SENTENZA N. 126
ANNO 1996
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Avv. Mauro FERRI, Presidente
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220 (Attuazione degli artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico), promossi con ricorsi delle Province autonome di Trento e Bolzano, notificati il 5 luglio 1995, depositati in cancelleria il 13 e 14 luglio 1995, ed iscritti ai nn. 40 e 41 del registro ricorsi 1995.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 9 gennaio 1996 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
uditi gli Avvocati Sergio Panunzio e Rolando Riz per la Provincia autonoma di Bolzano, Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. -- Con separati ricorsi le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno impugnato il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220 (Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico) nell'intero testo (la Provincia di Bolzano) o in molte delle sue norme (entrambe le ricorrenti), assumendo la violazione dell'art. 76 della Costituzione e di altri parametri statutari e di attuazione dello Statuto nonché di norme interposte.
1.2. -- In particolare la Provincia autonoma di Trento rivolge le sue censure avverso tutte le norme (tranne l'art. 6) e gli allegati del decreto legislativo richiamato, di cui illustra preventivamente il contenuto. Ricorda che, in precedenza, con decreto del Ministro dell'agricoltura in data 23 maggio 1992, n. 338 si era ritenuto di poter dare applicazione ai medesimi artt. 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092 del 1991, ma la Corte costituzionale con la sent. n. 278 del 1993 aveva annullato siffatto provvedimento perché privo di idonea base legale. Successivamente la legge comunitaria per il 1993 (legge 22 febbraio 1994, n. 146) all'art. 42 aveva disposto la delega al Governo per l'attuazione delle menzionate disposizioni comunitarie, dettando gli opportuni criteri e principi direttivi, e su quella base è stato emanato il decreto legislativo ora impugnato.
In primo luogo nel ricorso si assume la violazione dell'art. 76 Cost., in quanto il decreto legislativo de quo è stato emanato il 17 marzo 1995, ma pubblicato solo il 5 giugno successivo, quando ormai era decorso il termine per l'esercizio della delega (1 anno dall'entrata in vigore della legge delegante n. 146 del 1994, avvenuta il 19 marzo 1994). In proposito la ricorrente osserva che la giurisprudenza costituzionale - secondo la quale, ai fini del rispetto del termine della delega, è sufficiente che il provvedimento legislativo sia emanato prima della scadenza, anche se non pubblicato - da un canto non è condivisa da tutta la dottrina e dall'altro non tiene conto del mutamento normativo intervenuto, per il quale tali provvedimenti legislativi non sono più soggetti al controllo della Corte dei conti. La violazione dell'art. 76 Cost., per il venir meno del potere del Governo alla scadenza del termine, ridonderebbe così in lesione dell'autonomia provinciale.
In secondo luogo si sostiene la violazione dei criteri della delega, poiché le norme di estremo dettaglio del provvedimento legislativo impugnato non sarebbero rispettose né dell'art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 616 del 1977, che disciplina l'applicazione dei regolamenti comunitari all'interno dello Stato, devolvendo alle regioni le relative funzioni, né dell'art. 9 della legge comunitaria per il 1990 (l. n. 86 del 1989) che addirittura per l'attuazione delle direttive CEE prevede una diretta competenza delle province autonome -, né degli artt. 2 e 42 della legge delegante n. 146 del 1994, secondo cui, da un canto, le amministrazioni interessate provvedono "all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative" e, dall'altro, l'autorità di controllo è individuata "d'intesa con le regioni", non essendo a tale scopo sufficiente il generico parere reso dalla Conferenza Stato-regioni.
In terzo luogo si denuncia la invasione di competenze provinciali in una materia di legislazione esclusiva, così riducendosi la Provincia autonoma al rango di semplice esecutrice di attività amministrative interamente guidate e disciplinate dal Ministero.
A sostegno delle censure la ricorrente osserva che con legge provinciale 10 giugno 1991, n. 13 sono state dettate norme in materia di agricoltura biologica in perfetta conformità alle norme comunitarie, cosicché il decreto legislativo impugnato si viene illegittimamente a sovrapporre alla legislazione provinciale vigente.
Da ultimo si rappresenta anche il contrasto con l'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992 n. 266, che detta le nuove norme di attuazione in materia di rapporti tra leggi statali e leggi regionali e provinciali, a meno di non poter interpretare il decreto legislativo impugnato nel senso che esso non sia direttamente applicabile nel territorio provinciale, ma imponga solo un "ipotetico obbligo di adeguamento".
Escluso il ricorrere di esigenze unitarie ed escluso altresì che, nella specie, possa configurarsi una grande riforma economico-sociale, il decreto legislativo in esame violerebbe conclusivamente l'art. 8, n. 21, l'art. 9, n. 3 e l'art. 16 dello Statuto speciale (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670) nonché le relative norme di attuazione, ed in particolare l'art. 6 del d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526 e l'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992 n. 266.
1.3. -- La Provincia autonoma di Bolzano impugna il decreto legislativo sia nel suo complesso, sia con particolare riferimento agli artt. 1; 2; 3, commi 1 e 3; 4, commi 2, 3 e 4; 5, comma 1; 6, commi 2 e 3; 8, commi 1, 2, 3, 4 e 5.
La ricorrente ricorda le proprie competenze statutarie di tipo esclusivo in materia di agricoltura (art. 8, n. 21, e 16 dello Statuto) e di tipo concorrente in materia di commercio (art. 9, n. 3, dello Statuto); ricorda altresì le norme di attuazione dello Statuto che hanno consentito l'esercizio di dette competenze e specificamente il d.P.R. 23 marzo 1974, n. 279 e il d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (art. 6), e precisa di avere, con legge provinciale 30 aprile 1991, n. 12, dettato norme per la regolamentazione e la promozione dell'agricoltura biologica e della produzione integrata, anticipando così il contenuto delle disposizioni del regolamento n. 2092/91/CEE del Consiglio del 24 giugno 1991.
Poiché, una volta emanato il suindicato regolamento, spetta solo alla Provincia autonoma, nelle materie di propria competenza, di provvedere alla attuazione delle norme comunitarie nel caso che queste abbisognino di una normazione integrativa per la loro esecuzione, il decreto legislativo, che detta un'analitica disciplina del controllo sulle specifiche produzioni agricole, è, nel suo complesso, lesivo delle competenze provinciali.
Difatti o il regolamento comunitario è sufficientemente dettagliato ed allora alla Provincia compete l'attività amministrativa di esecuzione, mentre lo Stato può intervenire solo con atti di indirizzo e coordinamento in presenza dei necessari presupposti; oppure il regolamento comunitario richiede una disciplina integrativa di diritto interno, ed allora spetta alla Provincia di legiferare, potendo lo Stato solo stabilire "principi e norme costituenti i limiti indicati negli artt. 4 e 5 dello Statuto" cui, soltanto in un secondo momento, la legislazione provinciale deve essere adeguata (art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992).
Nella specie, lo Stato non ha emanato un atto di indirizzo, né ha stabilito una disciplina legislativa di principio per indirizzare la successiva legislazione provinciale; ma ha dettato una disciplina analitica ed esaustiva, direttamente applicabile anche nell'ordinamento della Provincia di Bolzano, togliendo ad essa ogni spazio di autonomia.
Ma il decreto legislativo è anche lesivo delle competenze provinciali per il modo con cui ha disciplinato la materia, caratterizzato da un assoluto centralismo che riserva alla Provincia un ruolo del tutto secondario e subordinato, nonostante la titolarità di competenze anche di tipo esclusivo.
Vengono così analiticamente denunciati:
a) l'art. 1, che individua nel Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali l'unica autorità italiana preposta al controllo oltreché al coordinamento delle attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti il regolamento comunitario. La avocazione al Ministero dei poteri e delle responsabilità in ordine al controllo - non imposta dalla norma comunitaria, la quale non può che rinviare all'ordine delle competenze costituzionalmente stabilito all'interno degli Stati membri - è lesiva delle competenze provinciali, considerando altresì che la stessa formula lessicale usata dalla norma comunitaria consente una pluralità di autorità di controllo;
b) l'art. 3, commi 1 e 3, che attribuisce al solo Ministro il potere di autorizzare gli organismi privati che intendono svolgere attività di controllo, e l'art. 2 che istituisce un comitato di valutazione degli organismi di controllo con compiti consultivi, composto di 9 membri tutti nominati dal Ministro, con la prevalente presenza di rappresentanti ministeriali.
L'accentramento di detti compiti non è nemmeno giustificato dal fatto che gli organismi autorizzati possono esercitare la propria attività su tutto il territorio nazionale (ed a tal fine è richiesto, nell'allegato II, tra i requisiti la disponibilità di strutture organizzative "in almeno quattro regioni"), perché questa è una scelta non obbligata dal regolamento comunitario.
Né si può ritenere che la presenza nel Comitato di un rappresentante della Provincia, quando si tratti di esprimere pareri sulle richieste di autorizzazione che interessano la Provincia stessa, sia sufficiente a garantire il rispetto delle competenze, perché anzi è riscontrabile un ulteriore profilo di censura per la violazione del principio di leale collaborazione che deve presiedere ai rapporti tra lo Stato e gli enti dotati di autonomia, specie se differenziata, e deve concretizzarsi in un'apposita intesa;
c) l'art. 4, commi 2, 3 e 4, che detta una disciplina dettagliata e accentratrice della vigilanza sugli organismi di controllo, riservando alle regioni e alle province autonome un ruolo del tutto secondario; ad esse infatti è riconosciuto solo il potere di proporre al Ministro la revoca dell'autorizzazione, ma tale proposta non è vincolante e non preclude la possibilità che il Ministro proceda autonomamente; il tutto, in violazione del principio di leale collaborazione il cui rispetto avrebbe comportato la previsione di un'intesa;
d) l'art. 5, comma 2, che impone agli organismi di controllo di trasmettere al Ministero e alle regioni o province autonome interessate il "piano" dei controlli da effettuare, riconoscendo nel contempo solo al Ministro il potere di formulare rilievi in ordine al detto piano;
e) l'art. 6, commi 2 e 3, che impone agli operatori, importatori da paesi terzi, di notificare tale attività solo al Ministero e non anche alla Provincia autonoma;
f) l'art. 8, commi da 1 a 5, che detta una minuziosa disciplina in tema di albi ed elenchi di produttori, preparatori o raccoglitori, che le regioni e le province devono istituire, senza che a ciò corrisponda un obbligo comunitario che imponga la previsione normativa; né la istituzione (art. 9) di un elenco nazionale può giustificare la ingerenza dello Stato nella disciplina di elenchi regionali e provinciali.
Viene inoltre denunciato l'art. 1 del provvedimento legislativo per violazione dell'art. 76 Cost., sotto l'ulteriore profilo della inosservanza della legge di delega (legge n. 146 del 1994) che all'art. 42 aveva indicato, tra i criteri, quello dell'intesa per l'individuazione dell'autorità competente al controllo.
Al riguardo si osserva che, anche se non richiesta dalla legge di delega, l'intesa sarebbe comunque necessaria in base al solo principio di leale collaborazione.
2. -- Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, limitandosi a chiedere che i ricorsi siano dichiarati inammissibili ovvero siano respinti.
3.-- Nell'imminenza della udienza di discussione la Provincia autonoma di Bolzano ha presentato una memoria nella quale precisa che, in assenza delle deduzioni difensive della Presidenza del Consiglio, non può che ribadire le censure già formulate nel ricorso introduttivo.
Nell'occasione ricorda che dagli atti parlamentari risulta che la 9a Commissione del Senato, chiamata ad esprimere il parere sullo schema di decreto legislativo (art. 1, comma 4, della legge comunitaria per il 1993), aveva, da un canto, rilevato che il testo del Governo era carente per aver escluso le regioni e le province autonome dalla gestione della materia (intervento del Sen. Borroni del 15 marzo 1995) e, dall'altro, auspicato la modifica dello stesso testo, in modo da prevedervi anche un'attività di programmazione da parte delle regioni (parere del 15 marzo 1995). Nonostante ciò, il provvedimento legislativo è stato approvato nell'originario impianto centralistico e perciò in violazione delle competenze provinciali, come già evidenziato nel ricorso.
4.-- Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, unica per entrambi i ricorsi, nella quale sostiene la infondatezza di tutte le censure, sia per quanto concerne la presunta inosservanza del termine e dei criteri della delega, sia per ciò che attiene più specificamente alla asserita violazione delle competenze provinciali.
In particolare la difesa dello Stato osserva che la legge di delega (art. 42, comma 2, lett. a, della legge 22 febbraio 1994, n. 146 - legge comunitaria per il 1993) pone come criterio direttivo che l'autorità di controllo per le attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti l'applicazione del regolamento comunitario sia individuata "d'intesa con le regioni". Orbene, prima dell'adozione del decreto legislativo impugnato - che individua tale autorità nel Ministero per le risorse agricole, alimentari e forestali - risulta che l'autorità centrale si sia attivata per raggiungere l'intesa anche con le Province autonome. Ed invero, una volta trasmesso lo schema del provvedimento legislativo in questione (nota ministeriale 17 novembre 1994 n. 4528), la Provincia autonoma di Trento ha formulato talune osservazioni e modifiche (note 4 gennaio e 9 marzo 1995), nessuna delle quali però riguardante l'individuazione del Ministero quale unica autorità di controllo. Inoltre la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, nella seduta del 2 marzo 1995, ha espresso sullo schema di decreto legislativo parere favorevole, con osservazioni che non riguardano l'individuazione di detta autorità, il che consente di ritenere superate anche le osservazioni contrarie della Provincia autonoma di Bolzano in precedenza svolte (nota 1 dicembre 1994).
Va poi considerato che la legge di delega impone che l'autorità di controllo sia unica ed unitaria, al fine di soddisfare quelle esigenze di coordinamento e di omogeneità già sottolineate dalla ricordata sentenza n. 278 del 1993 della Corte costituzionale.
E' quindi logico e conseguenziale che spetti a tale autorità il potere di autorizzare gli organismi che intendano svolgere il controllo sulle attività della specifica produzione agricola (art. 3 del decreto legislativo), e la previsione del previo parere obbligatorio del Comitato di valutazione (art. 2) - con composizione in parte variabile con i rappresentanti delle regioni e delle province autonome di volta in volta interessate - lungi dal contrastare con i criteri della delega, appare rispettosa del ruolo regionale e provinciale; né è riscontrabile tra i principi e criteri della delega l'auspicata parcellizzazione degli organismi di controllo, nel senso che alle province autonome spetti di autorizzare gli organismi operanti esclusivamente nel proprio territorio, perché al contrario ciò contrasterebbe con le esigenze di uniformità, coordinamento ed omogeneità sottese all'attuazione delle disposizioni comunitarie.
E, d'altra parte, anche il pretendere che il parere del Comitato di valutazione di cui all'art. 2 sia vincolante, oltreché obbligatorio, contrasterebbe con le suddette esigenze, perché il comitato si sostituirebbe illegittimamente all'autorità di controllo.
Ancora è pretestuosa la doglianza che l'art. 4, nel prevedere un concorrente potere di vigilanza delle province autonome sugli organismi di controllo autorizzati, limiti tale potere alla sola proposta di revoca dell'autorizzazione, sia perché la potestà di iniziativa del procedimento di revoca condiziona la stessa adozione del provvedimento e sia perché la revoca, come contrarius actus, non può che provenire dalla medesima autorità che ha autorizzato.
Quanto al piano-tipo di controllo degli organismi autorizzati (art. 5), ne è prevista l'approvazione "d'intesa" con le regioni e le province autonome e ciò garantisce che siano evitate le paventate decisioni unilaterali.
Inoltre, in tema di notifiche relative alle importazioni (art. 6), l'autorità competente a riceverle non può che essere individuata nel Ministero perché il rischio di ingresso nel territorio dello Stato di prodotti non rispondenti ai requisiti coinvolge l'intera economia nazionale di settore e non solo gli interessi di questa o quella regione o provincia autonoma.
Infine, quanto agli albi degli operatori e dei controllori del processo di produzione dell'agricoltura biologica, è la stessa legge di delega (art. 42, comma 2, lett. d) che impone di individuare i criteri per la loro formazione e gli artt. 8 e 9 del decreto legislativo impugnato non fanno altro che attuare quel precetto con le necessarie specificazioni.
Considerato in diritto
1. -- Le Province autonome di Trento e Bolzano sottopongono al controllo di costituzionalità il decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220 (Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico).
Ad avviso delle ricorrenti, il predetto decreto legislativo, in toto o nelle sue singole disposizioni, sarebbe incostituzionale, nell'ordine: a) per essere stato emanato oltre il termine conferito al Governo dalla legge di delegazione (art. 42 della legge 22 febbraio 1994, n. 146), a norma dell'art. 76 della Costituzione; b) per aver violato, sotto diversi aspetti, le competenze attribuite alle Province di Trento e di Bolzano in materia di agricoltura e di commercio, e c) per essere stata unilateralmente individuata l'autorità di controllo, di cui si parlerà in prosieguo, al di fuori dell'intesa prescritta dal predetto art. 42 della legge n. 146 del 1994.
2. -- Le questioni sollevate con i due ricorsi sono in parte identiche, in parte distinte ma concorrenti nel comune intento dell'annullamento del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220. I relativi giudizi possono pertanto riunirsi, per essere decisi congiuntamente.
3. -- La questione proposta con la prima doglianza, pregiudiziale alle altre due, è inammissibile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le molte, sentenza n. 302 del 1988), le Regioni, così come le Province autonome di Trento e di Bolzano, sono abilitate a ricorrere contro le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato non in presenza di un qualsiasi possibile vizio di costituzionalità, ma soltanto quando il vizio dedotto possa determinare, in quanto tale, una lesione della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita loro, sotto l'aspetto della ripartizione delle competenze o del modo di esercizio delle stesse. Nella specie, la asserita violazione del termine di esercizio della delega da parte del legislatore delegato non ha nulla a che vedere con la difesa dell'ambito delle competenze costituzionali delle ricorrenti, a presidio delle quali è previsto il ricorso di costituzionalità in via diretta contro le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato.
4. -- La questione proposta con la seconda doglianza, relativa alla violazione delle attribuzioni statutariamente riconosciute alle Province ricorrenti, è invece fondata.
4.1.1. -- Il regolamento CEE n. 2092/91 del Consiglio dei ministri del 24 giugno 1991, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alle modalità di indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, agli artt. 8-11 disciplina il "sistema di controllo" circa il rispetto delle norme, poste dal regolamento medesimo, da parte dei soggetti che operano nel settore di attività in esso considerato. In particolare, l'art. 8 stabilisce che (_ 1) "gli operatori che producono, preparano o importano da un paese terzo i prodotti di cui all'art. 1 ai fini della loro commercializzazione devono: a) notificare tale attività all'autorità competente dello Stato membro in cui l'attività stessa è esercitata ...; b) assoggettare la loro azienda al regime di controllo di cui all'art. 9" e che (§ 2) "gli Stati membri designano un'autorità o un organismo per la ricezione delle notifiche". L'art. 9 (come modificato dal regolamento n. 1935/95, art. 1, n. 19) stabilisce poi che (§ 1) "gli Stati membri instaurano un sistema di controllo gestito da una o più autorità di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti ai quali gli operatori che producono, preparano o importano da paesi terzi i prodotti di cui all'art. 1 debbono essere soggetti" e che (§ 4) "per l'attuazione del sistema di controllo affidato a organismi privati, gli Stati membri designano un'autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza di tali organismi".
4.1.2. -- A tali articoli 8 e 9 del regolamento comunitario, il Governo italiano aveva ritenuto di dare attuazione in via regolamentare, con decreto del Ministro dell'agricoltura 25 maggio 1992, n. 338, ma questa Corte, con sentenza n. 278 del 1993, su ricorso di alcune Regioni ad autonomia ordinaria, ne ha disposto l'annullamento per "violazione delle norme che disciplinano la fonte e le modalità di esercizio del potere regolamentare del Governo", indipendentemente quindi da ragioni concernenti il rispetto delle norme costituzionali sostanziali, regolative delle competenze dello Stato e delle Regioni nelle materie interessate dal predetto regolamento.
Successivamente la legge 22 febbraio 1994, n. 146 ("legge comunitaria" per il 1993), all'art. 42, ha disposto la delega al Governo all'attuazione in via legislativa, entro un anno dall'entrata in vigore della legge stessa, delle sopra menzionate norme regolamentari comunitarie, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, a norma del quarto comma dell'art. 1 della legge medesima. Il comma 2 dell'art. 42 in questione ha stabilito, quali principi e i criteri diretti nei confronti del legislatore delegato:
a) l'individuazione dell'autorità di controllo, d'intesa con le Regioni, per le attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti l'applicazione dei regolamenti comunitari;
b) la disciplina degli organismi pubblici e privati incaricati delle attività di controllo della produzione agricola e della trasformazione e commercializzazione delle produzioni ottenute con il metodo dell'agricoltura biologica, con la specificazione dei requisiti dei medesimi;
c) la disciplina del riconoscimento delle autorità e degli organismi preposti alla ricezione delle notifiche;
d) l'individuazione dei criteri per la formazione degli albi degli operatori e dei controllori del processo di produzione dell'agricoltura biologica.
Lo stesso comma 2 dell'art. 42 della legge menzionata ha inoltre richiamato, quale limite del legislatore delegato, le disposizioni contenute nell'art. 2 della legge medesima, tra le quali figura la lettera b), nella quale si dispone che "nelle materie di competenza delle Regioni a statuto ordinario e speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano saranno osservati l'articolo 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, e l'art. 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616" (disposizioni, queste ultime, che riguardano l'attuazione e l'applicazione da parte delle Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre che delle Regioni speciali e ordinarie, delle direttive e dei regolamenti comunitari).
4.1.3. -- Sulla base delle norme così stabilite, è stato emanato il decreto legislativo n. 220 del 1995, ora impugnato.
L'art. 1 indica nel Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali l'"autorità preposta al controllo" e al coordinamento delle attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti l'applicazione della regolamentazione comunitaria in materia di agricoltura biologica, di cui al regolamento CEE del Consiglio n. 2092/91 del 24 giugno 1991, e successive modifiche e integrazioni.
Secondo il decreto legislativo delegato, quindi, il Ministero è l'organo "preposto al controllo", ma il controllo sulle attività di produzione agricola, di preparazione e di importazione di prodotti ottenuti secondo il metodo dell'agricoltura biologica è svolto da "organismi autorizzati" dal Ministero medesimo, a norma del successivo art. 3. Tali "organismi autorizzati", di cui il Ministero istituisce l'elenco (art. 9, comma 3), sono sottoposti, a norma dell'art. 4, alla vigilanza del Ministero, nonché delle Regioni e Province autonome, per le strutture ricadenti nel territorio di propria competenza. La revoca dell'autorizzazione agli "organismi" suddetti, che non siano più in possesso dei requisiti prescritti, è disposta dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, anche su proposta regionale o provinciale.
Sul rilascio e sulla revoca dell'autorizzazione ministeriale esprime parere un "comitato di valutazione degli organismi di controllo", previsto dall'art. 2 e formato da nove componenti, nominati con decreto del Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali, di cui tre scelti tra funzionari del Ministero medesimo, tre funzionari designati rispettivamente dai Ministeri dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della sanità, del commercio con l'estero, e tre designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, a norma dell'art. 4 del d.P.R. 16 dicembre 1989, n. 418. Inoltre, il comitato è integrato di volta in volta da un rappresentante designato da ciascuna delle Regioni e Province autonome in cui il richiedente l'autorizzazione abbia dichiarato di essere presente (comma 3).
Il controllo esercitato dagli "organismi autorizzati" è svolto, a norma dell'art. 5, secondo un piano-tipo predisposto annualmente dall'organismo medesimo, sul quale le Regioni, le Province autonome e il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali possono formulare rilievi e osservazioni. A tale piano devono essere apportate le modifiche che eventualmente siano state richieste del Ministero.
A norma dell'art. 6, gli operatori che producono o preparano i prodotti agricoli biologici, cui si riferisce il regolamento comunitario, notificano la loro attività alle Regioni e alle Province autonome nel cui territorio è ubicata l'azienda, mentre della notifica dell'attività di importazione è destinatario il Ministero. Gli articoli 8 e 9 prevedono gli elenchi degli operatori dell'agricoltura biologica, istituiti dalle Regioni e dalle Province autonome, e un elenco nazionale in cui sono ricompresi gli operatori già iscritti in quelli regionali e gli importatori.
Altre disposizioni contenute nel decreto legislativo impugnato stabiliscono norme applicative, prive di autonomia da quelle principali.
4.2. -- Di fronte alla predetta normativa statale, la quale indubitabilmente dispone, in via principale, in materia di agricoltura e, per un aspetto marginale (relativo all'etichettatura dei prodotti, per la riconoscibilità non ingannevole da parte dei consumatori), in materia di commercio, stanno le norme, costituzionali e non, poste a garanzia dell'autonomia provinciale. L'art. 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) attribuisce alle Province autonome di Trento e di Bolzano competenza legislativa primaria in materia di agricoltura (numero 21) e l'art. 9 attribuisce loro competenza legislativa ripartita in materia di commercio (numero 3).
Inoltre, l'art. 6 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige ed alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), ha stabilito che "spetta ... alle province di Trento e di Bolzano, nelle materie di cui agli articoli ... 8 e 9 dello Statuto, provvedere all'attuazione dei regolamenti della Comunità europea, ove questi richiedano una normazione integrativa o un'attività amministrativa di esecuzione".
Infine, a differenza di quanto dispone l'art. 71, lettera d), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 in ordine alle attribuzioni delle Regioni a autonomia ordinaria, non vale rispetto alle competenze in materia di agricoltura, aventi natura primaria, delle Province autonome di Trento e Bolzano la riserva statale in ordine alle funzioni concernenti "la disciplina e il controllo di qualità nonché la certificazione varietale dei prodotti agricoli e forestali e delle sostanze di uso agrario e forestale", funzioni che potrebbero essere invocate a proposito dell'intervento pubblico in materia di agricoltura biologica.
4.3. -- Il raffronto tra la disciplina dettata dalla normativa statale impugnata e la garanzia costituzionale apprestata alle competenze legislative e amministrative delle Province autonome nella materia in questione rende palese l'esistenza di un contrasto che comporta una limitazione, o addirittura un'espropriazione di queste ultime, tanto più evidente in quanto si tratti di competenze primarie.
Il decreto legislativo n. 220 del 1995, infatti, opera una concentrazione presso il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali di tutte le attività amministrative decisorie, necessarie all'attuazione del regolamento CEE n. 2092/91. Rispetto all'impostazione di fondo prescelta dal legislatore delegato, il ruolo delle Regioni e delle Province autonome assume un carattere del tutto marginale e pressoché privo di significato autonomo.
La presenza nel "comitato di valutazione", attraverso i tre componenti designati dalla Conferenza dei Presidenti e il rappresentante della Regione o Provincia autonoma, di cui all'art. 2, è largamente minoritaria e, inoltre, la loro partecipazione inerisce ad una funzione meramente consultiva nei confronti del Ministero. La vigilanza regionale sugli "organismi autorizzati", prevista nell'art. 4, è finalizzata esclusivamente all'eventuale proposta, non vincolante, di revoca dell'autorizzazione da parte, ancora, del Ministero. Le Regioni e le Province autonome ricevono annualmente i "piani-tipo" presentati da tali organismi e su di essi possono formulare rilievi e osservazioni che, a norma dell'art. 5, non sono vincolanti, poiché tali sono soltanto le modifiche apportate dal Ministero. Infine, alle Regioni e alle Province autonome è attribuita un'attività meramente notarile, come la ricezione della notifica dell'inizio dell'attività (o del prosieguo) degli operatori (art. 6) e l'istituzione degli elenchi degli operatori medesimi (art. 8).
5. -- Che la normativa statale non tanto interferisca con l'esercizio delle competenze costituzionalmente assegnate alle Province ricorrenti, ma addirittura ne sottragga loro una porzione, non è dunque dubitabile. Ma il giudizio sulla legittimità costituzionale di tale normativa non può esaurirsi nella predetta constatazione, dovendosi allargare all'esame delle conseguenze che, sui rapporti di competenza tra lo Stato e le Province autonome e, più in generale, le Regioni, discendono dall'esistenza di una normativa comunitaria che - come quella in questione - richiede la predisposizione di strutture, procedure e competenze decisorie attuative, nell'ambito di ciascuno Stato-membro.
E' principio indubitabile che la partecipazione dell'Italia al processo di integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi con la propria struttura costituzionale fondamentale, della quale fa parte integrante la struttura regionale dello Stato (compresa la particolarità della posizione delle Province autonome di Trento e Bolzano, entro l'organizzazione della Regione Trentino-Alto Adige). Tale necessario coordinamento ha dato luogo a un lungo e, in alcuni passaggi, tormentato processo di affinamento di principi e istituti. L'equilibrio che ne deriva può sintetizzarsi come segue.
a) L'attuazione negli Stati membri delle norme comunitarie deve tener conto della struttura (accentrata, decentrata, federale) di ciascuno di essi, cosicché l'Italia è abilitata, oltre che tenuta dal suo stesso diritto costituzionale, a rispettare il suo fondamentale impianto regionale. Pertanto, ove l'attuazione o l'esecuzione di una norma comunitaria metta in questione una competenza legislativa o amministrativa spettante a un soggetto titolare di autonomia costituzionale, non si può dubitare che (come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, fin dalla sentenza n. 304 del 1987), normalmente, ad esso spetti agire in attuazione o in esecuzione, naturalmente entro l'ambito dei consueti rapporti con lo Stato e dei limiti costituzionalmente previsti nelle diverse materie di competenza regionale (e provinciale): rapporti e limiti nei quali lo Stato è abilitato all'uso di tutti gli strumenti consentitigli, a seconda della natura della competenza regionale (e provinciale), per far valere gli interessi unitari di cui esso è portatore. Sono espressione di tali principi tanto gli articoli 6 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), quanto, in relazione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano, gli artt. 6 e 7 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616).
b) Tuttavia, poiché dell'attuazione del diritto comunitario nell'ordinamento interno, di fronte alla Comunità europea (oggi, Unione europea), è responsabile integralmente e unitariamente lo Stato (ex plurimis, sentenze nn. 382 del 1993 e 632 del 1988), a questo - ferma restando, secondo quanto appena detto, la competenza "in prima istanza" delle Regioni e delle Province autonome - spetta una competenza, dal punto di vista logico, "di seconda istanza", vòlta a consentire a esso di non trovarsi impotente di fronte a violazioni del diritto comunitario determinate da attività positive o omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale. Gli strumenti consistono non in avocazioni di competenze a favore dello Stato, ma in interventi repressivi o sostitutivi e suppletivi - questi ultimi anche in via preventiva, ma cedevoli di fronte all'attivazione dei poteri regionali e provinciali normalmente competenti - rispetto a violazioni o carenze nell'attuazione o nell'esecuzione delle norme comunitarie da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano. La grande varietà di ipotesi in cui si verifica la suddetta esigenza di fornire allo Stato strumenti normativi ed esecutivi adeguati a far fronte alla sua responsabilità di ordine comunitario - il cui rispetto costituisce esso stesso essenziale interesse nazionale - è testimoniata non solo dalle previsioni legislative (ad esempio, per la disciplina in generale, art. 6, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 616 del 1977 e artt. 9 e 11 della legge 9 marzo 1989, n. 86, nonché, rispetto alla Regione Trentino-Alto Adige e alle sue province, art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526), ma anche dalle numerose decisioni di questa Corte, nelle quali si è variamente confrontata l'esigenza di garanzia del principio autonomistico e del suo contemperamento con la necessaria dotazione in capo allo Stato di poteri congrui, anche in via d'urgenza, rispetto alle sue responsabilità comunitarie (sentenze nn. 458 del 1995; 316 del 1993; 453 e 349 del 1991; 448 del 1990; 632 del 1988; 433 e 304 del 1987; 81 del 1979 e 182 del 1976). Tra tali poteri spiccano quelli di legislazione di principio e di dettaglio suppletiva e cedevole e quelli di indirizzo e coordinamento riconosciuti dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86.
c) Infine, e in deroga a quanto detto circa il rispetto del quadro costituzionale interno delle competenze, le norme comunitarie possono legittimamente prevedere, per esigenze organizzative proprie dell'Unione europea, forme attuative di sé medesime, e quindi normative statali derogatrici di tale quadro della normale distribuzione costituzionale delle competenze interne, salvo il rispetto dei principi costituzionali fondamentali e inderogabili. Così ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 399 del 1987, confermata dalla sentenza n. 224 del 1994, nella quale si è detto, con riferimento alle Province autonome del Trentino-Alto Adige, che "la particolare forza propria delle norme poste nello Statuto speciale [non] può essere tale da giustificare la sopravvivenza di competenze provinciali ..., una volta che le stesse vengano a contrastare con discipline adottate in sede comunitaria nonché con il riassetto organico dell'intera materia operato, in attuazione della normativa comunitaria, nell'ambito del diritto interno. In questi casi la competenza provinciale non può restare immutata, una volta che sia divenuto inoperante, in conseguenza della nuova disciplina attuativa introdotta dal legislatore statale, l'"originario presupposto" su cui la competenza stessa risultava fondata" ... (così ancora, da ultimo, nella sentenza n. 458 del 1995). Inutile dire, peraltro, che questa situazione non è quella normale e deve pertanto derivare con evidenza dalla normativa comunitaria, sulla base di esigenze organizzative che ragionevolmente facciano capo all'Unione europea stessa. Così, per esempio, è avvenuto nei casi decisi da questa Corte con le sentenze n. 382 del 1993 e n. 389 del 1995 (rispettivamente in materia di controlli veterinari alle frontiere e di predisposizione e attuazione di programmi operativi in materia di pesca). Nel primo caso, l'accentramento delle funzioni presso l'amministrazione statale è stato giustificato dalla circostanza che la direttiva comunitaria faceva riferimento "a un'attività unitaria a livello nazionale degli Stati membri" e, nel secondo, la medesima soluzione organizzativa, pur con la precisazione della necessaria intesa tra Stato e Regione, si è imposta - secondo quanto risulta dalla norma comunitaria - sia per la richiesta "unicità" dell'attività programmatoria e di intervento dello Stato, sia per la previsione della relativa "decisione unica" da parte della Commissione europea, avente come destinatari gli Stati come tali e concernente l'approvazione delle proposte nazionali.
6.1. -- Il caso di specie, nel quale si verifica l'anzidetta alterazione dell'ordine normale delle competenze previsto dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, deve essere risolto alla stregua dei principi ora enunciati, con riferimento, in particolare, a quello enunciato sub c).
L'art. 9 del regolamento CEE n. 2092/91 - dopo aver previsto al n. 1 "un sistema di controllo gestito da una o più autorità di controllo designate e/o da organismi privati riconosciuti" - stabilisce al n. 4 che, ove il sistema di controllo sia affidato a organismi privati (come è avvenuto in Italia col sistema degli "organismi riconosciuti"), "gli Stati membri designano un'autorità incaricata del riconoscimento e della sorveglianza di tali organismi".
All'espressione ora evidenziata, nella logica del regolamento comunitario, non può essere assegnato, anche letteralmente, il significato di un'unica autorità centrale. Del resto, specialmente in presenza dei poteri statali indicati alla lettera b) del precedente punto 5, idonei ad assicurare l'osservanza degli obblighi comunitari da parte delle Province ad autonomia speciale nella materia in questione, mancano ragioni costringenti per considerare necessaria la scelta del legislatore di accentrare presso organi statali le funzioni di controllo, in senso lato, in materia di agricoltura biologica.
Una contraria interpretazione apparirebbe già a prima vista come una forzatura, rispetto all'esigenza di cui la norma comunitaria è espressione, che è quella di prevedere un controllo pubblico e quindi, come testualmente detto, un'autorità incaricata dello stesso (indipendentemente dalla sua configurazione), nel caso in cui il sistema di attuazione del regolamento comunitario si incentri su poteri attribuiti a soggetti privati autorizzati (come è nella scelta del legislatore italiano). D'altro canto, e a riprova, nel diverso caso in cui il sistema di controllo instaurato dallo Stato si basi non su soggetti (o "organismi") privati, ma su poteri pubblici, il già citato n. 1 dell'art. 9 testualmente prevede la possibile esistenza di "una o più autorità di controllo", le quali, data la loro natura, non danno luogo (a differenza degli organismi privati) all'esigenza di un loro riconoscimento e di una loro sorveglianza.
E' dunque lo stesso regolamento comunitario a non voler imporre alcun sistema accentrato, quando si tratti di autorità pubbliche di controllo, e non si vede per quale motivo a tale accentramento dovrebbe pervenirsi - con conseguente espropriazione a danno delle competenze provinciali - nel caso in cui il sistema prescelto dallo Stato faccia perno invece su soggetti privati, a loro volta da sottoporre a "riconoscimento e sorveglianza" pubblici.
6.2. -- Caduto così l'argomento fondamentale sul quale giustificare la sottrazione alle Province ricorrenti e l'assegnazione all'amministrazione statale delle funzioni in questione, si deve dichiarare l'incostituzionalità dell'impugnato decreto legislativo n. 220 del 1995. Stante l'unitarietà della disciplina in esso contenuta - basata sull'incostituzionale spostamento a livello governativo di funzioni provinciali - tale declaratoria non può non investirlo nel suo complesso.
Tuttavia, la declaratoria di illegittimità costituzionale del decreto legislativo in esame - dipendendo dalla violazione di parametri concernenti la posizione costituzionale particolare dei soggetti ricorrenti - deve corrispondere alla dimensione del vizio accertato, e pertanto l'annullamento che a tale declaratoria consegue opera solo relativamente all'ordinamento delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
A seguito della presente decisione, restano in vigore nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige, le leggi provinciali di Trento 10 giugno 1991, n. 13 e di Bolzano 30 aprile 1991, n. 12 - impregiudicato il problema della loro conformità al nuovo quadro normativo comunitario - adottate in epoca anteriore alla regolamentazione comunitaria, rispetto alla quale l'impugnato decreto legislativo costituiva attuazione. Alle eventuali esigenze di garanzia di un quadro nazionale, nel quale trovi armonico posto tanto la particolare situazione delle Province ricorrenti quanto la responsabilità che di tale quadro e della sua rappresentazione unitaria di fronte alla Commissione (art. 15 del regolamento CEE n. 2092/91) lo Stato assume nei confronti dell'Unione europea, potrà farsi fronte attraverso l'esercizio dei poteri più sopra indicati (punto 5, lettera b).
7. -- La dichiarazione d'incostituzionalità per violazione delle norme sulle competenze delle Province ricorrenti assorbe ogni altra censura prospettata, in particolare la pretesa violazione da parte del legislatore delegato dell'art. 42 della legge 22 febbraio 1994, n. 146, là ove prevede (comma 2, lettera a) che l'individuazione dell'autorità di controllo avvenga "d'intesa con le regioni". Né l'esame di questo punto sarebbe rilevante in una prospettiva rovesciata, per sostenere che, essendosi tale "intesa" in ipotesi realizzata tra lo Stato e le Province ricorrenti, la normativa conseguente del decreto legislativo delegato, in quanto concordata, sarebbe, per così dire, immune dal giudizio di costituzionalità per vizio d'incompetenza. L'ordine costituzionale delle competenze, infatti, essendo indisponibile, non può dipendere da accordi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i ricorsi,
dichiara l'illegittimità costituzionale del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 220 (Attuazione degli articoli 8 e 9 del regolamento CEE n. 2092/91 in materia di produzione agricola ed agro-alimentare con metodo biologico), relativamente alle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 1996.
Mauro FERRI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 aprile 1996.