SENTENZA N.
278
ANNO 2010
Commenti alla decisione di
I. Luca Vespignani,
Supplenza
della Corte o Justice à la carte?, per
gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it
II. Marcello Cecchetti, La
Corte "in cattedra”! Una emblematica "sentenza-trattato” che si proietta ben
oltre le contingenti vicende storiche della disciplina legislativa presa in
esame, per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria
Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi
di legittimità costituzionale degli articoli 3, comma 9, 25, commi 1 e 2,
lettere a), f), g), h), l)
e q), 26, comma 1, e 27, commi 14,
24, lettere c) e d), 27, 28, 31 e 34, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e
l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), promossi
dalle Regioni Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Lazio,
Calabria, Marche, Emilia-Romagna e Molise con ricorsi notificati il 29, il 28,
il 29, il 30, il 29 settembre e il 12 ottobre 2009, depositati in cancelleria
il 2, il 5, il 6, il 7 e il 16 ottobre 2009 e rispettivamente iscritti ai nn. 69, 70, 71, 72, 73, 75, 76, 77, 82, 83 e 91 del
registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri nonché gli atti di
intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), del Codacons, Coordinamento delle associazioni e dei comitati di
tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, dell’Enel
s.p.a. e di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.;
udito nell’udienza
pubblica del 22 giugno 2010 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli
avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon
e Luigi Manzi per le Regioni Umbria e Liguria, Maria Liberti per la Regione
Puglia, Roberto Cavallo Perin per la Regione Piemonte, Claudio Chiola per la
Regione Lazio, Stefano Grassi per la Regione Marche, Luigi Manzi per la Regione
Calabria, Giandomenico Falcon e Rosaria Russo
Valentini per la Regione Emilia-Romagna, Stefano Scarano
per la Regione Molise, Beniamino Caravita di Toritto e Carlo Malinconico per
l’Enel s.p.a, Alessandro Giadrossi
per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong e l’avvocato dello
Stato Antonio Palatiello per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 2 ottobre (iscritto al r.r. n. 69 del 2009), la Regione Toscana ha promosso, in
riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, e al principio di
leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3,
comma 9, e 25, comma 2, lettere a), f), g),
e h), della legge 23 luglio 2009, n.
99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese,
nonché in materia di energia), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 31 luglio 2009.
1.1. – Premette la ricorrente che ai sensi
dell’impugnato art. 3, comma 9, «al fine di garantire migliori condizioni di
competitività sul mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici,
nelle strutture turistico-ricettive
all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento,
anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il
perimetro delle strutture turistico-ricettive
regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni
strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non
costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e
paesaggistici».
Sostiene il ricorrente che la denunciata
previsione violerebbe la potestà legislativa concorrente delle Regioni in
materia di «governo del territorio», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
La disposizione de qua inciderebbe sulle competenze regionali, giacché stabilisce
che i suddetti mezzi mobili, pur dovendo rispettare le condizioni strutturali e
di mobilità stabilite dall’ordinamento regionale, non costituiscono, a priori, attività rilevante dal punto
di vista urbanistico, edilizio e paesaggistico e, dunque, possono essere
realizzate liberamente, senza alcuna forma preventiva di verifica. Secondo la
difesa regionale, detta verifica, seppure in forma accelerata e semplificata,
permetterebbe di garantire il rispetto di quelle condizioni strutturali e di
mobilità che, in astratto, si dichiarano da rispettare.
La possibilità, per i mezzi mobili di pernottamento,
di essere collocati permanentemente, senza che ciò costituisca attività
rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici, vanificherebbe la
previsione di cui all’art. 78, comma 1, lettera b), della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme
per il governo del territorio), in forza della quale è considerata
trasformazione urbanistica ed edilizia, e come tale soggetta a permesso di
costruire, «l’installazione di manufatti, anche prefabbricati e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulottes,
campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee, quali esplicitamente risultino in
base alle vigenti disposizioni».
L’evocata disposizione regionale –
prosegue la ricorrente – trova corrispondenza nell’art. 3, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia – Testo A), che qualifica tali interventi
come nuova costruzione.
Secondo la vigente normativa regionale,
dunque, i mezzi mobili messi a disposizione del gestore del campeggio rientrano
nell’ordinaria gestione del campeggio stesso e non richiedono uno specifico
titolo abilitativo, purché siano destinati ad assolvere ad una funzione
temporanea e come tale individuabile, essendo stabilito un termine per la loro
rimozione: termine che deve risultare o nel titolo abilitativo che consente gli
interventi o nel provvedimento che autorizza l’esercizio del campeggio.
Per la ricorrente, l’impugnata
disposizione escluderebbe la configurazione di un simile termine, consentendo
così una trasformazione del territorio incontrollata, anche dal punto di vista
paesaggistico, e al di fuori da ogni forma di pianificazione.
1.2. – Le denunciate disposizioni di cui
all’art. 25, comma 2, lettere a), f), g),
e h), enunciano i principi ed i
criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa da parte del Governo
per la disciplina della localizzazione di impianti di produzione di energia
nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, di sistemi di
stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi.
Più precisamente, in sede di esercizio
della delega legislativa:
- dovrà essere prevista la possibilità di dichiarare
i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di
vigilanza e di protezione (lettera a);
- dovranno essere determinate le modalità di
esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento
delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto
previsto dall’art. 120 Cost. (lettera f);
- dovrà essere previsto che la costruzione e
l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica nucleare e di
impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo
smantellamento di impianti nucleari a fine vita e tutte le opere connesse siano
soggetti ad autorizzazione unica rilasciata dal Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle
infrastrutture e trasporti, d’intesa con la Conferenza unificata (lettera g);
- dovrà essere previsto che l’autorizzazione unica
sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le
amministrazioni interessate e che tale provvedimento sostituisce ogni atto
necessario per la realizzazione delle opere, ad eccezione della VIA e della VAS
(lettera h).
1.2.1. – Per la ricorrente la
disposizione di cui alla lettera a)
violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., anche in relazione al principio di leale
collaborazione.
La dichiarazione di siti di interesse
strategico nazionale, soggetti a speciali forme di vigilanza e di protezione, è
finalizzata alla individuazione delle possibili aree in cui localizzare gli
impianti di produzione di energia elettrica nucleare.
Per la Regione Toscana, l’impugnata
disposizione appare «molto estesa», omettendo la previsione di criteri e limiti
della suddetta dichiarazione, senza alcuna previsione di una intesa o analoga
forma di raccordo con le Regioni territorialmente interessate. Questa
individuazione interferisce con materie di competenza concorrente e residuale
delle Regioni: trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, governo del
territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed
ambientali, turismo. Al riguardo, la difesa regionale ricorda che la «chiamata
in sussidiarietà» di funzioni amministrative impone la previsione di una intesa
con le Regioni interessate, a salvaguardia delle loro attribuzioni
costituzionalmente previste (sono richiamate le sentenze n. 383 del
2005, n. 6
del 2004 e n.
303 del 2003).
1.2.2. – Secondo la Regione ricorrente,
la disposizione di cui alla lettera f)
non dovrebbe essere ritenuta applicabile nei confronti delle Regioni in quanto
non rientranti tra gli «enti locali».
Ove, tuttavia, si pervenisse ad una
diversa interpretazione, ne deriverebbe la violazione degli artt. 117, 118 e
120 Cost., dal momento che l’intesa, a fronte del mancato raggiungimento della
quale il Governo sarebbe legittimato ad esercitare il potere sostitutivo, non
sarebbe «sostituibile» in quanto «tipica manifestazione del consenso regionale
ad un atto» e, dunque, espressione di autonomia. La censurata disciplina avrebbe
così illegittimamente consentito allo Stato di assumere una decisione
unilaterale.
Con la sentenza n. 6 del
2004 – insiste la difesa regionale – questa Corte ha qualificato l’intesa
in parola come una intesa forte, «nel senso che il suo mancato raggiungimento
costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento», stante
l’impatto che una struttura produttiva come l’impianto energetico ha su
molteplici funzioni regionali. Peraltro, l’attivazione di tale potere
sostitutivo parrebbe ammessa indifferentemente sia in caso di inerzia, sia
nell’ipotesi in cui l’intesa non sia raggiunta perché è stato espresso un
articolato dissenso. Per la ricorrente, il legislatore statale è chiamato a
procedimentalizzare l’intesa, per assicurarne il carattere «forte»: la legge
dovrebbe, cioè, disciplinare un procedimento teso a favorire l’avvicinamento
delle parti su una posizione consensuale. Diversamente, l’intesa verrebbe
declassata in un parere non vincolante.
Nel caso di specie, il legislatore
statale non avrebbe previsto criteri direttivi volti ad assicurare la
disciplina del procedimento dell’intesa sì da garantirne il carattere «forte»,
necessario per il rispetto delle competenze costituzionali di tutti gli enti di
governo coinvolti.
La violazione dell’art. 120 Cost.
discenderebbe, secondo la ricorrente, dalla circostanza che detta previsione
non potrebbe essere applicata ad ipotesi, come quella prevista dalla disciplina
impugnata, nelle quali l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di
una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio
concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello
statale in materie di competenza legislativa regionale e nella perdurante
assenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni nell’ambito dei
procedimenti legislativi dello Stato. Secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, tali intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per
la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui
la «chiamata in sussidiarietà» di una funzione amministrativa in materie
affidate alla legislazione regionale. L’esigenza che il conseguimento di queste
intese sia non solo ricercato in termini effettivamente ispirati alla reciproca
leale collaborazione, ma anche agevolato per evitare situazioni di stallo,
potrà certamente favorire l’opportuna individuazione, sul piano legislativo, di
procedure parzialmente innovative volte a favorire l’adozione dell’atto finale
nei casi in cui siano insorte difficoltà a conseguire l’intesa. Siffatte
procedure – conclude la difesa regionale – non potranno prescindere dalla
permanente garanzia della posizione paritaria delle parti coinvolte.
1.2.3. – Anche le disposizioni di cui
alle lettere g) e h) sono per la ricorrente illegittime,
per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., e al principio di leale
collaborazione, in quanto non assicurerebbero un ruolo più incisivo alla
Regione, pur versandosi in ambiti materiali di competenza regionale, a fronte
di una «chiamata in sussidiarietà» ad opera del legislatore statale.
L’intesa con la Conferenza unificata non
parrebbe sufficiente ai predetti fini. Benché la sentenza n. 383 del
2005 riconosca la Conferenza unificata come organo adeguatamente
rappresentativo delle Regioni e degli enti locali, tutti incisi dalle diverse
politiche del settore energetico, per la difesa regionale diversa sarebbe,
invece, «l’intesa necessaria, a valle, al momento dell’esercizio della funzione
amministrativa che lo Stato si è trattenuto. In tal caso solo l’intesa con la
Regione direttamente interessata può garantire il rispetto delle attribuzioni
regionali». In altri termini, l’intesa con la Conferenza unificata può
costituire lo strumento sufficiente a fronte di norme legislative e di
disposizioni generali, indirizzi, criteri e linee guida perché tutte queste
hanno ad oggetto misure generali rivolte all’intero sistema delle autonomie. Al
contrario, a fronte dello specifico atto autorizzatorio, appare
costituzionalmente indispensabile l’intesa con la Regione interessata.
1.3. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
1.3.1. – Per il resistente, le doglianze
aventi per oggetto l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, non
terrebbero conto né dell’iter amministrativo
pregresso all’esercizio delle attività turistiche ivi contemplate, né del
contesto normativo generale in cui la contestata disposizione si colloca.
Quanto alla denunciata lesione delle
attribuzioni regionali nella materia concorrente del «governo del territorio»,
la difesa erariale sottolinea che il contestato intervento normativo è stato
determinato dalla necessità di comporre un dissidio giurisprudenziale relativo
all’interpretazione dell’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380
del
In questa prospettiva – puntualizza la
difesa dello Stato – l’impugnata disposizione opera quale specificazione
ulteriore del succitato art. 3 (L), comma 1, lettera e.5), quale espressione di un principio fondamentale in forza del
quale l’installazione ed il rimessaggio di mezzi mobili di pernottamento non
costituisce attività rilevante ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici ove
realizzati all’interno di strutture ricettive all’aria aperta regolarmente
autorizzate. Invero, detta disposizione legislativa statale annovera tra gli
interventi di nuova costruzione «l’installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure
come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee».
Mediante i titoli legittimanti
l’apertura e l’utilizzo delle predette strutture è stato espressamente
autorizzato quel tipo di «utilizzazione e trasformazione edilizio-urbanistica del territorio» che ha
proprio nelle suddette installazioni la sua peculiare connotazione. Ne consegue
l’illegittimità delle installazioni per le quali non siano stati ottenuti
preventivamente analoghi titoli edilizi.
Al riguardo, la parte resistente precisa
che i manufatti installabili nelle strutture ricettive all’aria aperta sono
soltanto quelle «universalmente note come attrezzature tipiche del campeggio».
D’altro canto – prosegue l’Avvocatura
dello Stato – la contestata disposizione non autorizza sic et simpliciter l’installazione in oggetto, giacché ne subordina
la legittimità alla conformità alle pertinenti leggi regionali, in relazione ai
limiti oggettivi ed alle caratteristiche dei mezzi di pernottamento, affinché
possano essere qualificati come mezzi «mobili».
La previsione di una eventuale
collocazione «permanente» di tali mezzi, prevista dall’art. 3, comma 9, non
lede le rivendicate attribuzioni regionali, in quanto tale enunciato va letto,
in chiave funzionale, alla luce di quanto disposto dal periodo successivo, che
fa esplicito riferimento allo svolgimento dell’attività turistica. Sicché, una
volta cessata la relativa attività economica, verrà contestualmente meno la
legittima installazione delle strutture mobili. In definitiva, il concetto di
«permanenza» va inteso nel senso di consentire al gestore del campeggio di
eseguire, durante il periodo di chiusura dell’attività, la manutenzione ed il
rimessaggio delle strutture mobili senza necessità di una rimozione dalla loro
ubicazione funzionale.
Quanto, invece, alla asserita violazione
della potestà legislativa residuale in materia di «turismo», il resistente obietta,
innanzitutto, che la censurata disposizione «è dettata in materia di "governo
del territorio” e il riferimento al turismo riguarda la finalità della
disposizione» stessa.
In secondo luogo – continua la difesa
dello Stato – la legge n. 99 del 2009 si è prefissa l’obiettivo di dirimere «un
conflitto trasversale tra competenze statali, regionali ed interpretazioni
giurisprudenziali che ponevano gli imprenditori di settore in una condizione di
costante incertezza giuridica». In questo quadro, per l’Avvocatura dello Stato
la disposizione de qua rappresenta la
«legittima manifestazione delle competenze dello Stato, unico titolare di
un’azione di sviluppo del turismo in Italia».
1.3.2. – Prima di passare in rassegna le
doglianze relative all’art. 25, comma 2, la parte resistente sviluppa una serie
di considerazioni in ordine alla «natura strategica della scelta del Governo di
introdurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia».
Il ritorno al nucleare – spiega la
difesa dello Stato – è volto a fronteggiare il cambiamento climatico e a
garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e la competitività
del sistema produttivo. L’energia nucleare, come attestato da iniziative
assunte in ambito comunitario, costituisce l’unica fonte idonea a fornire
elettricità su vasta scala consentendo, nel contempo, il rispetto delle
limitazioni poste alle emissioni di gas ad effetto serra. Inoltre, la maggiore
esposizione degli Stati alle instabilità ed ai rischi geopolitici dei mercati
internazionali produce incognite, soprattutto sul piano della continuità delle
forniture, tali da imporre il ricorso all’energia nucleare. L’utilità di tale
fonte è, poi, avvertibile sul piano della competitività dei sistemi produttivi,
minacciata da continui aumenti di prezzi dell’energia prodotta da fonti
convenzionali. Si è, dunque, in presenza di profili problematici «che
travalicano in modo consistente i meri interessi territoriali e locali».
Sul piano strettamente giuridico –
prosegue l’Avvocatura dello Stato – «le assolute peculiarità e le potenzialità
tipiche dell’energia nucleare, tutte espressive di interessi unitari e
infrazionabili», chiamano in causa attribuzioni esclusive dello Stato, che
assumono sicura prevalenza rispetto alla materia concorrente della «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (è citata la sentenza n. 88 del
2009):
- assumono rilevanza le implicazioni connesse con la produzione
dell’energia nucleare in termini di «ordine pubblico e di sicurezza», ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost. (è citata la sentenza n. 18 del
2009);
- le disposizioni dirette a presidiare la c.d.
«sicurezza nucleare» appaiono ascrivibili alla materia «sicurezza dello Stato»
di cui all’art. 117, secondo comma, lettera d),
Cost.;
- la matrice sovranazionale di molte delle
prescrizioni implementate nell’ordinamento italiano giustifica l’attivazione
della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «politica
estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione
europea», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.;
- l’impatto ecologico dello sfruttamento del nucleare
sollecita l’intervento del legislatore statale nella materia della «tutela
dell’ambiente» ex art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.
D’altro canto – insiste la parte
resistente – l’incidenza degli interessi nazionali e internazionali in gioco,
le correlate esigenze di celerità nell’attuazione delle scelte strategiche
legate al nucleare, le peculiarità di questa fonte energetica, impongono di
considerare sotto luce diversa i princìpi inerenti all’applicazione del
principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., nonché lo
stesso potere sostitutivo (sono richiamate le sentenze n. 249 del
2009; n. 383
e n. 62 del 2005;
n. 6 del 2004
e n. 303 del
2003).
1.3.3. – Ciò premesso, la difesa dello
Stato reputa comunque, inammissibili, «per difetto di interesse della ricorrente», le doglianze
prospettate avverso i princìpi e criteri direttivi della delega legislativa
anzitutto «in quanto non immediatamente lesivi di alcuna prerogativa
regionale». Le previsioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere f), g)
e h), non sono, infatti, tali da
precludere alcuna delle possibili opzioni quanto alle forme di coinvolgimento
delle Regioni.
Quanto, in particolare, alla
impugnazione della citata lettera f),
la ricorrente avrebbe prospettato in modo perplesso le questioni sottoposte al
vaglio di questa Corte.
Altrettanto inammissibile sarebbe la
questione avente per oggetto l’art. 25, comma 2, lettera a), giacché, in difetto di attuazione della delega, «non è
possibile determinare se ed in che modo la Regione verrebbe coinvolta in tale
attività».
La stessa questione sarebbe, comunque,
destituita di fondamento in quanto nella giurisprudenza costituzionale non si
rinvengono pronunce che impongano di acquisire l’intesa con la singola Regione
interessata, piuttosto che con la Conferenza unificata, in relazione alla
determinazione delle aree di interesse strategico nazionale. Invero, nella sentenza n. 249 del
2009 si sottolinea trattarsi di impianti di preminente interesse nazionale,
tali da comportare un accentramento della funzione amministrativa in vista del
conseguimento di obiettivi strategici unitari.
2. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r. n. 70 del 2009), la Regione Umbria ha promosso, in
riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, comma
primo, e 120 Cost. nonché al principio di leale collaborazione, questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f),
e g), 26, comma 1, e 27, comma 27,
della legge n. 99 del 2009.
2.1. – Oltre alle disposizioni di cui
all’art. 25, comma 2, lettere a), f) e g),
dapprima riportate, viene, innanzitutto, in rilievo la previsione di cui
all’art. 26, comma 1, della legge in parola, a mente del quale «con delibera
del CIPE, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge e previo parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, su
proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentito il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le Commissioni
parlamentari competenti, sono definite le tipologie degli impianti per la
produzione di energia elettrica nucleare che possono essere realizzati nel
territorio nazionale». È, inoltre, previsto che la Conferenza unificata si
esprima «entro sessanta giorni dalla richiesta, trascorsi i quali il parere si
intende acquisito».
Oggetto di doglianza è, poi, il comma 27
dell’art. 27, il quale stabilisce l’applicazione delle «disposizioni di cui
all’art. 5-bis del decreto-legge 10
febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009,
n. 33», agli «impianti di produzione di energia elettrica alimentati con carbon
fossile di nuova generazione, se allocati in impianti industriali dismessi,
nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a carbon fossile,
qualora sia stato richiesto un aumento della capacità produttiva».
2.2. – Quanto alla disposizione di cui
all’art. 25, comma 2, lettera g), la
ricorrente sostiene trattarsi di previsione incostituzionale nella parte in cui
non pone il principio secondo il quale la localizzazione dell’impianto
richiede, altresì, l’intesa della Regione nel cui ambito esso deve essere
realizzato.
Per la difesa regionale il
coinvolgimento della Conferenza non può essere ritenuto equivalente o
sostitutivo di quello della Regione interessata: invero, la necessità del
consenso di questa in relazione alla localizzazione di grandi opere, la cui
realizzazione imprima al territorio una caratterizzazione tanto forte da
incidere sulla sua complessiva destinazione e su tutti gli interessi che in
esso insistono, è implicita nel sistema di applicazione del principio di
sussidiarietà sin dalla sentenza n. 303 del
2003.
Questo principio – prosegue la
ricorrente – è stato ribadito proprio in relazione alla materia concorrente
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica»
dalla sentenza
n. 6 del 2004: deve trattarsi di una intesa forte, «nel senso che il suo
mancato raggiungimento costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del
procedimento».
La successiva sentenza n. 62 del
2005, relativa allo stoccaggio dei rifiuti nucleari, ribadisce che, quando
gli interventi necessari realizzati dallo Stato in vista di interessi unitari
di tutela ambientale «concernono l’uso del territorio, e in particolare la
realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante
lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio, da un lato, con la
competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre
che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle
popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate
modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso
opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi
sono destinati a realizzarsi». Nella stessa pronuncia, tuttavia, questa Corte
ha precisato che allorché, «una volta individuato il sito, si debba provvedere
alla sua "validazione”, alla specifica localizzazione e alla realizzazione
dell’impianto, l’interesse territoriale da prendere in considerazione e a cui
deve essere offerta, sul piano costituzionale, adeguata tutela, è quello della
Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata», e che «non
basterebbe più, a questo livello, il semplice coinvolgimento della Conferenza
unificata, il cui intervento non può sostituire quello, costituzionalmente
necessario, della singola Regione interessata».
Ancora, il principio della necessaria
intesa con la Regione interessata viene ulteriormente evocato con la sentenza n. 383 del
2005, in relazione alla individuazione delle infrastrutture e degli
insediamenti strategici, ove pure si afferma la necessità «che anche tale
individuazione sia effettuata d’intesa con le Regioni e le Province autonome
interessate».
Ad avviso della ricorrente, la
denunciata illegittimità non viene meno per il fatto che la successiva lettera h) dello stesso art. 25, comma 2,
prevede che «l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento
unico al quale partecipano le amministrazioni interessate, svolto nel rispetto
dei principi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto
1990, n. 241». A parte la genericità dell’espressione «amministrazioni
interessate», e pur dando per scontato che tra esse vadano incluse le Regioni,
l’istituto dell’intesa implica uno specifico rapporto bilaterale tra lo Stato e
la Regione interessata, costituito da una altrettanto specifica trattativa tra
due parti, ed assistito da un dovere particolare di attenzione e di reciproca
collaborazione. Per la difesa regionale, questo rapporto speciale non può
essere diluito e confuso in una generica partecipazione al procedimento quale
«amministrazione interessata», rivelandosi così insufficiente il principio
espresso dalla richiamata lettera h).
Del resto – insiste la ricorrente – la
rimarcata specificità sarebbe dimostrata, all’interno della stessa legge qui in
esame, dal nuovo testo dell’art. 1-sexies,
comma 4-bis, del decreto-legge 29
agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del
sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica),
convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, introdotto
ora dall’art. 27, comma 24, della legge n. 99 del 2009.
Il comma 4-bis, nel suo testo originario, fu dichiarato costituzionalmente
illegittimo dalla sentenza
n. 383 del 2005. Sicché, il nuovo testo dispone che «in caso di mancata
definizione dell’intesa con la Regione o le Regioni interessate per il rilascio
dell’autorizzazione, entro i novanta giorni successivi al termine di cui al
comma 3, si provvede al rilascio della stessa previa intesa da concludere in un
apposito comitato interistituzionale, i cui componenti sono designati, in modo
da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente dai Ministeri dello
sviluppo economico, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e
delle infrastrutture e dei trasporti e dalla Regione o dalle Regioni
interessate. Ove non si pervenga ancora alla definizione dell’intesa, entro i
sessanta giorni successivi al termine di cui al primo periodo, si provvede
all’autorizzazione con decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del
Presidente della Regione o delle Regioni interessate, su proposta del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti». Si evince che è la stessa legge statale, in esecuzione della statuizione
resa da questa Corte, ad indicare la via idonea a preservare i caratteri
specifici dell’intesa e la sua peculiare rilevanza anche laddove alla Regione
interessata non possa spettare la parola definitiva.
2.3. – Per quanto attiene all’impugnato
art. 25, comma 2, lettera a), la
ricorrente non contesta la necessità che i siti delle centrali nucleari siano
soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione. Essa, invece, lamenta il
mancato coinvolgimento sia nella esatta individuazione dell’area da qualificare
come «di interesse strategico nazionale», sia nella stessa individuazione delle
forme di vigilanza e protezione.
Il diretto coinvolgimento della Regione
appare ascrivibile alla circostanza che la qualifica in questione conferisce ad
aree non necessariamente coincidenti con quella della centrale nucleare
strettamente intesa «uno status
territoriale speciale, comportante uno specifico regime dell’attività
urbanistica ed edilizia, intrecciandosi così con la materia del governo del
territorio e con tutti gli interessi inerenti a tale vastissima materia».
D’altronde, la qualificazione di aree
come di interesse strategico nazionale ha nella legislazione un precedente
specifico nell’art. 2, comma 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90 (Misure
straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei
rifiuti nella Regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile),
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, e modificato
dall’art. 2-bis della legge 30 dicembre 2008, n. 210 (Conversione in legge, con
modificazioni, del decreto-legge 6
novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare
l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania,
nonché misure urgenti di tutela ambientale), secondo il quale «i siti, le aree,
le sedi degli uffici e gli impianti comunque connessi all’attività di gestione
dei rifiuti costituiscono aree di interesse strategico nazionale, per le quali
il Sottosegretario di Stato provvede ad individuare le occorrenti misure, anche
di carattere straordinario, di salvaguardia e di tutela per assicurare
l’assoluta protezione e l’efficace gestione».
Dal quadro normativo così delineato si evincerebbe
– a detta della difesa regionale – il «vincolo costituzionale nella stessa
legge di delega che all’individuazione dell’area e delle relative misure di
protezione debba procedersi d’intesa con la Regione o le Regioni direttamente
interessate».
Quanto all’art. 25, comma 2, lettera f), la ricorrente lamenta che tale
disposizione consentirebbe l’esercizio del potere sostitutivo nei confronti
della Regione, ed aggiunge che «la norma non prevede alcun coinvolgimento delle
Regioni né nelle intese né nell’esercizio del potere sostitutivo».
2.4. – La previsione, di cui all’art.
26, comma 1, del potere del CIPE di deliberare «le tipologie degli impianti di
produzione elettrica nucleare che possono essere realizzati nel territorio
nazionale», è, secondo la ricorrente, destinata ad incidere sui livelli di
sicurezza e sull’impatto complessivo sul territorio e su tutti gli interessi
che su di esso insistono, in larghissima misura affidati alla competenza
regionale.
Trattandosi di una competenza normativa
di rango secondario e versandosi in una materia – la «produzione dell’energia»
– di competenza concorrente, alla luce dell’art. 117, sesto comma, Cost., detta
previsione dovrebbe rivelarsi illegittima.
Ove, nondimeno, si acceda al modello
della «chiamata in sussidiarietà», comunque risulterebbero pur sempre
costituzionalmente indefettibili i più volte ribaditi correttivi in termini di
partecipazione delle Regioni attraverso le necessarie intese: l’intesa con la
Conferenza Stato-Regioni o unificata in quanto il CIPE definisca «in astratto»
le tipologie ammissibili su tutto il territorio nazionale; l’intesa con la
singola Regione interessata, in quanto il CIPE deliberi la tipologia di un
singolo determinato impianto, da collocare in una Regione determinata.
2.5. – Il denunciato comma 27 dell’art.
27 prevede l’applicazione, «agli impianti di produzione di energia elettrica
alimentati con carbon fossile di nuova generazione, se allocati in impianti
industriali dismessi, nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a
carbon fossile, qualora sia stato richiesto un aumento della capacità
produttiva», dell’art. 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009,
n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché
disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel
settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile
2009, n. 33.
Dal canto suo, il richiamato art. 5-bis,
rubricato «Riconversione di impianti di produzione di energia elettrica»,
dispone: «per la riconversione degli impianti di produzione di energia
elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne
l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga
alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti
di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l’abbattimento
delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per
i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II
dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
Esso prevede, altresì, che tale disposizione «si applica anche ai procedimenti
in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto».
Secondo la ricorrente, il risultato
della nuova disposizione, comprensiva della parte che essa «riprende» dalla
precedente, è che alle centrali a carbon fossile non vi sarebbero più limiti di
localizzazione: né per quelli di «nuova generazione» (se allocati in impianti
industriali dismessi), né per quelli esistenti (anche di vecchia generazione),
per i quali sia stato richiesto un aumento di potenza, alla sola condizione
dell’abbattimento delle emissioni del 50 per cento rispetto ai limiti previsti
per i grandi impianti. Sicché lo sganciamento della localizzazione o
dell’espansione di impianti in ogni modo altamente inquinanti, come le centrali
a carbone, da ogni vincolo di localizzazione violerebbe la potestà legislativa
regionale nelle materie del «governo del territorio» e della «tutela della
salute», oltre che quella in materia di produzione dell’energia.
La denunciata disposizione non
detterebbe alcun principio fondamentale, trattandosi al contrario di una norma
derogatoria al normale assetto dei principi di governo del territorio e di
tutela della salute, come si evince dalla sua stessa formulazione.
La compromissione delle potestà
legislativa ed amministrativa regionale nelle indicate materie – insiste la
difesa regionale – sarebbe ancora più grave ove la disposizione impugnata
dovesse intendersi nel senso che la Regione, in sede di rilascio dell’intesa
prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge
7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema
elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2002,
n. 55, non possa far valere, a giustificazione del proprio diniego, ragioni
attinenti «alla tutela di un corretto assetto territoriale, a protezione degli
interessi ad una ordinata convivenza delle persone in un ambiente salubre e
preservato». In tal modo, la prevista intesa, pur formalmente richiesta,
finirebbe per perdere oggetto e consistenza, dal momento che attraverso di essa
la Regione non potrebbe far valere gli interessi che è chiamata dalla
Costituzione a tutelare. Invero, questa Corte, nel sindacare la
costituzionalità del succitato art. 1, comma
2.6. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
2.6.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
2.6.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) e g), della legge n. 99 del 2009, la
difesa erariale sviluppa le medesime argomentazioni addotte nell’atto di
costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par.
1.3.3.).
2.6.3. – A detta della difesa dello Stato, la questione
vertente sull’art. 26, comma 1, sarebbe, innanzitutto, inammissibile in quanto
formulata in modo ipotetico, con riferimento cioè a due possibili opzioni
interpretative tra loro incompatibili.
Nel merito, la questione non sarebbe
fondata dal momento che, una volta riconosciuta la natura amministrativa (e non
normativa) della delibera CIPE, il parere della Conferenza unificata – anziché
l’intesa – si giustifica proprio in relazione alla dimensione unitaria e infrazionabile dei prevalenti interessi incisi da siffatti
interventi.
2.6.4. – Per la difesa dello Stato,
sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa nei confronti
dell’art. 27, comma 27, della legge in oggetto, in quanto formulata in modo
ipotetico in ordine alla asserita preclusione per la Regione di addurre, quale
motivazione del proprio diniego, ragioni attinenti alla tutela del corretto
assetto territoriale.
Nel merito, la questione non sarebbe
fondata, essendo la disposizione de qua espressione
della potestà esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela
dell’ambiente», a fronte di esigenze di carattere unitario.
3. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r. n. 71 del 2009), la Regione Liguria ha promosso, in
riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo e quarto, e 118, comma primo,
Cost. e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 25, comma 2, lettere a) e
g), e 27, comma 27, della legge n. 99
del 2009.
3.1. – Per quanto concerne
l’impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettere a) e g), la difesa
regionale svolge argomentazioni coincidenti con quelle prospettate nel ricorso
presentato dalla Regione Umbria (v. supra, par. 2.2 e 2.3).
3.2. – Quanto alla doglianza relativa
all’art. 27, comma 27, richiamate le medesime ragioni addotte nel ricorso della
Regione Umbria (v. supra, par. 2.5), la difesa della ricorrente sottolinea
come la Regione Liguria sia intervenuta con la legge regionale 29 maggio 2007,
n. 22 (Norme in materia di energia). Questa legge prevede, tra l’altro, la
competenza della Regione a stabilire criteri per la localizzazione degli
impianti (art. 2), stabilisce il sistema della programmazione e pianificazione
regionale in materia di energia (art. 3), prevedendo la stipulazione di accordi
con i gestori degli impianti di produzione di energia elettrica per finalità di
raggiungimento di livelli minimi di efficienza energetica (art. 6).
Nella stessa Regione – prosegue la
difesa regionale – è vigente il Piano Energetico Ambientale Regionale (PEAR),
approvato con delibera del Consiglio regionale 2 dicembre 2003, n. 43 (Piano
Energetico Ambientale della Regione Liguria), e aggiornato nel
Con questi piani la Regione Liguria ha,
tra l’altro, individuato le aree ove non possono trovare collocazione impianti
di produzione dell’energia elettrica. In particolare, il Piano Aria individua
le aree urbane con fonti miste ove, in caso di superamento del limite di
accettabilità della qualità dell’aria, non possono essere ubicati nuovi
impianti.
3.3. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.3.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
3.3.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), e g), della legge n.
99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte
nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana (v. supra,
par. 1.3.3.).
3.3.3. – Per la difesa dello Stato,
sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa nei confronti
dell’art. 27, comma 27, della legge in oggetto, alla luce delle stesse
argomentazioni sviluppate nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con
il ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.4.).
4. – Con ricorso notificato il 28 settembre
2009 e depositato il successivo 5 ottobre (iscritto al r.r.
n. 72 del 2009), la Regione Puglia ha promosso, in riferimento agli artt. 117,
118 e 120 Cost., e al principio di leale collaborazione questione di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009.
4.1. – La ricorrente si duole della
violazione degli artt. 117, 118 e 120 Cost., «in ordine ai poteri concorrenti
delle Regioni in materia di ambiente e governo del territorio nonché al
rispetto del principio di leale collaborazione e di sussidiarietà». L’impugnata
disposizione consentirebbe al Governo «di poter procedere alla costruzione e
all’esercizio degli impianti previa sola intesa con la Conferenza unificata, a
cui partecipano bensì le Regioni e gli enti locali ma con un parere non
vincolante. Per la localizzazione degli impianti, poi, è escluso ogni tipo di
coinvolgimento della Regione, la cui competenza rimarrebbe esclusivamente in
capo al Governo».
A suffragio di tale doglianza, la ricorrente
sostiene che, nelle materie di competenza concorrente, le Regioni «non possono
essere esautorate dalla correlata funzione amministrativa».
La consacrazione, nel testo
costituzionale, del principio di sussidiarietà e, poi, l’adozione del codice dell’ambiente
con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
dovrebbero consentire alle Regioni «di esercitare le proprie funzioni normative
ed amministrative non già solo in ragione della massima vicinitas tra bene protetto e
livello territoriale ma in vista del perseguimento del maggiore grado di
protezione della salute e quindi dell’ambiente e del territorio».
Dal canto suo, il principio di leale
collaborazione impone che l’individuazione del livello di governo presso il quale
allocare la funzione decisoria, sia normativa che amministrativa, non possa
essere in alcun modo disancorata dall’esistenza di competenze necessariamente
intersecate, tali da esigere assetti procedimentali volti a favorire il
raggiungimento di intese (sono richiamate, al riguardo, le sentenze n. 284 del
2004 e n. 308
del 2003).
Al contrario, l’impugnata disposizione
non sembra «tenere nel dovuto conto il ruolo delle Regioni, limitandosi a
prevedere da parte di queste la possibilità di espressione di un semplice
parere in sede di Conferenza unificata e non una precisa intesa con la Regione
interessata per la "costruzione” e "l’esercizio” di impianti per la produzione
di energia nucleare». Sicché, «l’eventuale parere contrario delle Regioni ad
accogliere un impianto per la produzione di energia nucleare si appaleserebbe
come un semplice parere non vincolante». Al contrario, il rispetto delle
competenze definite dal nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione, dovrebbe
subordinare l’autorizzazione alla realizzazione di impianti per la produzione
di energia nucleare alla «intesa forte» con le Regioni interessate.
In definitiva, alla luce della
giurisprudenza costituzionale relativa alla delimitazione della competenza in
tema di «tutela dell’ambiente» (sono citate le sentenze n. 248 del
2009 e n.
407 del 2002), per la ricorrente l’impugnata disposizione lederebbe il
ruolo della Regione e le competenze in materia di tutela del territorio,
dell’ambiente e dell’autonomia degli enti locali nelle parte in cui: a) disciplina la costruzione di impianti
per la produzione di energia nucleare, senza prevedere una intesa specifica e
vincolante fra lo Stato e la Regione interessata ma semplicemente un parere in
sede di Conferenza unificata sulla base di un’autorizzazione unica rilasciata
dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con quelli dell’ambiente e
delle infrastrutture; b) non prevede
alcuna partecipazione delle Regioni in ordine alla localizzazione di detti
impianti.
4.2. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.2.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
4.2.2. – Quanto alla impugnazione della
disposizione di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le
medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio
instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
5. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 6 ottobre (iscritto al r.r. n. 73 del 2009), la Regione Basilicata ha promosso, in
riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 25, commi 1 e 2, lettera g),
e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
5.1. – Secondo la ricorrente, il
denunciato art. 25, comma 1, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il
principio di leale collaborazione.
Ai sensi della contestata previsione,
«il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore
della presente legge, nel rispetto delle norme in tema di valutazione di
impatto ambientale e di pubblicità delle relative procedure, uno o più decreti
legislativi di riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione
nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica
nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi
di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei
sistemi per il deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la
definizione delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in
favore delle popolazioni interessate. I decreti sono adottati, secondo le
modalità e i principi direttivi di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997,
n. 59, e successive modificazioni, nonché nel rispetto dei principi e criteri
direttivi di cui al comma 2 del presente articolo, su proposta del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui
all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive
modificazioni, e successivamente delle Commissioni parlamentari competenti per
materia e per le conseguenze di carattere finanziario».
La scelta dei siti in cui allocare
impianti di produzione di energia e combustibile nucleare e di deposito dei
materiali e rifiuti radioattivi costituisce un’attività complessa, dovendosi
considerare le qualità fisiche e geologiche del territorio e i vincoli
normativi esistenti in punto di tutela idrogeologica, sui beni di interesse
pubblico e sulle aree naturali protette. Ebbene, per la difesa regionale, «tale
composita attività non può prescindere da una metodologia partecipativa utile a
mettere in grado le Regioni di rappresentare le specificità, anche sociali, del
proprio territorio».
Al contrario, la disposizione oggetto di
censura non contempla alcuna forma di reale coinvolgimento delle Regioni sulla
localizzazione degli impianti.
La materia interessata dalla
disposizione de qua è quella,
concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia». Il dettato costituzionale rispecchia la consapevolezza che gli
interessi pubblici delle comunità locali si appalesano «meglio tutelati, anche
a livello nazionale, da norme di emanazione regionale in un campo, quello
energetico, la cui disciplina investe trasversalmente anche altri settori
(governo del territorio, urbanistica, tutela della salute, ambiente) rimessi
alla competenza regionale» (sentenza n. 383 del
2005).
Nelle materie di legislazione
concorrente, l’adìta Corte ha da tempo auspicato che
la disciplina statale, perché non incida significativamente sull’ambito dei
poteri regionali, deve risultare limitata a quanto strettamente indispensabile
e deve essere adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione
dei livelli coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o deve
comunque prevedere adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto
delle funzioni amministrative allocate agli organi centrali. Il parere previsto
dall’impugnata norma non parrebbe, a detta della ricorrente, soddisfare tale
condizione, «trattandosi di un’espressione consultiva, oltretutto non
vincolante, insufficiente a mettere al riparo da lesioni alle prerogative
dell’ente territoriale».
5.2. – Anche il contestato art. 25,
comma 2, lettera g), violerebbe,
secondo la Regione Basilicata, gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio
di leale collaborazione.
A detta della difesa regionale, il
legislatore statale parrebbe essersi preoccupato di innalzare – dopo aver
ritenuto sufficiente un parere della Conferenza unificata nell’ambito del
procedimento di adozione dei decreti delegati – il livello di partecipazione
della Regione attraverso la previsione di un’intesa con la Conferenza
unificata.
Come statuito da questa Corte nella sentenza n. 62 del
2005, non basterebbe più, a questo livello, il semplice coinvolgimento
della Conferenza unificata, il cui intervento non può sostituire quello,
costituzionalmente rilevante, della singola Regione interessata (v. sentenze n. 6 del
2004, n. 303
del 2003, n.
242 del 1997 e n. 338 del 1994).
Appare, dunque, costituzionalmente
necessario che siano previste forme di partecipazione al procedimento della
Regione interessata, fermo restando che, in caso di dissenso irrimediabile
possono essere previsti meccanismi di deliberazione definitiva da parte di
organi statali, con adeguate garanzie procedimentali.
5.3. – Gli stessi profili di
incostituzionalità sono prospettati, nel ricorso, avverso l’art. 26, comma 1,
della legge in oggetto.
La legittima pretesa della Regione a «codecidere» le scelte in ordine ad impianti, che hanno
notoriamente un pesante impatto sull’ambiente, sul paesaggio, sulla salute dei
cittadini, sul governo del territorio, si rivelerebbe ulteriormente mortificata
dalla norma, che si limita a prevedere la «espressione di un parere da parte di
un organismo che, nell’esprimersi può non dare voce agli interessi di singole
Regioni, ognuna portatrice di proprie specificità».
Inoltre – conclude la difesa regionale –
la marginalità del coinvolgimento emerge dalla previsione secondo cui, qualora
il parere non venga dato nei termini fissati, esso s’intende acquisito
positivamente.
5.4. – Con atto depositato il 9 novembre
2009, si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
5.4.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
5.4.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, commi 1 e 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le
medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio
instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
5.4.3. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3).
6. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 75 del 2009), la Regione Piemonte ha promosso, in
riferimento agli artt. 3, 117, 118 e 120 Cost., e al principio di leale
collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma
2, lettera g), 26, comma 1, e 27,
comma 27, della legge n. 99 del 2009.
6.1. – Il denunciato art. 25, comma 2,
lettera g), violerebbe, innanzitutto,
gli artt. 117, 118 e 120 Cost.
Sottolinea la ricorrente che la legge in
parola definisce «attività di preminente interesse statale» la costruzione e l’esercizio
degli impianti per la produzione di energia elettrica nucleare, per la messa in
sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari
a fine vita ed opere connesse. Essa assoggetta tali attività ad autorizzazione
unica, su istanza del soggetto richiedente, previa intesa con la Conferenza
unificata. Risulta, dunque, accentrata al procedimento di «autorizzazione
unica» ogni decisione sulla localizzazione e realizzazione di tali impianti ed
opere.
L’autorizzazione è unica – prosegue la
difesa regionale – giacché è rilasciata anzitutto a seguito di un «unico
procedimento» e si prevede sostituisca «ogni provvedimento amministrativo,
autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di assenso e atto
amministrativo, comunque denominati, ad eccezione delle procedure di
valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione ambientale strategica
(VAS) cui si deve obbligatoriamente ottemperare, previsti dalle norme vigenti,
costituendo titolo a costruire ed esercire le infrastrutture in conformità del
progetto approvato». Sicché, l’«autorizzazione unica» vale atto di
localizzazione, realizzazione ed esercizio degli impianti di produzione di
energia nucleare e di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi con opere
connesse.
Ebbene, trattandosi di previsioni «molto
specifiche e puntuali», per la ricorrente il Governo delegato non potrà che
riprodurle nel decreto legislativo.
Ove si riconduca la normativa in oggetto
ad ambiti materiali di natura concorrente, quali la «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» o il «governo del territorio», si
potrebbe persino pervenire a negare una competenza esclusiva amministrativa
statale al rilascio dell’autorizzazione per gli impianti di produzione,
trasporto e distribuzione dell’energia, «poiché nella disciplina oggetto
d’impugnazione manca la previsione di una competenza della Regione interessata
dalla localizzazione, anche nella forma più attenuata di un’intesa dello Stato
con quest’ultima».
Ove, invece, si ascriva la disciplina in
parola alla materia, di competenza esclusiva dello Stato, della «tutela
dell’ambiente», la Regione Piemonte ricorda che «quando gli interventi
individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi
unitari di tutela ambientale, concernono l’uso del territorio, e in particolare
la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo
rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio da un lato con la
competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre
che con altre competenze regionali, dall’altro lato con gli interessi delle
popolazioni insediate nei rispettivi territori, impone che siano adottate
modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgano, attraverso
opportune forme di collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi
sono destinati a realizzarsi», fermo restando che «il livello e gli strumenti
di tale collaborazione possono naturalmente essere diversi in relazione al tipo
di interessi coinvolti e alla natura e all’intensità delle esigenze unitarie
che devono essere soddisfatte» (sentenza n. 62 del
2005).
Per la difesa della ricorrente, dunque,
la specifica localizzazione dell’impianto e la sua realizzazione concorrono ad
individuare necessariamente l’interesse territoriale da prendere in
considerazione di cui deve essere offerta un’adeguata tutela costituzionale:
trattasi dell’interesse della Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad
essere ubicata. Al riguardo, questa Corte ha reputato insufficiente il
«coinvolgimento della Conferenza unificata» in quanto inidoneo a surrogare
«quello, costituzionalmente necessario, della singola Regione interessata» (sentenza n. 62 del
2005; si vedano anche le sentenze n. 6 del
2004 e n.
303 del 2003).
La previa intesa con la Conferenza
unificata non sarebbe, perciò, una adeguata forma di coinvolgimento della
Regione destinataria dell’insediamento degli impianti ed opere d’interesse
nazionale e delle Regioni ad essa limitrofe, dovendosi invece prevedere la
forma costituzionalmente necessaria dell’intesa forte tra lo Stato e tutte le
Regioni interessate (sentenza n. 383 del
2005).
Per la ricorrente, la violazione degli
evocati parametri costituzionali parrebbe confermata dalla disciplina generale
sul funzionamento della Conferenza unificata, ove il dissenso della singola
Regione può essere successivamente superato dall’assenso di tutti i membri ivi
compreso il Presidente della Regione dissenziente, oppure con deliberazione
unilaterale e definitiva del Consiglio dei ministri.
Lo stesso art. 25, comma 2, lettera g), sarebbe incostituzionale, a detta
della ricorrente, anche per violazione dell’art. 3 Cost., trattandosi di
previsione asseritamente irragionevole. Invero,
l’intervento unilaterale del Governo è destinato a realizzarsi non solo in caso
di paralisi procedimentale della Conferenza unificata imputabile ad inerzia
della Regione interessata, ma anche in presenza di qualsiasi dissenso, anche
pienamente motivato, di quest’ultima che impedisce il raggiungimento
dell’intesa in Conferenza unificata.
6.2. – Per quanto concerne
l’impugnazione dell’art. 26, comma 1, per la ricorrente esso violerebbe gli
artt. 3, 117, 118 e 120 Cost., con particolare riferimento al principio di
leale collaborazione, in quanto consente allo Stato di affermare senz’altro la
propria volontà anche provocando la paralisi procedimentale della Conferenza
unificata per inerzia o per dissenso – neppure motivato – del Governo stesso,
che in tal modo potrebbe impedire alla Conferenza unificata d’esprimere il
parere «entro sessanta giorni». Come si evincerebbe dall’art. 9, comma 4, del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione e ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato – città
ed autonomie locali), si rivela necessario «l’assenso del Governo per
l’adozione delle deliberazioni di competenza della Conferenza unificata». Al
contrario, «l’assenso delle Regioni, delle province, dei comuni e delle
comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi
delle autonomie che compongono, rispettivamente, la Conferenza Stato-Regioni e
la Conferenza Stato – città ed
autonomie locali», con «assenso» che «è espresso di regola all’unanimità dei
membri dei due predetti gruppi» e, «ove questa non sia raggiunta», «è espresso
dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi».
Orbene, ad avviso della Regione
Piemonte, per le decisioni in ordine ad una questione determinante come la
definizione delle tipologie d’impianti per la produzione di energia elettrica
nucleare sull’intero territorio nazionale, il rinvio operato dalla disciplina
speciale qui impugnata alle indicate norme sulla Conferenza unificata ha avuto
luogo «in definitiva in spregio della stessa dignità istituzionale delle
Regioni a differenza di quanto risulta previsto per l’intesa in Conferenza
unificata ove il mancato raggiungimento della stessa può essere superato dallo
Stato soltanto con una motivata deliberazione del Consiglio dei ministri».
La denunciata disposizione sarebbe,
inoltre, incostituzionale, per violazione dei suddetti parametri, anche in
combinato disposto con l’art. 25, comma 2, lettera g), relativo alla localizzazione, nella parte in cui non si prevede
che l’intesa deve già contenere l’individuazione del tipo d’impianto da
localizzare in quel territorio, scelto tra quelli indicati dalla deliberazione
del CIPE.
6.3. – L’art. 27, comma 27, sarebbe per
la ricorrente in contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 Cost., in quanto lesivo
delle competenze legislative regionali. Esso, infatti, parrebbe disciplinare,
con una norma di dettaglio, materie di competenza concorrente, in particolare
la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», nonché il
«governo del territorio».
La stessa genericità di formulazione e
vastità d’applicazione (tutti i «limiti di localizzazione territoriale»
previsti a qualsiasi fine nelle legislazioni regionali) non solo vanificherebbe
ogni vigente previsione di legge regionale, ma verrebbe a costituire un vincolo
puntuale che va ben oltre la fissazione di «principi fondamentali», superando
d’un tratto ed impedendo perciò qualsiasi disciplina di dettaglio del
legislatore regionale cui è precluso ogni spazio di normazione sulla
localizzazione degli impianti indicati.
6.4. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
6.4.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
6.4.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le
medesime argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio
instaurato con il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
Il resistente ritiene, inoltre, solo
genericamente motivata la questione di costituzionalità promossa avverso
l’intero testo dell’art. 25.
6.4.3. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3.).
6.4.4. – Per la difesa dello Stato,
sarebbe inammissibile la questione di costituzionalità promossa avverso l’art.
27, comma 27, della legge in oggetto, alla luce di argomentazioni non dissimili
da quella sviluppate nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il
ricorso della Regione Umbria (v. supra, par. 2.6.4.).
7. – Con ricorso notificato il 30
settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 76 del 2009), la Regione Lazio ha promosso, in
riferimento agli artt. 76, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.,
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 9, 25, commi 1 e
2, lettere f), g), l) e q), 26, comma 1, nonché 27, commi 14,
24, lettere c) e d), 28, 31 e 34, della legge n. 99 del 2009.
7.1. – Secondo la ricorrente, la
previsione di cui al denunciato art. 3, comma 9, ove ascrivibile alla materia concorrente
del «governo del territorio», si rivelerebbe illegittima, trattandosi di
disciplina puntuale ed analitica, così precludendo al legislatore regionale la
possibilità di assumere qualunque determinazione al riguardo.
Ove, invece, ricondotta alla materia del
«turismo» (v. sentenza
n. 94 del 2008), alla difesa regionale «appare evidente l’invasione da
parte del legislatore statale della competenza regionale residuale» in tale
materia.
7.2. – Quanto all’art. 25, comma 1,
oggetto di impugnazione, la Regione Lazio contesta, in via preliminare, il
ricorso alla delega legislativa, la quale, trattandosi di una materia
concorrente, si rivelerebbe «costituzionalmente insostenibile»: invero, «se la
legge di delega contiene i principi della futura disciplina, la formazione
integrativa è affidata al decreto legislativo, cioè ad un atto del Governo e
non già della Regione».
Né varrebbe a «mitigare lo strappo
all’art. 117 Cost.» la previsione di una intesa con le Regioni sul decreto
legislativo delegato. L’intesa presuppone una piena compartecipazione
decisionale da parte dello Stato, anche sulla normazione di dettaglio, quale è
quella che costituisce il contenuto tipico dei decreti legislativi. Inoltre, il
modulo della delega legislativa non è utilizzabile nell’ambito di competenze
legislative concorrenti dal momento che il decreto delegato ha un ambito di
efficacia nazionale in relazione al quale anche la eventuale compartecipazione
di tutte le Regioni o di organi collegiali che possono ritenersi
rappresentativi degli interessi di queste ultime, non riuscirebbe mai a
rispettare la competenza legislativa che la Costituzione riconosce a ciascuna
singola Regione. In tale prospettiva, la previsione, oltretutto, di un mero
«parere» della Conferenza unificata, all’atto dell’adozione dei decreti
delegati, appare per la ricorrente del tutto inadeguata.
Sempre in termini generali, a detta
della difesa regionale, pur procedendo ad una scomposizione dell’oggetto della
delega in più ambiti materiali – in relazione ai quali sussistono diversi
titoli di legittimazione (tutela dell’ambiente, governo del territorio) –
nondimeno si imporrebbero forme di necessaria collaborazione paritaria con le
Regioni (è richiamata la sentenza n. 62 del
2005).
Inoltre, se in presenza di una
disciplina di carattere generale la compartecipazione regionale può ritenersi
adeguatamente realizzata attraverso l’intesa con la Conferenza unificata, in
presenza di una specifica localizzazione dell’impianto, l’unica partecipazione
ammissibile è quella della Regione sul cui territorio è previsto l’insediamento
dell’opera. In entrambi i casi, pertanto, il coinvolgimento regionale non
potrebbe essere limitato al «parere», dovendosi invece esprimere attraverso una
compartecipazione paritaria e, quindi, attraverso un’intesa.
7.3. – Per quanto riguarda
l’impugnazione dell’art. 25, comma 2, lettera f), per la Regione Lazio la previsione di un ricorso «automatico»
al potere sostitutivo da parte del Governo, in caso di mancato raggiungimento
dell’intesa, svilirebbe il ricorso allo strumento consensuale, in materie a
carattere concorrente (tutela della salute; protezione civile; governo del
territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia): se
da un lato si riconosce la necessità delle intese, dall’altro si priva tale
riconoscimento di qualsiasi significato sostanziale, nel momento in cui si
consente al Governo di superare qualunque manifestazione di dissenso regionale,
per quanto obiettivamente giustificata, motivata e ragionevole possa essere.
Mentre apparirebbe legittima la
previsione di meccanismi procedimentali volti a superare la situazione di mancato
conseguimento dell’intesa, tanto non può dirsi a proposito dell’introduzione,
generalizzata ed indifferenziata, del ricorso all’esercizio di poteri
sostitutivi da parte dello Stato, per di più in evidente assenza delle ipotesi
legittimanti di cui all’art. 120 Cost.: ciò equivarrebbe, infatti, a negare
quella parità di posizione tra livello statale e regionale, che invece deve
costituire il criterio di riferimento nei casi di «chiamata in sussidiarietà»
(v. sentenza n.
383 del 2005).
7.4. – Anche la previsione di cui
all’art. 25, comma 2, lettera g),
appare alla ricorrente illegittima, dal momento che non prevede una intesa con
la singola Regione interessata dall’insediamento degli impianti in questione.
7.5. – Per la difesa regionale,
sarebbero «del tutto estromesse le Regioni nella definizione dei controlli di
sicurezza e di radioprotezione», di cui al denunciato art. 25, comma 2, lettera
l), così come una analoga
estromissione riguarderebbe la campagna d’informazione alla popolazione
italiana sull’energia nucleare, prevista dall’impugnato art. 25, comma 2,
lettera q).
7.6. – Nel ricorso si contesta, ancora,
che il «parere» della Conferenza unificata sulle delibere CIPE relative alle
tipologie degli impianti per la produzione dell’energia elettrica nucleare che
possono essere realizzati sul territorio nazionale, previsto dal censurato art.
26, comma 1, sarebbe del tutto inadeguato a soddisfare l’esigenza compartecipativa delle Regioni a garanzia della competenza
delle medesime in materia di governo del territorio e tutela della salute.
7.7. – L’impugnato art. 27 della legge
in oggetto reca una serie di misure per la sicurezza e il potenziamento del
settore energetico. Secondo la ricorrente, detta disciplina risulta
riconducibile alla materia concorrente della «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia». Anche ad ammettere la «chiamata in
sussidiarietà», per la difesa regionale il «contrappeso costituzionale è dato dall’obbligo
di prevedere un’intesa in senso forte fra gli organi statali e il sistema delle
autonomie territoriali rappresentato dalla Conferenza unificata […], o con le
singole Regioni qualora direttamente interessate dal provvedimento».
7.7.1. – Nello specifico, la previsione
di cui al comma 14 dell’art. 27 – sostitutiva dell’art. 2, comma 41, ultimo
periodo, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008) – sarebbe
illegittima in quanto contempla soltanto il parere della Conferenza unificata
sui criteri per l’erogazione del Fondo di sviluppo delle isole minori. La
disposizione immediatamente successiva, secondo cui gli interventi ammessi al
relativo finanziamento vengono adottati previa intesa con gli enti locali
interessati, risulterebbe invece viziata in quanto estrometterebbe del tutto la
Regione.
7.7.2. – Il denunciato comma 24, lettera
c), dello stesso art. 27, sostituisce
il comma 4-bis del decreto-legge n. 239
del 2003, e disciplina il procedimento da seguire in caso di mancata
definizione dell’intesa con la Regione.
Per la ricorrente, la previsione di un
Comitato interistituzionale in composizione paritaria risponde al paradigma
dell’intesa, mentre se ne discosta la soluzione adottata in caso di fallimento
nel raggiungimento dell’intesa medesima. Tale soluzione è rappresentata da un
decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei
ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della Regione. La
partecipazione regionale risulterebbe, così, meramente simbolica, con
conseguente assorbimento dell’intero potere decisionale nelle mani dello Stato,
né varrebbe ricondurre tale procedura ad una sorta di meccanismo sostitutivo
previsto dall’art. 120 Cost.: tale richiamo appare improponibile in area di
competenza «concorrente» (sentenza n. 383 del
2005).
7.7.3. – L’impugnato comma 24, lettera d), dell’art.
La compartecipazione della Regione non
può ritenersi adeguatamente realizzata attraverso l’intervento del solo
Presidente della Regione e, comunque, non spetta allo Stato l’identificazione
dell’organo regionale cui affidare il potere decisionale.
7.7.4. – Il contestato comma 28
dell’art. 27 utilizza il meccanismo della delega legislativa per la disciplina
della ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche pur prevedendo l’intesa
con la Conferenza Stato-Regioni in sede di adozione dei decreti legislativi
delegati.
Al riguardo sono richiamate le medesime
argomentazioni addotte in relazione all’art. 25 (v. supra, par. 7.2.).
7.7.5. – La previsione, di cui al
censurato comma 31 dell’art. 27, del modulo della conferenza di servizi per le
autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto mal si concilierebbe
con il principio dell’intesa con la Regione interessata, giacché mentre nella
conferenza la decisione viene adottata a maggioranza delle amministrazioni che
vi partecipano, nell’intesa la partecipazione delle parti è necessariamente
paritaria.
Il successivo punto 2 dello stesso comma
31 risulterebbe, invece, «incomprensibile» allorché prevede che per il rilascio
dell’autorizzazione ai fini della conformità urbanistica dell’opera è fatto
obbligo di richiedere il parere motivato degli enti locali, dopo aver
affermato, nel periodo che precede, che l’intesa con la Regione costituisce
«variazione» degli strumenti urbanistici vigenti.
Secondo la difesa regionale, la
disposizione risulta contraddittoria e, quindi, inidonea a fornire
all’amministrazione chiamata ad attuarla un razionale parametro di legalità,
con conseguente violazione del richiamato art. 97 Cost., anche sotto il profilo
del buon andamento della pubblica amministrazione.
7.7.6. – L’impugnato comma 34 dell’art.
27 dispone la sostituzione dei commi da
La nuova disciplina del comma 78
risulterebbe illegittima giacché, quanto all’autorizzazione alla perforazione
del pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle opere
necessarie, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili
all’attività di perforazione, prevede una conferenza di servizi nella quale il
ruolo assegnato alla Regione è soltanto quello di parteciparvi, accanto agli
enti locali.
La mera partecipazione alla conferenza
non pare alla difesa regionale soddisfare l’obbligo dell’intesa nella
disciplina di atti che rientrano in materie di competenza concorrente.
7.8. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
7.8.1. – In ordine alla questione di
legittimità costituzionale avente per oggetto l’art. 3, comma 9, della legge n.
99 del 2009, il resistente espone gli stessi motivi di inammissibilità e di
infondatezza già addotti nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con
il ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.1.).
7.8.2. – Relativamente alle censure
mosse avverso le disposizioni dettate dalla legge n. 99 del
7.8.3. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, commi 1 e 2, lettere f) e g), della legge n.
99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte
nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana (v. supra,
par. 1.3.3.).
7.8.4. – Per la difesa dello Stato, le
questioni di costituzionalità relative all’art. 25, comma 2, lettere l) e q),
sarebbero inammissibili in quanto «generiche e prive di concreto riferimento
alle norme costituzionali violate».
7.8.5. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3.).
7.8.6. – Infine, sulla impugnazione
delle suindicate previsioni contenute nell’art. 27, il resistente si riserva di
ulteriormente argomentare in ordine alla loro inammissibilità e non fondatezza.
8. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 77 del 2009), la Regione Calabria ha promosso, in
riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi terzo e quarto, 118 e 120 Cost., e al
principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n. 99 del 2009.
8.1. – L’art. 25, comma 2, lettera h), è dalla Regione Calabria impugnato
nella parte in cui non prevede, nel procedimento unico ivi previsto, la
necessità di una intesa «forte» con la Regione direttamente interessata, con
conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., del
principio di leale collaborazione, nonché degli artt. 3 e 97 Cost., ed in
particolare del generale canone di ragionevolezza delle leggi.
L’impugnata disposizione – sostiene la
difesa regionale – è destinata ad incidere su numerose materie in relazione
alle quali la Regione ricorrente è titolare del potere di legislazione
concorrente o residuale (governo del territorio; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia; turismo): ne deriverebbe l’ineludibile
necessità per lo Stato di raggiungere una intesa con la singola Regione
direttamente interessata alla localizzazione dell’opera, nel corso del
procedimento di rilascio dell’autorizzazione.
A sostegno della doglianza, la
ricorrente evoca l’art. 1 del decreto-legge n. 7 del 2002, «norma dalla quale, con
tutta evidenza, è stata ripresa la disposizione impugnata»: in un settore
energetico sicuramente meno rischioso per la salute dei cittadini e per
l’ambiente, il predetto art. 1, comma 2, prevede che l’autorizzazione unica
venga rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano le
amministrazioni statali e locali interessate, e «d’intesa con la Regione
interessata».
Sulla predetta previsione – ricorda la
ricorrente – è intervenuta questa Corte con la sentenza n. 6 del
2004, ove si rimarca che l’intesa quivi prevista «va considerata come
un’intesa "forte”».
Ancora, la difesa regionale richiama, a
proposito del livello di coinvolgimento delle amministrazioni periferiche ritenuto
indispensabile a livello comunitario, la Risoluzione adottata dal Comitato
delle Regioni su «La sicurezza nucleare e la democrazia locale e regionale»
(98/C 251/06). Detto Comitato ritiene essenziale che «la decisione relativa al
sito degli impianti nucleari ed alla gestione dei rifiuti nucleari da parte dei
responsabili dei depositi dovrebbe coinvolgere i cittadini del luogo e tutti
gli altri interessati. Spetta all’ente locale o regionale decidere in ultima
istanza se l’impianto debba o no essere accettato. Questa decisione deve
basarsi sulla migliore informazione disponibile. Gli impianti di produzione di
energia e di gestione dei rifiuti devono essere sottoposti a una valutazione
d’impatto ambientale che, se correttamente utilizzata, offre la possibilità di
informare il pubblico, far aumentare la partecipazione e considerare le
alternative».
8.2. – Gli stessi parametri
costituzionali sono stati evocati in relazione all’impugnazione dell’art. 25,
comma 2, lettera g).
Innanzitutto, per la Regione Calabria la
disposizione de qua non si
limiterebbe ad enunciare princìpi fondamentali diretti ad orientare il
legislatore regionale nell’esercizio delle proprie attribuzioni, ma porrebbe
norme di dettaglio rivolte a delineare la delega concessa al Governo ed
intrinsecamente non suscettibili di essere sostituite dalle Regioni: «scelta
peraltro non contemperata da una corretta applicazione dei principi di
sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle funzioni
amministrative».
Inoltre, nella parte in cui ritiene
sufficiente (ai fini del rilascio dell’autorizzazione) l’intesa con la
Conferenza unificata, anziché con le Regioni interessate, l’impugnata
disposizione confliggerebbe con la necessaria previsione di idonee forme di
intesa e collaborazione tra il livello statale ed i livelli regionali. Come
statuito da questa Corte, l’accentramento delle funzioni amministrative, ove
ritenuto legittimo, deve trovare un riequilibrio nel «necessario coinvolgimento
delle Regioni di volta in volta interessate» (sentenza n. 6 del
2004).
8.3. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
8.3.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
8.3.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n.
99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte
nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana (v. supra,
par. 1.3.3.).
A ciò il resistente aggiunge che il
menzionato parere del Comitato delle Regioni «non ha alcun valore cogente, né
alcuna rilevanza costituzionale nell’ordinamento nazionale».
9. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 82 del 2009), la Regione Marche ha promosso, in
riferimento agli artt. 3, 117, commi terzo e sesto, 118 e 120, secondo comma,
Cost., e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f), g), h),
e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
9.1. – Quanto alle denunciate
disposizioni di cui all’art. 25, la difesa regionale premette che si tratta di
norme ascrivibili ad ambiti di competenza legislativa concorrente di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost., quali la «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» ed il «governo del territorio». Tale
incidenza è – secondo la ricorrente – ancor più evidente se si considera
l’ulteriore estensione degli oggetti affidati al legislatore delegato, ad opera
dell’ultimo periodo del comma 1, secondo il quale «con i medesimi decreti sono
altresì stabiliti le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento
delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione degli impianti
di cui al primo periodo».
Per la Regione Marche, la delega assume
la finalità di riformare e non semplicemente di riordinare l’ordinamento
esistente: ad essa, pertanto, non può che essere riconosciuta natura
«innovativa». Invero, da un lato, vi è l’attribuzione esplicita al Governo del
compito di procedere al «riassetto normativo», espressione pacificamente
intesa, a tutti i livelli, come riferita ad interventi di «modifica
sostanziale» delle discipline vigenti in un determinato settore; dall’altro
lato, vi è l’indicazione, quali vincoli di contenuto imposti al legislatore
delegato, di principi e criteri direttivi atti ad orientare una vera e propria
opera di riforma delle normative esistenti e non una semplice loro ricognizione
e semplificazione formale.
9.2. – A detta della ricorrente, l’art.
25, comma 2, lettera a), sarebbe
incostituzionale per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
nonché del principio di leale collaborazione.
Prevedendo l’attribuzione in capo ad
organi dello Stato di una funzione amministrativa nella materia di potestà
legislativa concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia», e consistendo la suddetta funzione amministrativa nella
dichiarazione dei siti quali «aree di interesse strategico nazionale, soggette
a speciali forme di vigilanza e di protezione», nella materia concorrente del
«governo del territorio», la denunciata disposizione avrebbe configurato una
«chiamata in sussidiarietà» senza prevedere che la suddetta funzione
amministrativa sia esercitata attraverso un meccanismo di codecisione
paritaria, ossia mediante l’intesa forte, con le Regioni territorialmente
interessate (sono richiamate, in particolare, le sentenze n. 383 del
2005 e n.
303 del 2003).
A detta della ricorrente, l’impugnata
disposizione sarebbe incostituzionale anche in relazione a quei siti che
risultassero riconducibili ad altri ambiti oggettivi della delega legislativa
in questione: in particolare, i «sistemi di stoccaggio del combustibile
irraggiato e dei rifiuti radioattivi», nonché i «sistemi per il deposito
definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi» cui fa riferimento il comma 1
dell’art. 25.
Invero – ammette la difesa regionale –
in relazione a tali tipologie di siti, si potrebbe ritenere che l’ambito di potestà
legislativa che fornisce il titolo di intervento al legislatore statale sia
costituito dalla materia di legislazione esclusiva della «tutela dell’ambiente
e dell’ecosistema».
Sennonché – sostiene la ricorrente –
anche in tali ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessaria
la previsione di idonee forme di partecipazione al procedimento delle Regioni
interessate (sentenza
n. 62 del 2005).
Anche per questa parte, dunque, la norma
impugnata violerebbe le attribuzioni costituzionali che gli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost., riconoscono alle Regioni, nonché il principio di leale
collaborazione, laddove non prevede che la funzione amministrativa allocata in
capo ad organi dello Stato debba essere esercitata mediante adeguate forme di
partecipazione al procedimento delle autonomie regionali.
9.3. – Nel ricorso si sostiene che
l’art. 25, comma 2, lettera f), della
legge in oggetto, vìola gli artt. 3, 117, terzo comma, 118 e 120, secondo
comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
La disposizione censurata sarebbe, cioè,
incostituzionale nella parte in cui, trattandosi di «chiamata in sussidiarietà»
di funzioni amministrative presso organi statali in materie di competenza
legislativa concorrente, non contemplerebbe la necessaria intesa "forte” (sentenza n. 383 del
2005).
Per la difesa regionale, la contestata
disposizione violerebbe anche il disposto dell’art. 120, secondo comma, Cost.,
dal momento che contempla una ipotesi di potere sostitutivo straordinario del
Governo del tutto al di fuori dei presupposti costituzionali ivi espressamente
individuati, per i quali è sempre necessario il previo verificarsi di un inadempimento
dell’ente sostituito rispetto ad una attività imposta ad esso come
obbligatoria; e tale non può certo ritenersi, per definizione, l’intesa che una
Regione sia chiamata a raggiungere per l’esercizio di una funzione
amministrativa posta in capo ad organi dello Stato.
Anche in forza di tale ultimo rilievo,
sarebbe per la ricorrente manifesta l’irragionevolezza intrinseca della
disposizione in questione, dal momento che il legislatore statale pretende di
configurare la possibilità per il Governo di «sostituirsi» ad un atto di intesa
con sé medesimo, atto che invece, per sua natura, non può che essere il frutto
del libero incontro tra l’indirizzo politico statale e l’autonomia politica
della Regione.
9.4. – Per la Regione Marche, l’art. 25,
comma 2, lettera g), della legge
indicata, nella parte in cui si limita ad imporre l’intesa con la Conferenza
unificata e non, invece, l’intesa con ciascuna delle Regioni interessate,
violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale
collaborazione, «dal momento che è del tutto evidente che l’autorizzazione
unica attiene alla costruzione e alla messa in esercizio di singoli impianti
territorialmente localizzati, così da incidere non già sugli interessi
pertinenti all’intero sistema degli enti territoriali, bensì su quelli
specificamente tutelati da singole Regioni».
Secondo quanto costantemente affermato
dalla giurisprudenza costituzionale, è indispensabile la previsione dell’intesa
con le Regioni direttamente interessate, in posizione di codecisione
paritaria, non risultando sufficiente il coinvolgimento dell’organo espressivo
della posizione dell’intero sistema delle autonomie territoriali (sono citate
le sentenze n.
383 e n. 62
del 2005).
9.5. – Alla stregua di argomentazioni
dall’analogo tenore, è censurato, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e
118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, l’art. 25, comma 2,
lettera h), nella parte in cui
prevede, anziché l’intesa forte con ciascuna delle Regioni direttamente
interessate, la semplice «partecipazione» della Regione al procedimento unico
di rilascio dell’autorizzazione.
Gli ambiti oggettivi di riferimento
della disciplina in esame – sottolinea la difesa regionale – sono sempre le
materie di potestà legislativa concorrente della «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» e del «governo del territorio». Il riferimento
ad una «mera partecipazione» non altrimenti qualificata delle amministrazioni
interessate, tra le quali è senz’altro da ricomprendere anche la Regione,
determinerebbe un evidente contrasto con i parametri costituzionali indicati,
così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale sulla «chiamata in
sussidiarietà» di funzioni amministrative presso organi statali in materie di
competenza legislativa concorrente.
9.6. – La ricorrente si duole della
illegittimità dell’art. 26, comma 1, per violazione dell’art. 117, terzo e
sesto comma, ovvero, in via subordinata, degli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
Posto che la disposizione in oggetto appare
riconducibile alla materia concorrente della «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.,
si delineano – a detta della difesa regionale – due ipotesi alternative.
Se si ritiene, come sembrerebbe più
plausibile in forza del dato testuale, che la funzione affidata al CIPE abbia
natura propriamente normativa, in forza del suo carattere di regolazione
generale e astratta, ne discenderebbe la violazione della regola di riparto
della potestà regolamentare di cui all’art. 117, sesto comma, Cost. Né –
insiste la stessa difesa – in una simile ipotesi potrebbe essere legittimamente
invocabile il titolo della «chiamata in sussidiarietà» della predetta potestà.
Sin dalla sentenza
n. 303 del 2003, questa Corte ha radicalmente escluso che in forza
dell’art. 118 Cost. possano essere consentite deroghe al riparto costituzionale
del potere regolamentare: «in un riparto così rigidamente strutturato, alla
fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare
l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni
regionali preesistenti (sentenza n. 22 del
2003); e neppure i principi di sussidiarietà e adeguatezza possono
conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro valore,
quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario». Se,
dunque, alla legge statale è consentita l’organizzazione e la disciplina delle
funzioni amministrative assunte in sussidiarietà, la legge stessa non può
spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure
predeterminando i principi che orientino l’esercizio della potestà
regolamentare, circoscrivendone la discrezionalità.
Ove, al contrario, si dovesse escludere
la natura normativa della funzione in questione, risulterebbe riproponibile il
fenomeno della «chiamata in sussidiarietà», con la necessità, però, di
prevedere un meccanismo di codecisione paritaria,
nella forma dell’intesa forte con il sistema complessivo delle autonomie
territoriali.
Da questo punto di vista, risulterebbe
del tutto inadeguata la previsione della norma censurata che contempla lo
strumento del semplice parere della Conferenza, ulteriormente indebolito dalla
esplicita previsione della possibilità di prescinderne decorso l’esiguo termine
di sessanta giorni dalla richiesta, e non invece una intesa forte (è ancora una
volta richiamata la sentenza n. 383 del
2005).
9.7. – Con atto depositato il 9 novembre
2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
9.7.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
9.7.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) g) e h),
della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime argomentazioni addotte
nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana (v. supra,
par. 1.3.3.).
9.7.3. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3.).
10. – Con ricorso notificato il 29
settembre 2009 e depositato il successivo 7 ottobre (iscritto al r.r. n. 83 del 2009), la Regione Emilia-Romagna ha
promosso, in riferimento agli artt. 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto,
118 e 120, comma secondo, Cost. e al principio di leale collaborazione,
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma 2, lettere a), f),
g), e h), e 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009.
10.1. – In via preliminare, la difesa
regionale riconduce la disciplina in contestazione agli ambiti materiali –
entrambi di natura concorrente – della «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia» e del «governo del territorio», senza trascurare
l’incidenza della stessa sul piano della «tutela della salute».
Quanto al primo ambito materiale, la
Regione Emilia-Romagna ha adottato la legge 23 dicembre 2004, n. 26 (Disciplina
della programmazione energetica territoriale ed altre disposizioni in materia
di energia), che inquadra gli interventi di competenza della Regione e degli
enti locali all’interno di una programmazione energetica territoriale,
articolata nei livelli regionale, provinciale, comunale. Il primo Piano
Energetico Regionale (PER) è stato approvato dal Consiglio regionale in data 14
novembre 2007. Detto Piano traccia lo scenario evolutivo del sistema energetico
regionale e definisce gli obiettivi di sviluppo sostenibile a partire dalle
azioni che la Regione ha sviluppato negli ultimi anni, soprattutto sul fronte della
riqualificazione del sistema elettrico.
Per quanto riguarda la materia del
«governo del territorio», la Regione Emilia-Romagna, con legge 24 marzo 2000,
n. 20 (Disciplina generale sulla tutela e l’uso del territorio), ha perseguito
il fine di realizzare un efficace ed efficiente sistema di programmazione e
pianificazione territoriale che operi per il risparmio delle risorse
territoriali, ambientali ed energetiche, per il benessere economico, sociale e
civile della popolazione regionale, senza pregiudizio per la qualità della vita
delle future generazioni.
10.2. – Il coinvolgimento della
Conferenza unificata nella procedura di emanazione dei decreti legislativi, di
cui all’art. 25, comma
La possibilità, di cui all’art. 25,
comma 2, lettera a), di dichiarare i
siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di
vigilanza e di protezione, non è subordinata ad alcuna partecipazione della
Regione interessata, né della Conferenza unificata.
Altrettanto illegittima appare la previsione
di cui alla successiva lettera f), in
relazione alla disciplina del potere sostitutivo del Governo da esercitare in
caso di mancato raggiungimento delle necessarie intese con i diversi enti
locali coinvolti.
Inoltre, né la lettera g) né la lettera h) prevedono che sulla autorizzazione unica, per i profili
attinenti alla localizzazione e alle caratteristiche dell’impianto, sia
richiesta l’intesa della Regione interessata, come sarebbe costituzionalmente
necessario.
Secondo la difesa regionale, il ruolo
assegnato alle Regioni è insufficientemente tutelato sia per quanto riguarda il
loro insieme, sia – ed ancor più – per quanto riguarda le Regioni direttamente
interessate, il cui consenso non viene mai richiesto. Dal canto suo, la
Conferenza unificata può esprimere solo pareri non vincolanti relativamente
alle scelte strategiche e di alta amministrazione, mentre l’intesa è prevista
solo in sede di procedimento di autorizzazione unica, quando ormai la
localizzazione dell’impianto è già stata decisa.
10.2.1. – Nello specifico, la ricorrente
censura il carattere ambiguo dell’impugnato art. 25, comma 2, lettera f), non essendo dato comprendere se
nell’espressione «i diversi enti locali» il legislatore delegante intendesse
includere anche le Regioni, o soltanto le Province ed i Comuni.
Ove s’intendesse che le Regioni
rientrino tra gli «enti locali» in relazione ai quali debbono essere previsti
poteri sostitutivi per l’ipotesi della mancata intesa, la disposizione
apparirebbe incostituzionale per violazione degli articoli 118 e 120 Cost.,
nonché del principio di leale collaborazione. Versandosi in una ipotesi di
«chiamata in sussidiarietà», secondo la consolidata giurisprudenza
costituzionale, l’intesa dovrebbe essere "forte”. Prevedere l’intesa e, nel
contempo, prevedere l’esercizio del potere sostitutivo statale per il caso di
mancato raggiungimento dell’intesa equivarrebbe a «degradare» sin dall’inizio
il carattere "forte” dell’intesa e ad attribuire una posizione di debolezza
all’ente territoriale (sono citate le sentenze n. 383 del
2005 e n. 6
del 2004).
Peraltro – prosegue la difesa regionale
– l’impugnata disposizione non condiziona il potere sostitutivo ad una inerzia
della Regione, bensì ad ogni caso di dissenso, anche pienamente motivato, con
conseguente declassamento dei rapporti fra Regioni e Stato dal livello delle
intese in senso forte a quello delle intese in senso debole. Ne deriverebbe
anche un ridimensionamento della motivazione statale a ricercare effettivamente
l’intesa.
A sostegno di tale lettura, la
ricorrente richiama l’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni
per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale
18 ottobre 2001 n. 3), secondo cui il potere sostitutivo è esercitabile se la
Regione non adotta «provvedimenti dovuti o necessari». E questo non è certo il
caso dell’intesa, che è per definizione un atto che può essere dato o meno, a
seconda delle valutazioni discrezionali dell’ente coinvolto.
Sempre nell’ipotesi che intenda
riferirsi anche alle Regioni, la contestata disposizione risulterebbe
illegittima anche per violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto
parrebbe prevedere una ipotesi di potere sostitutivo statale al di fuori dei
presupposti costituzionali. Infatti, il mancato raggiungimento dell’intesa
nella materia oggetto dell’art. 25 non concreta alcuna delle situazioni
indicate tassativamente dalla evocata previsione costituzionale: la mancata
realizzazione di una centrale nucleare non implica una violazione di norme
internazionali o comunitarie, né un pericolo grave per l’incolumità pubblica,
né pregiudica l’unità giuridica o economica o i livelli essenziali delle
prestazioni.
Ad ogni modo, per la ricorrente
parimente incostituzionale sarebbe la disposizione in oggetto anche
nell’ipotesi in cui in essa non risultassero incluse le Regioni.
In primo luogo, appare illegittimo, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione, che la norma impugnata contempli intese con gli enti locali che
non coinvolgano anche le Regioni, vale a dire con gli enti titolari della
competenza legislativa e del potere di allocare le funzioni amministrative
nelle materie dell’energia e del governo del territorio.
Inoltre, l’art. 25, comma 2,
lettera f), non prevede un coinvolgimento della singola Regione interessata
nella procedura sostitutiva dell’ente locale: coinvolgimento necessario in
virtù delle competenze regionali appena indicate e del principio di leale
collaborazione.
Per entrambe le questioni, infatti, è
impossibile immaginare nella materia delle centrali nucleari una «necessaria
intesa» con un ente locale, il cui mancato raggiungimento richieda addirittura
l’uso di un potere sostitutivo, nella quale non siano coinvolti gli interessi
della comunità regionale, al di là di quelli meramente locali.
10.2.2. – Quanto alle censurate
previsioni di cui alle lettere g) e h) dell’art. 25, comma 2, per la
ricorrente la denunciata illegittimità discenderebbe dalla mancata previsione
del principio e criterio direttivo secondo cui la localizzazione dell’impianto
richiede, altresì, l’intesa della Regione nel cui ambito esso deve essere
realizzato.
Il coinvolgimento della Conferenza
unificata non può essere ritenuto equivalente o sostitutivo di quello della
Regione interessata, essendo diversi il tipo e l’ambito degli interessi che
nelle due sedi sono esaminati. La necessità del consenso della Regione in
relazione alla localizzazione di grandi opere, la cui realizzazione imprima al
territorio una caratterizzazione tanto forte da incidere sulla sua complessiva
destinazione e su tutti gli interessi che in esso insistono, sarebbe implicita
nel sistema di applicazione del principio di sussidiarietà sin dalla sentenza n. 303 del
2003, nella quale espressamente si afferma che «per giudicare se una legge
statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o
non costituisca invece applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza
diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato
e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della
disciplina». Principio, in seguito, ribadito proprio in relazione alla materia
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica»
dalla già ricordata sentenza n. 6 del
2004. Ed in questa occasione la Corte ha sottolineato che si deve trattare
di un’intesa "forte”, nel senso più volte chiarito (sono richiamate anche le sentenze n. 383
e n. 62 del 2005).
Ad avviso della ricorrente, la
denunciata illegittimità non viene meno per il fatto che la successiva lettera h) prevede che «l’autorizzazione unica
sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le
amministrazioni interessate». A parte la genericità dell’espressione
«amministrazioni interessate», e pur dando per scontato che tra esse vadano
incluse le Regioni, l’istituto dell’intesa implica uno specifico rapporto
bilaterale tra lo Stato e la Regione interessata, costituito da una altrettanto
specifica trattativa tra due parti, ed assistito da un dovere particolare di
attenzione e di reciproca collaborazione. Tale rapporto speciale non può essere
diluito e confuso in una generica partecipazione al procedimento quale
«amministrazione interessata».
La necessità del rapporto specifico di
intesa, quanto alla localizzazione delle centrali, appare asseverata,
all’interno della stessa legge qui scrutinata, dal nuovo testo dell’art. 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge n. 239 del 2003, introdotto dall’art. 27,
comma 24, lettera c), della stessa legge
n. 99 del 2009 (al riguardo, sono formulati gli stessi rilievi di cui supra, par.
2.2.).
10.2.3. – Per quanto concerne la
doglianza relativa all’art. 25, comma 2, lettera a), la ricorrente non contesta la necessità che i siti delle
centrali nucleari siano soggetti a speciali forme di vigilanza e protezione.
Essa ritiene di dovere essere coinvolta sia nella esatta individuazione
dell’area da qualificare come «di interesse strategico nazionale», sia nella
stessa individuazione delle forme di vigilanza e protezione. Ciò nella
consapevolezza che non si tratti semplicemente di un problema di ordine
pubblico, ma che la qualifica in questione conferisca ad aree non
necessariamente coincidenti con quella della centrale nucleare strettamente
intesa uno status territoriale
speciale, comportante uno specifico regime dell’attività urbanistica ed
edilizia, intrecciandosi così con la materia del governo del territorio e con
tutti gli interessi inerenti a tale vastissima materia.
Anche alla luce di quanto previsto dall’art.
2, comma 4, del decreto-legge n. 90 del 2008, sulla qualificazione di aree come
di interesse strategico nazionale, la Regione Emilia-Romagna sostiene che debba
essere stabilito come vincolo costituzionale nella stessa legge di delega che
all’individuazione dell’area e delle relative misure di protezione debba
procedersi d’intesa con la Regione o le Regioni direttamente interessate, per
le medesime ragioni per le quali l’intesa risulta necessaria in relazione alla
stessa localizzazione della centrale.
10.2.4. – Infine, quanto alla censurata
disposizione di cui all’art. 26, comma 1, sarebbe evidente, ad avviso della
ricorrente, la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., sulla allocazione
della potestà regolamentare, atteso che la materia incisa dalla impugnata
previsione è quella, concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia» (anche in relazione a questo profilo è invocata, quale
precedente, la sentenza
n. 303 del 2003).
Anche qualora, in subordine, si
ritenesse che l’esercizio di tale competenza da parte del CIPE corrisponda alle
esigenze del principio di sussidiarietà, l’art. 26, comma 1, rimarrebbe
comunque illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione e del
dovere di prevedere forme di coordinamento tra Stato e Regioni.
Dato l’intreccio tra esigenze unitarie
ed interessi territoriali, appare ragionevole prevedere che lo Stato, d’intesa
con la Conferenza unificata, individui le caratteristiche obbligatorie e i
requisiti minimi che gli impianti nucleari e di stoccaggio e smaltimento
debbano avere, ovunque essi siano localizzati nel territorio nazionale.
Sennonché, una volta individuate tali caratteristiche, non può che spettare
alle Regioni un ruolo determinante nell’esercizio della competenza
amministrativa di scelta tra le varie tipologie di impianti a norma e
rientranti nelle caratteristiche obbligatorie ammesse dallo Stato per tutto il
territorio nazionale, che «il mercato» propone,
di quelle che appaiano le più idonee e confacenti, in base ai requisiti
specifici di conformazione, utilizzazione, ambientamento, vigilanza,
professionalità richiesti per la gestione di costi sia di acquisto che di
manutenzione, ai fini della specifica localizzazione regionale nella quale tali
impianti debbono inserirsi.
Al contrario – obietta la difesa
regionale – l’impugnata disposizione ha demandato ogni competenza di scelta
degli impianti ad un organo amministrativo dello Stato. Quando l’attività
amministrativa «impatta nel cuore di materie di competenza concorrente che
strettamente ed inscindibilmente si intrecciano, una concezione "dinamica”
della sussidiarietà richiede un procedimento e strumenti idonei a garantire la
leale collaborazione tra Stato e Regioni. E più i poteri sono intrecciati, più
devono essere adottate procedure idonee a garantire la leale collaborazione».
Ne conseguirebbe, dunque,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 1, che richiede il solo
«previo parere della Conferenza unificata», anziché l’intesa.
Quando poi si tratti della
determinazione della tipologia dello specifico impianto in uno specifico luogo,
l’esigenza di leale collaborazione e dei relativi meccanismi istituzionali
corrisponde al dovere di istituire un meccanismo di codecisione
al quale partecipi la Regione direttamente, mediante lo strumento dell’intesa
di tipo "forte”.
10.3. – Con atto depositato il 9
novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
10.3.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura espone le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore
statale di reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento
dell’energia (v. supra,
par. 1.3.2.).
10.3.2. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettere a), f) g) e h),
della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime
argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il
ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
A detta della parte resistente, parrebbe
ulteriormente inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa
alla lettera f), nella parte in cui
mira a tutelare le attribuzioni degli enti locali, «il che non è consentito
dalla previsione di cui all’art. 127 Cost.».
10.3.3. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3.).
11. – Con ricorso notificato il 12
ottobre 2009 e depositato il successivo giorno 16 dello stesso mese (iscritto
al r.r. n. 91 del 2009), la Regione Molise ha promosso,
in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. e al principio di leale
collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 25, comma
2, lettera g), e 26, comma 1, della
legge n. 99 del 2009.
11.1. – Il denunciato art. 25, comma 2,
lettera g), prevede la acquisizione
del solo mero parere della Conferenza unificata, «ma non sono previsti accordi
vincolanti tra Governo e territorio». Gli enti locali sono chiamati a
pronunciarsi al termine di un procedimento al quale partecipano le amministrazioni
interessate. Il Governo può, inoltre, sostituirsi a Regione ed enti locali in
caso di loro disaccordo sulla localizzazione scelta per gli impianti.
Similmente, il contestato art. 26, comma
1, prevede che la definizione della tipologia degli impianti per la produzione
di energia elettrica nucleare abbia luogo previo mero parere della Conferenza
unificata.
Le due denunciate disposizioni
violerebbero tanto l’art. 117, terzo comma, Cost., avendo le Regioni potestà
legislativa concorrente in materia di «governo del territorio» e di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», quanto l’art.
118 Cost., in relazione al principio di leale collaborazione. Secondo la
ricorrente, le Regioni vengono escluse dall’iter
decisionale relativo alla localizzazione degli impianti, sia nell’elaborazione
dei decreti attuativi della delega, sia nei procedimenti autorizzativi
immediatamente efficaci, laddove, in ossequio alla costante giurisprudenza
costituzionale, si rivelerebbe necessaria una intesa con le Regioni interessate
(sono richiamate, al riguardo, le sentenze n. 383
e n. 62 del 2005).
Peraltro, proprio in relazione alla
legge della Regione Molise 27 maggio 2005, n. 22 (Disciplina regionale in
materia di rifiuti radioattivi), pur ribadendo la competenza statale esclusiva
sulla tutela dell’ambiente, questa Corte ha stabilito che, individuato il sito
in cui collocare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, al momento
della sua «validazione», della localizzazione e realizzazione del deposito, si
deve dare adeguata tutela costituzionale all’interesse territoriale della
Regione nel cui territorio l’opera è destinata ad essere ubicata, il che rende
insufficiente il mero parere della Conferenza unificata (sentenza n. 247 del
2006).
11.2. – Con atto depositato il 16
novembre 2009 si è costituito nel presente giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
11.2.1. – In via preliminare,
l’Avvocatura eccepisce la tardività del ricorso, essendo stato consegnato
all’ufficiale giudiziario per la notifica in una data – il 9 ottobre 2009 – ben
distante dalla scadenza del prescritto termine di sessanta giorni alla
pubblicazione della legge n. 99 del 2009.
11.2.2. – La difesa dello Stato espone,
poi, le principali ragioni sottese alla scelta del legislatore statale di
reintrodurre l’energia nucleare tra le fonti di approvvigionamento dell’energia
(v. supra,
par. 1.3.2.).
11.2.3. – Quanto alla impugnazione delle
disposizioni di cui all’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, la difesa dello Stato sviluppa le medesime
argomentazioni addotte nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il
ricorso della Regione Toscana (v. supra, par. 1.3.3.).
11.2.3. – In ordine alla doglianza
relativa all’art. 26, comma 1, il resistente prospetta i medesimi rilievi già
formulati nell’atto di costituzione nel giudizio instaurato con il ricorso
della Regione Umbria (v. supra,
par. 2.6.3.).
12. – In tutti i giudizi ha spiegato
intervento l’Enel s.p.a., con atti di identico contenuto, depositati il 24
novembre 2009.
12.1. – La difesa dell’Enel s.p.a.
sostiene, innanzitutto, l’ammissibilità del proprio intervento, in quanto
«soggetto portatore di interessi generali e di natura pubblicistica».
A tal fine, la difesa della società
interveniente allega non solo precedenti giurisprudenziali (sentenze n. 344 del
2005 e n.
353 del 2001), bensì anche elementi di sistema tratti dalla riforma
costituzionale del titolo V, Parte seconda, della Costituzione. La
valorizzazione dei princìpi di pluralismo, autonomia e sussidiarietà, avrebbe
reso il giudizio di legittimità costituzionale in via principale «la sede
privilegiata dell’incontro tra le istanze di soggetti che, a vario titolo, si
fanno portatori di interessi pubblici».
Nel presente giudizio è coinvolto un
ambito materiale – quale quello della energia nucleare – «che pone questioni ben
più articolate e complesse di quelle volte all’astratta soluzione delle
incertezze definitorie in ordine ai confini tra competenze legislative
regionali e statali».
D’altro canto, l’esercizio della
funzione legislativa in un senso difforme da quello delineato dalla legge n. 99
del 2009 «comprometterebbe, in via irreversibile e definitiva, la possibilità
di Enel s.p.a. di svolgere regolarmente le funzioni ad essa assegnate dal
quadro normativo nazionale e comunitario di riferimento».
Secondo questa linea difensiva, l’Enel
s.p.a. sarebbe portatrice di interessi che trascendono la sfera meramente
privata per assurgere ad una «dimensione spiccatamente pubblicistica». Detta
società, nonostante l’intervenuta privatizzazione, continua ad essere
affidataria della cura di rilevanti interessi pubblici, senza trascurare quanto
previsto dall’art. 13 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica), a mente del quale Enel s.p.a. «assume le funzioni di
indirizzo strategico e coordinamento dell’assetto industriale e delle attività
esercitate dalle società da esse controllate».
Quanto, infine, alla possibilità di
esperire altre azioni di tutela, la difesa di Enel s.p.a. obietta che,
«trattandosi di intervento ad opponendum», l’eventuale accoglimento delle questioni
«sarebbe preclusivo di qualsiasi forma di tutela successiva, traducendosi in
una grave lesione del diritto di difesa dell’interveniente (art. 24 Cost.), che
non avrebbe più luoghi e spazi giudiziari in cui far valere le proprie
ragioni».
12.2. – Nel merito, osserva la difesa
della interveniente che, soprattutto alla luce della direttiva 25 giugno 2009,
n. 2009/71/Euratom (Direttiva del Consiglio che
istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti
nucleari), il diritto comunitario considera preminente il tema della sicurezza
delle centrali nucleari, in relazione alle implicazioni associate alla
sicurezza delle imprese e, ancor di più, al benessere delle comunità. Da ciò
scaturiscono doveri inderogabili, posti a carico degli Stati membri, a
cominciare dalla individuazione delle zone più idonee alla localizzazione degli
impianti sino ad arrivare alla distribuzione dell’energia ed allo stoccaggio
delle scorie radioattive: «si tratta, con tutta evidenza, di operazioni che
devono essere coordinate, gestite e poste in essere alla luce di un programma
unitario che solo lo Stato può e deve adottare».
In questo quadro si colloca l’«opzione
nucleare» nelle «equilibrate forme» di cui alla legge in oggetto.
12.3. – Passando in rassegna le singole
censure, la interveniente ritiene non fondate le impugnazioni basate sulla
asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., giacché le denunciate
previsioni appaiono, in prevalenza, espressione della potestà legislativa
esclusiva dello Stato.
In via preliminare, la difesa dell’Enel
s.p.a. contesta l’inquadramento, accolto nei ricorsi, nella materia concorrente
della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia». In più
occasioni questa Corte ha fatto applicazione del criterio di prevalenza
allorché sia riscontrabile un intreccio di molteplici ambiti oggettivi di
intervento. Nel caso di specie, trattandosi della scelta di valorizzare l’opzione
dell’approvvigionamento energetico attraverso il ricorso alla fonte nucleare,
rilevano settori di competenza esclusiva dello Stato: la «tutela dell’ambiente»
(v. sentenze n.
282 e n. 166
del 2009; n.
247 e n. 103
del 2006 e n.
62 del 2005); la «tutela della concorrenza» (v. sentenze n. 88 del
2009 e n. 1
del 2008); la «sicurezza e l’ordine pubblico» (v. sentenza n. 18 del
2009); i rapporti internazionali dello Stato.
Stando così le cose, «sarà il
legislatore delegato a graduare, nell’ambito della legislazione delegata,
quanto spazio dare alla prevalenza o alla leale collaborazione», nel rispetto
di quanto statuito da questa Corte.
12.4. – Quanto al contestato ricorso
allo strumento della delega legislativa, ricorda innanzitutto la interveniente
che, secondo questa Corte, nei giudizi in via principale le Regioni possono
evocare parametri diversi da quelli relativi al riparto di attribuzioni solo
allorché la denunciata violazione ridondi in una lesione delle stesse
competenze regionali. Nel caso in esame, una eventuale lesione potrebbe
discendere solo dall’adozione di decreti legislativi recanti norme di dettaglio
in ambiti di competenza concorrente.
In secondo luogo, questa Corte ha più
volte affermato che il confine tra i princìpi e criteri direttivi (nel caso
della delega legislativa) ed i princìpi fondamentali (nel caso della potestà
legislativa concorrente) «non può essere stabilito una volta per tutte» (sentenza n. 50 del
2005; è citata anche la sentenza n. 359 del
1993). Pertanto, ben può il Parlamento ricorrere alla delega legislativa
pur in ambiti di competenza concorrente.
12.5. – Per ciò che riguarda le altre
doglianze, la difesa della società interveniente ripercorre le tappe
giurisprudenziali che hanno condotto alla edificazione del modello della
«chiamata in sussidiarietà» (v. sentenze n. 76 del
2009 e n.
303 del 2003). In questo quadro s’inserisce il potere statale di
sostituzione, concepito allo scopo di scongiurare il sacrificio di interessi
essenziali dell’ordinamento costituzionale, che, secondo questa Corte, «fa
sistema con le norme costituzionali di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del
2004; è citata altresì la sentenza n. 371 del
2008).
12.6. – Quand’anche questa Corte dovesse
ascrivere la normativa in oggetto, anche solo in parte, alla materia
concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia», per la interveniente resterebbero, comunque, primariamente
rilevanti esigenze di carattere unitario tali da giustificare l’allocazione
delle funzioni amministrative presso le autorità statali.
Dalla giurisprudenza costituzionale si
evince che è allo Stato che «naturalmente non sfugge la valutazione complessiva
del fabbisogno nazionale di energia» (sentenza n. 383 del
2005; vedi anche sentenza n. 6 del
2004). Questa Corte ha, peraltro, escluso la possibilità di autonome
previsioni legislative regionali volte a definire criteri tecnici in materia
energetica (sentenze
n. 103 del 2006, n. 336 del 2005
e n. 7 del 2004).
Similmente, in materia di emissioni elettromagnetiche, è stata riconosciuta la
legittimità della fissazione, in ambito nazionale, di valori-soglia non
derogabili dalle Regioni (sentenza n. 307 del
2003), così come si è precisato che i criteri localizzativi e gli standard urbanistici fissati a livello
locale debbono rispettare «le esigenze della pianificazione nazionale degli
impianti» (ancora sentenza
n. 307 del 2003).
La tendenza, frequente in sede locale,
ad ostacolare interventi non graditi «non può tradursi in un impedimento
insormontabile alla realizzazione degli impianti necessari per una corretta
gestione del territorio e degli insediamenti al servizio di interessi di
rilievo ultraregionale» (sentenza n. 62 del
2005).
12.7. – Infine, per la interveniente
sarebbero inammissibili, per carenza di lesione attuale, oltre che non fondate,
le censure relative al procedimento contemplato dalle impugnate disposizioni,
sotto il profilo della lamentata inosservanza del principio di leale
collaborazione, atteso che dalla delega «non si ricava ancora una scansione
procedimentale definita, univoca e definitivamente scolpita».
13. – Nei giudizi promossi dalle Regioni
Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata e Piemonte (r.r.
n. 70, n. 71, n. 72, n. 73 e n. 75 del 2009), ha depositato, in data 24
novembre 2009, atti di intervento, di identico contenuto, il Codacons –
Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei
diritti degli utenti e dei consumatori.
13.1. – Sostiene l’interveniente che la
propria legittimazione «ad intervenire nel presente giudizio di legittimità
costituzionale è dovuta al suo costante impegno in materia di tutela
dell’ambiente e della salute dei cittadini, come testimoniato dalle numerose
iniziative promosse negli anni». Esso è legittimato ad agire in giudizio e ad
intervenire in caso di pregiudizio di interessi collettivi.
13.2. – In merito alle specifiche
impugnazioni, l’interveniente denuncia la violazione delle attribuzioni
regionali in un ambito materiale, quale quello concorrente della «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in cui è precluso al
legislatore statale emanare norme di dettaglio.
Le scelte relative alla localizzazione
degli impianti in oggetto investono una pluralità di interessi tale da esigere
una attiva collaborazione tra Stato e Regioni. Al contrario, le contestate
disposizioni non configurano adeguate forme di coinvolgimento delle istanze
territoriali, contrariamente a quanto più volte richiesto da questa Corte
(sentenze n. 62
del 2005; n.
6 del 2004; n.
303 del 2003).
In particolare, l’intervento della
Conferenza unificata non sarebbe sufficiente, posto che la realizzazione di una
grande opera, quale è una centrale nucleare, incide fortemente sul territorio
di una specifica Regione. Soltanto la previsione di una intesa in senso forte
consentirebbe di sanare la ravvisata incostituzionalità.
Il denunciato art. 27, comma 27,
precluderebbe – a detta dell’interveniente – una normazione di dettaglio in
ambito regionale e impedirebbe alla stessa Regione di far valere, a sostegno
del proprio rifiuto di stipulare l’intesa ivi prevista, ragioni attinenti alla
tutela del territorio e della salute dei cittadini.
14. – Nei giudizi instaurati con i
ricorsi delle Regioni Toscana, Umbria, Basilicata, Calabria ed Emilia-Romagna,
ha spiegato intervento l’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature Onlus Ong (di
seguito: WWF Italia), con atti depositati il 24 novembre (r.r.
n. 69, n. 70 e n. 73 del 2009), il 30 novembre (r.r.
n. 77 del 2009), ed il 3 dicembre 2009 (r.r. n. 83
del 2009).
14.1. – Quanto alla propria
legittimazione ad intervenire, la difesa di WWF Italia sostiene che l’interesse
alla tutela dell’ambiente, ancorché formalmente estraneo rispetto ai giudizi,
«inerisce immediatamente al rapporto sostanziale», in quanto la decisione di
questa Corte «eserciterebbe un’influenza diretta con effetti rilevanti sulla
posizione soggettiva dell’Associazione».
14.2. – In merito alla impugnazione
dell’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, la difesa della interveniente
denuncia la violazione delle competenze regionali nella materia concorrente del
«governo del territorio», trattandosi di normativa di dettaglio, e nella
materia residuale del «turismo», soggetta alla esclusiva disciplina del
legislatore regionale.
14.3. – Relativamente alle doglianze
prospettate avverso le disposizioni in materia di energia nucleare, la
interveniente WWF Italia concorda con le ricorrenti nel contestare la mancata
previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle istituzioni regionali,
informate al principio di leale collaborazione.
La dichiarazione dei siti quali aree di
interesse strategico nazionale, anticipando l’individuazione dei contesti
territoriali entro i quali procedere alla installazione delle centrali
nucleari, non può prescindere da una intesa in senso forte con la singola
Regione interessata.
Il ruolo della Conferenza unificata,
poi, non dovrebbe considerarsi equivalente o sostitutivo del raccordo con la
Regione nel cui territorio si dovrà procedere alle installazioni in oggetto.
Sarebbe, altresì, illegittima la
previsione di un potere sostitutivo da attivare in caso di mancato
raggiungimento dell’intesa, dovendo quest’ultima concretizzarsi in una
codeterminazione paritaria tra soggetti dotati di attribuzioni
costituzionalmente rilevanti.
Così pure non sarebbe immune dai
lamentati vizi d’illegittimità la previsione di cui all’art. 27, comma 27, che
svuoterebbe di significato l’intesa prevista dall’art. 1, comma 2, del
decreto-legge n. 7 del 2002.
15. – Con atto di intervento depositato
il 1° dicembre 2009, è intervenuta, nel giudizio promosso dalla
Regione Lazio (con ricorso iscritto al r.r. n. 76 del
2009), la Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.
15.1. – La difesa di Terna s.p.a.
ritiene infondate tutte le questioni prospettate dalla ricorrente, alla luce
della giurisprudenza costituzionale che, in questi ambiti materiali di
intervento, riconosce la legittimità di allocazioni di funzioni amministrative
allo Stato, anche in settori di competenza regionale, sia pure nel rispetto del
canone generale della ragionevolezza e del principio di leale collaborazione.
In particolare, in merito alla
impugnazione dell’art. 27, comma 24, lettera c), della legge in parola, quanto al potere sostitutivo azionabile
dallo Stato in caso di mancato raggiungimento delle previste intese, la
interveniente considera, innanzitutto, congrua la previsione di membri
regionali nel comitato interistituzionale. La stessa interveniente, poi, reputa
adeguata la presenza del Presidente della Regione interessata in seno al
Consiglio dei ministri chiamato a deliberare l’autorizzazione quivi contemplata
in caso di «stallo».
Altrettanto non fondata sarebbe, infine,
la censura avente per oggetto l’art. 27, comma 24, lettera d), giacché la necessità del consenso manifestato dal Presidente
della Regione interessata garantirebbe una adeguata partecipazione di tale ente
al procedimento di approvazione della variante.
16. – La Regione Puglia, in prossimità
dell’udienza, ha depositato una memoria nella quale, innanzitutto, dà atto di
avere impugnato avanti alla Corte il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n.
31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel
territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare,
di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di
stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché misure
compensative e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della
legge 23 luglio 2009, n. 99) e segnatamente l’art. 4, l’art. 5, commi 1 e 2,
l’art. 8, l’art. 11, commi da
La ricorrente, quindi, contesta
l’ammissibilità dell’intervento di Enel s.p.a. in quanto non sarebbe portatrice
di interessi generali, né di interessi diffusi, bensì di un interesse di
impresa che non potrebbe trovare spazio nel giudizio.
In ordine alla contestazione, svolta
dall’Avvocatura dello Stato, circa il difetto di interesse al ricorso per
mancanza di immediata lesività dello stesso, la Regione Puglia replica
sostenendo che la legge delega conterrebbe principi e criteri direttivi tali da
permettere al legislatore delegato di violare i principi di sussidiarietà e
leale collaborazione, come di fatto è avvenuto. Infatti, l’art. 11, comma 6,
del d.lgs. n. 31 del 2010 escluderebbe dalle decisioni le Regioni in quanto, in
caso di mancato accordo con la Regione interessata, la decisione sarebbe rimessa
all’autorità statale.
La ricorrente contesta, poi, la
fondatezza dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, prospettata per
genericità del medesimo, dal momento che da questo emergerebbe chiaramente come
i motivi di impugnazione siano stati individuati nella mancanza della previa
intesa con la Regione interessata ai fini della localizzazione degli impianti
nucleari.
Riguardo alle censure relative all’art.
25, comma 2, lettera g), la Regione
osserva come il rispetto delle competenze regionali avrebbe dovuto comportare
la necessità dell’intesa "forte” con le Regioni interessate ai fini del
rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione degli impianti, come affermato
anche di recente da questa Corte nella sentenza n. 121 del
2010. Al contrario, la disposizione censurata – ritenendo sufficiente la
decisione presa dalla Conferenza unificata – consentirebbe il superamento delle
scelte delle Regioni e degli enti locali, in contrasto con le esigenze di
flessibilità ispirate al principio di sussidiarietà e imposte dalla varietà e
complessità degli obiettivi di tutela.
L’incostituzionalità di un’intesa
generica con la Conferenza sarebbe dimostrata dal fatto che essa non
consentirebbe di tener conto di situazioni particolari delle singole Regioni.
Ed infatti, proprio la Regione Puglia contribuirebbe al fabbisogno energetico
italiano producendo una quantità di energia superiore al proprio fabbisogno ed
avendo investito nella produzione di energia da fonti rinnovabili.
Peraltro, conclude la ricorrente, la
attinenza della disciplina censurata alla materia della tutela dell’ambiente,
non escluderebbe la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente
collegati con quelli ambientali, come ribadito anche di recente da questa Corte
(sentenza n. 248
del 2009).
17. – La Regione Molise, nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza, dopo aver eccepito l’inammissibilità
dell’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a., si sofferma sull’eccezione di
tardività del proprio ricorso formulata dall’Avvocatura dello Stato.
Pur consapevole del consolidato
orientamento della giurisprudenza costituzionale circa la non applicabilità
della sospensione feriale dei termini nel giudizio avanti alla Corte, la
ricorrente ritiene tuttavia che tale istituto potrebbe trovare ingresso anche
in tale giudizio. Ciò in quanto, stante il tenore letterale della legge 14
luglio 1965, n. 818 (Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale),
esso avrebbe portata generale, mentre tassative sarebbero le ipotesi di non
applicabilità, stabilite dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione dei
termini processuali nel periodo feriale). In tal senso sarebbe anche il diritto
vivente, quale risultante dalle decisioni di questa Corte che hanno dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge da ultimo citata nella
parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto ad una serie di fattispecie,
nonché dalle decisioni della Corte di cassazione.
Peraltro, mancando una disposizione che
disciplini la sospensione feriale dei termini nei giudizi costituzionali, la
Regione chiede alla Corte di sollevare avanti a sé questione di legittimità
costituzionale della legge n. 742 del 1969, nella parte in cui non prevede
l’applicazione dell’istituto anche in tali giudizi.
La ricorrente, quindi, ribadisce le
censure prospettate nel ricorso contestando il mancato coinvolgimento delle
Regioni interessate nell’iter
decisionale relativo alla localizzazione degli impianti.
18. – Anche la Regione Calabria ha
depositato una memoria nella quale, oltre a eccepire l’inammissibilità
dell’intervento del WWF Italia e dell’Enel s.p.a. secondo il costante
orientamento della giurisprudenza costituzionale, afferma che – a differenza di
quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato – la ricorrente non ha invocato
quale parametro interposto il parere del Comitato delle Regioni, avendone solo
richiamato il contenuto per dimostrare come anche a livello comunitario sia
auspicato il coinvolgimento delle Regioni.
Con riguardo all’eccepita carenza di
interesse al ricorso, la Regione richiama la recente sentenza n. 156 del
2010, nella quale la Corte ha ritenuto che la doglianza circa la lesione
della sfera di competenza della ricorrente presuppone la sola esistenza della
legge oggetto di censura a prescindere dal fatto che essa abbia avuto concreta
attuazione.
Inoltre, i criteri contenuti nella legge
delega sarebbero immediatamente lesivi delle prerogative regionali, atteso il
loro carattere estremamente dettagliato. Ciò sarebbe chiaramente dimostrato dal
fatto che il d.lgs. n. 31 del 2010 contiene la mera riproduzione dei principi
impugnati.
Quanto all’accentramento in capo allo
Stato della competenza a rilasciare l’autorizzazione unica, la ricorrente, pur
non contestando la spettanza al Governo della scelta di riavviare la produzione
di energia nucleare, contesta il mancato adeguato coinvolgimento delle Regioni
nel procedimento. Tale coinvolgimento, infatti, dovrebbe avvenire attraverso la
previsione dell’intesa con la Regione interessata, la sola – anche alla luce
della giurisprudenza costituzionale – idonea a costituire un adeguato
contrappeso alla penetrante invasione delle competenze regionali che il
procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica determina.
19. – A sua volta la Regione Marche ha
depositato memoria, insistendo sulle conclusioni già formulate, e domandando
altresì che siano dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nel giudizio
costituzionale.
La ricorrente ribatte, in particolare,
alle argomentazioni difensive svolte dall’Avvocatura dello Stato, osservando
anzitutto che tutte le disposizioni censurate determinano una lesione attuale e
concreta delle competenze regionali, poiché non lasciano al legislatore
delegato alcuno spazio per attuare la delega in senso conforme a Costituzione.
A riprova di ciò, secondo la Regione, si
porrebbero le stesse disposizioni adottate con il d.lgs. n. 31 del 2010, con le
quali si è «puntualmente occorso nelle violazioni di norme costituzionali
denunciate» in sede di ricorso.
Quanto alla procedura di localizzazione
degli impianti, infatti, e all’esercizio del potere sostitutivo, gli artt. 11 e
13 del d.lgs. n. 31 del 2010, consentendo di superare il mancato raggiungimento
dell’intesa, disegnano «una procedura che non pone sullo stesso piano lo Stato
e la Regione, ma che, viceversa, consegna al primo una posizione preminente e
tale, in definitiva, da poter imporre il proprio indirizzo politico alla
seconda».
Più radicalmente, non è neppure
configurabile, a parere della ricorrente, la sostituzione della Regione, con
riguardo ad attività che non siano vincolate nell’an.
Parimenti da rigettare, secondo la
Regione, è l’eccezione di inammissibilità delle censure basate su
interpretazioni alternative delle disposizioni censurate, sia perché le
doglianze sono poste tra loro «in rapporto di subordinazione», sia poiché nel
giudizio principale è ammessa la proposizione di questioni basate su
interpretazioni meramente possibili.
Quanto all’individuazione delle materie
cui ricondurre le norme impugnate, la ricorrente ribadisce il carattere
prevalente della materia «produzione, trasporto e distribuzionale nazionale
dell’energia», in ragione sia dei precedenti di questa Corte, sia della autoqualificazione dell’intervento normativo contestato,
sia dell’oggetto su cui incide la delega, che concerne la procedura per
realizzare impianti nucleari. La Regione Marche non nega che vengano coinvolti
altresì profili connessi alla tutela dell’ambiente, ma esclude che essi possano
mutare la qualificazione della materia, cui conducono gli elementi appena
ricordati.
Infine, con riguardo alla possibilità di
dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, il difetto di un
adeguato coinvolgimento regionale nella relativa procedura tradirebbe una
volontà legislativa tesa ad affermare una "minorità” dell’indirizzo politico
regionale, rispetto a quello statale, che non è più consentita, dopo la riforma
del Titolo V della Parte II della Costituzione.
20. – Con memoria depositata il 1°
giugno 2010, la Regione Liguria ha formulato ulteriori rilievi in ordine alla
asserita incostituzionalità delle impugnate disposizioni.
Per quanto attiene alle eccezioni di
inammissibilità promosse dall’Avvocatura dello Stato, per difetto di interesse
della ricorrente, la difesa regionale replica osservando che le denunciate
previsioni dell’art. 25, comma 2, lettere g)
e h), della legge delega non sono
affatto generiche, atteso che risultano volte a disciplinare la partecipazione
regionale al procedimento di autorizzazione unica. Inoltre, il contestato art.
25, comma 2, lettera a), si appalesa
già lesivo dal momento che non pone alcun vincolo al Governo quanto al tipo ed
all’intensità del coinvolgimento regionale nella individuazione dell’area di
interesse strategico nazionale e delle relative misure di protezione.
Nel merito, la difesa regionale contesta
l’inquadramento materiale ipotizzato dalla parte resistente, sostenendo che, in
realtà, le impugnate disposizioni afferirebbero ad ambiti di competenza
concorrente, a cominciare dall’energia. La rilevanza nazionale degli interessi
in gioco è sì ragione che giustifica la chiamata in sussidiarietà, ma non può
essere evocata «per disconoscere del tutto il riparto costituzionale delle
competenze».
Inoltre – prosegue la ricorrente –
l’invocazione dell’urgenza ad intervenire non è tale da impedire l’attivazione
delle procedure collaborative, come dimostrato innanzitutto dallo stesso
ricorso allo strumento della delega legislativa. Semmai, sono proprio le
peculiarità caratteristiche della fonte energetica in oggetto a sollecitare la
necessaria previsione di un’intesa forte con la Regione interessata.
L’eccezione di inammissibilità della
questione relativa all’art. 27, comma 27, prospettata dal resistente, per il
carattere ipotetico della relativa doglianza, sarebbe destituita di fondamento,
avendo la difesa regionale «avanzato una prima censura "certa” e nient’affatto
ipotetica», per poi ipotizzare «un significato ancora più lesivo delle
competenze regionali». La confutazione, nel merito, della promossa questione in
oggetto sarebbe, a detta della Regione ricorrente, basata su di un argomento
apodittico.
Seguono, infine, rilievi relativi
all’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a.
21. – Con memoria depositata il 1°
giugno 2010, la Regione Umbria ha ulteriormente argomentato in merito alle
prospettate doglianze. A tal fine, la difesa regionale ha addotto le medesime
argomentazioni sviluppate nella memoria della Regione Liguria (v. supra, par. 20).
Quanto, in particolare, alla questione
di costituzionalità avente per oggetto l’art. 26, comma 1, l’eccezione di
inammissibilità si baserebbe – a detta della difesa regionale – su di un
erroneo presupposto quanto all’asserito carattere ipotetico del motivo di
ricorso. La Regione ha proposto una censura principale ed una subordinata, in
armonia con la giurisprudenza costituzionale che ammette una simile
impostazione. Nel merito, la difesa regionale ribadisce la necessità di un
adeguato coinvolgimento delle istituzioni regionali.
22. – Con memoria depositata il 1°
giugno 2010, la Regione Emilia-Romagna insiste nell’invocare una declaratoria
d’incostituzionalità delle impugnate disposizioni.
Quanto alla censura dell’art. 25, comma
2, lettere a), g) e h), e dell’art. 26,
comma 1, la difesa regionale espone le medesime argomentazioni svolte nelle
memorie, rispettivamente, della Regione Liguria e della Regione Umbria (v. supra, parr. 20 e 21).
In ordine alla impugnazione dell’art.
25, comma 2, lettera f), la
ricorrente ribadisce di aver lamentato, innanzitutto, quanto alla previsione
del potere di sostituzione, l’inclusione tra gli «enti locali» della Regione.
Ove intesa diversamente, la denunciata disposizione sarebbe comunque
incostituzionale per la mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento
e di partecipazione delle autorità regionali.
Inoltre, con altra memoria depositata il
1° giugno 2010, la Regione Emilia-Romagna lamenta l’illegittimità
dell’intervento in giudizio dell’Enel s.p.a., provvedendo altresì a confutare,
nel merito, le tesi da quest’ultima propugnate.
23. – Con memoria depositata il 1°
giugno 2010, la Regione Lazio riafferma la fondatezza di tutte le questioni
prospettate nel ricorso.
In via preliminare, la difesa regionale
sostiene la inammissibilità degli interventi di Terna s.p.a. e di Enel s.p.a.
Quanto alla impugnazione dell’art. 3,
comma 9, la ricorrente replica all’inquadramento materiale ipotizzato
dall’Avvocatura dello Stato osservando che la contestata disposizione
ricadrebbe nella materia residuale del turismo. Lo stesso art. 3, comma 9,
peraltro, sarebbe comunque illegittimo a cagione della mancata previsione di
una qualsiasi forma di coinvolgimento delle Regioni.
In ordine alle questioni di
costituzionalità aventi per oggetto gli artt. 25 e 26, la difesa regionale è
ferma nel ricondurre il contestato intervento normativo alla materia
concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia»,
risultando destituiti di fondamento i tentativi di diversa collocazione operati
dalla controparte. Ove si ammetta una chiamata in sussidiarietà anche in questo
ambito, sarebbe comunque necessaria la previsione di una intesa forte con le
Regioni interessate.
È ribadita, poi, l’illegittimità del
ricorso alla delega legislativa, atteso che il conseguente decreto legislativo
«per sua natura» è legittimato a porre norme di dettaglio spettanti, al
contrario, al legislatore regionale.
Infine, la ricorrente ribadisce quanto
già sostenuto in merito alle questioni relative alle impugnate disposizioni di
cui all’art. 27.
24. – L’Avvocatura generale dello Stato
ha depositato un’unica memoria in tutti i ricorsi in oggetto, insistendo sulle
conclusioni già rassegnate.
L’Avvocatura, dopo aver ribadito quanto
osservato nel proprio atto di costituzione, aggiunge che «la chiave di lettura
del riparto di competenze di cui al Titolo V non può prescindere dalla
essenziale considerazione […] della unità ed indivisibilità della Repubblica».
In questa prospettiva, «la
considerazione degli interessi coinvolti nella scelta nucleare porta con ogni
ragionevole certezza ad affermare l’assoluta prevalenza della dimensione
generale ed unitaria e della necessità conseguente di una disciplina comune e
uniforme».
Per tale ragione, prosegue l’Avvocatura,
va affermata l’inerenza delle norme impugnate a titoli di competenza esclusiva
statale. Quand’anche si vertesse in materia oggetto di potestà concorrente,
«nella Costituzione non è accordato certamente alle Regioni un diritto di veto
in ordine alle scelte statali». Non sarebbe, quindi, possibile ricorrere
all’intesa forte con ciascuna Regione interessata nel campo dell’energia
nucleare, poiché «non si ha a che fare con gli interessi di una sola Regione»,
e si è dovuto, per tale motivo, anche introdurre «un sistema di superamento del
mancato raggiungimento delle necessarie intese».
Con riguardo alle censure relative all’art.
27, comma 27, della legge impugnata, la resistente esclude che, in via
interpretativa, tale disposizione possa vanificare le forme di partecipazione
della Regione alle intese previste dalla vigente legislazione, in tema di
insediamento di impianti energetici.
Altresì infondate sarebbero le doglianze
mosse dalla sola Regione Lazio, avverso gli impugnati commi del medesimo art.
27.
Infine, l’art. 3, comma 9, della legge
impugnata costituisce, secondo l’Avvocatura, una norma di principio, rispettosa
delle competenze regionali.
25. – Con quattro memorie, tutte
depositate il 31 maggio 2010, il Codacons, Coordinamento delle associazioni e
dei comitati di tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei
consumatori, ha reiterato la propria istanza a vedersi riconoscere la
legittimazione ad intervenire nei presenti giudizi. A tal fine, è invocato
l’art. 4 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale, là dove si fa riferimento alla possibilità di intervento di
«altri soggetti». Se è pur vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte
sono legittimati a costituirsi solo i soggetti titolari della potestà
legislativa, sarebbe altrettanto vero che al Codacons «non si può non
riconoscere […] un ruolo importante nell’iter
legislativo in tema di tutela dell’ambiente, in quanto associazione che
rappresentando l’interesse dei cittadini a tale bene-vita deve quanto meno
esser informata e sentita nelle scelte legislative».
Nel merito, sono riproposte
argomentazioni non dissimili da quelle già sviluppate negli atti di intervento.
26. – Con undici memorie depositate il 1°
giugno 2010, la interveniente Enel s.p.a. ha ulteriormente argomentato in
ordine alle questioni promosse da tutte le ricorrenti.
In via preliminare, la difesa di Enel s.p.a.
ribadisce: l’ammissibilità del proprio intervento; la prevalente competenza
esclusiva del legislatore statale nelle materie oggetto delle impugnate
disposizioni; il legittimo ricorso alla delega legislativa; la piena
legittimità delle previsioni concernenti il potere sostitutivo.
La interveniente conferma la propria
posizione in ordine alla denunciata inammissibilità delle doglianze relative al
procedimento, per totale carenza di lesione attuale. E ciò alla luce del
sopravvenuto decreto legislativo n. 31 del 2010: in considerazione delle
modalità con le quali tale atto normativo è stato adottato, si avrebbe conferma
del fatto che la «ipotetica temuta modalità di attuazione» della delega «non si
è rivelata reale».
In relazione, poi, alle specifiche censure
prospettate, talvolta in modo diversificato, dalle ricorrenti, la difesa della
interveniente ripropone le argomentazioni sviluppate negli atti di
costituzione.
27. – Con atto depositato il 1°
giugno 2010, l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), ha presentato istanza di rinvio della trattazione
del ricorso iscritto al r.r. n. 83 del 2009, al fine
di riunirlo a quelli, non fissati, promossi avverso il d.lgs. n. 31 del 2010
dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia, con i ricorsi iscritti,
rispettivamente, ai nn. 75, 76 e 78 del 2010.
28. – La Regione Piemonte, con atto
depositato il 15 giugno
29. – Con atto depositato il 17 giugno
2010, l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato istanza di rinvio della
trattazione, fissata per l’udienza pubblica del 22 giugno 2010, al fine di
riunire i ricorsi presentati avverso la legge n. 99 del 2009, ai ricorsi
presentati dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia avverso il d.lgs. n.
31 del 2010.
Considerato
in diritto
1. – Le Regioni Toscana, Umbria,
Liguria, Puglia, Basilicata, Piemonte, Lazio, Calabria, Marche, Emilia-Romagna
e Molise, con distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale avverso numerose disposizioni della legge 23 luglio 2009, n. 99
(Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché
in materia di energia).
In particolare, le Regioni Lazio e
Toscana hanno censurato l’art. 3, comma 9, per violazione dell’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, e la sola Regione Lazio anche dell’art. 117, quarto
comma, Cost.
Tutte le ricorrenti hanno impugnato
disposizioni dell’art. 25, recante «Delega al Governo in materia nucleare», ed
in particolare:
- l’art. 25, comma 1, per violazione degli artt. 76 e
117, terzo comma, Cost. (Regione Lazio), nonché degli artt. 117 e 118 Cost.
(Regioni Lazio e Basilicata), e del principio di leale collaborazione (Regione
Basilicata);
- l’art. 25, comma 2, lettera a), per violazione dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 118
Cost., anche in relazione al principio della leale collaborazione (Regioni
Marche, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria), e dell’art. 117, quarto
comma, Cost. (Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria);
- l’art. 25, comma 2, lettera f), per contrasto con gli artt. 117, commi terzo (Regioni Toscana,
Lazio, Emilia-Romagna, Umbria e Marche) e quarto (Regioni Toscana,
Emilia-Romagna e Umbria), 118 e 120 Cost. (Regioni Toscana, Lazio, Emilia-Romagna,
Umbria e Marche), con il principio di leale collaborazione (tutte le
ricorrenti, salvo la Regione Lazio), nonché con l’art. 3 Cost. (Regione
Marche);
- l’art. 25, comma 2, lettera g), (disposizione impugnata da tutte le ricorrenti) e lettera h), (disposizione impugnata dalle
Regioni Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria), per violazione dell’art.
117, commi secondo (parametro evocato dalle Regioni Puglia, Umbria,
Emilia-Romagna e Liguria), terzo e quarto (Regioni Toscana, Emilia-Romagna,
Umbria e Liguria), dell’art. 118 Cost., anche in relazione al principio di
leale collaborazione (tutte le ricorrenti), dell’art. 3 Cost. (Regioni Piemonte
e Calabria), dell’art. 97 Cost. (Regione Calabria) e dell’art. 120 Cost.
(Regioni Puglia, Piemonte, Calabria);
- l’art. 25, comma 2, lettere l) e q), per contrasto
con gli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Lazio).
È impugnato, altresì, l’art. 26, comma
1, della legge n. 99 del 2009 per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.
(Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Marche), degli artt. 117, terzo comma, 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione (Regioni Lazio, Basilicata, Umbria, Emilia-Romagna, Piemonte, Marche e Molise), nonché degli artt. 3 e 120
Cost. (Regione Piemonte).
La Regione Lazio ha impugnato, inoltre,
taluni commi dell’art. 27, ed in particolare:
- il comma 14 e il comma 24, lettere c) e d),
per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.;
- il comma 28 per violazione degli artt. 76 e 117,
terzo comma, Cost.;
- il comma 31 per lesione degli artt. 117 e 118
Cost.;
- il comma 31, punto
- il comma 34, per contrasto con gli artt. 117 e 118
Cost.
Infine, è impugnato l’art. 27, comma 27,
per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. (Regioni Umbria, Liguria e
Piemonte), e degli artt. 118 e 120 Cost. (Regione Piemonte).
1.2. – Considerato che i ricorsi sono
diretti in larga parte contro le medesime norme
e pongono questioni analoghe, i giudizi possono essere riuniti per
essere decisi con unica sentenza.
2. – Nei presenti giudizi, sopra
specificati, sono intervenuti l’Associazione italiana per il World Wide Fund
for Nature Onlus Ong (WWF),
(r.r. n. 69, 70, 73, 77 e 83 del 2009), il Codacons
Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei
diritti degli utenti e dei consumatori (r.r. n. 70,
71, 72, 73 e 75 del 2009), l’ Enel s.p.a. (r.r. n. 69, 70, 71,
72, 73, 75, 76, 77, 82, 83 e 91), Terna
– Rete Elettrica Nazionale s.p.a. (r.r. n. 76 del
2009).
Per costante giurisprudenza di questa
Corte, il giudizio di costituzionalità delle leggi in via d’azione si svolge
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per
i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni
soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 250
e n. 225 del
2009).
Dal canto suo, l’art. 4, comma 3, delle
Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, evocato dal
Codacons e dall’Enel s.p.a., non autorizza a trarre diverse conclusioni, poiché
tiene ferma la competenza di questa Corte a decidere sulla ammissibilità di
«eventuali interventi di altri soggetti». Ad ogni modo, pur a prescindere da tale
preliminare ed assorbente profilo, le norme impugnate, di carattere generale ed
astratto, non hanno per oggetto, in modo immediato e diretto, una posizione
giuridica differenziata delle parti intervenienti, che possa venire
irrimediabilmente pregiudicata dall’esito dei presenti giudizi.
Per questi motivi, tutti gli interventi
sono inammissibili.
3. – Il ricorso della Regione Molise
(iscritto al r.r. n. 91 del 2009) è inammissibile in
quanto notificato oltre il termine previsto dall’art. 32, secondo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della
Corte costituzionale), termine stabilito a pena di decadenza, senza che operi
l'istituto della sospensione feriale (ex plurimis: sentenza n. 318 del
2009 e ordinanza
n. 42 del 2004). La denunciata legge, infatti, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 luglio 2009,
mentre il ricorso risulta consegnato all’ufficiale giudiziario per la notifica
solo il 9 ottobre 2009.
La Regione Molise, nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza, ha peraltro chiesto a questa Corte di
sollevare, d’ufficio, avanti a sé questione di legittimità costituzionale della
legge 7 ottobre 1969, n. 742 (Sospensione dei termini processuali nel periodo
feriale), nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto della
sospensione feriale dei termini anche al processo costituzionale.
Al riguardo questa Corte, fin dalla sentenza n. 15 del
1967, ha escluso l’applicabilità dell’istituto in parola ai giudizi di
costituzionalità. Questo orientamento è stato ribadito anche successivamente
all’emanazione della legge n. 742 del 1969 «poiché la formulazione letterale
dell’art. 1 – molto più precisa di quella adottata nel corrispondente articolo
della legge n. 818 del 1965 – non lascia ombra di dubbio che il legislatore
abbia inteso escludere i giudizi di costituzionalità dall’ambito di
applicazione della normativa sulla sospensione dei termini. Si specifica invero
nel citato articolo che la sospensione si riferisce al "decorso dei termini
processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie ed a quelle amministrative”»
(sentenza n. 30
del 1973).
La giurisprudenza costituzionale
successiva ha costantemente confermato tale interpretazione (sentenze n. 233 del 1993
e n. 215 del
1986, ordinanza
n. 126 del 1997), motivandola con specifico riguardo alle peculiari
esigenze di rapidità e certezza cui il processo costituzionale deve rispondere,
alla luce delle quali va superato il dubbio di costituzionalità avanzato dalla
ricorrente (sentenza
n. 30 del 1973).
4. – Deve darsi atto che la Regione
Piemonte, con atto notificato a tutte le parti il 14 giugno
5. – Preliminarmente, devono essere
dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
25, comma 2, lettere g) e h),
promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. dalla Regione Calabria,
nonché la questione di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera f), promossa dalla Regione Marche in
riferimento all’art. 3 Cost.
Trattasi, invero, di doglianze basate su
parametri estranei al riparto delle competenze, rispetto alle quali le
ricorrenti non hanno dimostrato la incidenza sulle attribuzioni regionali (tra
le più recenti, sentenze
n. 52 del 2010 e n. 233 del 2009).
6. – Ugualmente inammissibili sono le
questioni di costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera g), promosse dalle Regioni Umbria,
Liguria, Puglia ed Emilia-Romagna, e dell’art. 25, comma 2, lettera h), promossa dalla sola Emilia-Romagna,
poiché le ricorrenti, indicando – quale parametro asseritamente
violato – l’art. 117, secondo comma, Cost., hanno evocato una disposizione
attributiva di una competenza esclusiva statale (sentenza n. 116 del
2006).
7. – Inammissibili sono, inoltre, le
questioni di legittimità costituzionale, promosse dalla Regione Calabria,
aventi ad oggetto l’art. 25, comma 2, lettere g) e h), e dalla Regione
Puglia, aventi ad oggetto l’art. 25, comma 2, lettera g), nonché la questione promossa dalla Regione Piemonte, in
riferimento all’art. 27, comma
8. – Inammissibili devono essere,
altresì, dichiarate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla
Regione Lazio, aventi per oggetto l’art. 27, commi 14, 24, lettere c) e d),
28, 31 e 34 della legge n. 99 del
Questa Corte ha più volte statuito che,
a pena d’inammissibilità, deve sussistere una piena corrispondenza tra le
disposizioni impugnate dal ricorso e le disposizioni individuate dalla delibera
con cui la Giunta (nell’ipotesi di iniziativa regionale) ne ha autorizzato la
proposizione (sentenza
n. 533 del 2002).
Inoltre, si è precisato che anche nelle
delibere dell’organo politico che, pur non censurando un’intera legge, ne
selezionano una parte cospicua, l’indicazione delle disposizioni oggetto di
censura deve avere un «necessario grado di determinatezza», in difetto del
quale la individuazione delle previsioni da impugnare, tra le molte che
compongono una disciplina formalmente unica, verrebbe rimessa alla difesa
tecnica, che è priva di tale prerogativa (sentenza n. 250 del
2009).
La delibera della Giunta della Regione
Lazio ha indicato l’art. 27, complessivamente considerato, quale oggetto di
impugnazione, di tal chè la cernita delle specifiche
previsioni da sottoporre al sindacato di questa Corte è stata posta in essere
dalla difesa tecnica, senza alcuna previa direttiva, anche solo di massima,
dell’organo politico. Infatti, l’art. 27 della legge n. 99 del 2009 consta di 47 commi, relativi a
fattispecie che risultano estremamente diversificate tra loro quanto ad oggetto
di disciplina. La mera presenza delle disposizioni censurate in un unico
articolo della legge, genericamente intitolato «Misure per la sicurezza e il
potenziamento del settore energetico», non è di per sé sufficiente a produrre
il «necessario grado di determinatezza» dell’oggetto del giudizio di
costituzionalità.
Alla luce della richiamata
giurisprudenza di questa Corte, l’evidente assenza di omogeneità tra le
disposizioni di cui si compone l’art. 27 determina la inammissibilità delle
corrispondenti questioni di costituzionalità.
Opposta, invece, la conclusione per
quanto concerne le censure aventi ad oggetto l’art. 25, anch’esso indicato
nella delibera della Giunta del Lazio senza ulteriori specificazioni, dal
momento che le varie disposizioni in cui si articola tale norma presentano un
contenuto sostanzialmente omogeneo, attenendo tutte alla disciplina della
"materia nucleare”.
9. – Inammissibili sono le questioni
aventi ad oggetto il comma 2, lettere l)
e q), dell’art. 25. Le censure mosse
avverso tali disposizioni dalla sola Regione Lazio sono, infatti, del tutto
generiche, in quanto non sorrette da alcuna argomentazione volta a chiarire le
competenze regionali asseritamente lese.
10. – L’art. 25, comma 1, della legge
impugnata è censurato dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 76 e 117,
terzo comma, Cost., poiché non sarebbe consentito conferire delega legislativa
in una materia oggetto di potestà legislativa concorrente, dal momento che le
norme statali non possono assumere quel carattere dettagliato, che, a parere
della ricorrente, avrebbero invece necessariamente le norme delegate, in
riferimento ai princìpi e ai criteri direttivi adottati ai sensi dell’art. 76 Cost.
La questione non è fondata, come questa
Corte ha già più volte affermato (sentenze n. 50 del
2005, n. 280
del 2004 e n.
359 del 1993), poiché la ricorrente erroneamente confonde il grado di
determinatezza proprio dei princìpi e dei criteri direttivi della delega con
quello, qualitativamente distinto e perciò non necessariamente coincidente, dei
princìpi fondamentali di materia concorrente. Ciò consente, in linea di
principio, l’impiego della delega legislativa anche nelle materie a potestà
legislativa ripartita, come – d’altra parte – confermato dalla sua
utilizzazione tutt’altro che infrequente anche in passato.
Le Regioni Lazio e Basilicata impugnano
il medesimo art. 25, comma
La questione non è fondata, poiché, come
ripetutamente affermato da questa Corte, «le procedure di cooperazione o di
concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti
legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente
o indirettamente, dalla Costituzione», il che nella specie non si verifica (sentenza n. 437 del
2001; da ultimo, sentenza n. 225 del
2009).
11. – Appare opportuno affrontare, in
primo luogo, le censure attinenti alla "materia nucleare”, ovvero all’art. 25,
comma 2, lettere a), f), g) e h) e all’art. 26, comma 1, della legge impugnata.
L’art. 25 reca, in particolare, delega
al Governo, ai fini dell’adozione di «uno o più decreti legislativi di
riassetto normativo recanti la disciplina della localizzazione nel territorio
nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti
di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del
combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché dei sistemi per il
deposito definitivo dei materiali e rifiuti radioattivi e per la definizione
delle misure compensative da corrispondere e da realizzare in favore delle
popolazioni interessate».
Questa delega è stata esercitata con il
decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione,
della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di
produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del
combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e
dei rifiuti radioattivi, nonché misure compensative e campagne informative al
pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), numerose
disposizioni del quale sono state oggetto di separati ricorsi, innanzi a questa
Corte, da parte delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Puglia.
L’oggetto dell’attuale giudizio di
legittimità costituzionale resta peraltro circoscritto alle sole disposizioni
recate dalla legge n. 99 del 2009, giacché nel caso di specie la sopravvenuta
normativa delegata non sarebbe, neppure in linea teorica, idonea a superare un
eventuale vizio di costituzionalità che dovesse inficiare le norme di delega:
se queste ultime consentono di attuare la delega in senso conforme a
Costituzione, con ogni evidenza il vizio non sussiste, poiché ogni dubbio in
proposito può e deve essere superato attraverso un’interpretazione
costituzionalmente orientata della legge di delega; se, viceversa, la delega
non rende in alcun modo praticabile una soluzione normativa costituzionalmente
legittima, anche l’eventuale esercizio di essa in forma compatibile con il
dettato costituzionale sarebbe contrario all’art. 76 Cost. e certamente non
farebbe venir meno l’originario vizio in cui fosse incorso il delegante.
È per tale ragione ben possibile
procedere alla decisione dei ricorsi proposti avverso la legge di delega, senza
disporre che essi siano riuniti alle successive impugnative dirette contro il
decreto delegato, come invece richiesto dall’Avvocatura dello Stato
nell’immediata vigilia dell’udienza pubblica.
11.1. – Tali considerazioni tornano
altresì utili, ai fini di vagliare la preliminare eccezione di inammissibilità
formulata dall’Avvocatura dello Stato, con riguardo alle censure relative alle
norme di delega che sono state impugnate: a parere dell’Avvocatura, tali
disposizioni non sarebbero «immediatamente lesive di alcuna prerogativa
regionale», poiché eventuali lacune, in sé pregiudizievoli della posizione
costituzionale delle Regioni, ben potrebbero venire colmate in sede di
esercizio della delega.
Questa Corte, fin dalla sentenza n. 224 del
1990, ha affermato che, in linea di princìpio, la
legge di delega, in quanto atto avente forza di legge, soggiace, ai sensi dell’art.
134 Cost., al controllo di costituzionalità in via principale, di cui, in
particolare, può divenire oggetto, quando sia idonea a «concretare una lesione
attuale dell’autonomia regionale» (sentenze n. 503 del
2000 e n.
359 del 1993).
L’attenzione della Corte deve perciò
cadere, in tali casi, non già sulla natura dell’atto impugnato, di per sé
inequivocabilmente capace di integrare l’ordinamento giuridico con norme
primarie, ma sulla ricorrenza dell’interesse regionale ad impugnarlo: di tale
interesse andrà esclusa la sussistenza, in particolare, ogni volta che il
legislatore delegante abbia determinato princìpi e criteri direttivi tali da
consentire al Governo l’esercizio della funzione legislativa in modo conforme a
Costituzione.
Va, inoltre, aggiunto che anche la legge
di delega soggiace al fondamentale canone dell’interpretazione
costituzionalmente conforme (sentenza n. 292 del
2000), la cui osservanza si impone allo stesso Governo, sicché a radicare
l’interesse regionale al ricorso non sarà sufficiente che essa si presti ad una
lettura lesiva dell’autonomia regionale, ma occorrerà che tale lettura sia
l’unica possibile, pur impegnando ogni strumento interpretativo utile.
A maggior ragione, non determinano
illegittimità costituzionale della delega eventuali omissioni, da parte del
legislatore delegante, nella configurazione dei princìpi e dei criteri
direttivi, pur in sé suscettibili di evolvere in un vulnus costituzionale, ove
le carenze di idonei riferimenti ai princìpi costituzionali non siano colmate
dalla successiva attività di "coerente sviluppo e, se del caso, di
completamento” (ex plurimis,
sentenza n. 98
del 2008) che compete al Governo, ai sensi dell’art. 76 Cost.: infatti,
questa Corte ha già ritenuto «indubitabile che il legislatore delegato, anche
nel silenzio della legge di delega, sia tenuto comunque alla osservanza dei
precetti costituzionali, indipendentemente, dunque, da ogni richiamo che di
essi faccia la norma delegante» (sentenza n. 401 del
2007, punto 5.3 del Considerato in diritto).
Ne segue che l’eccezione di
inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato non può venire ora decisa
in via generale, ma richiede, invece, l’esame del contenuto di ciascuna
disposizione della legge di delega impugnata, al fine di determinare se essa
abbia, oppure no, realizzato una lesione attuale e diretta delle competenze
regionali, secondo i criteri di verifica appena enunciati.
12. – Nei giudizi in via di azione
promossi dalle Regioni l’oggetto del contendere verte sulla individuazione del
titolo di competenza cui ascrivere le disposizioni legislative statali
censurate, nei limiti dei motivi di ricorso. A tale scopo, è necessario avere
riguardo al «nucleo essenziale» delle norme (da ultimo, sentenze n. 52 del
2010 e n.
339 del 2009) da cui si muove per identificare il fascio di interessi che
viene inciso dall’intervento legislativo. Questa Corte ha avuto occasione di
chiarire che nel nuovo titolo V della Parte seconda della Costituzione non
sussiste più «l’equazione elementare interesse nazionale ═ competenza
statale» e che quindi di per sé «l’interesse nazionale non costituisce più un
limite, né di legittimità né di merito, alla competenza legislativa regionale»
(sentenza n. 303
del 2003, punto 2.2 del Considerato in diritto). Ne segue che il riconoscimento del primato di questi
interessi si può affermare solo per
mezzo dell’esercizio degli specifici poteri legislativi statali, che siano
assegnati dalle norme costituzionali attributive di competenze, di tipo sia
concorrente, sia esclusivo, secondo il significato che esse hanno nel comune
linguaggio legislativo e nel vigente ordinamento giuridico.
È, peraltro, noto che la complessità dei
fenomeni sociali su cui i legislatori intervengono si esprime, di regola, in
una fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sarà possibile
isolare un singolo interesse: è, piuttosto, la regola opposta che si ha modo di
rinvenire nella concreta dinamica normativa, ovvero la confluenza nelle leggi o
nelle loro singole disposizioni di interessi distinti, che ben possono
ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e
Regioni.
In tali casi, questa Corte non si può
esimere dal valutare, anzitutto, se una materia si imponga alle altre con
carattere di prevalenza (sentenze n. 50 del
2005 e n.
370 del 2003), ove si tenga presente che, per mezzo di una simile
espressione, si riassume sinteticamente il proprium del giudizio, ovvero
l’individuazione della competenza di cui la disposizione è manifestazione.
Quando non sia possibile concludere nel
senso appena indicato, si verifica un’ipotesi di «concorrenza di competenze» (sentenza n. 50 del
2005), la quale esige di adottare il «canone della leale collaborazione,
che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di
coinvolgimento delle Regioni, a salvaguardia delle loro competenze» (sentenze n. 88 del
2009 e n.
219 del 2005).
Su di un livello distinto da
quest’ultimo, invece, si colloca lo strumento della chiamata in sussidiarietà,
cui lo Stato può ricorrere al fine di allocare e disciplinare una funzione
amministrativa (sentenza
n. 303 del 2003) pur quando la materia, secondo un criterio di prevalenza,
appartenga alla competenza regionale concorrente, ovvero residuale: questa
Corte ha affermato a tal proposito che «perché nelle materie di cui all’art.
117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente
attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso
regolarne l’esercizio, è necessario che essa innanzi tutto rispetti i princìpi
di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza nella allocazione delle
funzioni amministrative, rispondendo ad esigenze di esercizio unitario di tali
funzioni. È necessario, inoltre, che tale legge detti una disciplina
logicamente pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni,
e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tale fine. Da
ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure che assicurino la
partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale
collaborazione o, comunque, deve prevedere adeguati meccanismi di cooperazione
per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli
organi centrali. Quindi, con riferimento a quest’ultimo profilo, nella
perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più
in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto
previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – la
legislazione statale di questo tipo può aspirare a superare il vaglio di
legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un
iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di
coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in
base al principio di lealtà» (sentenza n. 6 del
2004 punto 7 del Considerato in diritto).
Applicando tali princìpi al caso di
specie, appare anzitutto evidente che le disposizioni impugnate incidono
essenzialmente sugli interessi relativi alla materia concorrente della
produzione dell’energia, poiché esprimono la scelta del legislatore statale di
rilanciare l’importante forma di approvvigionamento energetico costituita dalla
utilizzazione dell’energia nucleare e quindi di adottare nuovi princìpi
fondamentali, adeguati alle evidenti specificità di questo settore. Non merita,
invece, accoglimento, il rilievo, ampiamente svolto dall’Avvocatura dello
Stato, secondo cui le peculiarità proprie della fonte nucleare, anche con
riguardo ai profili del «cambiamento climatico, della sicurezza
dell’approvvigionamento e della competitività del sistema produttivo»,
imporrebbero di riconoscere in materia la confluenza di una serie di competenze
legislative esclusive dello Stato, con la conseguente sottrazione della
disciplina del settore alla materia
della produzione dell’energia: infatti, una scelta del genere non solo non
trova riscontro nell’art. 117, terzo comma, Cost., che non reca affatto tale
distinzione, ma viene anche smentita dal significato assunto dall’espressione
"energia” nell’ambito della stessa legislazione ordinaria.
Fin dall’art. 1 della legge 6 dicembre
1962, n. 1643 (Istituzione dell’Ente nazionale per la energia elettrica e
trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche),
infatti, il legislatore ha disciplinato le attività di produzione, importazione
ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita
dell’energia elettrica «da qualsiasi fonte prodotta», in tal modo evidenziando
che l’origine nucleare non valeva a mutarne il comune genus
energetico. Si è, certamente, fatto ricorso ad una disciplina speciale che
rispondesse alle particolari esigenze di protezione dell’ambiente e della salute
implicate dalla scelta nucleare, segnatamente dapprima con la legge 31 dicembre
1962, n. 1860 (Impiego pacifico dell’energia nucleare) e poi con la legge 2
agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle centrali elettronucleari
e sulla produzione e sull’impiego di energia elettrica), ma sempre partendo dal
presupposto, reso evidente dal titolo stesso degli interventi normativi appena
citati, di legiferare in materia di "energia”. Più recentemente, l’art. 28 del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del
capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) ha stabilito che «le funzioni
amministrative relative alla materia "energia” concernono le attività di
ricerca, produzione, trasporto e distribuzione di qualunque forma di energia»,
mentre, sul piano dell’organizzazione amministrativa, il decreto legislativo 3
settembre 2003, n. 257 (Riordino della disciplina dell’Ente per le nuove
tecnologie, l’energia e l’ambiente – Enea, a norma dell’articolo 1 della L. 6
luglio 2002, n. 137) ha attribuito all’ormai soppresso Enea, Ente per le nuove
tecnologie, l’energia e l’ambiente, compiti attinenti allo stesso settore
nucleare, in quanto normativamente riconducibile al campo delle politiche
energetiche.
Un tale assetto normativo ha consentito,
infine, a questa Corte di affermare che «l’espressione utilizzata nel terzo
comma dell’art. 117 Cost. deve ritenersi corrispondente alla nozione di
"settore energetico” di cui alla legge n. 239 del 2004, così come alla nozione
di "politica energetica nazionale” utilizzata dal legislatore statale nell’art.
29 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che era esplicitamente comprensiva di "qualunque forma di energia”» (sentenza n. 383 del
2005, punto 13 del Considerato in diritto).
Da ultimo, si è ribadita tale
conclusione con riferimento all’art. 7 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
che, nel definire la strategia energetica nazionale, vi ha significativamente
incluso la «realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di
energia nucleare»: anche in tal caso, questa Corte ha ascritto la disposizione
al "settore energetico”, vale a dire alla competenza concorrente in materia di
energia (sentenza
n. 339 del 2009).
Né, infine, può omettersi che il comma 1
dell’art. 25 della legge n. 99 del 2009 si riferisce ad «impianti di produzione
di energia elettrica nucleare» e che nel titolo del d.lgs. n. 31 del 2010, il
legislatore delegato si esprime
analogamente.
Non vi è dubbio, nel contempo, che, in
linea generale, un organico intervento normativo di disciplina del processo di
produzione dell’"energia elettrica nucleare” solleciti, unitamente a quelli
energetici, ulteriori interessi, in parte imputabili a titoli di competenza
concorrente ed, in parte significativa, anche a titoli di competenza esclusiva
dello Stato.
Quanto al primo profilo è infatti
consolidata giurisprudenza costituzionale che «tutto ciò che attiene all’uso
del territorio e alla localizzazione di impianti o attività» costituisca
«governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n. 307 del
2003), mentre va rammentato che la «tutela della salute» è materia che può
ricomprendere norme idonee a preservare con carattere di uniformità un bene
«che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni
differenziate» (sentenza
n. 361 del 2003; in seguito, sentenza n. 63 del
2006).
Quanto al secondo profilo, emerge con
particolare evidenza la competenza relativa alla tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
notoriamente soggetti al rischio di gravi alterazioni, al pari dell’integrità
fisica dei consociati, ove si verifichino incidenti agli impianti, anche in
ragione di errori nell’attività di pianificazione, installazione e gestione
delle centrali nucleari. La rilevanza dell’interesse ambientale (così come
dell’interesse relativo alla tutela della salute) è, del resto, agevolmente
ricavabile, alla luce della normativa comunitaria ed internazionale concernente
l’energia nucleare: si tratta, per ricordare i soli atti normativi più
significativi, del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità
europea dell’energia atomica-Euratom), della
direttiva 25 giugno 2009, n. 2009/71/Euratom
(Direttiva del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza
nucleare degli impianti nucleari), della legge 19 gennaio 1998, n. 10 (Ratifica
ed esecuzione della convenzione sulla sicurezza nucleare, fatta a Vienna il 20
settembre 1994).
Va subito chiarito che, contrariamente a
quanto ritenuto dall’Avvocatura dello Stato, tale normativa non pregiudica la
discrezionalità dello Stato italiano nello «stabilire il proprio mix energetico
in base alle politiche nazionali in materia» (punto 9 del Considerando della
direttiva n. 2009/71/Euratom). Essa invece, per
quanto qui interessa, impone, solo una volta che il legislatore nazionale abbia
optato per l’energia atomica, nella misura ritenuta opportuna, misure e
standard di garanzia «per la protezione della popolazione e dell’ambiente
contro i rischi di contaminazione» (punto 5 dell’appena citato Considerando).
Nello stesso senso, l’art. 17 della Convenzione sulla sicurezza nucleare di
Vienna, resa esecutiva con la già menzionata legge n. 10 del 1998, ed alla
quale ha aderito la stessa Comunità europea dell’energia atomica, esige, in
punto di localizzazione degli impianti, la valutazione del «probabile impatto
che un impianto nucleare previsto potrebbe avere dal punto di vista della
sicurezza degli individui, sulla società e sull’ambiente» e perciò, secondo
quanto ritenuto dalla Corte di giustizia nella sentenza relativa alla causa 29/1999
del 10 dicembre 2002, «comprende necessariamente la presa in considerazione di
fattori relativi alla radioprotezione, come le caratteristiche demografiche del
sito».
Va detto, tuttavia, che le ricorrenti
non hanno censurato l’art. 25, comma 2, lettera b), della legge impugnata, al
quale è affidata la delega in punto di «definizione di elevati livelli di
sicurezza dei siti, che soddisfino le esigenze di tutela della salute della
popolazione e dell’ambiente», sicché è con precipuo riferimento a siffatta
disposizione, estranea all’oggetto del contendere, che il legislatore delegato
avrà titolo per introdurre gli adeguati livelli di garanzia, anche con
riferimento alle scelte di localizzazione ed ai criteri di insediamento degli
impianti.
Sulla base di tali rilievi, si può
concludere che l’art. 25, comma 2, lettere g) e h), nella parte in cui
disciplina la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di
energia elettrica nucleare; l’art. 25, comma 2, lettera f), nella parte in cui
appronta garanzie di tipo sostitutivo, per superare il mancato raggiungimento
delle necessarie intese con gli enti locali coinvolti nel procedimento di
autorizzazione unica; ed infine l’art. 26, comma 1, nella parte in cui reca
criteri per la definizione delle tipologie degli impianti di produzione, siano
disposizioni attribuibili, con carattere di prevalenza, alla materia della
produzione dell’energia, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., giacché con
esse il legislatore ha concretizzato normativamente l’intento non solo di
riavviare l’approvvigionamento energetico da fonte nucleare, ma al contempo di
favorirne un rapido sviluppo, attraverso le tappe che conducono alla
autorizzazione unica, da rilasciare su istanza del soggetto richiedente.
Diversamente si deve ritenere, con
riferimento all’art. 25, comma 2, lettere g) e h), nella parte in cui
disciplina la costruzione e l’esercizio di impianti per la messa in sicurezza
dei rifiuti radioattivi e per lo smantellamento di impianti nucleari a fine
vita: in tale settore, cessata la preponderanza degli interessi connessi alla
produzione dell’energia, si pone la necessità, dai primi distinta, di
assicurare un idoneo trattamento delle scorie radioattive. Questa Corte ha già
affermato, in tal caso, che «la competenza statale in tema di tutela
dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è tale da
offrire piena legittimazione ad un intervento legislativo volto a realizzare un
impianto necessario per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi» (sentenza n. 62 del
2005, punto 15 del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n.
247 del 2006), purché, nel rispetto della convergente competenza concorrente in
tema di governo del territorio, «siano adottate modalità di attuazione degli
interventi medesimi che coinvolgano, attraverso opportune forme di
collaborazione, le Regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a
realizzarsi» (sentenza
n. 62 del 2005, punto 16 del Considerato in diritto).
Anche l’art. 25, comma 2, lettera a),
recante la previsione della possibilità di dichiarare i siti aree di interesse
strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione,
eccede i limiti della materia energetica, per ricadere piuttosto nella sfera di
competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ordine pubblico e della
sicurezza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., poiché, come
si preciserà a breve, viene in tal caso in gioco la necessità di prevenire la
commissione di reati, dagli effetti potenzialmente esiziali, in prossimità
dell’area ove si produce l’energia elettrica nucleare o dove le scorie
radioattive sono conservate.
Ciò detto, la riconduzione delle
disposizioni impugnate ai predetti ambiti di competenza consente di escludere
che abbiano rilievo in causa sia la potestà legislativa residuale regionale,
genericamente invocata dalle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Liguria, e
richiamata con riferimento al turismo dalle Regioni Toscana e Calabria, sia la
potestà concorrente relativa alla protezione civile (Regione Lazio) e alla
valorizzazione dei beni culturali e ambientali (Regioni Toscana e Calabria).
Parimenti prive di rilievo sono le
competenze esclusive statali indicate dall’Avvocatura dello Stato, in
riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) e d), Cost. Come si è
innanzi rimarcato, il diritto comunitario e le convenzioni internazionali, cui
l’Italia ha aderito, prescrivono, con riferimento alla fonte energetica
nucleare e, per quanto qui interessa, talune condizioni minime di sicurezza,
volte a proteggere la salute e l’ambiente, ma non interferiscono con l’assetto
delle competenze costituzionali di Stato e Regioni, in ordine alle procedure
specificamente disciplinate dalle norme impugnate (sentenze n. 398 del
2006, n. 336
del 2005 e n.
126 del 1996). Tanto meno se ne può ricavare, come parrebbe ritenere
l’Avvocatura dello Stato, un obbligo di contenuto concernente l’an ed il quando del programma nazionale di produzione
dell’energia atomica, posto che assume, semmai, rilievo, in tale prospettiva,
il quomodo
di un siffatto programma. Né si vede quale rapporto possa esservi tra la
"sicurezza dello Stato”, ovvero l’area normativa che protegge sovranità,
integrità ed indipendenza della Repubblica, e le procedure di installazione di
impianti nucleari aventi finalità di approvvigionamento energetico.
Una volta inquadrate le disposizioni
impugnate negli ambiti di competenza sopra indicati, diviene possibile
procedere allo scrutinio delle specifiche censure mosse dalle ricorrenti.
13. – L’art.
25, comma 2, lettere g) e h), della legge impugnata reca i
seguenti princìpi e criteri direttivi:
«g) previsione che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di
energia elettrica nucleare e di impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti
radioattivi o per lo smantellamento di impianti nucleari a fine vita e tutte le
opere connesse siano considerati attività di preminente interesse statale e,
come tali, soggette ad autorizzazione unica rilasciata, su istanza del soggetto
richiedente e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, con
decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti»;
«h)
previsione che l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un
procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni interessate, svolto
nel rispetto dei princìpi di semplificazione e con le modalità di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241;
l’autorizzazione deve comprendere la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità e urgenza delle opere, l’eventuale dichiarazione di
inamovibilità e l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio dei beni in
essa compresi; l’autorizzazione unica sostituisce ogni provvedimento
amministrativo, autorizzazione, concessione, licenza, nulla osta, atto di
assenso e atto amministrativo, comunque denominati, ad eccezione delle
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di valutazione
ambientale strategica (VAS) cui si deve obbligatoriamente ottemperare, previsti
dalle norme vigenti, costituendo titolo a costruire ed esercire le
infrastrutture in conformità del progetto approvato».
La lettera g) è impugnata da tutte le ricorrenti, mentre la lettera h) è censurata dalle sole Regioni
Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria.
La censura svolta da tutte le
ricorrenti, in relazione agli artt. 117, terzo comma, Cost. (energia, governo
del territorio), 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione consiste nel
denunciare l’accentramento in capo allo Stato della funzione amministrativa
relativa al rilascio della autorizzazione unica per mezzo di chiamata in
sussidiarietà, in assenza della cosiddetta intesa forte con ciascuna Regione
interessata. Non sarebbe sufficiente, infatti, né la prevista intesa con la
Conferenza unificata, il cui intervento non potrebbe avere carattere
surrogatorio rispetto a quello della singola Regione, né la partecipazione
dell’amministrazione regionale al procedimento unico previsto dalla lettera h), posto che esso non attribuisce alla
Regione la posizione differenziata che le spetterebbe in ordine alla scelta
sulla localizzazione dell’impianto nell’ambito del proprio territorio. La Corte
dovrebbe pertanto dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato
disposto delle lettere g) e h), nella parte in cui non vi si prevede
l’intesa forte con la Regione interessata.
Non viene, pertanto, posta in
discussione né la scelta operata dal legislatore nazionale di rilancio della
fonte nucleare, la quale esprime con ogni evidenza un princìpio
fondamentale della produzione dell’energia, né la sussistenza delle condizioni
che legittimano la chiamata in sussidiarietà, ma si contesta il difetto di un
idoneo coinvolgimento regionale, conseguente a tale attrazione di competenza.
L’eccezione di inammissibilità formulata
dall’Avvocatura dello Stato, con riguardo al carattere prematuro dell’impugnativa
regionale, è fondata.
Le ricorrenti muovono dalla erronea
premessa, secondo cui le disposizioni impugnate, nel prevedere espressamente
una duplice forma di partecipazione del sistema regionale all’esercizio della
funzione amministrativa chiamata in sussidiarietà, con ciò imporrebbero di
escluderne una terza ritenuta costituzionalmente necessaria, ovvero l’intesa
con la Regione interessata, ai fini della localizzazione, nel dettaglio, del
sito nucleare.
Tuttavia, il silenzio del legislatore
delegante in proposito non ha, né può avere alla luce della doverosa
interpretazione costituzionalmente conforme della delega, il significato
impediente paventato dalle ricorrenti. È oramai princìpio
acquisito nel rapporto tra legislazione statale e legislazione regionale che
quest’ultima possa venire spogliata della propria capacità di disciplinare la
funzione amministrativa attratta in sussidiarietà, a condizione che ciò si
accompagni alla previsione di un’intesa in sede di esercizio della funzione,
con cui poter recuperare un’adeguata autonomia, che l’ordinamento riserva non
già al sistema regionale complessivamente inteso, quanto piuttosto alla
specifica Regione che sia stata privata di un proprio potere (sentenze n. 383
e n. 62 del 2005,
n. 6 del 2004
e n. 303 del
2003).
Ciò ovviamente a prescindere dalla
necessità di una puntuale disciplina legislativa delle modalità di esercizio
dell’intesa e delle eventuali procedure per ulteriormente ricercarla in caso di
diniego o comunque per supplire alla sua carenza, come anche questa Corte ha
auspicato (sentenza
n. 383 del 2005, n. 20 del Considerato in diritto).
Quindi, in queste situazioni il
coinvolgimento delle Regioni interessate si impone con forza immediata e
diretta al legislatore delegato, ove intenda esercitare la funzione
legislativa. Certamente, il legislatore è poi libero, e talvolta anche
obbligato costituzionalmente, nell’attività di ulteriore rafforzamento delle
istanze partecipative del sistema regionale e degli enti locali, per la quale,
quando l’interesse in gioco non sia accentrato esclusivamente in capo alla
singola Regione, ben si presta l’intervento della Conferenza Stato-Regioni e
della Conferenza Stato - città ed autonomie locali. È per l’appunto in tale
ultima direzione che devono leggersi sia la previsione recata dalla lettera g)
impugnata, con riguardo all’intesa in sede di Conferenza unificata, sia la prevista
partecipazione delle amministrazioni interessate, tra cui senza dubbio quella
regionale, al procedimento unico di cui alla lettera h).
Ma, una volta chiarito in tal modo lo
scopo perseguito dal legislatore delegante, in nessun caso esso si rivela incompatibile
con la doverosa integrazione della delega, in punto di partecipazione della
Regione interessata, per mezzo dell’intesa.
Pertanto, le questioni relative all’art.
25, comma 2, lettere g) e h), sono inammissibili.
14. – L’art. 25, comma 2, lettera f),
della legge impugnata reca il seguente principio e criterio direttivo:
«determinazione delle modalità di
esercizio del potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento
delle necessarie intese con i diversi enti locali coinvolti, secondo quanto
previsto dall’articolo 120 della Costituzione».
Tale disposizione è impugnata dalle
Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Toscana e Lazio.
Le ricorrenti sviluppano analoghe
censure: ove la disposizione si ritenga applicabile alle intese raggiunte con
la Regione, sarebbe lesiva degli artt. 117, 118 e 120 Cost. e del principio di
leale collaborazione (solo la Regione Lazio non richiama quest’ultimo
parametro) la previsione di un potere sostitutivo del Governo atto a superare
il mancato raggiungimento dell’intesa, non solo quando la Regione resti inerte,
ma anche quando abbia espresso un motivato dissenso. Né l’adesione all’intesa
potrebbe considerarsi atto «dovuto o necessario» ai sensi dell’art. 8 della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che disciplina in
termini generali l’esercizio del potere di cui all’art. 120, secondo comma,
Cost. Tale ultima disposizione sarebbe altresì violata, poiché la legge di
delega introdurrebbe un’ipotesi di potere sostitutivo ad essa non conforme.
Le sole Regioni Emilia-Romagna ed Umbria
aggiungono che, se anche riferita ai soli enti locali, la norma sarebbe
comunque lesiva delle prerogative regionali, poiché consentirebbe l’esercizio
del potere sostitutivo allo Stato, senza alcun coinvolgimento della Regione
interessata, e per di più configurerebbe ipotesi di intese tra Stato ed enti
locali, cui la Regione resterebbe estranea.
14.1. – L’Avvocatura dello Stato avanza
tre eccezioni di inammissibilità, che non sono fondate.
Anzitutto, si contesta che le ricorrenti
prospettino una questione astratta, giacché non sciolgono il dubbio
interpretativo se la norma si applichi anche alle intese con la Regione, o alle
sole intese con gli enti locali propriamente detti: tuttavia, è noto che nel
giudizio principale possono porsi questioni cautelative ed ipotetiche, purché
non implausibili (da ultimo, ordinanza n. 342 del
2009). Nel caso di specie, i dubbi interpretativi delle ricorrenti non
vanno oltre i margini della plausibilità, poiché la sola intesa che la legge di
delega espressamente prevede si raggiunge in sede di Conferenza unificata, ed
attinge in tal modo il sistema regionale.
In secondo luogo, si eccepisce che le
Regioni non potrebbero attivarsi, per difendere l’autonomia degli enti locali.
Ora, a prescindere dal fatto che questa Corte ha affermato l’opposto, «in
particolare in materia urbanistica e in tema di finanza regionale e locale» (sentenza n. 196 del
2004, punto 14 del Considerato in diritto; in
seguito, sentenza
n. 120 del 2008), la sintesi appena compiuta delle doglianze delle
ricorrenti rende palese che esse si sono mosse a tutela non già dell’ente
locale sostituito, ma esclusivamente delle proprie prerogative costituzionali.
Infine, viene riproposta l’eccezione di inammissibilità,
concernente il carattere prematuro ed ipotetico delle doglianze. Essa, in tal
caso, va disattesa, poiché, ove si ammettesse che la norma impugnata si
applichi alle intese con le Regioni, la delega sarebbe già del tutto univoca
circa l’introduzione di un potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120 Cost., in
caso di mancato raggiungimento dell’intesa, ciò che appunto costituisce
l’oggetto della questione posta a questa Corte.
14.2. – Nel merito, la prima censura non
è fondata, poiché si basa sull’erroneo presupposto interpretativo, per il quale
la disposizione impugnata si applicherebbe alle intese con le Regioni: infatti,
nel vigente assetto istituzionale della Repubblica, la Regione gode di una
particolare posizione di autonomia, costituzionalmente protetta, che la
distingue dagli enti locali (art. 114 Cost.), sicché si deve escludere che il
legislatore delegato abbia potuto includere le Regioni nella espressione
censurata (sentenza
n. 20 del 2010).
14.3. – Quanto, poi, alla separata
censura, mossa dalle sole Regioni Emilia-Romagna e Umbria, secondo cui
illegittimamente la Regione sarebbe esclusa dall’esercizio del potere
sostitutivo riferito ai soli enti locali che insistono sul territorio
regionale, essa è inammissibile dal momento che – analogamente a quanto prima
rilevato a proposito delle censure relative alle lettere g) ed h) dell’art. 25 –
la sommarietà della delega legislativa
sul punto non ha, né può avere, alla luce della doverosa interpretazione
costituzionalmente conforme della delega, il significato di precludere
l’introduzione di forme partecipative della Regione nell’esercizio del potere
sostitutivo da parte del Governo, fermo restando, altresì, che l’eventuale raggiungimento
di un’intesa tra Stato ed enti locali, cui la Regione non abbia preso parte, in
nessun modo potrebbe surrogarsi alle intese costituzionalmente dovute tra Stato
e Regioni, così da ledere le prerogative di queste ultime.
14.4. – Pertanto, le questioni relative
all’art. 25, comma 2, lettera f), nel
primo caso non sono fondate e nel secondo sono inammissibili.
15. – L’art. 25, comma 2, lettera a),
della legge impugnata reca il seguente princìpio e
criterio direttivo:
«previsione della possibilità di
dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali
forme di vigilanza e protezione».
Tale disposizione è impugnata dalle
Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Liguria.
L’eccezione di inammissibilità delle
censure, riproposta dall’Avvocatura dello Stato in ragione del preteso
carattere ipotetico di esse, a prescindere dalla sua fondatezza, merita in tal
caso di essere superata dall’assorbente rilievo relativo alla evidente
infondatezza, per tale parte, dei ricorsi.
Va detto che le ricorrenti non
condividono la medesima premessa interpretativa, in relazione alla disposizione
impugnata. Infatti, le Regioni Toscana e Marche sostengono che essa
costituirebbe il fondamento normativo della potestà statale di localizzare gli
impianti nucleari, e si porrebbe perciò in contrasto con gli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione, disponendo
una chiamata in sussidiarietà, in difetto di intesa con la Regione interessata.
Tale interpretazione dell’art. 25, comma
2, lettera a), della legge delega non ha fondamento.
Appare infatti chiaro, fin dal contenuto
letterale della norma, che il legislatore delegato non ha inteso qui
disciplinare la fase di individuazione del sito, della quale si è invece
occupato formulando le lettere g) e h) della medesima disposizione, ma la sola
eventualità che, a sito prescelto, esso possa acquisire il particolare status
di area soggetta a vigilanza e protezione.
Le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e
Liguria, pur non condividendo l’interpretazione cui sono pervenute le altre
ricorrenti, stimano, tuttavia, che la norma impugnata si presterebbe a
giustificare misure protettive eccedenti l’ambito della competenza statale in
materia di ordine pubblico e sicurezza, per sconfinare sul terreno del governo
del territorio. Ciò comporterebbe la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in ragione della mancata previsione che tali misure siano adottate,
previa intesa con le Regioni o la Regione interessata, e che l’intesa si
estenda fino alla selezione dell’area.
Questa Corte ritiene privo di fondamento
anche tale ultimo presupposto interpretativo. Come si è già anticipato, non vi
è dubbio che l’art. 117, secondo, comma, lettera h), Cost. giustifichi una
disciplina statale finalizzata alla prevenzione dei reati e al mantenimento
dell’ordine pubblico (sentenze n. 383 del
2005 e n. 6
del 2004), con particolare riferimento ai siti ove viene trattata l’energia
nucleare, ovvero dove sono depositati i rifiuti radioattivi, attesi i gravi
rischi che notoriamente conseguono ad un indebito trattamento di tali fonti e
di tali materiali. In un simile contesto, la disposizione impugnata rimette
allo svolgimento normativo di spettanza del legislatore delegato la più
puntuale determinazione del contenuto delle misure necessarie, le quali
assumeranno forme corrispondenti alla ragione giustificatrice che si è appena
evidenziata. Ove, invece, tali misure venissero a compromettere una sfera di
competenza assegnata alle Regioni, non mancheranno a quest’ultime gli strumenti
giurisdizionali per far valere le proprie prerogative, se del caso anche
innanzi a questa Corte.
Quanto, poi, alla selezione dell’area di
interesse strategico nazionale, una volta chiarito l’ambito applicativo della
norma di delega, ed anche ammesso in via meramente ipotetica che essa sia più
ampia della porzione di territorio ove l’impianto è collocato, deve ritenersi
che la Regione non abbia titolo per concorrere all’esercizio di una funzione
corrispondente ad un ambito di potestà esclusiva statale, che, nel rispetto
dell’art. 118 Cost., sia stata allocata dalla legge nazionale presso organi centrali
(sentenze n. 15
del 2010 e n.
88 del 2009).
Le questioni relative all’art. 25, comma
2, lettera a), della legge impugnata sono, per tali ragioni, non fondate.
16. – L’art. 26, comma 1, della legge
impugnata stabilisce che «con delibera del CIPE, da adottare entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere della
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dello
sviluppo economico, sentito il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, sentite le Commissioni parlamentari competenti, sono
definite le tipologie degli impianti per la produzione di energia elettrica
nucleare che possono essere realizzati nel territorio nazionale. La Conferenza
unificata si esprime entro sessanta giorni dalla richiesta, trascorsi i quali
il parere si intende acquisito».
Tale disposizione è censurata dalle
Regioni Marche, Basilicata, Lazio, Emilia-Romagna e Umbria.
Le Regioni ritengono che la norma
attenga a materia oggetto di potestà legislativa ripartita, e, nello specifico,
alla produzione dell’energia, secondo Emilia-Romagna, Umbria, Marche; al
governo del territorio, secondo Emilia-Romagna, Lazio, Basilicata; alla tutela
della salute, secondo Lazio e Basilicata: pertanto, ove essa prevedesse una
potestà di tipo regolamentare, sarebbe violato l’art. 117, sesto comma, Cost.,
che riserva alle Regioni la potestà regolamentare in tali materie, come
denunciano le Regioni Emilia-Romagna, Umbria, Marche. Se invece si trattasse di
una funzione amministrativa chiamata in sussidiarietà, la norma sarebbe
illegittima, con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., ed al
principio di leale collaborazione, nella parte in cui prevede il parere,
anziché l’intesa, con la Conferenza unificata, come paventato dalle Regioni
Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lazio e Basilicata, e nella parte in cui non
prevede, altresì, l’intesa con ciascuna Regione interessata con riguardo alla
scelta della «tipologia dello specifico impianto in uno specifico luogo», come
aggiungono Emilia-Romagna ed Umbria.
In via preliminare, va dichiarata non
fondata l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, relativa
alla circostanza per cui talune ricorrenti prospettano due interpretazioni
alternative della norma impugnata, stante la già rammentata ammissibilità di
questioni interpretative, purché non prive di plausibilità, nel giudizio
principale: nel nostro caso, il dubbio concernente la natura del potere
attribuito al CIPE, che il legislatore delegante non risolve espressamente,
rientra entro i limiti di tolleranza appena enunciati.
Esso, peraltro, va sciolto nel senso di
escludere che la norma impugnata abbia conferito al CIPE una potestà
regolamentare. Attesa la ripartizione operata dall’art. 117 Cost. di tale
potestà tra Stato e Regioni, secondo un criterio obiettivo di corrispondenza
delle norme prodotte alle materie ivi indicate, non possono essere requisiti di
carattere formale, quali il nomen iuris
e la difformità procedimentale rispetto ai modelli di regolamento disciplinati
in via generale dall’ordinamento, a determinare di per sè
l’esclusione dell’atto dalla tipologia regolamentare, giacché, in tal caso,
sarebbe agevole eludere la suddivisione costituzionale delle competenze,
introducendo nel tessuto ordinamentale norme secondarie, surrettiziamente rivestite
di altra forma, laddove ciò non sarebbe consentito. Nel caso di specie,
tuttavia, la potestà affidata al CIPE non comporta la produzione di norme
generali ed astratte, con cui si disciplinino i rapporti giuridici, conformi
alla previsione normativa, che possano sorgere nel corso del tempo. Essa,
invece, esprime una scelta di carattere essenzialmente tecnico, con cui
l’amministrazione persegue la cura degli interessi pubblici a essa affidati
dalla legge, individuando le tipologie di impianti idonee, in concreto e con un
atto, la cui sfera di efficacia si esaurisce e si consuma entro i limiti,
obiettivi e temporali, della scelta stessa.
Si è pertanto in presenza dell’esercizio
di una funzione amministrativa, rispetto al quale non è
conferente l’art. 117, sesto comma, Cost. Viene invece in rilievo, come
anticipato, l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla competenza
concorrente in materia di energia: la legge delega, in ragione di un interesse
all’esercizio unitario della funzione che nessuna delle ricorrenti ha reso
oggetto di censura, ne ha disposto la attrazione in sussidiarietà, limitandosi,
tuttavia, a prevedere il parere della Conferenza unificata, anziché l’intesa.
Il primo profilo da porre in evidenza, a
tal proposito, concerne l’estraneità del contenuto precettivo della norma
rispetto alla fase di realizzazione del singolo impianto, che trova la propria
disciplina, invece, nelle lettere g)
e h) dell’art. 25, comma 2, della
legge impugnata. Sarà dunque in quest’ultima sede che dovranno trovare
soddisfazione le esigenze partecipative di ciascuna Regione interessata,
secondo quanto già precisato. Le Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, in altri
termini, attribuiscono alla disposizione impugnata un’applicazione più ampia di
quanto essa non abbia. L’art. 26, comma 1, infatti, disciplina la sola fase
preliminare di selezione, in linea astratta, delle tipologie di impianti
realizzabili dai soggetti richiedenti, mentre tace con riguardo alla scelta
dello specifico impianto da realizzare in concreto, sia pure sulla base della
delibera del CIPE. Quest’ultima opzione rientra a tutti gli effetti, come si è
detto, nell’ambito del procedimento di autorizzazione unica retto dall’art. 25,
comma 2, lettera g) e h), in relazione alla «istanza del
soggetto richiedente», e per tale via si offre alla codeterminazione dell’atto
da parte della Regione interessata, una volta che il legislatore delegato abbia
provveduto ad introdurre la relativa intesa.
Ciò detto, resta da ponderare
l’adeguatezza dello strumento partecipativo prescelto dalla legge delega,
ovvero del parere, anziché dell’intesa con la Conferenza unificata.
In linea di principio, è affermazione di
questa Corte che la chiamata in sussidiarietà possa «superare il vaglio di
legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto
le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverossia le intese,
che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del
2003, punto 2.2 del Considerato in
diritto).
Tale principio è destinato ad operare
senza eccezione alcuna laddove l’attrazione in sussidiarietà della funzione,
accompagnandosi all’attribuzione alla legge nazionale della potestà di
disciplinare fattispecie altrimenti di competenza regionale, implica
un’alterazione dell’ordinario rapporto tra processo di integrazione politica
affidato allo Stato e processo di integrazione politica proprio del sistema regionale,
con l’effetto che il nucleo fondante di una decisione espressiva di
discrezionalità legislativa si trova collocato interamente entro la prima
sfera, e viene sottratto alla seconda. In presenza di un tale effetto, ed al
fine di assicurare l’emersione degli interessi intestati dalla Costituzione
all’autonomia regionale, la legge statale deve garantire la riespansione
delle capacità decisionali della Regione interessata, per mezzo di una
paritaria codeterminazione dell’atto, non superabile per mezzo di una
iniziativa unilaterale di una delle parti (sentenza n. 383 del
2005).
Altro discorso va invece svolto con riguardo
al caso, che ricorre con riferimento alla disposizione impugnata, in cui la
legge statale, in materia di competenza concorrente, attribuisce la funzione
amministrativa, di cui va assicurato l’esercizio unitario ai sensi dell’art.
118 Cost., ad un organo centrale, laddove essa sia caratterizzata da una natura
eminentemente tecnica, che esige, in quanto tale, scelte improntate
all’osservanza di standard e
metodologie desunte dalle scienze. Per tale evenienza, questa Corte ha già
affermato che «il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni può limitarsi all’espressione di un parere obbligatorio» (sentenza n. 285
del 2005, punto 9 del Considerato in
diritto).
L’art. 26, comma 1, risponde appunto
alla necessità che la selezione delle tipologie ammissibili di impianti
nucleari sia governata secondo criteri tecnici di efficacia e sicurezza,
affinché la successiva individuazione della struttura compatibile con simile
preliminare scrematura sia svolta (nel corso della fase di concreta allocazione
di essa, cui dovrà partecipare ciascuna Regione interessata), sulla base di
tale comune, e necessaria garanzia. Tale disposizione, così interpretata, si
sottrae per tali motivi alle censure mosse, sicché le questioni relative
all’art. 26, comma 1, della legge impugnata vanno dichiarate non fondate.
17. – Esaurita la trattazione delle
censure concernenti il settore dell’energia nucleare, possono esaminarsi le
doglianze relative all’art. 27, comma 27, della legge impugnata. Tale
disposizione stabilisce che «agli impianti di produzione di energia elettrica
alimentati con carbon fossile di nuova generazione, se allocati in impianti
industriali dismessi, nonché agli impianti di produzione di energia elettrica a
carbon fossile, qualora sia stato richiesto un aumento della capacità
produttiva, si applicano, alle condizioni ivi previste, le disposizioni di cui
all’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33». A propria volta, l’art. 5-bis
del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori
industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e
rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito, con
modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, a suo tempo non impugnato in
via principale, prevede che «per la riconversione degli impianti di produzione
di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di
consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede
in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che
prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione
assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto
ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1,
4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti
in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto».
Le Regioni Piemonte, Umbria e Liguria
ritengono che la disposizione impugnata leda l’art. 117, terzo comma, Cost.,
con riferimento alle materie dell’energia, del governo del territorio e, quanto
alle sole Umbria e Liguria, della tutela della salute. Essa, infatti,
costituirebbe norma dettagliata, tale da impedire qualsivoglia sviluppo
ulteriore da parte del legislatore regionale.
Le Regioni Umbria e Liguria aggiungono
che, derogando ad ogni limite di localizzazione, si produrrebbe l’effetto di
vanificare il procedimento di intesa previsto dall’art. 1, comma 2, del
decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza
del sistema elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, dalla legge 9
aprile 2002, n. 55, al fine della costruzione e dell’esercizio degli impianti
energetici indicati dal comma 1 della medesima disposizione, poiché la Regione
non avrebbe più titolo per farvi valere «quei valori di ordine territoriale, di
tutela della salute, ambientali, turistici, ecc.», ai quali è preordinata la
legislazione. Si tratta di una censura niente affatto «ipotetica», come invece
ritiene l’Avvocatura dello Stato, giacché paventa in modo univoco la
spoliazione del potere regionale di interloquire in sede di intesa con
l’Amministrazione statale, in ragione della deroga alla normativa urbanistica
regionale.
17.1. – La questione non è fondata, per
le considerazioni che seguono.
La disposizione impugnata, al fine di
contenere, per quanto possibile, l’emissione nell’ambiente di sostanze
inquinanti, appresta una disciplina di favore con riguardo all’insediamento sul
territorio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati con
carbon fossile, prevedendo che, alla condizione di limitare, nella misura
indicata dall’art. 5-bis del decreto-legge n. 5 del 2009, il pregiudizio ambientale
connesso a tale fonte di energia, vi si possa procedere «in deroga alle vigenti
disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di
localizzazione territoriale».
Sul piano delle competenze, la finalità
di contenimento del pregiudizio ambientale, comunque correlato agli impianti da
carbon fossile, si innesta su una previsione diretta ad incidere su interessi
attribuibili alle materie concorrenti della produzione di energia e del governo
del territorio: si è, infatti, compiuta una scelta di promozione di una
particolare fonte energetica, per mezzo di uno strumento, la deroga ai limiti
legislativi di localizzazione, che chiaramente fa leva sull’assetto urbanistico
del territorio.
A concludere per la natura dettagliata
della norma, tuttavia, non aiuta il carattere derogatorio che essa riveste,
poiché, in linea generale, è ben possibile attribuire alla potestà legislativa
statale in materia concorrente l’introduzione di un regime di esenzione,
rispetto all’osservanza dei princìpi a partire dai quali si origina la
normativa di dettaglio: la deroga al principio, in altri termini, può esprimere
una scelta di sistema, a sua volta ascrivibile a principio fondamentale della
materia.
Nel caso di specie, viene in rilievo la
deroga relativa ai limiti di localizzazione territoriale vigenti nella sola
legislazione regionale, giacché non vi è un interesse delle ricorrenti a
contestare la scelta del legislatore statale di superare, altresì, i medesimi
limiti, se evincibili dalla legislazione nazionale.
Su questo piano, si trovano a dover
essere conciliate, sulla base delle disposizioni costituzionali relative alla
competenza legislativa, da un lato l’esigenza di conferire attuazione alla
decisione, propria del legislatore statale, di promuovere un’opzione energetica,
aprendo ad essa, quale principio fondamentale della materia, l’intero
territorio; dall’altro, le prerogative, proprie dell’ autonomia regionale, di
governare lo sviluppo urbanistico.
Le une e le altre godono di pari dignità
costituzionale, cosicché la compressione di un interesse a vantaggio di un
altro andrà apprezzata su di un piano di necessaria proporzionalità, nel senso
che il legislatore statale potrà espandere la propria normativa non oltre il
punto in cui essa si renda strettamente servente rispetto alla finalità
perseguita, preservando, oltre tale linea, la potestà regionale di sviluppare
con la propria legislazione i princìpi fondamentali in tal modo tracciati. È
necessario, in altri termini, che le competenze in gioco non assumano
«carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina
posta a tutela di tali interessi differenziati» (sentenza n. 383 del
2005, punto 12 del Considerato in diritto).
In tale prospettiva, non è certamente
nuovo il problema che viene oggi posto a questa Corte, la quale si è trovata in
più occasioni a valutare il rapporto tra fonte statale e fonte regionale, in
punto di equilibrio tra l’obiettivo di sviluppo di una rete di impianti
perseguito dalla prima e l’aspirazione della seconda a imporre, in proposito,
criteri di localizzazione.
Fin dalla sentenza n. 307 del
2003, si è posto in luce che, «quanto alle discipline localizzative e
territoriali, è logico che riprenda pieno vigore l’autonoma capacità delle
Regioni e degli enti locali di regolare l’uso del proprio territorio, purché,
ovviamente, criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze
della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da
impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi», mentre
la sentenza n.
331 del 2003 ha aggiunto, pur con riferimento alle disposizioni recate
dalla legge cornice in tema di protezione dalla esposizione a campi
elettromagnetici, che la legge regionale, mentre non può introdurre
«limitazioni alla localizzazione», ben può somministrare «criteri di
localizzazione», quand’anche formulati «in negativo», ovvero per mezzo della
delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente
pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non
determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa.
È in questo stesso senso che si sono
espresse sia la sentenza
n. 103 del 2006, sia la sentenza n. 303 del
2007. Infine, la stessa localizzazione degli impianti di trattamento dei
rifiuti, una volta assicurata l’osservanza delle «soglie inderogabili di
protezione ambientale» proprie della legislazione statale, è stata ascritta
alla competenza legislativa regionale (sentenza n. 314 del
2009).
Il cuore delle argomentazioni della
giurisprudenza costituzionale sul punto controverso va, perciò, individuato nel
principio per il quale, in linea generale, è precluso alla legge regionale
ostacolare gli obiettivi di insediamento sottesi ad interessi ascrivibili alla
sfera di competenza legislativa statale, mentre, nello stesso tempo, lo Stato è
tenuto a preservare uno spazio alle scelte normative di pertinenza regionale,
che può essere negato solo nel caso in cui esse generino l’impossibilità, o
comunque l’estrema ed oggettiva difficoltà, a conseguire il predetto obiettivo,
caso in cui la norma statale si atteggia, nelle materie concorrenti, a
principio fondamentale, proprio per la parte in cui detta le condizioni ed i
requisiti necessari allo scopo.
La disposizione impugnata può e deve
essere interpretata restrittivamente, in senso conforme a tale principio.
Con essa il legislatore statale, anziché
indicare criteri di localizzazione favorevoli alla realizzazione degli impianti
in questione, si è spinto fino all’adozione di una generale clausola
derogatoria della legislazione regionale, per quanto in un settore ove non
emerge la necessità di costruire una rete di impianti collegati gli uni agli
altri, e dunque in assenza di un imperativo di carattere tecnico che imponesse
un’incondizionata subordinazione dell’interesse urbanistico ad esigenze di
funzionalità della rete. Tale tecnica legislativa, proprio in ragione per un
verso dell’ampiezza e per altro verso della indeterminatezza dell’intervento
operato (con esso, infatti, si deroga indiscriminatamente all’intera
legislazione regionale indicata), necessita di venire ricondotta a
proporzionalità in via interpretativa, ciò che la formulazione letterale della
norma consente.
Va osservato, infatti, che la
disposizione impugnata ha per oggetto le leggi regionali «che prevedono limiti
di localizzazione territoriale». Questa Corte ritiene che tale espressione
linguistica sia stata impiegata dal legislatore esattamente nell’accezione che,
sia pure con riferimento ad un caso peculiare, già si è visto ricorrere nella sentenza n. 331 del
2003, per distinguerla dall’ipotesi dei consentiti «criteri di
localizzazione», ovvero per il caso in cui la legge regionale determini, qui
con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un
divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento
e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa.
Non vengono coinvolte dalla deroga,
pertanto, né la generale normativa regionale di carattere urbanistico, che non
abbia ad oggetto gli impianti in questione, o che comunque non si prefigga di
impedirne la realizzazione, né tantomeno le discipline regionali attinenti alle
materie di competenza legislativa residuale o concorrente, che siano estranee
al governo del territorio.
Così interpretato, l’art. 27, comma 27,
della legge impugnata si sottrae a censura, anche con riferimento al contenuto
dell’intesa prevista dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 7 del 2002: va
da sé, infatti, che in questa sede la Regione non potrà opporre allo Stato le
sole ragioni impeditive desumibili dalla normativa oggetto di deroga, mentre le
sarà consentito far valere, sotto ogni altro aspetto, le proprie prerogative.
18. – La Regione Toscana e la Regione
Lazio hanno impugnato l’art. 3, comma 9, della legge n. 99 del 2009, il quale
stabilisce che «al fine di garantire migliori condizioni di competitività sul
mercato internazionale e dell’offerta di servizi turistici, nelle strutture
turistico-ricettive all’aperto, le installazioni e i rimessaggi dei mezzi
mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio
dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive
regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni
strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali, non
costituiscono in alcun caso attività rilevanti ai fini urbanistici, edilizi e
paesaggistici».
La Regione Toscana lamenta che tale
disposizione sia in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto inciderebbe
illegittimamente sulle competenze regionali in materia di governo del
territorio, escludendo a priori che i mezzi mobili di pernottamento
costituiscano attività rilevante dal punto di vista urbanistico, edilizio e
paesaggistico, e consentendone dunque la libera realizzazione.
Inoltre, riconoscendo la possibilità che
i mezzi in questione siano collocati permanentemente senza la necessità di
alcun titolo abilitativo, ad avviso della ricorrente la disposizione impugnata
vanificherebbe l’art. 78 della legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1
(Norme per il governo del territorio), che, con disposizione del tutto analoga
a quella statale contenuta nell’art. 3 del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari
in materia edilizia. – Testo A), assoggetta a permesso di costruire le
strutture mobili (quali prefabbricati, roulottes, campers, ecc.) che siano utilizzate come abitazioni,
depositi, ambienti di lavoro e che non siano destinate a soddisfare esigenze
meramente temporanee.
Anche la Regione Lazio lamenta la
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. dal momento che l’art. 3, comma 9,
trascenderebbe l’ambito di intervento della fonte statale in materia di governo
del territorio, circoscritto alla fissazione dei princìpi fondamentali. La
disposizione impugnata detterebbe, infatti, una disciplina analitica e
puntuale, precludendo al legislatore regionale la possibilità di operare
differenti valutazioni in ordine alla rilevanza ai fini urbanistici ed edilizi
degli interventi in questione.
Ad avviso della Regione Lazio sarebbe,
altresì, violato l’art. 117, quarto comma, Cost. Infatti, poiché l’art. 3,
comma 9, della legge n. 99 del 2009 si propone l’obiettivo di migliorare
l’offerta dei servizi turistici, esso inciderebbe nella materia del turismo
riservata alla competenza residuale delle Regioni.
18.1. – Preliminarmente si osserva che,
in quanto dettata per la suddetta finalità di miglioramento dell’offerta
turistica ed in quanto concernente talune strutture turistico- ricettive, la norma in esame
certamente interseca la materia del turismo. Tuttavia, poiché l’oggetto
principale, il suo «nucleo essenziale» – secondo il consolidato criterio
elaborato dalla giurisprudenza costituzionale (tra le più recenti, si vedano le
sentenze n. 52
del 2010 e n.
339 del 2009) – è costituito dalla disciplina urbanistico-edilizia relativa alla installazione
di mezzi mobili di pernottamento, essa deve essere ricondotta alla materia del
governo del territorio di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.
18.2. – Ciò posto, la questione
prospettata in relazione a tale ultimo parametro è fondata.
La realizzazione di strutture mobili è
espressamente disciplinata dal legislatore statale, che, all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, qualificando come «interventi di
nuova costruzione» gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del
territorio, specifica, al punto e.5), che comunque devono considerarsi tali
«l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di
qualsiasi genere, quali roulottes,
campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee». La realizzazione di tali interventi
è subordinata al conseguimento di specifico titolo abilitativo costituito dal
permesso di costruire (salve le ipotesi in cui è prevista la denuncia inizio
attività; confronta artt. 10 e 22).
In sostanza, la normativa statale
sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio
necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili
allorché esse non abbiano carattere precario.
Il discrimine tra necessità o meno di
titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva
dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà
funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso.
Tale principio è stato ribadito da molti
legislatori regionali (in particolare si vedano, in
tal senso, la legge della Regione Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, recante «Norme
per il governo del territorio», art. 78 e la legge della Regione Lombardia 11
marzo 2005, n. 12 recante «Legge per il governo del territorio», art. 27, comma
1, lettera e5).
Il comma 9 dell’art.
Inoltre, tale disposizione ha ad oggetto
unicamente la installazione di mezzi mobili di pernottamento e dei relativi
rimessaggi (il riferimento è a campers, roulottes, case mobili, ecc.).
In queste ipotesi la disposizione
impugnata esclude la rilevanza di tali attività a fini urbanistici ed edilizi
(oltre che paesaggistici), e, conseguentemente, la necessità di conseguire
apposito titolo abilitativo per la loro realizzazione, sulla base del mero dato
oggettivo, cioè della precarietà del manufatto, dovendo trattarsi di «mezzi
mobili» secondo quanto stabilito dagli ordinamenti regionali.
Tale elemento strutturale è considerato a priori di per sé sufficiente, ed anzi
è espressamente esclusa la rilevanza del dato temporale e funzionale
dell’opera, in quanto si prevede esplicitamente che possa trattarsi anche di
opere permanenti, sia pure connesse all’esercizio dell’attività turistico-ricettiva.
Risulta pertanto evidente che
l’intervento del legislatore statale presenta carattere di norma di dettaglio,
in quanto ha ad oggetto una disciplina limitata a specifiche tipologie di interventi
edilizi realizzati in contesti ben definiti e circoscritti.
Se, come più volte chiarito da questa
Corte, alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e obiettivi,
mentre alla normativa di dettaglio è riservata l’individuazione degli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere tali obiettivi (ex plurimis: sentenze n. 16 del
2010, n. 340
del 2009 e n.
401 del 2007), l’art. 3, comma 9, introduce una disciplina che si risolve
in una normativa dettagliata e specifica che non lascia alcuno spazio al
legislatore regionale.
Essa, pertanto, oltrepassa i confini
delle competenze che, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. spettano al
legislatore statale in materia di governo del territorio.
In conclusione, l’art. 3, comma 9, della
legge n. 99 del 2009 deve essere dichiarato illegittimo per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara
inammissibili gli interventi
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus Ong (WWF), del Codacons,
Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell’ambiente e dei
diritti degli utenti e dei consumatori, dell’ Enel s.p.a. e della Terna – Rete
Elettrica Nazionale s.p.a.;
dichiara
l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 3, comma 9, della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per
lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di
energia);
dichiara
inammissibile il ricorso indicato
in epigrafe proposto dalla Regione Molise avverso gli artt. 25, comma 2,
lettera g), e 26, comma 1, della
legge n. 99 del
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promossa dalla Regione Marche in
riferimento all’art. 3 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere g) e h), della legge n.
99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione,
dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse
dalle Regioni Umbria, Liguria, Emilia-Romagna
e Puglia in riferimento all’art. 117, secondo comma, della Costituzione, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento all’art.
120 della Costituzione, dalle Regioni Puglia e Calabria, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009, promossa, in riferimento all’art.
117, secondo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009 promossa, in riferimento all’art.
120 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio,
Toscana, Umbria, Liguria, Emilia-Romagna, Marche, Puglia, Basilicata, Calabria,
in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione e
al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera h), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Toscana,
Emilia-Romagna, Marche, Calabria, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettere l) e q), della legge n.
99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione,
dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento
agli artt. 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 27, commi 14, 24, lettere c) e d),
28, 31 e 34 della legge n. 99 del 2009, promosse, in riferimento agli artt. 76,
97, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Lazio, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse
dalle Regioni Lazio e Basilicata, in riferimento agli artt. 117 e 118 della
Costituzione, e al principio di leale collaborazione quanto alla sola Regione
Basilicata, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promossa
dalla Regione Lazio, in riferimento agli artt. 76 e 117, terzo comma, della
Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Emilia-Romagna,
Umbria, Liguria, Marche, Toscana, in riferimento agli artt. 117 e 118 della
Costituzione e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara
inammissibili nella parte di cui al
punto 14.3 del Considerato in diritto,
e non fondate, nella parte di cui al punto 14.2 del Considerato in diritto, le questioni di legittimità
costituzionalità dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Umbria e
Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione, e
al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera f), della legge n. 99 del 2009, promosse dalle Regioni Lazio,
Toscana e Marche, in riferimento agli artt. 117, 118, 120 della Costituzione, e
al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse
dalle Regioni Lazio, Umbria, Emilia-Romagna, Marche e Basilicata, in
riferimento agli artt. 117, terzo e sesto comma, e 118 della Costituzione e al
principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 27, comma 27, della legge n. 99 del 2009 promossa
dalle Regioni Umbria, Liguria e Piemonte, in riferimento all’art. 117, terzo comma,
della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara estinto il giudizio promosso dalla Regione
Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, limitatamente alle questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera g), e dell’art. 26, comma 1, della legge n. 99 del 2009, promosse
in riferimento agli artt. 3, 117, terzo comma e 120 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno
2010.
F.to:
Francesco
AMIRANTE, Presidente
Ugo DE
SIERVO, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 22 luglio 2010.