Sentenza n.399 del 1987

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 399

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Dott. Francesco SAJA , Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna e Liguria, con ricorsi notificati il 23 e 25 febbraio 1987, depositati in cancelleria il 3 e 5 marzo 1987 ed iscritti ai nn. 7 e 8 del registro 1987 per conflitti di attribuzioni sorti a seguito della delibera del C.I.P.E. 17 dicembre 1986, concernente "Programmi integrati mediterranei";

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 29 settembre il Giudice relatore Francesco Saja;

Uditi gli avvocati Enrico Spagna Musso per la Regione Emilia-Romagna, Gustavo Romanelli per la Regione Liguria e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con regolamento n. 2088/85 del 23 luglio 1985, inG.U.C.E. del 27 luglio 1985 n. L. 197/1, il Consiglio delle Comunità europee dettava la disciplina relativa ai Programmi integrati mediterranei, detti P.I.M., al fine di accelerare lo sviluppo delle regioni meridionali della Comunità economica.

A norma di tale regolamento, i programmi dovevano essere elaborati dalle autorità regionali (art. 5) ed applicati mediante "contratti di programma", conclusi dalla Commissione, dagli stati membri, dalle autorità regionali o da qualsiasi altra autorità designata dagli stati membri (art. 9).

Alla Commissione spettava poi di controllare la conformità dei programmi al regolamento e di stabilire le azioni oggetto di contributi finanziari da parte della Comunità (art. 6).

Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1ø febbraio 1986, in G.U. 8 febbraio 1986 n. 32, veniva dettata la procedura per l'attuazione del regolamento, confermandosi la competenza delle regioni per l'elaborazione dei programmi, prevedendosi un esame di essi da parte di un comitato appositamente costituito presso l'Ufficio per il coordinamento delle politiche comunitarie, ed, ancora, una valutazione del C.I.P.E. concernente la riserva di due terzi del finanziamento a favore delle zone meridionali, la priorità delle azioni, la coerenza con le linee della politica economica generale e la copertura finanziaria della quota parte nazionale.

Con delibera del 17 dicembre 1986, in G.U. 10 febbraio 1987 n. 33, il C.I.P.E., esaminati i programmi elaborati dalle regioni, stabiliva tra l'altro per ciascuno di essi un volume di investimenti che l'Italia avrebbe proposto alla Comunità e la loro sottoposizione al "Nucleo di valutazione" istituito presso il Ministero del bilancio e della programmazione ai sensi dell'art. 4 l. 26 aprile 1982 n. 181.

2. - Con ricorso notificato il 23 febbraio 1987 (n. 7 del 1987) la Regione Emilia-Romagna impugnava, ai sensi degli artt. 134 Cost. e 39 l. 11 marzo 1953 n. 87, la citata delibera del C.I.P.E., lamentandone il contrasto col regolamento comunitario, che, a suo dire, escludeva la competenza del C.I.P.E. stesso.

Alla Regione sembrava inoltre illegittimo che il programma da essa elaborato venisse sottoposto al suddetto Nucleo di valutazione, competente ad esaminare soltanto piani economici comportanti interventi finanziari dello Stato o di altri "enti pubblici" (art. 1 l. 17 dicembre 1986 n. 878, contenente la compiuta disciplina del Nucleo), tra i quali, in base alla corretta interpretazione dell'art. 1 ora citato, non rientravano le regioni.

In definitiva, sembrava alla ricorrente che l'impugnata delibera comportasse un'invasione delle competenze amministrative regionali, tanto più che i programmi in questione concernevano materie riservate alle dette competenze dagli artt. 117 e 118 Cost. e, per quanto atteneva specificamente all'attuazione dei regolamenti comunitari, dall'art. 6 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.

3. - Analogo ricorso veniva notificato il 25 febbraio successivo (n. 8 del 1987) dalla regione Liguria, la quale lamentava che il C.I.P.E. aveva ridotto il volume degli investimenti ad essa destinati.

4. - In entrambi i giudizi interveniva la Presidenza del Consiglio dei ministri, osservando preliminarmente che le asserite violazioni del regolamento comunitario non comportavano, di per sé, un'invasione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni.

L'interveniente notava inoltre che la competenza del C.I.P.E. era stata stabilita dal D.P.C.M. 1ø febbraio 1986, non impugnato, e che l'esame del "Nucleo di valutazione" era prescritto dalla l. n. 878 del 1986, non potendosi negare che nella specie si trattasse di investimenti pubblici. Le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost., infine, non escludevano la valutazione del C.I.P.E., espressa nell'interesse generale.

5. - La Regione Liguria, in prossimità dell'udienza, depositava memoria, illustrando ulteriormente i motivi del ricorso.

Considerato in diritto

1. - I due conflitti di attribuzioni, proposti dalle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna, concernono il medesimo atto, mediante il quale lo Stato, attraverso i suoi organi (il C.I.P.E. nonché il Nucleo di valutazione di cui all'art. 4 l. 26 aprile 1982 n. 181), é intervenuto nel procedimento concernente la definizione dei Programmi integrati mediterranei (P.I.M.), elaborati dalle Regioni medesime. I giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - Eccepisce preliminarmente il Presidente del Consiglio dei ministri l'inammissibilità dei due ricorsi, in quanto le Regioni lamentano l'invasione di una competenza ad esse demandata da un atto comunitario (Reg. C.E.E. n. 2088/85) e non da disposizioni della Costituzione ovvero da norme costituzionali, sicché non sarebbe configurabile un conflitto di attribuzioni, che ha per indefettibile presupposto l'invasione di una potestà costituzionalmente garantita.

L'eccezione non può essere accolta.

Già la Corte, pur non affrontando ex professo il problema, ha ripetutamente ritenuto l'ammissibilità di analoghi ricorsi (cfr., da ultimo, sent. n. 304/1987) e tale indirizzo va confermato.

Invero, gli organi delle Comunità europee non sono tenuti ad osservare puntualmente la disciplina nazionale e, in particolare, la ripartizione delle competenze pur prevista da norme di livello costituzionale, ma possono emanare, nell'ambito dell'ordinamento comunitario, disposizioni di differente contenuto: le quali però, come questa Corte ha già avvertito, debbono rispettare i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale nonché i diritti inalienabili della persona umana (sent. n. 183/1973).

Quando tale condizione, come nella specie, sia osservata, le norme comunitarie si sostituiscono a quelle della legislazione interna e, se hanno derogato a disposizioni di rango costituzionale, debbono ritenersi equiparate a queste ultime, in virtù del disposto dell'art. 11 Cost., il quale consente la limitazione della sovranità nazionale al fine di promuovere e favorire organizzazioni internazionali tra cui, com'é ius receptum, le Comunità europee. Conseguentemente, se viene lamentata l'invasione di una competenza attribuita e garantita da un atto normativo comunitario, che ha disciplinato la materia in maniera differente dalla norma costituzionale interna, il procedimento per conflitto di attribuzioni va considerato ammissibile, sempre che, intuitivamente, ricorrano le altre condizioni richieste dall'ordinamento nazionale.

3. - Quanto ora osservato serve a dimostrare anche l'infondatezza della pretesa della Regione Emilia-Romagna, la quale deduce che, indipendentemente da ogni altra considerazione relativa al contenuto dell'atto comunitario, il conflitto dovrebbe essere risolto a favore degli enti impugnanti, poiché il sopra ricordato regolamento concerne materie tutte rientranti, a suo dire, nelle potestà regionali ai sensi degli artt. 117 e 118, primo comma, Cost. Per contro, nei limiti ora detti, tali norme valgono ai fini interni ed é perciò consentito alla disposizione comunitaria, sulla base del già citato art. 11 Cost., di distribuire in modo diverso le competenze per singoli casi da essa considerati, così come é avvenuto nella fattispecie.

Deve peraltro aggiungersi che le provvidenze comunitarie previste dal regolamento e delle quali si discute - hanno, com'é precisato espressamente nel preambolo dello stesso, carattere unitario e concernono anche "l'energia" (art. 2), ossia una materia non compresa nelle competenze locali stabilite dai richiamati artt. 117 e 118, primo comma, Cost., di talché la stessa premessa posta dalle Regioni - secondo cui tutte le materie considerate dal regolamento atterrebbero alle loro potestà - anche in sé considerata, non può non suscitare serie perplessità, sulle quali non é peraltro il caso di soffermarsi per la ragione assorbente prima enunciata.

4. - Non vale poi il richiamo delle ricorrenti all'art. 6 d.P.R. n. 616/1977, il quale dispone che spettano alle Regioni, per le materie loro attribuite, anche le funzioni amministrative relative all'applicazione dei regolamenti comunitari.

La norma invocata ha infatti per necessario presupposto che la materia disciplinata rientri nella competenza regionale anche secondo la normativa comunitaria, mentre, non ricorrendo tale ipotesi, é di tutta evidenza come il detto art. 6 non trovi possibilità di applicazione.

Appunto, a sostegno del loro assunto, le Regioni invocano la disposizione dell'art. 5, punto 2, cit. regolamento, da esse inteso nel senso che attribuisca alla loro potestà (e soltanto ad essa) l'elaborazione dei Programmi integrati mediterranei, lasciando agli organi statali esclusivamente il potere di controllare l'osservanza della riserva di due terzi del finanziamento alle zone del Mezzogiorno: conseguentemente, sempre secondo gli enti impugnanti, i provvedimenti dei due organi statali (C.I.P.E. e Nucleo di valutazione), in base ai quali vennero parzialmente modificati gli elaborati regionali al fine di armonizzarli con le esigenze dell'economia nazionale, avrebbero invaso la sfera delle attribuzioni regionali, costituzionalmente garantita.

5. - La detta interpretazione non può però essere condivisa perché si discosta dalle comuni regole di ermeneutica, considerando soltanto una parte della riportata disposizione e trascurando il contenuto complessivo dell'atto comunitario.

Il regolamento infatti ha concepito i Programmi integrati mediterranei non, come vorrebbero gli enti impugnanti, quali atti di esclusiva competenza locale e privi di collegamento con tutti gli interventi, regionali, comunitari e nazionali, ma, secondo quel che inequivocabilmente emerge dalla stessa denominazione (programmi integrati), come strumenti di integrazione dei detti interventi, diretti ad eliminare gli eventuali ritardi ancora esistenti nello sviluppo socio-economico delle zone meridionali dalla Comunità.

Da ciò il proposito, dichiarato più volte nel preambolo e nel testo del provvedimento, di... "prevedere un'impostazione programmata e pluriennale degli interventi nazionali e comunitari in queste Regioni"; di "elaborare programmi di sviluppo integrato, concepiti ed attuati per migliorare la situazione socio-economica delle Regioni interessate"; di "offrire una risposta globale alla diversità dei problemi che gravano sulle Regioni e di perseguire tre obiettivi, ossia lo sviluppo, l'adeguamento nonché il sostegno all'occupazione ed ai redditi"; di prevedere "azioni interdipendenti e complementari tra di loro" nonché "coerenti con le politiche comuni".

Tale intento degli organi comunitari é chiaramente ribadito dall'art. 4, secondo comma, dello stesso regolamento, il quale dispone che "le azioni oggetto dei P.I.M. debbono essere complementari tra di loro ed adeguate alle caratteristiche delle varie regioni e zone, in modo da assicurare l'integrazione dei vari mezzi nazionali e comunitari da mettere in atto".

É di non trascurabile importanza considerare inoltre che sul bilancio degli stati membri grava il maggiore onere economico, mentre la Comunità si limita a corrispondere un contributo solo in caso di insufficienza delle risorse nazionali.

6. - Tutto ciò spiega come il citato art. 5, punto 2, del regolamento, secondo la sua inequivoca formulazione inspiegabilmente trascurata dalle ricorrenti, riferitesi soltanto ad un'espressione isolatamente considerata, dia il massimo rilievo alla posizione dello Stato membro, al quale consente persino di escludere gli enti regionali dall'elaborazione dei piani per investire altre autorità, con una scelta discrezionale la quale può riguardare indubbiamente anche un organo centrale.

Di conseguenza risulta palese l'infondatezza della pretesa regionale, secondo cui andrebbero esclusi dall'elaborazione dei programmi suindicati gli organi statali, investiti per contro di un ruolo essenziale in materia, sia per quanto già rilevato, sia per il fatto che solo essi possono avere una piena cognizione delle condizioni dell'economia nazionale, nella cui prospettiva, integralmente valutata, i programmi stessi debbono inserirsi. A ciò si aggiunge la considerazione già formulata, secondo cui grava sullo Stato il maggiore onere finanziario (art. 6, n. 2 cpv.), intervenendo la Comunità con funzione sussidiaria ed integrativa, sicché una esclusione degli organi centrali sarebbe palesemente irrazionale; e va infine notato che lo Stato medesimo partecipa al Comitato amministrativo previsto nell'art. 9 per l'attuazione del programma, dovendosi anche da ciò trarre sicuramente motivo per ritenere la notevole incidenza della sua azione.

7. - In relazione agli esposti rilievi osserva la Corte che il Presidente del Consiglio dei ministri ha esattamente interpretato il contenuto del Regolamento comunitario ed ha legittimamente stabilito con decreto del 1ø febbraio 1986 che i P.I.M. vengano elaborati dalle autorità regionali e poi trasmessi all'autorità statale (C.I.P.E.), non soltanto, come ammesso dalle stesse Regioni, per la riserva dei due terzi del finanziamento alle zone del Mezzogiorno, ma anche, ed é quel che qui interessa, "in riferimento alla priorità delle azioni, ed alla loro coerenza con le linee di politica economica generale".

Del suddetto provvedimento, che rientra sicuramente, come non é contestato, nell'ambito della funzione di indirizzo e di coordinamento, nessuna delle Regioni ebbe a suo tempo a dolersi, il che risulta molto significativo anche per gli indubbi riflessi sul successivo comportamento delle due sole Regioni che hanno proposto l'attuale impugnazione.

8. - Un breve accenno merita la doglianza concernente la sottoposizione dei piani in questione al Nucleo di valutazione di cui all'art. 4 l. 26 aprile 1982 n. 181, al fine di accertare la loro rispondenza alle esigenze delle disponibilità economiche nazionali; doglianza certo inidonea a dare vita ad un conflitto di attribuzioni, non essendo configurabile un'invasione di competenza per il fatto che lo Stato abbia attribuito ad un suo organo (appunto il predetto Nucleo di valutazione) una attività ad esso demandata: al più, potrebbe trattarsi di un vizio dell'atto amministrativo, da far valere davanti agli organi giudiziari competenti in materia.

Infine, sebbene il rilievo possa essere superfluo, ritiene la Corte di aggiungere come non sia per nulla conferente l'insistente richiamo all'art. 9 n. 2 del Regolamento, secondo cui l'applicazione dei P.I.M. si attua mediante contratti di programma tra le parti interessate (Commissione, Stati membri, autorità regionali o altra autorità designata dallo Stato membro). Tale norma, infatti, concerne un programma da attuare in quanto già formato in tutti i suoi elementi e quindi approvato definitivamente dagli organi comunitari: per contro, lo stesso art. 9 non regola affatto il relativo procedimento di formazione, onde non ha alcuna rilevanza ai fini qui considerati.

Ed in proposito va osservato che l'iter procedimentale non si esaurisce con l'attività regionale e neppure con la trasmissione della proposta alla Commissione, ma si protrae ulteriormente, in quanto la Commissione stessa deve, a sua volta, vagliare il progetto di programma, apportandovi le necessarie modificazioni, e inoltrarlo quindi al Comitato di cui all'art. 7 Reg. cit., il quale a sua volta deve provvedere alla relativa approvazione, da assumere con maggioranza qualificata. Tale complessità del procedimento chiaramente conferma l'esigenza della partecipazione dello Stato a difesa di interessi che trascendono l'ambito locale (vedi retro nn. 5 e 6), e incidono in quello nazionale.

In conclusione, i due ricorsi, per le suesposte considerazioni, non possono ritenersi fondati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Rigetta i ricorsi delle Regioni Liguria ed Emilia-Romagna indicati in epigrafe e dichiara che spetta allo Stato di modificare, in relazione alle complessive esigenze dell'economia nazionale, i Programmi integrati mediterranei formulati dalle Regioni, da inviare alla Commissione delle Comunità europee per la definitiva formazione dei Programmi medesimi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1987.

 

Il Presidente: SAJA

Il Redattore: SAJA

Depositata in cancelleria il 19 novembre 1987.

Il direttore della cancelleria: MINELLI