Sentenza n. 205 del 2011

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SENTENZA N. 205

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Paolo                           MADDALENA                                 Giudice

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     ”

-           Franco                         GALLO                                                    ”

-           Luigi                            MAZZELLA                                            ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             ”

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6-ter, lettere b) e d) e comma 6-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi con ricorsi delle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, notificati il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 6 ottobre 2010 ed iscritti ai nn. 102 e 106 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 28 settembre 2010 e depositato il successivo 6 ottobre (r. ric. n. 102 del 2010), la Regione Liguria ha impugnato numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e, tra queste, l’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e d), e 6-quater, prospettando la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.

La Regione, individuando in premessa il contenuto delle disposizioni impugnate, evoca in particolare, il comma 6-ter, lettera b), del citato art. 15, che modifica l’art. 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), inserendovi il comma 1-bis, ai sensi del quale: «al fine di consentire il rispetto del termine per l’indizione delle gare e garantire un equo indennizzo agli operatori economici per gli investimenti effettuati ai sensi dell’articolo 1, comma 485, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le concessioni di cui al comma 1 sono prorogate di cinque anni».

Richiama altresì la lettera d) del comma 6-ter del medesimo articolo ove si prevede un’ulteriore proroga disponendo, in sostituzione del comma 8 dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, che «in attuazione di quanto previsto dall’articolo 44, secondo comma, della Costituzione, e allo scopo di consentire la sperimentazione di forme di compartecipazione territoriale nella gestione, le concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico in vigore, anche per effetto del comma 7 del presente articolo, alla data del 31 dicembre 2010, ricadenti in tutto o in parte nei territori delle province individuate mediante i criteri di cui all’articolo 1, comma 153, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, le quali siano conferite dai titolari, anteriormente alla pubblicazione del relativo bando di indizione della gara di cui al comma 1 del presente articolo, a società per azioni a composizione mista pubblico-privata partecipate nella misura complessiva minima del 30 per cento e massima del 40 per cento del capitale sociale dalle province individuate nel presente comma e/o da società controllate dalle medesime, fermo in tal caso l’obbligo di individuare gli eventuali soci delle società a controllo provinciale mediante procedure competitive, sono prorogate a condizioni immutate per un periodo di anni sette, decorrenti dal termine della concessione quale risultante dall’applicazione delle proroghe di cui al comma l-bis».

Infine, considera il comma 6-quater dell’art. 15, il quale statuisce che «le disposizioni dei commi 6, 6-bis e 6-ter del presente articolo si applicano fino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle regioni, per quanto di loro competenza».

Assume la Regione Liguria che la proroga delle concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico, disposta dalle lettere b) e d) del comma 6-ter del citato art. 15, incide nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Tali norme sarebbero, quindi, illegittime per le medesime ragioni già poste a fondamento della sentenza n. 1 del 2008, avente ad oggetto l’impugnativa dell’art. 1, comma 485, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)» che prorogava di dieci anni le concessioni esistenti. La Corte ha, infatti, dichiarato in tale sentenza la norma «lesiva delle competenze regionali, in quanto la previsione di una proroga di dieci anni delle concessioni in atto costituisce una norma di dettaglio».

Secondo la ricorrente, le norme in questione lederebbero anche le proprie competenze amministrative (art. 118 Cost.), perché precluderebbero l’esercizio da parte della Regione delle funzioni in materia di gestione del demanio idrico, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 86 e seguenti del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, da trasferire alle regioni per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia ambientale).

La lesione alla titolarità della competenza regionale attribuita dall’art. 117, terzo comma, Cost. emergerebbe anche dalla disposizione del comma 6-quater del medesimo art. 15, perché nelle materie devolute alla potestà legislativa concorrente lo Stato non potrebbe mai adottare norme di dettaglio, tantomeno “cedevoli”. Se, invero, a dire della ricorrente, già prima della riforma costituzionale del 2001 dette norme erano ammissibili solo in determinati casi – vale a dire al fine di consentire l’applicazione di nuove leggi cornice ovvero per adempiere ad obblighi internazionali – nel mutato contesto normativo, sulla scia della giurisprudenza costituzionale per la quale «la nuova formulazione dell’art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell’art. 117, comma 1, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (sentenza n. 282 del 2002), in dottrina si sarebbe andato consolidando l’orientamento di ritenere l’illegittimità costituzionale di norme statali di dettaglio nelle materie devolute alla potestà legislativa concorrente.

Conclude poi, sul punto, la Regione Liguria che, quando pure si ritenessero ammissibili norme statali di dettaglio “cedevoli” in casi determinati, non vi rientrerebbe la disposizione del comma 6-quater impugnato, che sarebbe, quindi, comunque illegittimo.

2. – Per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la stessa disposizione (art. 15, comma 6-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010) è impugnata anche dalla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito di un ricorso attinente a diverse altre materie e disposizioni, notificato il 28 settembre 2010 e depositato il successivo 6 ottobre (r. ric. n. 106 del 2010), adducendo le medesime motivazioni esposte dalla Regione Liguria a fondamento dell’illegittimità delle norme “cedevoli”.

3. – In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

In via preliminare ed in termini generali, la difesa dello Stato ha eccepito la tardività del ricorso perché proposto avverso norme del decreto-legge non modificate in sede di conversione e, quindi, immediatamente lesive.

Ha quindi premesso che le misure adottate con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, nel quale si ascrivono le disposizioni impugnate, devono essere esaminate nel loro complesso, «sì che ognuna sorregge l’altra per raggiungere insieme le finalità perseguite di stabilizzazione e di rilancio economico».

Con riguardo alla disciplina in esame, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, il ricorso sarebbe infondato, in quanto le disposizioni in materia di proroga di concessioni idroelettriche e la relativa previsione di cedevolezza sarebbero volte ad assicurare l’applicazione dei principi generali in materia, in attesa della legislazione regionale attuativa.

In particolare, la norma introdotta dalla disposizione combinata del comma 6-ter, lettera b), e del comma 6-quater dell’art. 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, sarebbe volta a fornire una soluzione alle conseguenze della pronuncia di illegittimità dell’art. 1, comma 485, della legge n. 266 del 2005 ad opera della sentenza n. 1 del 2008, in quanto le imprese che avevano eseguito gli investimenti previsti dalla citata disposizione avevano adito le sedi giudiziarie, contestando il mancato rispetto del legittimo affidamento; inoltre, poiché, secondo le previsioni dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 molte concessioni idroelettriche sarebbero scadute nel 2010, le imprese concessionarie sarebbero dovute essere «rimesse in termini, in conformità a quanto previsto dal primo comma del suddetto art. 12».

4. – Con memoria depositata il 3 maggio 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito che la norma risultante dalla disposizione combinata delle prescrizioni impugnate, di carattere “cedevole”, assolve allo scopo di ovviare agli inconvenienti derivanti dalla dichiarazione di incostituzionalità, ad opera della sentenza n. 1 del 2008, della proroga decennale delle concessione delle grandi derivazioni di acqua.

5. – Successivamente, il 18 maggio 2011, anche le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna hanno depositato distinte memorie, che presentano un analogo contenuto.

Le ricorrenti hanno contestato la sussistenza della finalità, indicata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di «assicurare l’applicazione dei principi generali posti, in attesa della legislazione regionale applicativa», dal momento che le norme impugnate non servirebbero a rendere operativi nuovi o vecchi principi fondamentali: al contrario, esse sarebbero contrastanti con i principi comunitari e nazionali di tutela della concorrenza.

Inoltre, l’affermazione dell’Avvocatura generale per la quale la disposizione impugnata tutelerebbe le imprese beneficiarie della proroga, poi dichiarata illegittima, garantendo loro un equo indennizzo, non sarebbe condivisibile, perché, da un canto, sarebbe «bizzarro e paradossale» che a fondamento della previsione della proroga delle concessioni idroelettriche venga posta una sentenza che ha dichiarato l’illegittimità di una norma analoga; dall’altro, il comma 6-ter, lettera b), in esame, non si limiterebbe a garantire un equo indennizzo, ma ripristinerebbe la medesima proroga, seppure di durata inferiore. D’altro canto, non si comprenderebbe la ragione per cui lo Stato sarebbe intervenuto solo in prossimità della scadenza del termine previsto dall’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999 per il bando relativo all’affidamento di nuove concessioni, pur in presenza di un’esigenza asseritamente pressante ed urgente.

In conclusione, secondo le Regioni ricorrenti, i ritardi delle amministrazioni nel bandire le gare per le nuove concessioni non potrebbero giustificare l’invasione, da parte dello Stato, della potestà legislativa regionale nella materia «energia», con norme peraltro lesive del principio di concorrenza.

6. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 18 maggio 2011, ha depositato una ulteriore memoria, in cui ha riaffermato che il carattere “cedevole” attribuito dalla disposizione impugnata (art. 15, comma 6-quater) è in linea con i precedenti della Corte, tra i quali ha citato la sentenza n. 1 del 2002.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, con distinti ricorsi, hanno impugnato numerose disposizioni del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e, tra esse, la Regione Liguria, ha individuato in particolare l’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e d), e 6-quater, deducendo la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, e la Regione Emilia- Romagna, l’art. 15, comma 6-quater, deducendo la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Riservata a separate pronunce la decisione sulle impugnazioni delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, sono prese qui in esame le questioni di legittimità costituzionale relative appunto al citato art. 15, comma 6-ter, lettere b) e d), e comma 6-quater.

Per la Regione Liguria, la previsione della proroga delle concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico inciderebbe, con una disposizione di dettaglio, nella materia della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost. Essa sarebbe, quindi, illegittima per le medesime ragioni poste a fondamento della decisione n. 1 del 2008, avente ad oggetto l’impugnativa dell’art. 1, comma 485, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante “Disposizione per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)” che prorogava di dieci anni le concessioni esistenti.

Secondo la ricorrente le norme in questione lederebbero anche le competenze amministrative regionali, perché precluderebbero l’esercizio da parte della Regione delle funzioni in materia di gestione del demanio idrico.

Del pari, sia per la Regione Liguria che per la Regione Emilia-Romagna sarebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost., anche sotto un ulteriore profilo, dal momento che, nelle materie devolute alla potestà legislativa concorrente, lo Stato non potrebbe adottare norme di dettaglio, neanche conferendo loro carattere “cedevole”.

2. – Poiché i ricorsi pongono questioni analoghe, viene disposta la riunione dei relativi giudizi ai fini di una trattazione unitaria e di un’unica decisione.

3. – In via preliminare, l’eccezione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri in ordine alla tardività delle impugnazioni proposte solo dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, nei confronti di disposizioni non modificate da quest’ultima, va disattesa, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce la tempestività della impugnazione dei decreti-legge successivamente alla loro conversione in legge, la quale rende permanente e definitiva la normativa solo provvisoriamente da questi dettata (ex multis, sentenza n. 383 del 2005).

Inoltre, sempre in via preliminare, la considerazione della manovra economica nel suo complesso, espressa dall’Avvocatura dello Stato, se può di certo orientare nell’individuazione delle finalità perseguite, vale a dire la stabilizzazione finanziaria ed il rilancio economico, non può, in questa sede, impedire che il vaglio di legittimità costituzionale sia operato in riferimento alle singole disposizioni, che presentano, tra l’altro, carattere fortemente disomogeneo le une dalle altre e che vengono impugnate in relazione a parametri costituzionali di volta in volta differenti.

4. – Il ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna è inammissibile per carenza di interesse.

La Regione Emilia-Romagna ha, invero, impugnato unicamente la norma (comma 6-quater dell’art. 15) che conferisce carattere “cedevole”, rispetto all’emananda legislazione regionale, ad alcune disposizioni statali dettate in materia di concessioni di grandi derivazioni.

La caducatoria (solo) di detta disposizione e non (anche) di quelle asseritamente lesive del riparto delle competenze potrebbe rendere quest’ultime operanti anche nel caso della sopravvenienza di una normativa regionale.

Né potrebbe essere accolta la prospettiva, indicata all’udienza pubblica dalla Regione Emilia-Romagna, per la quale l’impugnativa resa esplicita solo con riguardo al comma 6-quater dell’art. 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, dovrebbe intendersi, peraltro, come implicitamente riferita anche alle disposizioni da esso richiamate.

Sennonché, essendo indubitabile che la Giunta regionale, con delibera del 20 settembre 2010, ha statuito l’impugnazione del comma 6-quater del citato art. 15 e non pure delle ulteriori norme, all’interpretazione propugnata dalla ricorrente osta il consolidato orientamento di questa Corte che considera inammissibili le questioni sollevate su disposizioni non espressamente indicate nella delibera della Giunta, sulla base della necessaria corrispondenza tra la deliberazione con cui l’ente si determina all’impugnazione ed il contenuto del ricorso, attesa la natura politica dell’atto di impugnazione (da ultimo, sentenza n. 278 del 2010).

5. – Le questioni sollevate dalla Regione Liguria sono fondate.

Le disposizioni impugnate, infatti, in quanto attengono alla durata ed alla programmazione delle concessioni di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico, si ascrivono alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», attribuita alla competenza legislativa concorrente; poiché pongono un precetto specifico e puntuale – prevedendo la proroga automatica di dette concessioni – esse, inoltre, si configurano quali norme di dettaglio.

Questa Corte già con la sentenza n. 1 del 2008, nel vagliare la legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 483 e seguenti, della legge n. 266 del 2005 – i quali prevedevano la proroga delle concessioni idroelettriche ed i meccanismi per la sua operatività – ha ricondotto disposizioni analoghe a quelle oggi in esame alla menzionata materia e ne ha riconosciuto il carattere dettagliato, con conseguente pronuncia di illegittimità costituzionale.

A differenti conclusioni, rispetto al citato precedente, non conduce la previsione della loro applicazione fino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro competenza (cosiddetta clausola di “cedevolezza”), contenuta nel comma 6-quater dell’art. 15 impugnato.

Assume l’Avvocatura generale che la richiamata disposizione si giustificherebbe in quanto volta ad assicurare l’applicazione dei principi generali in materia, in attesa dell’intervento del legislatore regionale.

Pur senza affrontare la complessa tematica della generale ammissibilità, dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, delle norme statali “cedevoli” in ambiti devoluti alla potestà legislativa regionale, nel caso in esame, è sufficiente la considerazione che il presupposto addotto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a giustificazione dell’emanazione di dette norme – vale a dire l’esigenza di colmare, per il tempo necessario all’emanazione della normativa regionale, un vuoto legislativo nell’applicazione di principi fondamentali stataliin concreto non sussiste.

La proroga di cinque anni prevista dal comma 6-ter, lettera b), dell’art. 15 in esame, è, invero, dichiaratamente finalizzata a consentire il rispetto del termine per l’indizione delle procedure ad evidenza pubblica, in conformità di quanto previsto dal decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), ed a recuperare il costo degli investimenti per gli interventi di ammodernamento effettuati dai concessionari, ai sensi dell’art. 1, commi 486 e 487, della legge n. 266 del 2005, al fine dell’ottenimento della proroga.

Tuttavia, a ben vedere, la prima finalità – quella di consentire il graduale espletamento delle procedure di evidenza pubblica imposte dal diritto comunitario e, quindi, di evitare uno iato temporale nell’erogazione del servizio – è, in realtà, perseguita, dal successivo comma 6-ter, lettera e), che consente al concessionario uscente di proseguire la gestione della derivazione fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, se alla data di scadenza della concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo gestore.

Riguardo all’ulteriore finalità, in armonia con quella dichiaratamente perseguita dalla manovra in esame, del «contenimento della spesa pubblica», il recupero degli investimenti effettuati dai concessionari, attraverso detta proroga, è volto ad evitare che lo Stato venga esposto a richieste di indennizzi da parte dei suddetti concessionari. Questo intento del contenimento della spesa pubblica emerge anche con maggiore evidenza laddove si consideri il successivo comma 6-quinques dell’art. 15, il quale prevede che le somme incassate dai Comuni e dallo Stato, versate dai concessionari delle grandi derivazioni idroelettriche, antecedentemente alla sentenza di questa Corte n. 1 del 2008, siano definitivamente trattenute dagli stessi Comuni e dallo Stato.

Le disposizioni impugnate, peraltro, sono incoerenti rispetto ai principi generali, stabiliti dalla legislazione statale, della temporaneità delle concessioni e dell’apertura alla concorrenza, contrastando con i principi comunitari in materia: seppure per un periodo temporalmente limitato, esse «impedisc[ono] l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori» (sentenze n. 340, n. 233 e n. 180 del 2010).

In particolare, la previsione della proroga di ulteriori sette anni, rispetto ai cinque di cui al comma l-bis, lettera d) del comma 6-ter dell’art. 15 impugnato, a favore delle concessionarie-società per azioni a composizione mista pubblico-privata partecipate per una quota minima del 30 per cento e massima del 40 per cento del capitale sociale dalle province e/o da società controllate dalle medesime, si muove in una direzione contraria alle indicazioni fornite a livello comunitario, (procedura d’infrazione IP/05/920), volte ad eliminare un ingiustificato favor riconosciuto a concessionari uscenti e/o aziende controllate da enti locali.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il criterio di riparto di competenze delineato dall’art. 117, terzo comma, Cost., non è temperato, nel caso in esame, dall’esigenza, sostenuta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, di dare attuazione ai principi generali posti dalla legislazione statale in materia, i quali, peraltro, pongono obiettivi non perfettamente in linea con quelli perseguiti dalle norme impugnate.

Ne consegue la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 15, commi 6-ter, lettere b) e d), e 6-quater – quest’ultimo nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 6-ter, lettere b) e d), si applicano fino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro competenza – del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010.

6. – è assorbita l’ulteriore censura di violazione dell’art. 118 Cost. prospettata dalla Regione Liguria.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;

riuniti i giudizi,

1)    dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6-ter, lettere b) e d), del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;

2)    dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui prevede che le disposizioni del comma 6-ter, lettere b) e d), si applicano fino all’adozione di diverse disposizioni legislative da parte delle Regioni, per quanto di loro competenza;

3)    dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 6-quater, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA , Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2011.