Sentenza n. 224 del 1994

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SENTENZA N. 224

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici: avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO;

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 15, primo, terzo e quarto comma, 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e 159 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante "Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia", promosso con ricorsi della Provincia autonoma di Bolzano, della Regione Sardegna, della Provincia autonoma di Trento e della Regione Trentino-Alto Adige, rispettivamente notificati il 30 e 29 settembre 1993, depositati in cancelleria il 4 e 5 novembre successivi ed iscritti ai nn. 67, 68, 69 e 70 del registro ricorsi 1993;

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano, Valerio Onida per la Provincia autonoma di Trento, Valerio Onida e Giandomenico Falcon per la Regione Trentino-Alto Adige e Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l'avvocato dello Stato Antonino Freni per il Presidente del Consiglio dei ministri;


Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso in data 27 ottobre 1993 (n. 67 del 1993) la Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato, con riferimento all'art 11, primo e secondo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige e alle norme di attuazione in materia di ordinamento delle aziende di credito a carattere regionale, approvate con d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 15, primo, terzo e quarto comma, e 159, terzo comma, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il "Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia".

Nel ricorso si ricorda che ai sensi dell'art. 11, primo e secondo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, alla Provincia autonoma di Bolzano spetta il potere di autorizzare l'apertura e il trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a carattere locale, provinciale e regionale, sentito il parere del Ministero del tesoro, nonché il potere di esprimere parere ai fini dell'autorizzazione concessa dal Ministero del tesoro all'apertura e al trasferimento nella provincia di sportelli bancari delle altre aziende di credito. Si sottolinea, inoltre, che, in materia di ordinamento delle aziende di credito a carattere regionale, la norma di attuazione contenuta nell'art. 1 del d.P.R. n. 234 del 1977 dispone che le attribuzioni delle amministrazioni statali in materia di ordinamento degli istituti di credito a carattere regionale sono esercitate, nell'ambito del proprio territorio, dalla Regione Trentino-Alto Adige "ad eccezione delle attribuzioni spettanti, ai sensi dell'art. 11 dello stesso decreto, alle Province di Trento e Bolzano". Ciò premesso, la Provincia ricorrente osserva che il decreto legislativo n. 385 del 1993 ha introdotto a favore della Banca d'Italia una serie di competenze e poteri che risulterebbero lesivi delle richiamate norme statutarie. In particolare, l'art. 15, primo comma, del decreto impugnato prevede che le banche italiane possono stabilire succursali nel territorio della Repubblica e degli altri Stati comunitari, riservando alla Banca d'Italia il solo potere di vietare lo stabilimento di una nuova succursale per motivi attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative e della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca, mentre l'art. 159 dispone che le norme dell'art. 15 "sono inderogabili e prevalgono sulle contrarie disposizioni già emanate". Secondo la ricorrente, tali norme priverebbero la Provincia autonoma di Bolzano delle competenze previste dallo Statuto e dalle norme di attuazione, dal momento che le disposizioni impugnate trovano applicazione in tutto il territorio dello Stato italiano, mentre nel decreto legislativo n. 385 manca ogni accenno alla riserva di legge costituzionale che assegna una specifica competenza alla Provincia medesima. Nel ricorso si osserva che l'incostituzionalità denunciata riguarda diversi profili, riferiti all'art. 11 dello Statuto speciale. Innanzitutto, dagli artt. 15 e 159 discenderebbe la completa soppressione del potere spettante alla Provincia di autorizzazione all'apertura e al trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a carattere locale, provinciale e regionale. In secondo luogo, risulterebbe violato il diritto della Provincia a esprimere il proprio parere prima che il Ministero del tesoro autorizzi l'apertura o il trasferimento nella provincia di sportelli di aziende di credito non locali, provinciali e regionali. Nel ricorso si afferma, infine, che il vizio di incostituzionalità investirebbe anche i commi terzo e quarto dell'art. 15, che disciplinano il diritto di stabilire succursali nel territorio della Repubblica italiana da parte di banche comunitarie ed extracomunitarie, attribuendo i controlli relativi alla Banca d'Italia e alla CONSOB: anche queste disposizioni sarebbero in contrasto con l'art. 11 dello Statuto speciale nella parte in cui, escludendo il potere autorizzatorio del Ministero, sottraggono alla Provincia il diritto di essere sentita dal Ministero del tesoro e di dare il preventivo parere all'autorizzazione all'apertura e al trasferimento nel territorio provinciale di sportelli bancari di tali aziende di credito.

2. - Con ricorso in data 29 ottobre 1993 (n. 69 del 1993) anche la Provincia autonoma di Trento ha impugnato, in riferimento all'art. 11 dello Statuto speciale, gli artt. 15, primo comma, e 159, terzo comma, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385.

La Provincia rileva che la disciplina prevista dall'art. 15, primo comma, nel riservare alla sola Banca d'Italia i poteri di intervento sulle succursali delle banche, anche di interesse regionale, su tutto il territorio nazionale, non menziona più alcun potere delle Province autonome in materia. Secondo la ricorrente, nonostante che l'art. 159 del testo unico in questione presupponga ancora che alle Regioni a statuto speciale siano attribuite competenze in materia di credito, dal complesso della nuova disciplina non risulterebbe più alcuna potestà della Provincia in tema di apertura di succursali delle banche nel territorio provinciale: da qui la violazione dell'art. 11 dello Statuto speciale. Né, secondo la Provincia, varrebbe osservare che la nuova normativa, avendo abolito l'autorizzazione all'apertura o al trasferimento di sportelli, non potrebbe essere vincolata dalle norme statutarie, dal momento che l'art. 15, primo comma, del testo unico attribuisce pur sempre alla Banca d'Italia il potere di vietare lo stabilimento di una nuova succursale. Di conseguenza, sempre ad avviso della ricorrente, le potestà attribuite alla Provincia dall'art. 11 dello Statuto dovrebbero oggi intendersi riferite quanto meno al potere di vietare lo stabilimento delle nuove succursali. Con riferimento all'ammissibilità del ricorso, la Provincia di Trento rileva che il testo unico impugnato presenta carattere "innovativo" e come tale rinnova la lesione dell'autonomia provinciale già operata con il precedente decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (attuativo della direttiva CEE n. 89/646), legittimando il presente giudizio.

3. - Con ricorso in data 25 ottobre 1993 (n. 70 del 1993) la Regione Trentino-Alto Adige ha sollevato, in riferimento all'art. 5, n. 3, e 16, primo comma, dello Statuto speciale, così come attuato dagli artt. 1 e 3, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, nonché all'art. 107, primo comma, dello Statuto medesimo, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. La Regione, dopo aver richiamato la propria potestà legislativa e amministrativa in materia di ordinamento degli enti di credito fondiario e agrario, delle casse di risparmio e di quelle rurali, nonché delle aziende di credito a carattere regionale, rileva che in tale materia, ai sensi dell'art. 1, terzo comma, del d.P.R. n. 234 del 1977, risulta riservata alla competenza statale solo la disciplina relativa alla raccolta del risparmio, all'esercizio del credito ed alla vigilanza sugli istituti di credito. In particolare, la Regione ricorda le proprie competenze in ordine all'emanazione di una serie di provvedimenti relativi ad enti e aziende di credito a carattere regionale, competenze elencate nell'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 234, per rilevare che la norma impugnata sarebbe tale da configurare una invasione dell'autonomia regionale avendo esteso i poteri di vigilanza spettanti alla Banca d'Italia fino ad assorbire anche i poteri regionali previsti dal citato articolo. Tale assunto troverebbe conferma nel secondo comma dell'art. 159 del testo unico che, attribuendo alla Banca d'Italia il potere di esprimere parere vincolante in ordine a una serie di provvedimenti di competenza regionale, svuoterebbe di ogni contenuto sostanziale la stessa competenza. Né si potrebbe sostenere, sempre ad avviso della Regione, che le valutazioni concernenti la vigilanza, in quanto eminentemente tecniche, sarebbero insuscettibili di essere compiute dagli organi regionali, dal momento che l'art. 9, primo comma, del decreto impugnato prevede avverso i provvedimenti adottati dalla Banca d'Italia nell'esercizio dei poteri di vigilanza il reclamo ad un organo politico-governativo quale il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio. Nel ricorso si rileva anche che il contrasto con le norme di attuazione dello Statuto risulta ancora più evidente ove si consideri che l'art. 3, secondo comma, del d.P.R. n. 234 del 1977 disciplina in modo puntuale i raccordi tra la Regione e lo Stato prevedendo nelle diverse ipotesi di provvedimenti regionali l'intervento del Ministero del tesoro o della Banca d'Italia.

La Regione censura poi il terzo e quarto comma dell'art. 159 che, attraverso il riconoscimento dell'inderogabilità di una serie di disposizioni contenute nel testo unico, mirerebbero a spogliare o rafforzare le restrizioni illegittimamente apportate alla competenza regionale. Inoltre, la Regione contesta la violazione dell'art. 107, primo comma, dello Statuto, dal momento che le disposizioni impugnate, limitando l'ambito dei poteri regionali regolati in sede di norme di attuazione, sarebbero incorse in un vizio formale per aver violato la speciale procedura stabilita dalla ricordata norma statutaria, dove si prevede per le norme di attuazione il parere di una commissione paritetica. Infine, la ricorrente denuncia la violazione da parte del secondo comma dell'art. 159, in quanto norma immediatamente applicabile, dell'art. 2 del d.P.R. 16 maggio 1992, n. 266, che ha regolato, nel Trentino-Alto Adige, i rapporti tra leggi statali e leggi regionali, stabilendo un termine di sei mesi per l'adeguamento delle leggi regionali e provinciali ai principi ed alle norme statali costituenti limiti per la Regione e le Province.

4. - Con ricorso in data 29 ottobre 1993 (n. 68 del 1993) la Regione autonoma della Sardegna ha impugnato, con riferimento agli artt. 3, 4 e 6 dello Statuto speciale ed alle relative norme di attuazione, nonché all'art. 76 della Costituzione, gli artt. 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e 159 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Dopo aver richiamato le norme statutarie che attribuiscono alla Regione Sardegna competenza legislativa e amministrativa di tipo concorrente in materia di ordinamento degli enti di credito fondiario ed agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e degli altri istituti di credito di carattere regionale, nel ricorso sono in primo luogo illustrate le censure di costituzionalità relative all'art. 152 del decreto impugnato. Questa disposizione stabilisce che entro il 1° gennaio 1996 le casse comunali e i monti di credito su pegno che non raccolgono risparmio devono assumere iniziative che portino alla cessazione dell'esercizio dell'attività creditizia ovvero alla estinzione degli enti stessi e, in caso di inerzia, trascorso il termine suddetto, sono posti in liquidazione. Ad avviso della Regione una siffatta disciplina sarebbe incostituzionale, dal momento che svuoterebbe di contenuto la competenza regionale in materia di istituzione ed ordinamento degli enti di credito agrario di carattere regionale, senza, d'altro canto, prevedere alcuna forma di intervento della Regione nel procedimento di messa in liquidazione delle casse in questione, in violazione del principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni. Passando all'esame dell'art. 159 il ricorso denuncia varie lesioni dell'autonomia regionale. In primo luogo, con la norma impugnata si sarebbe inteso "subordinare" al parere vincolante della Banca d'Italia il potere della Regione in ordine ad ogni singolo provvedimento autorizzatorio in materia creditizia e questo in contrasto con i poteri che gli artt. 4 e 6 dello Statuto speciale riservano alla Regione. Inoltre, l'art. 159 ha riferito il parere vincolante della Banca d'Italia anche ai provvedimenti richiamati negli artt. 31 e 36 del testo unico (trasformazioni di banche popolari in società per azioni, fusioni a cui partecipino banche popolari e da cui risultino società per azioni; fusioni tra banche di credito cooperativo), mentre il Governo, in base alla delega prevista dall'art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991), avrebbe potuto inserire nel testo unico soltanto "le disposizioni adottate ai sensi del comma 1", e cioè quelle già inserite nel decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481 (attuativo della direttiva CEE n. 89/646), corrispondenti agli artt. 14, 56 e 57 del decreto impugnato. Sotto questo profilo l'art. 159, ad avviso della Regione ricorrente, contrasterebbe, oltre che con le citate norme statutarie, anche con l'art. 76 della Costituzione per violazione dei limiti della delega. Un ulteriore profilo di incostituzionalità dell'art. 159 riguarda il combinato disposto del secondo, terzo e quarto comma di tale articolo, dove si dispone l'inderogabilità della norma che prescrive il parere vincolante della Banca d'Italia e la sua prevalenza sulle disposizioni già emanate o sulle norme di recepimento della direttiva CEE n. 89/646 che venissero in futuro emanate dalla Regione nella materia disciplinata dalla stessa direttiva. La Regione osserva in proposito che la direttiva n. 89/646 è stata attuata con il decreto legislativo n. 481 del 1992 che, all'art. 46, terzo comma, - in attuazione della legge 9 marzo 1989, n. 86 - ha indicato quali norme del medesimo decreto fossero da considerarsi "inderogabili" anche per le Regioni ad autonomia speciale. La Regione rileva che l'art. 46 del richiamato decreto legislativo n. 481 non ha qualificato come inderogabile la disposizione del secondo comma del medesimo articolo: questo renderebbe incostituzionale l'art. 159 dal momento che le disposizioni in esso contenute hanno preteso di rendere inderogabili anche norme di attuazione della direttiva n. 89/646 che non erano state qualificate tali dall'unico atto legislativo che aveva il potere di farlo (cioè dal decreto legislativo n. 481 del 1992, in virtù della delega conferita al Governo dagli artt. 1 e 25, primo comma, della legge n. 142 del 1992).

Nel ricorso si contesta anche che l'art. 159 disciplini il parere vincolante della Banca d'Italia, mentre secondo la previsione dell'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992, questo potere doveva essere disciplinato dalla legge regionale: anche sotto questo profilo, secondo la Regione, l'art. 159 violerebbe sia le richiamate competenze regionali sia l'art. 76 della Costituzione. Viene poi censurato l'art. 47 del testo unico, che, dopo avere stabilito, al primo comma, che tutte le banche possono erogare finanziamenti assistiti da agevolazioni previste dalle leggi vigenti purché regolati da convenzione con l'amministrazione pubblica competente, al secondo e terzo comma disciplina tale convenzione, prevedendo che essa sia preceduta da un parere obbligatorio della Banca d'Italia. Nel ricorso si fa osservare che numerose leggi regionali hanno istituito fondi pubblici di agevolazione creditizia in materie di competenza esclusiva della Regione Sardegna (es. industria alberghiera e turistica, artigianato) e che gli artt. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e 71, quarto comma, del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348, hanno integralmente trasferito alla Regione tutte le funzioni legislative e amministrative concernenti ogni tipo di intervento per favorire l'accesso al credito agevolato, ivi compresa la disciplina dei rapporti tra la Regione e gli istituti di credito eroganti. Pertanto, secondo la ricorrente, la disciplina della convenzione con gli istituti di credito prevista dall'art. 47 impugnato ricadrebbe nella competenza esclusiva della Regione Sardegna relativa alle materie cui i diversi fondi si riferiscono. Con tale competenza verrebbe, dunque, a confliggere la previsione di un parere obbligatorio della Banca d'Italia in ordine ai rapporti convenzionali della Regione con gli istituti di credito eroganti. Al fine di prevenire eventuali eccezioni d'inammissibilità la Regione rileva, infine, che il testo unico impugnato è di tipo "normativo", dal momento che, in virtù della delega prevista dall'art. 25, secondo comma, della legge n. 142 del 1992, presenta carattere "innovativo", disponendo della forza propria degli atti legislativi. La mancata impugnazione delle norme contenute nel decreto legislativo n. 481 del 1993, corrispondenti a quelle ora impugnate, non verrebbe, dunque - sempre ad avviso della Regione - a rappresentare un ostacolo per l'ammissibilità del ricorso.

5. - In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate. La difesa dello Stato ripercorre le vicende che hanno preceduto l'emanazione del testo unico impugnato, richiamando i contenuti della direttiva CEE n. 89/646, in tema di coordinamento delle disposizioni relative all'accesso all'attività degli enti creditizi, e del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, con il quale, in attuazione della delega prevista dalla legge comunitaria per il 1991 (artt. 2 e 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142), è stata recepita la direttiva in questione. In particolare, si osserva che la delega contenuta nella legge comunitaria prevedeva che il Governo emanasse una disciplina attuativa non solo dei contenuti espliciti della direttiva, ma anche dei principi di armonizzazione da essa ricavabili, quali quelli relativi alla convergenza degli ordinamenti, alla "despecializzazione" istituzionale delle banche ed al rafforzamento degli strumenti di vigilanza sulle stesse. La delega è stata quindi esercitata con l'emanazione del decreto legislativo n. 481 del 1992 dove, all'art. 46, si prevedeva che le Regioni a statuto speciale emanassero entro 180 giorni le norme di recepimento della direttiva e che tali norme, ferme le competenze regionali, riservassero alla Banca d'Italia le valutazioni in tema di vigilanza, modifiche statutarie e fusioni. Inoltre - rileva ancora la difesa dello Stato - in attuazione dell'ulteriore delega prevista dall'art. 25 della citata legge comunitaria (concernente il coordinamento delle specifiche disposizioni di attuazione della direttiva n. 89/646 con la precedente disciplina di settore, apportando "le modifiche necessarie" ai fini del coordinamento) si è proceduto all'approvazione del testo unico impugnato. In tale occasione il Governo, preso atto del mancato recepimento della direttiva da parte delle Regioni, riformulava la norma destinata a riprodurre l'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992 in modo tale da rendere chiara l'immediata applicabilità delle disposizioni di principio non derogabili dal legislatore regionale. Si è quindi precisato che sono immediatamente applicabili sia le previsioni sul parere vincolante della Banca d'Italia espresso, a fini di vigilanza, in materia di autorizzazione all'attività bancaria (art. 14) e di modificazioni statutarie, fusioni e scissioni (artt. 56, 57, 31 e 36); sia le disposizioni dettate in tema di apertura di succursali (art. 15), libera prestazione dei servizi (art. 16), requisiti degli esponenti aziendali (art. 26), finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici (art. 47). Si è anche stabilito il carattere non derogabile da parte della legislazione regionale sopravvenuta delle norme che prevedono il suddetto parere vincolante della Banca d'Italia.

Ciò premesso, in relazione alle questioni sollevate dalla Provincia autonoma di Bolzano, l'Avvocatura dello Stato afferma che la progressiva attuazione dell'ordinamento comunitario ha comportato dapprima una maggiore apertura nel rilascio delle autorizzazioni e successivamente la soppressione dello stesso istituto dell'autorizzazione. Tale soppressione avrebbe determinato il venir meno del potere autorizzatorio sia per la Banca d'Italia sia per le Province ricorrenti, mentre il rilievo costituzionale della norma attributiva di tale potere alla Regione non sposterebbe i termini della questione, dal momento che l'origine comunitaria della soppressione del potere consentirebbe al legislatore nazionale di incidere sulla competenza provinciale.

Inoltre, l'Avvocatura rileva che l'apertura di nuovi sportelli può oggi essere vietata ai sensi dell'art. 15, primo comma, del testo unico solo nell'ipotesi in cui la banca non disponga di strutture organizzative ovvero di una adeguata situazione finanziaria ed economica, mentre non è più connessa alla finalità di commisurare lo sviluppo territoriale delle banche alle esigenze economiche delle piazze di insediamento: pertanto, la valutazione tecnica di questi aspetti atterrebbe esclusivamente alla vigilanza sull'esercizio dell'attività creditizia - funzione strutturalmente estranea alle competenze regionali - mentre l'inderogabilità prevista dall'art. 159 risulterebbe stabilita solo in funzione del rispetto dei principi comunitari. In relazione al ricorso proposto dalla Regione Sardegna l'Avvocatura osserva, poi, in primo luogo - con riferimento alle censure formulate nei confronti dell'art. 152 - che l'attuazione della direttiva n. 89/646 ha determinato il superamento delle categorie speciali degli enti creditizi e la conseguente abrogazione delle norme che ne disciplinavano l'attività. Nel nuovo sistema l'attività creditizia è riservata, infatti, alle imprese bancarie e agli intermediari finanziari organizzati in forma societaria. Pertanto, secondo l'Avvocatura, la necessità di trasformazione delle casse comunali di credito agrario discenderebbe da tali modificazioni introdotte in attuazione dei principi comunitari, pur restando ferma la preesistente competenza regionale in materia di ordinamento delle aziende di credito locali. Sotto questo profilo la difesa dello Stato rileva che il testo unico impugnato non sarebbe tale da incidere sulle competenze regionali, dal momento che la trasformazione e liquidazione delle casse comunali di credito agrario resterebbe pur sempre disciplinata dalla normativa previgente.

L'Avvocatura dello Stato richiama inoltre - in relazione alle censure formulate nei confronti dell'art. 159 - le disposizioni contenute nella direttiva n. 89/646 che affidano alle autorità di ciascun Stato membro abilitate all'esercizio del controllo sugli enti creditizi nazionali compiti di vigilanza sulla loro solidità finanziaria e che impongono a tali autorità di negare l'autorizzazione all'esercizio dell'attività qualora non risulti assicurata la "sana e prudente gestione". L'attribuzione alle Regioni a statuto speciale di competenze in materia di ordinamento delle aziende bancarie locali avrebbe, pertanto, reso necessario il coordinamento dell'esercizio di tali competenze con le funzioni di vigilanza.

L'Avvocatura ribadisce anche che l'attuazione della normativa comunitaria avrebbe comportato la soppressione della valutazione delle esigenze economiche del mercato e la necessità di estendere la valutazione di vigilanza ai momenti organizzativi dell'impresa prevedendo in materia l'intervento dell'organo tecnico statale. Pertanto, la normativa impugnata non lederebbe alcuna prerogativa regionale, dal momento che la giurisprudenza costituzionale ha affermato che le norme di attuazione della disciplina comunitaria possono porsi come limite che vincola l'autonomia delle Regioni anche nell'esercizio di potestà legislativa esclusiva. Quanto all'obbligo di prevedere l'acquisizione di un parere vincolante della Banca d'Italia per le valutazioni di vigilanza, nella memoria dell'Avvocatura si rileva che tale obbligo era stato già previsto dall'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992 e che, pertanto, tale previsione vincolava già il legislatore regionale. Infine - in relazione alle censure formulate nei confronti dell'art. 47 del testo unico - si osserva che tale disposizione concerne una materia riservata allo Stato dall'art. 109 del d.P.R. n. 616 del 1977. Quanto al disposto del secondo e del terzo comma dell'art. 47 - che disciplinano le forme attraverso le quali le banche possono essere coinvolte nella gestione di fondi pubblici di agevolazione - la difesa dello Stato ricorda che furono le commissioni competenti della Camera e del Senato a richiedere che la scelta delle banche con le quali stipulare convenzioni in questa materia fosse effettuata dalla pubblica amministrazione sulla base di criteri che tengano conto della struttura tecnica organizzativa ai fini della prestazione del servizio.

Con argomentazioni analoghe a quelle ora esposte l'Avvocatura dello Stato ha chiesto che siano dichiarate inammissibili o comunque infondate anche le questioni sollevate dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Trentino-Alto Adige.

6. - In prossimità dell'udienza la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Sardegna e l'Avvocatura generale dello Stato hanno presentato memoria per ribadire e sviluppare le tesi enunciate nei rispettivi atti difensivi.

In particolare, la Provincia di Bolzano osserva che l'art. 15, primo comma, del testo unico non costituirebbe attuazione di prescrizioni contenute nella direttiva CEE 89/646, dove non si disciplina l'apertura di succursali nel territorio di uno Stato da parte di banche appartenenti allo Stato medesimo, ma si regola soltanto il regime per l'apertura di succursali da parte di enti creditizi appartenenti ad altro Stato membro: limitazione questa che risulterebbe coerente anche con la ratio del "diritto di stabilimento", definito dal Trattato di Roma come "libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro". Nella memoria si osserva anche che il testo unico ha riservato alla Banca d'Italia poteri di ingerenza assai rilevanti, consistenti nella facoltà di vietare l'istituzione di succursali di banche nazionali. Secondo la Provincia tali poteri, nel nuovo contesto della normativa comunitaria, risponderebbero ad un interesse sostanzialmente coincidente con quello che, durante il precedente regime autorizzatorio, costituiva fondamento dei poteri assegnati dallo Statuto speciale alla Provincia medesima, con la conseguenza che il rispetto delle competenze provinciali costituzionalmente garantite avrebbe dovuto assicurare alla Provincia poteri di intervento anche nel nuovo regime.

La Provincia autonoma di Bolzano riafferma anche l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, quarto comma, del testo unico, che reca la disciplina dell'apertura di succursali da parte di banche extracomunitarie: anche in questo caso, infatti, pur permanendo il potere di autorizzazione - trasferito dal Ministero del tesoro alla Banca d'Italia - verrebbe meno ogni competenza provinciale non essendo più previsto il parere della Provincia.

La Provincia conclude richiamando i contenuti della sentenza di questa Corte n. 40 del 1992, dalla quale risulterebbe chiaramente che le innovazioni introdotte dalla normative comunitaria nella materia del credito non sono comunque in grado di incidere sul riparto delle competenze tra lo Stato, la Regione Trentino Alto Adige e le Province autonome.

7. - Nella sua memoria la Regione Sardegna contesta quanto affermato dall'Avvocatura in ordine alla presenza nella disciplina comunitaria dell'obbligo di soppressione, o comunque di modificazione, della struttura delle casse comunali di credito agrario, previsto dall'art. 152 del testo unico impugnato, dal momento che nella direttiva CEE n. 89/646 non vi sarebbe alcuna disposizione espressa in tal senso.

Anche in relazione all'art. 159 del testo unico la Regione afferma che il parere vincolante della Banca d'Italia nelle materie indicate dalla norma non troverebbe fondamento nell'esigenza di dare attuazione alla direttiva n. 89/646, dal momento che tale direttiva, nel disciplinare i poteri assegnati alle autorità interne, fa pur sempre riferimento alle " autorità competenti" degli Stati, la cui individuazione è rimessa agli ordinamenti interni in base alle competenze da questi definite e nel rispetto del principio di gerarchia delle fonti. Infine, nella memoria si insiste nella censura relativa all'eccesso di delega in cui sarebbe incorso l'art. 159, secondo comma, dal momento che le fattispecie contenute negli artt. 31 e 36 del testo unico (per cui è previsto il parere vincolante della Banca d'Italia) risulterebbero diverse da quelle regolate negli artt. 21 e 25 del decreto legislativo n. 481 del 1992.

8. - Nella memoria presentata dall'Avvocatura dello Stato si rileva preliminarmente che la diretta derivazione dell'art. 159 impugnato dall'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992 non può non riflettersi negativamente sull'ammissibilità dei ricorsi presentati nel presente giudizio, dal momento che quest'ultima disposizione non è stata impugnata dalle parti ricorrenti: ad avviso dell'Avvocatura, infatti, l'art. 159 del testo unico riproduce sostanzialmente l'art. 46 del decreto legislativo n. 481, attuativo della direttiva n. 89/646, in riferimento alle corrispondenti disposizioni degli artt. 15, 16, 26 e 47 dello stesso testo unico. Sotto diverso profilo l'Avvocatura sostiene che le Regioni ricorrenti hanno competenza di tipo concorrente in materia di ordinamento degli enti di credito a carattere regionale e devono, pertanto, rispettare, nell'esercizio di tale competenza, i limiti derivanti dai principi posti dalle leggi dello Stato (e quindi, nella specie, dal testo unico impugnato), dagli obblighi internazionali e dagli interessi nazionali. L'Avvocatura prosegue affermando che la materia relativa alla disciplina della raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito rimane riservata allo Stato e che resta esclusa dalla competenza regionale la disciplina di tutto ciò che attiene all'attività degli enti creditizi. Dopo aver ribadito che l'attribuzione alla Banca d'Italia del potere di esprimere parere vincolante ai fini dell'adozione di provvedimenti di competenza regionale rientra nell'attività di vigilanza di competenza statale, la difesa dello Stato conclude affermando che le modifiche introdotte nell'ordinamento nazionale in applicazione delle direttive comunitarie in materia di attività creditizia hanno profondamente cambiato il quadro di riferimento normativo presupposto dagli statuti speciali delle Regioni autonome e delle relative norme di attuazione. Di conseguenza, il mutato assetto di questo quadro, in esecuzione di obblighi comunitari, non può non riflettersi sulle competenze in materia delle Regioni a statuto speciale (e delle Province autonome), dal momento che si tratta di competenze non attribuite a titolo originario, ma derivate da quelle statali.

La legge dello Stato, sottraendo preliminarmente certe attività al controllo amministrativo, avrebbe, quindi, reso inoperanti le previsioni statutarie senza per questo invadere le competenze regionali.


Considerato in diritto

1. - I quattro ricorsi in esame investono questioni di costituzionalità in parte identiche e in parte connesse. I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con una stessa sentenza.

2. - Le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Regione Trentino-Alto Adige e la Regione autonoma della Sardegna chiedono la dichiarazione di illegittimità costituzionale nei confronti di varie disposizioni del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), in quanto ritenute lesive delle competenze assegnate nel settore del credito alle stesse Province e Regioni dai rispettivi Statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.

In particolare, di tale decreto legislativo:

a) la Provincia autonoma di Bolzano impugna l'art. 15, primo, terzo e quarto comma, e l'art. 159, terzo comma, per violazione dell'art. 11, primo e secondo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione, approvate con d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, in quanto le norme impugnate, qualificate come inderogabili, avrebbero soppresso il potere della Provincia di autorizzare l'apertura di sportelli da parte di banche di carattere locale, nonché il potere della stessa Provincia di esprimere al Ministero del tesoro il proprio parere in ordine all'apertura di sportelli da parte delle altre banche;

b) la Provincia autonoma di Trento impugna l'art. 15, primo comma, e l'art. 159, terzo comma, per motivi analoghi a quelli enunciati nel ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, ma rivendicando anche alla sfera della propria competenza il potere di vietare lo stabilimento nella provincia di nuove succursali di banche italiane, potere che l'art 15, primo comma, affida alla Banca d'Italia;

c) la Regione Trentino-Alto Adige impugna l'art. 159 per violazione degli artt. 5, n. 3, e 16 dello Statuto speciale, così come attuato dagli artt. 1 e 3, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234, nonché per violazione dell'art. 107, primo comma, dello stesso Statuto e dell'art. 2 del d.P.R. 16 marzo 1992, n. 266. La disciplina impugnata, introducendo a fini di vigilanza il parere vincolante della Banca d'Italia in ordine all'esercizio di talune competenze regionali, avrebbe sostanzialmente svuotato tali competenze, derogando altresì alle norme di attuazione dello Statuto speciale senza il rispetto della particolare procedura prevista per queste norme e sottraendo alla stessa Regione, mediante la previsione dell'immediata operatività dell'obbligo di tale parere vincolante, il potere di adeguarsi alla nuova disciplina statale entro il termine di sei mesi;

d) la Regione autonoma della Sardegna impugna gli artt. 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e 159 per violazione degli artt. 3, 4 e 6 dello Statuto speciale nonché dell'art. 76 della Costituzione e del principio di coordinamento e collaborazione nei rapporti tra Stato e Regione. Le disposizioni impugnate avrebbero, infatti, inciso indebitamente nelle competenze regionali avendo previsto: 1) l'introduzione di un parere obbligatorio della Banca d'Italia in ordine alle convenzioni tra banche e pubbliche amministrazioni in materia di finanziamenti agevolati (art. 47); 2) la trasformazione obbligatoria o la soppressione, senza alcun intervento della Regione, delle casse comunali di credito agrario (art. 152); 3) l'introduzione a fini di vigilanza del parere vincolante della Banca d'Italia in procedimenti di competenza regionale, richiamando altresì ipotesi non contemplate dalla legge di delegazione e conferendo alle norme relative, sempre in violazione della delega, il carattere della inderogabilità (art. 159).

3. - Va in primo luogo esaminata l'eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa dello Stato in relazione al fatto che parte delle disposizioni impugnate, contenute nel testo unico, avrebbero sostanzialmente riprodotto norme già formulate nel decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, attuativo della direttiva CEE n. 89/646, a suo tempo non impugnate dalle ricorrenti. L'eccezione viene riferita, in particolare, all'art. 159 del testo unico, in relazione al contenuto dell'art. 46 del decreto legislativo n. 481.

Tale eccezione non può essere accolta.

Come rilevano le Regioni e le Province ricorrenti, il testo unico approvato con il decreto legislativo n. 385 del 1993 non è "compilatorio" ma "normativo" (o "innovativo"), trovando il suo fondamento nella delega conferita al Governo con l'art. 25, secondo comma, della legge 19 febbraio 1992, n. 142. Le norme formulate in tale testo unico hanno, pertanto, assunto una propria forza dispositiva suscettibile di incidere autonomamente nella sfera regionale, quand'anche si siano venute a configurare come ripetitive, in tutto o in parte, dei contenuti espressi in precedenti disposizioni di legge. Né - come questa Corte ha spesso sottolineato - nei giudizi di costituzionalità in via principale il giudizio può essere precluso in conseguenza della mancata impugnazione di un precedente atto legislativo di contenuto identico o analogo, non operando in questo giudizio l'istituto dell'acquiescenza così come elaborato dalla giurisprudenza amministrativa (v. sentt. nn. 49 del 1987; 19 del 1970; 113 del 1967).

I ricorsi in esame sono, pertanto, ammissibili in quanto proposti con tempestività.

4. - Passando all'esame del merito delle questioni sollevate, va innanzitutto richiamato l'iter che ha condotto all'adozione del nuovo testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. La prima fase di tale iter si collega alla direttiva approvata dal Consiglio delle comunità europee il 15 dicembre 1989 (89/646/CEE), relativa al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'accesso e l'esercizio delle attività degli enti creditizi. Questo testo (comunemente qualificato come "seconda direttiva" in materia bancaria), sviluppando e modificando la precedente direttiva CEE del 12 dicembre 1977 (77/780) - recepita nel diritto interno con il decreto legislativo 27 giugno 1985, n. 350 - ha posto alcuni principi di notevole portata innovativa. In particolare la "seconda direttiva", al fine di consentire la libera concorrenza tra le imprese bancarie nell'ambito comunitario, ha, tra l'altro, disposto: a) il reciproco riconoscimento e la validità su scala europea delle autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri per l'esercizio dell'attività bancaria; b) la subordinazione del reciproco riconoscimento alla armonizzazione minima delle condizioni relative all'accesso all'attività bancaria ed al suo esercizio, condizioni specificate nei titoli II e IV della stessa direttiva; c) l'affidamento della "vigilanza prudenziale" alle autorità competenti dello Stato membro di origine, cui viene riconosciuto il compito di valutare l'adeguatezza della organizzazione amministrativa e contabile delle singole banche e di sorvegliare sulla loro gestione e situazione finanziaria; d) la possibilità per le banche aventi sede nella comunità di aprire succursali negli Stati membri senza necessità di autorizzazioni particolari (c.d. "libertà di stabilimento"), nonché di svolgere liberamente i propri servizi in settori regolati dalla stessa direttiva (c.d. "libera prestazione dei servizi"). In un secondo momento, con la legge 18 febbraio 1992, n. 142 (Legge comunitaria per il 1991) il Governo veniva delegato ad attuare la direttiva CEE 89/646, nel rispetto dei principi elencati al primo comma dell'art. 25. Contestualmente, con il secondo comma dello stesso articolo, il Governo riceveva anche la delega ad emanare, entro diciotto mesi, un testo unico delle disposizioni che sarebbero state adottate, ai sensi del primo comma, in attuazione della direttiva, testo da coordinare "con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia, apportandovi le modifiche necessarie a tal fine". Veniva, quindi, emanato il decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481, di attuazione della direttiva 89/646, dove i principi della stessa venivano adattati al contesto italiano con riferimento sia all'esercizio dell'attività bancaria (riservata agli enti creditizi) che allo svolgimento dell'attività di vigilanza (riservata alla Banca d'Italia). In tale decreto la sfera delle attribuzioni spettanti alla Regioni a statuto speciale in materia creditizia veniva disciplinata dall'art. 46, dove si attribuiva alle stesse Regioni il potere di emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, norme di recepimento della direttiva comunitaria. Con lo stesso articolo si introduceva anche la previsione di un parere vincolante della Banca d'Italia, per gli aspetti rilevanti ai fini della vigilanza, sull'esercizio dei poteri regionali in tema di autorizzazione all'attività bancaria, di modificazioni degli statuti degli enti creditizi, di fusioni e scissioni interessanti gli stessi enti, (secondo comma), nonché l'indicazione del carattere inderogabile, rispetto alla legislazione regionale, di una serie di norme formulate nello stesso decreto legislativo (terzo comma). Veniva, infine, approvato il decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385, recante il testo unico delle norme in materia bancaria e creditizia, che, oltre a recepire i contenuti del decreto legislativo 14 dicembre 1992 n. 481, riordinava organicamente l'assetto della materia, sostituendo pressoché integralmente - sulla scorta di principi fortemente innovativi - il complesso di norme varato con la c.d. "legge bancaria" del 1936-38. La nuova disciplina posta dal testo unico n. 385 si è venuta, dunque, a caratterizzare sia come disciplina direttamente attuativa di una direttiva comunitaria (per lo stretto collegamento esistente tra il testo unico ed il decreto attuativo n. 481 del 1992), sia come legge di grande riforma economico-sociale. La vicenda normativa che abbiamo richiamato induce, dunque, preliminarmente, a sottolineare un dato di ordine storico. Mentre con i ricorsi in esame le Regioni e le Province ricorrenti lamentano la lesione delle proprie competenze in materia creditizia così come le stesse risultano ancor oggi configurate negli Statuti speciali e nelle relative norme di attuazione, questi Statuti e queste norme, in relazione al tempo in cui furono adottati, assumono a loro presupposto un quadro generale di riferimento che, trovando la sua base nella "legge bancaria" del 1936-38, risulta ispirato a principi notevolmente diversi da quelli che, in base ai più recenti sviluppi della normazione comunitaria, sono venuti a caratterizzare il nuovo assetto della materia bancaria e creditizia.

5. - Poste queste premesse, si può ora passare ad esaminare le singole censure proposte con i ricorsi, seguendo l'ordine progressivo delle disposizioni impugnate. Le Province autonome di Bolzano e di Trento impugnano, in primo luogo, l'art. 15, primo comma, del testo unico, dove si riconosce alle banche italiane la facoltà di stabilire succursali nel territorio della Repubblica e degli altri Stati comunitari senza richiedere una specifica autorizzazione, salvo il potere della Banca d'Italia di vietare lo stabilimento della nuova succursale "per motivi attinenti all'adeguatezza delle strutture organizzative o della situazione finanziaria, economica e patrimoniale della banca". La Provincia autonoma di Bolzano estende l'impugnativa anche ai commi terzo e quarto dello stesso articolo, dove la "libertà di stabilimento" delle succursali è riferita alle banche comunitarie - previa comunicazione alla Banca d'Italia, da parte dell'autorità competente dello Stato di appartenenza - ed alle banche extracomunitarie già operanti nel territorio della Repubblica - previa autorizzazione della Banca d'Italia. Ad avviso delle ricorrenti tale disciplina, non prevedendo alcuna competenza, né deliberativa né consultiva, delle Province autonome in tema di apertura di nuove succursali nell'ambito provinciale, verrebbe a violare l'art. 11 dello Statuto speciale (con le relative norme di attuazione), che, al primo comma, subordina al rilascio di una autorizzazione provinciale - sentito il parere del Ministero del tesoro - l'apertura ed il trasferimento di sportelli bancari di aziende di credito a carattere locale, provinciale e regionale e, al secondo comma, prevede, per le altre aziende di credito, il rilascio della autorizzazione da parte del Ministero del tesoro, previo parere della Provincia interessata. La questione non è fondata nei termini che verranno di seguito precisati. I poteri deliberativi e consultivi riconosciuti, in materia di apertura e trasferimento di sportelli bancari, alle Province autonome venivano a trovare, nel precedente ordinamento bancario, la loro giustificazione nella presenza di un mercato bancario "controllato" nonché nell'esigenza di regolare l'insediamento di nuove imprese bancarie anche in funzione dello sviluppo dell'economia e della società locale. Tali poteri non appaiono, peraltro, più rispondenti al quadro della nuova disciplina del credito conseguente al recepimento della direttiva CEE 89/649, che, in funzione della definizione del mercato interno europeo e della concorrenza tra le imprese bancarie comunitarie, ha introdotto la "libertà di stabilimento" per le succursali di tali imprese, salva la "vigilanza prudenziale" affidata all'autorità monetaria dello Stato membro di origine (v. artt. 6, 13 e 18 della direttiva 89/646). La "libertà di stabilimento" deve, infatti, ritenersi incompatibile con la previsione di autorizzazioni aggiuntive rispetto a quella rilasciata dallo Stato membro all'ente creditizio per l'inizio della propria attività (v. art. 3 direttiva CEE 77/780) ovvero con la previsione di limiti connessi a finalità diverse da quelle inerenti alla "vigilanza prudenziale", spettante all'autorità competente dello Stato membro di origine. Né la particolare forza propria delle norme poste nello Statuto speciale può essere tale da giustificare la sopravvivenza di competenze provinciali quali quelle in esame, una volta che le stesse vengano a contrastare con discipline adottate in sede comunitaria nonché con il riassetto organico dell'intera materia operato, in attuazione della normativa comunitaria, nell'ambito del diritto interno. In questi casi la competenza provinciale non può restare immutata, una volta che sia divenuto inoperante, in conseguenza della nuova disciplina attuativa introdotta dal legislatore statale, l'"originario presupposto" su cui la competenza stessa risultava fondata (v. sent. n. 150 del 1993 e n. 13 del 1964).

6. - Le considerazioni che precedono consentono di affermare l'infondatezza anche della rivendicazione avanzata dalla Provincia di Trento in ordine al potere di veto affidato, dal primo comma dell'art. 15, alla Banca d'Italia, potere fondato sulla vigilanza spettante in via esclusiva a tale ente (art. 159, primo comma) e, in ogni caso, differenziato, nei suoi presupposti e nelle sue finalità, dal potere autorizzatorio già riconosciuto alla Provincia dall'art. 11, primo comma, dello Statuto speciale.

Parimenti, ma sotto un diverso profilo, non appare neppure condivisibile la tesi affermata nella memoria della Provincia di Bolzano al fine di escludere dagli effetti liberalizzanti della "seconda direttiva" le banche nazionali e fondata sul presupposto che la stessa verrebbe a disciplinare esclusivamente il regime di apertura delle succursali in uno Stato membro della comunità da parte di enti creditizi appartenenti ad un altro Stato membro, senza investire il regime dell'apertura di dipendenze bancarie nel territorio di uno Stato da parte di banche appartenenti allo stesso Stato. E invero, ove tale tesi venisse condivisa, lo stesso principio della concorrenza e della libertà di mercato, che ispira la disciplina comunitaria - e che risulta fondato sulla parità di trattamento tra le imprese bancarie dei paesi membri della Comunità - verrebbe alterato a danno delle imprese nazionali che, nella sfera territoriale delle due Province autonome, si troverebbero condizionate - attraverso la sottoposizione ad un potere autorizzatorio non operante per le altre imprese - da limitazioni maggiori di quelle consentite nei confronti delle banche degli altri paesi della Comunità. E questo in aperto contrasto con il criterio di ragionevolezza cui non può non ispirarsi l'interpretazione e l'attuazione della normativa comunitaria.

Va, peraltro, considerato che in una ipotesi - quella cioè contemplata dal quarto comma dell'art. 15 e riferita all'apertura di succursali da parte delle banche extracomunitarie già operanti nel territorio della Repubblica - il potere autorizzatorio permane e viene affidato alla Banca d'Italia. In questo caso - estraneo alla "libertà di stabilimento" riconosciuta per le banche nazionali e comunitarie - la permanenza di un potere autorizzatorio statale (sia pure trasferito dal Ministero del tesoro alla Banca d'Italia) non può non trovare rispondenza nella parallela sopravvivenza del potere consultivo affidato, dal secondo comma dell'art. 11 dello Statuto speciale, alle Province autonome. Mancando nel testo unico un'esplicita previsione di segno contrario, non può, dunque, dubitarsi del fatto che, nell'ipotesi contemplata dall'art. 15, quarto comma, spetti tuttora alle Province autonome di Bolzano e Trento il potere di esprimere il proprio parere sulle autorizzazioni da tale norma previste, da concedere, nei rispettivi ambiti provinciali, alle succursali di banche extracomunitarie.

7. - La Regione autonoma della Sardegna impugna l'art. 47, secondo comma, del testo unico, nella parte in cui prevede un parere obbligatorio della Banca d'Italia in ordine alle convenzioni stipulate tra le amministrazioni pubbliche e le banche assegnatarie della gestione di fondi pubblici di agevolazione creditizia. Analoga impugnativa viene formulata nei confronti del terzo comma dello stesso articolo, nell'ipotesi in cui il parere della Banca d'Italia dovesse essere richiesto, sempre per la gestione di fondi pubblici, anche in ordine alle convenzioni tra le banche. Tali norme vengono censurate tenendo conto anche dell'art. 159, terzo comma, del testo unico, che ha attribuito alle stesse il carattere della inderogabilità. Ad avviso della ricorrente queste disposizioni risulterebbero lesive delle attribuzioni regionali, dal momento che la materia del credito agevolato spetterebbe alla Regione a titolo di competenza esclusiva e che nessun richiamo al parere in questione compare nel terzo comma dell'art. 6 del decreto legislativo n. 481 del 1992, dove si trova enunciato il primo nucleo di questa disciplina.

La questione è infondata.

Non può essere innanzitutto condivisa la tesi secondo cui il settore regolato dall'art. 47 del testo unico spetterebbe alla Regione ricorrente a titolo di competenza esclusiva, in quanto attinente alla gestione del credito agevolato relativo a materie di competenza esclusiva. A tale conclusione non può condurre, infatti, né l'esame delle norme dello Statuto speciale (dove la competenza regionale nella materia del credito risulta inquadrata dall'art. 4, lett. b), tra le competenze concorrenti), né il richiamo all'art. 109 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (che concerne soltanto il trasferimento delle funzioni amministrative nel settore dell'accesso al credito agevolato, con la previsione, peraltro, di un'ampia riserva statale). In ogni caso l'introduzione di un parere quale quello in contestazione non può ritenersi lesiva delle attribuzioni regionali, dal momento che tale parere viene a configurare un semplice apporto tecnico alle determinazioni che la Regione, in piena autonomia, è legittimata successivamente ad adottare: apporto, che, in relazione alle caratteristiche della materia, può trovare la sua giustificazione sia nell'esigenza di garantire all'utenza parità di trattamento e trasparenza, sia nella particolare idoneità della Banca d'Italia a valutare, anche in relazione ai suoi poteri di vigilanza, la congruità delle condizioni offerte e delle prestazioni garantite dai vari istituti bancari.

8. - Anche l'art 152, primo comma, del testo unico forma oggetto di censura da parte della Regione sarda. Con tale disposizione si è stabilito l'obbligo per le casse comunali di credito agrario ed i monti di credito su pegno di seconda categoria di adottare, entro il 1° gennaio 1996, iniziative che portino alla cessazione dell'attività creditizia ovvero alla estinzione degli enti, prevedendosi, in difetto, la messa in liquidazione degli stessi. Secondo la ricorrente la disposizione in parola verrebbe a violare l'art. 4 lett. b) dello Statuto speciale per la Sardegna che assegna alla Regione la competenza concorrente in tema di "istituzione e ordinamento degli enti di credito fondiario e agrario, delle casse di risparmio, delle casse rurali, dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende di carattere regionale", conferendo alla stessa Regione il potere di rilasciare le "relative autorizzazioni". La disciplina in questione sarebbe altresì lesiva del principio di "leale collaborazione", dal momento che alla Regione sarda non è stata concessa alcuna possibilità di intervenire nel procedimento di trasformazione o soppressione.

Anche tale questione non risulta fondata.

La disciplina posta dalla disposizione impugnata si caratterizza, infatti, come conseguenza diretta e necessaria del nuovo assetto istituzionale del sistema bancario introdotto dalla normazione comunitaria. Tale assetto - muovendo dalla qualificazione della banca come impresa (v. art. 1, primo alinea, della direttiva 77/780 e art. 1, n. 1 della direttiva 89/646) nonché dalla esigenza di armonizzazione tra le discipline nazionali - è stato orientato verso l'adozione di un modello unico di banca (banca c.d. "universale") che ha condotto al superamento dei diversi moduli organizzativi connessi ai vari tipi di crediti speciali, determinando un effetto di "despecializzazione istituzionale". In questo quadro si può, dunque, spiegare la trasformazione o la soppressione delle casse comunali di credito agrario e di credito su pegno di seconda categoria: istituti caratterizzati non solo dalla specialità e settorialità delle loro funzioni creditizie, ma anche dalla limitatezza delle loro strutture, poco adeguate alle nuove dimensioni del mercato e della concorrenza bancaria. Né a tale scelta del legislatore - determinata dalla necessità di dare diretta attuazione agli indirizzi adottati in sede comunitaria - la Regione può opporre validamente il richiamo alle proprie competenze in materia di ordinamento creditizio, dal momento che tali competenze, come già rilevato, sono suscettibili di operare nella misura in cui i loro contenuti non vengano a contrastare con le discipline e i limiti introdotti dalla normazione comunitaria e dalle conseguenti discipline attuative.

9. - Tutti i ricorsi sollevano questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 159 del testo unico, specificamente dedicato alle competenze spettanti alle Regioni a Statuto speciale. Ma, mentre le due Province autonome limitano l'impugnativa al solo terzo comma (nella parte in cui si dichiara inderogabile l'art. 15), le due Regioni ad autonomia speciale estendono l'impugnativa all'intero articolo dove si prevede: a) la riserva alla Banca d'Italia delle valutazioni di vigilanza (primo comma); b) la previsione di un parere vincolante della Banca d'Italia nei casi in cui i provvedimenti previsti dagli artt. 14 (autorizzazione all'attività bancaria), 31 (trasformazioni riguardanti banche popolari e fusioni), 36 (fusioni riguardanti banche di credito cooperativo), 56 (modificazioni statutarie) e 57 (fusioni e scissioni) siano attribuiti alla competenza regionale (secondo comma); c) il riconoscimento della inderogabilità da parte della normazione regionale delle disposizioni dettate dai primi due commi dello stesso art. 159 e dagli artt. 15 (succursali), 16 (libera prestazione dei servizi), 26 (requisiti di professionalità e di onorabilità degli esponenti aziendali) e 47 (finanziamenti agevolati e gestione dei fondi pubblici) (terzo comma); d) l'attribuzione alle Regioni speciali, dotate di competenza in materia di credito, del potere di emanare norme di recepimento della direttiva 89/646 nel rispetto delle disposizioni di principio non derogabili elencate nello stesso articolo (quarto comma). Avendo già esaminato le censure formulate dalle Province autonome nei confronti dell'art. 15 anche in riferimento all'art. 159, restano ora da valutare i profili di impugnativa specificamente enunciati nei confronti di quest'ultimo articolo dalla Regione Trentino-Alto Adige e dalla Regione autonoma della Sardegna.

Secondo la Regione Trentino-Alto Adige la disciplina posta dall'art. 159 verrebbe a violare gli artt. 5, n. 3, e 16, primo comma, dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige (così come attuati dall'art. 1 e dall'art. 3, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 234 del 1977), nonché l'art. 107, primo comma, dello stesso Statuto e l'art. 2 del d.P.R. n. 266 del 1992. A sua volta la Regione sarda contesta la disciplina posta nell'art. 159 per violazione degli artt. 3, 4 (spec. lett. b)), e 6 dello Statuto speciale della Sardegna nonché dell'art. 76 della Costituzione.

Né l'uno né l'altro ordine di censure appare, peraltro, fondato.

10. - Con riferimento ai motivi enunciati nel ricorso della Regione Trentino-Alto Adige si può, infatti, rilevare:

a) per quanto concerne il secondo comma dell'art. 159, la previsione di un parere vincolante della Banca d'Italia rispetto ai provvedimenti autorizzatori, affidati alla competenza regionale, elencati dalla stessa norma trova la sua giustificazione nel principio di libera concorrenza posto a base dalle due direttive comunitarie in materia di credito e destinato a vincolare l'attività di tutte le imprese bancarie, ivi comprese le banche di interesse locale e regionale. Per controbilanciare la maggiore libertà riconosciuta all'impresa bancaria la "seconda direttiva" ha però affermato l'esigenza di rafforzare la "vigilanza prudenziale", da affidare "alle autorità competenti dello Stato membro di origine" così da garantire che ciascun ente creditizio "sia dotato di una buona organizzazione amministrativa e contabile e di adeguate procedure di controllo interno" (art. 13, primo e secondo comma, della direttiva 89/646). Più in generale, la "vigilanza prudenziale" è stata orientata verso il fine della "sana e prudente gestione della banca" (v. art. 15, secondo comma, della stessa direttiva), mentre, di contro, è stato vietato che le autorizzazioni all'esercizio dell'attività creditizia possano essere subordinate a considerazioni relative alle "esigenze economiche del mercato" (art. 1, secondo comma, lett. a), della direttiva 77/788). A questo va aggiunto che, nel nostro ordinamento, i poteri connessi alla "vigilanza prudenziale" sono stati riservati, in via esclusiva, alla Banca d'Italia (v. Capo III del decreto legislativo n. 481 del 1992 e art. 159, primo comma, del testo unico). Si può, pertanto, escludere che la previsione del parere vincolante attribuito alla Banca d'Italia nei casi elencati dal secondo comma dell'art. 159, pur riducendo la sfera della discrezionalità regionale, sia tale da apportare lesione alle competenze attualmente spettanti nella materia creditizia alla Regione ricorrente. Basti solo considerare che tutti i provvedimenti di competenza regionale elencati nel secondo comma dell'art. 159 mettono in gioco valutazioni che attengono, in linea preminente, alla "sana e prudente gestione" dell'ente creditizio e che vengono, di conseguenza, a inquadrarsi nella sfera della vigilanza che soltanto la Banca centrale è legittimata a esercitare;

b) diversamente da quanto risulta affermato nel ricorso, l'art. 159 del testo unico, ai commi terzo e quarto, non ha inteso operare un indebito trasferimento di competenze dalle Regioni allo Stato né rafforzare, trasformandole in principi inderogabili, illegittime restrizioni o spoliazioni operate nei confronti delle competenze regionali. Le norme in questione - che hanno ricalcato i contenuti della disciplina già formulata con l'art. 46 del decreto legislativo n. 481 del 1992 - hanno inteso soltanto applicare al settore in esame il meccanismo di recepimento delle direttive da parte delle Regioni speciali e delle Province autonome introdotto dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86, indicando come inderogabili da parte delle leggi regionali e provinciali alcune disposizioni della disciplina statale attuativa - quali quelle di cui agli artt. 15, 16, 26 e 47 del testo unico - più strettamente connesse alla realizzazione dei principi di concorrenza e di sana gestione dell'impresa bancaria posti a fondamento della direttiva 89/646;

c) non sussiste l'invasione di materia riservata alle norme di attuazione né la conseguente violazione dell'art. 107, primo comma, dello Statuto speciale lamentata dalla ricorrente. A parte il richiamo alla possibilità che le leggi statali necessarie ad attuare le direttive comunitarie vengano a incidere sull'esercizio delle competenze regionali quand'anche le stesse risultino fissate in norme di rango costituzionale (ma sempre a condizione di non intaccare i principi supremi dell'ordinamento: v. sentt. n. 117 del 1994; nn. 306 e 437 del 1992; n. 349 del 1991; n. 632 del 1988; n. 399 del 1987), resta il fatto che, nella specie, le disposizioni impugnate non hanno né modificato né derogato alla speciale disciplina formulata - ai sensi dell'art. 107, primo comma, dello Statuto speciale - con il d.P.R. n. 234 del 1977, ma soltanto introdotto alcune norme di raccordo tra le preesistenti competenze delle Regioni a statuto speciale e le nuove competenze statali, norme rese necessarie dal riassetto organico della materia bancaria operato con il testo unico;

d) infondata si prospetta, infine, la censura riferita all'art. 2 del d.P.R. n. 266 del 1992 e collegata al fatto che l'immediata applicabilità del parere vincolante della Banca d'Italia di cui al secondo comma dell'art. 159 avrebbe violato la speciale procedura prevista per l'adeguamento della legislazione regionale e provinciale del Trentino-Alto Adige ai principi e norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello Statuto speciale, con riferimento particolare al termine di sei mesi previsto per tale adeguamento. In proposito basti solo rilevare che tale termine era stato richiamato, dall'art. 46, primo comma, del decreto legislativo n. 481 del 1992, ai fini del recepimento della direttiva n. 89/646 da parte delle Regioni apeciali, risultando, di conseguenza, già consumato alla data di emanazione del testo unico n. 385 del 1993.

11. - Con riferimento alle censure formulate, sempre nei confronti dell'art. 159, con il ricorso proposto dalla Regione autonoma della Sardegna si può, infine, osservare:

a) valgono innanzitutto i rilievi già prospettati in sede di esame dell'impugnativa proposta dalla Regione Trentino-Alto Adige nei confronti del secondo comma dell'art. 159, in tema di parere vincolante della Banca d'Italia sui provvedimenti regionali;

b) non sussiste la violazione dell'art. 76 della Costituzione contestata in relazione al profilo che l'art. 159, secondo comma, ha esteso la previsione del parere vincolante - al di là delle ipotesi richiamate nell'art. 46, secondo comma, del decreto legislativo n. 481 del 1992 (artt. 9, primo comma, 21, primo comma, e 25, primo comma, corrispondenti agli artt. 14, 56 e 57 del testo unico n. 385) - anche alle ipotesi regolate dagli artt. 31 e 36 dello stesso testo unico (trasformazioni di banche popolari in società per azioni ovvero fusioni alle quali prendono parte banche popolari e da cui risultino società per azioni; fusioni tra banche di credito cooperativo e banche di diversa natura da cui risultino banche popolari o banche costituite in forma di società per azioni). Tali ipotesi - per quanto non espressamente richiamate nel decreto legislativo n. 481 del 1992 - si presentano, infatti, come specificazioni delle fattispecie più generali regolate sia nell'art, 21, primo comma (modificazioni statutarie), che nell'art. 25, primo comma (funzioni e scissioni) dello stesso decreto legislativo n. 481. L'estensione operata dalla norma impugnata agli artt. 31 e 36 del testo unico può essere, dunque, ricondotta ai limiti della delega conferita dall'art. 25, secondo comma, della legge n. 142 del 1992, dove si è attribuito al Governo il potere di coordinare le norme di attuazione della direttiva 89/646 con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia "apportandovi le modifiche necessarie al tal fine";

c) infondata si prospetta anche la censura riferita al combinato disposto del secondo, terzo e quarto comma, dell'art. 159, per avere tali disposizioni - in violazione dell'art. 76 della Costituzione, con riferimento all'art. 46, terzo comma, del decreto legislativo n. 481 del 1992 - reso inderogabile la disciplina posta dal secondo comma dello stesso articolo in tema di parere vincolante della Banca d'Italia. La previsione dell'inderogabilità della disciplina relativa al parere vincolante della Banca d'Italia può trovare, infatti, la sua spiegazione nelle stesse caratteristiche del limite in questione, dal momento che detto limite è stato definitivamente attuato non più attraverso l'impiego della fonte regionale (secondo quanto inizialmente previsto dal secondo comma dell'art. 46 del decreto legislativo n. 481), ma immediatamente dalla fonte statale (così come statuito con l'art. 159, secondo comma, del testo unico). Né, d'altro canto, risulta giustificato affermare che, disponendo in questi termini, l'art. 159 avrebbe violato, oltre l'art. 76 della Costituzione, anche la competenza della Regione a disciplinare con proprie norme di recepimento della direttiva l'intervento della Banca d'Italia, dal momento che tale competenza - già riconosciuta dal primo comma dell'art. 46 - non è stata di fatto esercitata nel termine previsto dalla Regione. L'assenza di un intervento tempestivo del legislatore regionale ha, pertanto, resa necessaria, al fine di garantire il rispetto del vincolo comunitario, la successiva disciplina statale, adottata in sede di testo unico.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi:

dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15, commi primo, terzo e quarto, e dell'art. 159, terzo comma, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico della legge in materia bancaria e creditizia) per violazione dell'art. 11, primo comma, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle relative norme di attuazione, questioni sollevate con i ricorsi proposti dalla Provincia autonoma di Bolzano e dalla Provincia autonoma di Trento di cui in epigrafe (nn. 67 e 69 del 1993);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 159 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, per violazione degli artt. 5, n. 3, 16, primo comma, e 107, primo comma, dello Statuto speciale per Trentino-Alto Adige, nonché delle norme di attuazione di cui all'art. 1 ed all'art. 3, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 234 ed all'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, questione sollevata dalla Regione Trentino-Alto Adige con il ricorso di cui in epigrafe (n. 70 del 1993);

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 47, secondo e terzo comma, 152, primo comma, e 159 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, per violazione degli artt. 3, 4 e 6 dello Statuto speciale per la Sardegna e relative norme di attuazione, nonché dell'art. 76 della Costituzione e del principio costituzionale di coordinamento e collaborazione nei rapporti fra Stato e Regioni, questioni sollevate dalla Regione autonoma della Sardegna con il ricorso di cui in epigrafe (n. 68 del 1993).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.

Il Presidente: CASAVOLA

Il redattore: CHELI

Il cancelliere: DI PAOLA