Sentenza n.117 del 1994

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SENTENZA N. 117

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 18, primo comma, lettera b) e dagli artt. 30, primo comma, lettera h) e 31, primo comma, lettera g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), promosso con ordinanza emessa il 21 aprile 1993 dalla Corte di cassazione su ricorso proposto da Fabrizio Zerini iscritta al n. 394 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione di Fabrizio Zerini, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 febbraio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'avvocato Claudio Chiola per Fabrizio Zerini e l'Avvocato dello Stato Piergiorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un giudizio volto a ottenere l'annullamento di una sentenza di condanna a carico di Fabrizio Zerini per essersi impossessato, dopo averli uccisi, di ventidue fringuelli, la Corte di cassazione, sezione terza penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 18, primo comma, lettera b) e dagli artt. 30, primo comma, lettera h) e 31, primo comma, lettera g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), lamentandone il contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione e con la direttiva della Comunità Economica Europea n. 409 del 1979.

Più precisamente, il giudice a quo sospetta la violazione del principio costituzionale di determinatezza delle pene, dal momento che, applicando i comuni canoni di ermeneutica legislativa, non si riuscirebbe a dare un significato plausibile alle norme impugnate. Infatti il giudice a quo ritiene che, tanto per la sua formulazione, quanto per la sua collocazione, l'art. 18 non può essere interpretato come diretto a inserire nell'elencazione delle specie cacciabili il fringuello e la peppola in quanto eccezioni alla regola, stabilita dagli artt. 30 e 31, della non cacciabilità dei fringillidi, peraltro con limiti quantitativi che non risultano dall'art. 18 (i cui limiti sono solo stagionali). Nè, sempre ad avviso dello stesso giudice a quo, sarebbero appaganti altre interpretazioni, come quelle che considerano "non scritto" l'art. 18 o che giungono all'opposto risultato ritenendo invalidi gli artt. 30 e 31, di modo che non sarebbe possibile stabilire cosa rimane della liceità prevista, per i fringuelli e le peppole, dal ricordato art. 18, lettera b), dovendosi comunque applicare le sanzioni disposte dagli artt. 30 e 31.

2.- É intervenuta in giudizio la parte privata del giudizio a quo, la quale, dopo aver premesso che l'inammissibilità della questione deriva dalla evidente incertezza del petitum, chiede, in subordine, una pronunzia di manifesta infondatezza. Sotto quest'ultimo profilo, la parte privata sottolinea come l'apparente contraddizione delle norme denunziate si risolva nel semplice rapporto fra una norma generale, concernente il divieto di caccia dei fringillidi, e una norma speciale, la quale consente la caccia del fringuello e della peppola.

Infine, quanto al preteso contrasto con la direttiva comunitaria n.79/409 (che in realtà non ricorre, non rientrando il fringuello e la peppola fra le specie sottoposte a protezione speciale), la parte privata osserva che si tratta di materia che cade sotto la giurisdizione della Corte di giustizia delle Comunità europee o del giudice ordinario (ove la direttiva fosse self-executing).

3.- É altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale sostiene, innanzitutto, che non sussiste alcuna contraddizione fra le norme impugnate, poichè l'art. 30, lettera h), nel punire l'abbattimento di più di cinque fringillidi, presuppone che la caccia agli stessi sia ammessa dall'art. 18, tanto che connette l'antigiuridicità della condotta alla quantità degli abbattimenti. In ordine alla pretesa violazione della direttiva comunitaria n. 79/409, a parte ogni considerazione sulla sua inammissibilità, l'Avvocatura dello Stato ritiene che la relativa questione non sia rilevante, dal momento che l'imputato del giudizio a quo non potrebbe giovarsi di un'eventuale pronunzia d'incostituzionalità, sia perchè non ne potrebbe derivare un aggravamento di responsabilità dello stesso, sia perchè il citato art. 30 punisce una cattura certamente non consentita dalla direttiva.

4.- In prossimità dell'udienza la parte privata ha presentato un'ulteriore memoria con la quale ha prospettato profili aggiuntivi d'inammissibilità. Innanzitutto, essa ritiene che, essendo l'ordinanza di rimessione volta a ottenere una pronunzia che sanzioni la caccia al fringuello e alla peppola, il giudice a quo avrebbe dovuto impugnare l'art.18, e non, come si legge nel dispositivo dell'ordinanza, l'art. 30, lettera h), della legge n. 157 del 1992. Inoltre, per i motivi appena detti, il giudice a quo, dando alle norme una duplice e contrastante interpretazione, sembra proporre un quesito alternativo. Ancora a parere della parte privata, il giudice a quo, poichè richiede a questa Corte la creazione di una nuova fattispecie penale, formula un petitum di tipo legislativo e, comunque, irrilevante nel giudizio a quo, non potendo trovare applicazione in quella sede una legge penale meno favorevole al reo. Infine, la stessa parte privata rileva che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993, che ha eliminato il fringuello e la peppola dall'elenco delle specie cacciabili, si è avuto jus superveniens e si è, pertanto, resa dubbia l'applicabilità della norma impugnata nel giudizio a quo.

 

Considerato in diritto

 

1.- La Corte di cassazione, sezione terza penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 18, primo comma, lettera b) e dagli artt. 30, primo comma, lettera h) e 31, primo comma, lettera g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), per violazione del principio di determinatezza delle fattispecie normative incriminatrici, contenuto nell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, nonchè per violazione della direttiva del Consiglio della Comunità Economica Europea 2 aprile 1979, n. 409.

2.- Va, innanzitutto, accolta l'eccezione d'inammissibilità proposta dalla parte privata in ordine al profilo d'illegittimità costituzionale sollevato dal giudice a quo per la pretesa violazione della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee n. 79/409. É, infatti, giurisprudenza costante di questa Corte che le norme derivanti da atti normativi della Comunità Europea non possono costituire parametro nei giudizi di competenza di questa Corte, poichè, pur potendo derogare a norme interne di rango costituzionale (purchè non contenenti principi fondamentali o diritti inalienabili della persona umana), esse appartengono a un ordinamento distinto, anche se coordinato, rispetto a quello interno e, pertanto, non possono essere qualificate come atti aventi valore costituzionale alla stregua dell'ordinamento nazionale (v. sentt. nn. 232 del 1989 e 170 del 1984).

3.- Vanno, invece, respinte le altre eccezioni d'inammissibilità sollevate dalla parte privata.

La prima eccezione si fonda sulla pretesa incertezza del petitum.

Questa prospettazione, tuttavia, non può essere accolta, poichè dalla lettura complessiva dell'ordinanza di rimessione risulta sufficientemente chiaro che, per il giudice a quo, l'insieme delle disposizioni contestate, interpretate con i comuni canoni ermeneutici, non esprimerebbero un significato normativo plausibile o, quantomeno, certo e, pertanto, si porrebbero in contrasto con il principio costituzionale di determinatezza delle norme penali.

Allo stesso modo, non si può condividere l'eccezione d'inammissibilità motivata con il rilievo che il giudice a quo avrebbe proposto un "quesito alternativo", dal momento che la pluralità di interpretazioni addotte esemplificativamente nell'ordinanza di rimessione, nessuna delle quali viene fatta propria dallo stesso giudice a quo, è semplicemente rivolta a dimostrare l'asserita mancanza di un significato plausibile o certo, attribuibile alle disposizioni contestate.

Un evidente fraintendimento sta, invece, a fondamento della eccezione di inammissibilità basata sul motivo che il giudice a quo avrebbe dovuto impugnare l'art. 18, primo comma, lettera b), e non, come invece risulta dal dispositivo dell'ordinanza di rimessione, l'art. 30, primo comma, lettera h), della legge n. 157 del 1992. Infatti, anche se è vero che nella parte dispositiva dell'ordinanza medesima si indica come oggetto di impugnazione soltanto l'articolo da ultimo menzionato, tuttavia nella motivazione della stessa ordinanza si afferma espressamente che si intende sollevare "la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 18, primo comma, lettera b), e 30, primo comma, lettera h) della legge citata". In ogni caso, determinante ai fini della decisione sulla eccezione di inammissibilità è che, a una lettura complessiva dell'ordinanza di rimessione, risulta chiaramente che il giudice a quo ritiene del tutto indeterminata, e perciò incostituzionale, la fattispecie normativa incriminatrice configurata dal combinato disposto complessivamente formato dagli artt. 18, primo comma, lettera b), 30, primo comma, lettera h), e 31, primo comma, lettera g), della legge n. 157 del 1992. E questa deve essere considerata, sulla base dei comuni canoni ermeneutici dell'ordinanza di rimessione, la questione di costituzionalità posta a questa Corte.

Sul medesimo fraintendimento ora esaminato, che ha portato la parte privata a considerare l'impugnazione come se fosse diretta a chiedere un divieto di caccia del fringuello e della peppola, si basano le eccezioni di inammissibilità fondate sull'asserzione che il petitum consista nella richiesta di una nuova fattispecie incriminatrice.

Nè, infine, è possibile considerare come jus superveniens, ai fini della restituzione degli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 novembre 1993 (Variazioni all'elenco delle specie cacciabili di alcuni volatili), adottato in attuazione dell'art. 18, terzo comma, della legge n. 157 del 1992, decreto che esclude la peppola e il fringuello dall'elenco delle specie cacciabili. Infatti, posta in ipotesi l'assoluta incertezza del significato normativo delle disposizioni impugnate, la restituzione degli atti al giudice a quo per un riesame della rilevanza non si potrebbe configurare in nessuna delle ipotesi interpretative possibili: ove le norme contestate dovessero essere interpretate come espressive di un divieto di cacciare anche il fringuello e la peppola, il decreto sopravvenuto non modificherebbe affatto il divieto preesistente, ma lo confermerebbe con una norma sostanzialmente identica;

ove, invece, le disposizioni denunziate dovessero essere interpretate come dirette ad ammettere eccezionalmente la caccia del fringuello e della peppola in un periodo determinato (temporalmente coincidente con quello del fatto per il quale è stato incriminato l'imputato del giudizio principale), la sopravvenuta generalizzazione del divieto di cacciare i volatili appena indicati non potrebbe avere alcuna rilevanza nel processo a quo, dovendosi applicare in questo la norma più favorevole al reo, vale a dire, in ipotesi, la precedente disciplina normativa.

4.- La questione sollevata dalla Corte di cassazione è, comunque, non fondata, dal momento che, contrariamente a quanto opina il giudice a quo, al complesso delle disposizioni impugnate è possibile conferire un significato chiaro e univoco applicando i comuni criteri d'interpretazione delle leggi.

L'art. 30, primo comma, lettera h) e l'art. 31, primo comma, lettera g), della legge n. 157 del 1992, stabiliscono le sanzioni da applicare a coloro che cacciano fringillidi: il primo, configurando come reato la caccia di fringillidi in numero superiore a cinque, prevede che ai trasgressori sia irrogata una determinata ammenda; il secondo, configurando come illecito amministrativo l'abbattimento di fringillidi in numero non superiore a cinque, stabilisce per i trasgressori determinate sanzioni amministrative. Dall'insieme delle due norme deriva, dunque, un divieto generale di cacciare fringillidi, bipartendo le rispettive trasgressioni come illecito penale per le ipotesi più gravi e come illecito amministrativo per le ipotesi più lievi.

La questione sollevata dal giudice a quo sorge in relazione al fatto che una disposizione contenuta nella stessa legge - segnatamente l'art.18, primo comma, lettera b) - include due specie della famiglia dei fringillidi, cioé il fringuello e la peppola, nell'elenco dei volatili "cacciabili dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio". Tuttavia, secondo i canoni giuridici comunemente applicati, quando coesistono due norme coeve e dotate della stessa forza giuridica, l'una delle quali stabilisce un divieto generale di caccia dei fringillidi e l'altra prevede che, per un periodo di tempo limitato, due sole specie della famiglia dei fringillidi siano cacciabili, si ritiene che l'una sia la norma generale e l'altra la norma di deroga. É, infatti, proprio delle norme di deroga sospendere (nella specie: per un periodo di tempo determinato) l'applicazione della norma (nella specie: un divieto) generale, al fine di permettere (per il medesimo periodo di tempo) una disciplina eccezionale.

Sulla base dei canoni indicati, il complesso delle disposizioni impugnate rivela un significato certo e per nulla indeterminato, nel senso che, a fianco del generale divieto di cacciare i fringillidi (artt. 30, primo comma, lettera h e 31, primo comma, lettera g), coesiste (o, meglio, coesisteva) una norma di deroga (art. 18, primo comma, lettera b), che permette (o, più precisamente, permetteva) di cacciare soltanto due specie di fringillidi (il fringuello e la peppola) e soltanto nel periodo di tempo compreso tra la terza domenica di settembre e il 31 gennaio.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

- dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto formato dagli artt. 18, primo comma, lettera b), 30, primo comma, lettera h) e 31, primo comma, lettera g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata in riferimento all'art.25, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe;

- dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale concernente lo stesso combinato disposto indicato nel punto precedente, sollevata dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento alla direttiva del Consiglio della Comunità Economica Europea 2 aprile 1979, n. 409.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/03/94.