqua, intesa come risorsa suscettibile di uso previsto o consentito; ma questo interesse è presupposto in linea di principio esistente in relazione alla limitatezza delle disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una proiezione verso il futuro), di uso dell'acqua, suscettibile, anche potenzialmente, di utilizzazione collimante con gli interessi generali. La nuova legge n. 36 del 1994 ha accentuato lo spostamento del baricentro del sistema delle acque pubbliche verso il regime di utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà.
Inoltre, non vi è una generalizzata ed indiscriminata forma di pubblicità (e regime concessorio di uso) di tutte le acque, in quanto la stessa legge prevede, privilegiandole, talune utilizzazioni tradizionali caratterizzate da esclusione di interesse generale.
Vige un regime di libertà (nel senso che non è richiesta licenza o concessione di derivazione, ferma l'osservanza delle norme edilizie e di sicurezza e delle altre speciali) per la raccolta di acque piovane in invasi e cisterne, purché siano al servizio dei fondi agricoli cui si riferisce l'invaso o la cisterna, in quanto l'acqua raccolta viene restituita al suolo e non altera l'ambiente naturale. La stessa libertà sussiste per analoghe raccolte di acque piovane destinate a singoli edifici con ambito collegato all'edificio e pertinenze relative (art. 28, commi 3 e 4, della legge n. 36 del 1994).
L'utilizzazione delle acque sotterranee per usi domestici continua ad essere regolata dalle ampie possibilità accordate dall'art 93, secondo comma, del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici) al proprietario del fondo, restando compresi tra gli usi domestici non solo quelli strettamente inerenti a casa di abitazione, ma anche l'innaffiamento di giardini ed orti (intesi, secondo l'interpretazione della giurisprudenza, come unità colturale familiare), e l'abbeveramento del bestiame. E' stata introdotta espressamente la soggezione ad un obbligo generale di non compromettere l'equilibrio del bilancio idrico ad evitare eccedenze di prelievi rispetto alle disponibilità nell'area di riferimento (art. 28, comma 5, in relazione all'art. 3 della legge n. 36 del 1994).
E', inoltre, previsto un periodo transitorio per l'esercizio del diritto al riconoscimento o alla concessione di acque a salvaguardia di coloro che utilizzavano acque che hanno assunto natura pubblica (art. 34, della legge n. 36 del 1994).
Vale la pena, infine, di segnalare che, a norma del comma 4 dell'art. 1 della legge in esame, le acque termali minerali e per uso geotermico non rientrano nella disciplina della legge n. 36 del 1994, essendo, invece, regolate da leggi speciali.
Concludendo, la norma denunciata (art. 1, comma 1, della legge n. 36 del 1994) certamente rientra tra le disposizioni costituenti, ai sensi dell'art. 33 della stessa legge, principi fondamentali per i fini dell'art. 117 della Costituzione, cui dovranno seguire ulteriori interventi di individuazione e sostituzione della precedente disciplina specificamente incompatibile (art. 32, comma 3, della legge n. 36 del 1994, come sostituito dall'art. 12 del d.l. 8 agosto 1994, n. 507, convertito, con modificazioni, nella legge 21 ottobre 1994, n. 584: v. sentenza n. 174 del 1996).
5. Sulla base delle predette considerazioni risulta la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 in riferimento a tutti i parametri invocati.
Ed anzi detta norma costituisce, come scelta non irragionevole operata dal legislatore, un modo di attuazione e salvaguardia di uno dei valori fondamentali dell'uomo, come innanzi delineato, e nello stesso tempo principio generale per una disciplina omogenea dell'uso delle risorse idriche.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 luglio 1996.