Sentenza n. 453 del 1991

 

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SENTENZA N. 453

ANNO 1991

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                   Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna notificato il 23 aprile 1991, depositato in Cancelleria l'11 maggio successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste del 19 febbraio 1991, n. 63, avente ad oggetto "Regolamento recante disposizioni di adattamento alla realtà nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione di cui al regolamento CEE del Consiglio delle Comunità europee n. 797/85", ed iscritto al n. 28 del registro conflitti 1991;

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 5 novembre 1991 il Giudice relatore Mauro Ferri;

Uditi l'avv. Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato il 23 aprile 1991, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine agli artt. 1, secondo comma, e 7, terzo comma, del decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991 n. 63, intitolato "Regolamento recante disposizioni di adattamento alla realtà nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione di cui al regolamento CEE del Consiglio delle Comunità europee n. 797/85".

La ricorrente premette che il decreto impugnato afferisce alla disciplina, di matrice essenzialmente comunitaria, diretta al miglioramento della efficienza delle strutture agricole, dettata, oltre che dal già citato regolamento n. 797/85, dal regolamento del Consiglio n. 1094/88, dai regolamenti della Commissione nn. 1272/88 e 1273/88 e dal regolamento del Consiglio n. 1609/89.

Dal vigente quadro legislativo della materia, costituito dall'art. 6 del d.P.R. n. 616 del 1977, dall'art. 5 della legge 8 novembre 1986, n. 752 ("Legge pluriennale per l'attuazione degli interventi programmati in agricoltura"), e dalle più recenti leggi 16 aprile 1987, n. 183 (art. 11) e 9 marzo 1989, n. 86 (artt. 4 e 9), nonché dai vari decreti ministeriali di attuazione della sopra citata normativa comunitaria (dd.mm. 12 settembre 1985 e successive modificazioni, e 16 gennaio 1989, n. 34), risulta inequivocabilmente, ad avviso della ricorrente: a) la competenza regionale in ordine alla applicazione dei regolamenti comunitari, nel caso di specie, in materia di agricoltura; b) la specifica responsabilità regionale per l'attuazione del regolamento CEE n. 797/85, ivi compresi gli interventi finanziari; c) l'insussistenza di alcuna delle situazioni che in base all'art. 71 del d.P.R. 616/77 giustificherebbero la permanenza di una riserva statale; d) l'insussistenza di alcun mutamento nella normativa comunitaria e nazionale tale da consentire l'attuato sovvertimento dell'assetto delle competenze relativamente al regime degli aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione.

Tutto ciò premesso, la ricorrente impugna gli artt. 1, secondo comma, e 7, terzo comma, del d.m. 19 febbraio 1991, n. 63, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, in relazione alla normativa ordinaria dianzi citata.

In particolare, essa svolge le seguenti argomentazioni.

A) L'art. 1, secondo comma, il quale dispone che "l'intervento è attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste, dal Ministero del tesoro, dalle regioni a statuto ordinario ecc.ra", sovverte l'ordine legittimo delle competenze, senza che il riferimento - contenuto nella premessa - a generiche "esperienze acquisite", a non precisate e individuate "modifiche intervenute nella normativa comunitaria ..", ad oscuri " ..chiarimenti interpretativi verificatisi .." - che avrebbero altresì determinato la necessità di sostituire il precedente d.m. n. 35/1990 - possa fornire un accettabile supporto al nuovo ruolo di intervento diretto del Ministero dell'agricoltura e del Ministero del tesoro, il quale è in evidente contrasto con la richiamata normativa e soprattutto non risponde ad alcun mutamento della disciplina comunitaria e del quadro di riparto.

La concentrazione dei poteri di normazione e attuazione della normativa CEE in tema di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione in capo allo Stato non è cioè motivabile sulla scorta di obblighi comunitari, che non richiedono alcuna assunzione, da parte dell'Amministrazione centrale, di posizioni di garanzia di particolari interessi nazionali.

È palese, in secondo luogo, che l'oggetto del presente regolamento non ha alcuna attinenza con la situazione definita "interventi di interesse nazionale" per la regolazione del mercato, in virtù della quale soltanto apparirebbe giustificabile la primaria e principale interposizione statale (cfr. sent. n. 433/87).

Al d.m. n. 63/1991 deve imputarsi, dunque, una centralizzazione ingiustificata delle funzioni in materia, con deterioramento ingiustificato delle attribuzioni regionali devolute ai sensi del d.P.R. 616/1977.

Di fatto, poi, il cronico ritardo con cui agiscono gli organi della Amministrazione centrale impedisce il funzionamento dei canali di "leale cooperazione".

Infatti, benché nel decreto impugnato siano previste forme di consultazione con le regioni (art. 7, terzo comma: proposte delle Regioni per la individuazione delle aree preferenziali, ove è consentito il cumulo di aiuti) è altrettanto vero che nella realtà tale meccanismo non è stato attivato (per il ritardo con cui è stato emanato il d.m.), cosicché non sono state affatto sentite le regioni, come invece si afferma nel decreto qui impugnato, e come è stato affermato nel decreto precedente (35/1990) peraltro anch'esso impugnato innanzi a questa Corte, con lo stesso mezzo, dalla Regione Toscana.

B) L'art. 7 disciplina, ai fini della incentivazione dell'imboschimento, la cumulabilità dell'aiuto previsto per il ritiro di seminativi dalla produzione (artt. 1 e 6, secondo comma) con gli altri aiuti previsti dalle normative comunitarie e nazionali.

In particolare, il terzo e quarto comma del predetto art. 7 prevedono che nelle aree cd. "preferenziali" sia possibile cumulare, con l'aiuto per l'imboschimento di cui all'art. 6, secondo comma, l'aiuto e il premio previsti dall'art. 20 e 20- bis del regolamento CEE n. 797/85 (che prevedono, appunto, ulteriori benefici per l'imboschimento di superfici agricole) essendone stabilita l'erogazione nella misura massima rispettivamente (per l'aiuto di cui all'art. 20) di 3000 ECU per ettaro e (art. 20-bis) di 50 ECU per ettaro all'anno.

Senonché il citato art. 7, terzo e quarto comma, allorché vincola la regione alla applicazione di tale regime sulla base di una ripartizione territoriale delle zone preferenziali demandata all'autorità centrale in forma così dettagliata e analitica da non lasciare alle regioni (e alle province autonome) il necessario spazio di autonomia entro il quale poter legittimamente svolgere la propria competenza legislativa e/o la propria azione amministrativa, appare palesemente lesivo delle prerogative, delle competenze e dei poteri regionali e, dunque, costituzionalmente illegittimo.

Si evidenzia, infatti, la assoluta ed arbitraria rigidità della previsione del d.m. che stabilisce le zone preferenziali non come indicazioni - e quindi evidentemente derogabili dalle regioni - ma come determinazione di zone limitabili esclusivamente dal Ministro, sia pure previa intesa. Dove, rispetto a quest'ultima previsione, mancano però totalmente garanzie per quanto si è sopra esposto in ordine alla attivazione delle procedure di consultazione con le regioni.

Soprattutto occorre sottolineare che non è fondamento della normativa comunitaria una suddivisione del territorio così tassativa e sistematica.

La normativa CEE parla di zone sensibili dal punto di vista della protezione dell'ambiente e delle risorse naturali e del mantenimento dello spazio naturale e del paesaggio (cfr. artt. 19, 19- bis e 19-ter del regolamento CEE 797/1985) e rispetto a questi obiettivi impegna lo Stato membro a determinare le zone.

Il che importa che nessun obbligo diretto sussiste, quanto alla individuazione delle zone preferenziali per l'incentivazione all'imboschimento, e che la individuazione per tipologie, fatta dallo Stato, deve valere - e non può essere diversamente - al massimo come indicazione di indirizzo, con la conseguenza che la regione deve potersene discostare, se la propria realtà territoriale non consente una applicazione tout court delle disposizioni prescritte dal Ministero.

Senza considerare, poi, che nella fattispecie, in assenza di un obbligo direttamente ricollegabile alla disciplina comunitaria, e a fronte, quindi, della ritenuta esigenza da parte dello Stato di emanare disposizioni uniformi nell'interesse nazionale, la funzione di indirizzo e coordinamento avrebbe dovuto essere esercitata nelle forme dovute, vale a dire con legge o atto equiparato, o mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai sensi di quanto disposto dai commi quinto e sesto dell'art. 9 della legge n. 86/1989, con la conseguenza che il d.m. è, altresì, mezzo inidoneo sotto il profilo della gerarchia delle fonti, ad esprimere indicazioni vincolanti (su cui cfr. Corte cost. n. 284/1989).

In definitiva, conclude la ricorrente, occorre altresì osservare che sarebbe sufficiente - rispetto allo specifico problema delle zone preferenziali - rimuovere dal contesto dell'art. 7, terzo comma ultimo capoverso, l'inciso " ..il Ministero potrà limitare la superficie delle zone preferenziali .." che è la disposizione che centralizza e sottordina illegittimamente scelte e poteri di esclusiva e pacifica spettanza regionale e fatti salvi dalla normativa comunitaria.

2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità, o, in subordine, l'infondatezza delle censure contenute nel ricorso.

In particolare l'Avvocatura dello Stato osserva quanto segue.

A) La censura di cui al primo motivo, rivolta avverso l'art. 1, secondo comma, appare identica, sia nella premessa che nelle conclusioni, a quelle proposte dalla Regione Toscana avverso le disposizioni - di identico tenore - dell'art. 1, terzo comma, del decreto 8 febbraio 1990, n. 34 e dell'art. 1, secondo comma, del decreto 8 febbraio 1990, n. 35.

Nel dichiarare inammissibili le suddette censure la Corte ha considerato (sent. n. 448 del 1990) che le norme impugnate contengono una mera elencazione, senza ulteriori specificazioni, dei soggetti ai quali è demandata l'attuazione degli interventi; che la Regione ricorrente non contesta in radice la presenza di qualsivoglia attività degli organi statali nell'iter procedurale di detti interventi; che le norme impugnate non precisano quale sia il ruolo e la funzione attribuiti ai singoli soggetti elencati.

Le medesime considerazioni valgono per la dichiarazione di inammissibilità della censura all'esame.

Anche in questo caso, invero, la Regione non contesta in radice la presenza di organi statali nel procedimento attuativo dell'intervento: essa infatti, chiede che sia affermato il suo "ruolo primario", ammettendo perciò che altri soggetti abbiano altri ruoli in detto procedimento. La ricorrente inoltre non impugna altre disposizioni del decreto n. 63 nelle quali sono demandate delle attività ad organi statali, come gli artt. 11 e 12.

B) Del pari inammissibili (e subordinamente infondate) appaiono le censure contenute nel secondo motivo del ricorso.

Devesi al riguardo rilevare che il terzo comma dell'art. 7 si limita a riprodurre le zone preferenziali che sono state già in precedenza individuate col decreto ministeriale n. 35/1990, sulla base delle proposte presentate dalle regioni e dalla provincia autonoma di Bolzano.

Ciò significa che l'individuazione delle zone preferenziali è già avvenuta ad opera del decreto 8 febbraio 1990, n. 35 (articolo 6, terzo comma); che le zone preferenziali sono rimaste le stesse nel decreto impugnato, il quale, quindi, a questo riguardo, non presenta alcun contenuto provvedimentale e non può quindi produrre effetti invasivi.

Se, infatti, invasione v'è stata, questa - in denegata ipotesi - sarebbe avvenuta per effetto dell'articolo 6, terzo comma, del decreto n. 35 del 1990 e non per effetto dell'articolo 7, terzo comma, impugnato nel presente conflitto.

In subordine, si deve rilevare che l'individuazione delle zone preferenziali (con il decreto n. 35 del 1990) è avvenuta tenendo conto delle proposte regionali e della provincia autonoma di Bolzano.

Essa non appare tanto "dettagliata e analitica" da togliere ogni ulteriore spazio alla Regione ricorrente, alla quale resta un notevole margine di valutazione in merito alla individuazione specifica delle zone da includere nelle aree preferenziali.

D'altronde, la necessità di garantire una uniforme ed effettiva incentivazione dell'imboschimento sull'intero territorio nazionale risponde ad una specifica esigenza espressa negli articoli 20 e 20-bis del regolamento CEE n. 797/85.

Quanto alla censura rivolta avverso l'ultima parte dell'articolo 7, terzo comma, laddove è previsto che "il Ministero, d'intesa con le predette amministrazioni, con successivo regolamento, potrà limitare la superficie delle zone preferenziali e in particolare di quelle indicate alla lettera l)", anch'essa appare in primo luogo inammissibile.

È infatti evidente che la pretesa invasività potrebbe, in ipotesi, conseguire esclusivamente all'effettivo esercizio del potere ministeriale di limitazione, previsto come futuro ed eventuale, e comunque oggetto di un successivo regolamento, da parte della disposizione impugnata.

Allo stato, pertanto, la Regione ricorrente difetta di interesse ad impugnare la astratta previsione di un futuro ed eventuale esercizio del potere limitativo.

Tale censura, in subordine, conclude l'Avvocatura, è anche priva di fondamento, posto che l'esercizio del suddetto potere di limitazione viene espressamente condizionato alla previa intesa con le regioni e la provincia autonoma di Bolzano. E non vale al riguardo allegare pretesi ritardi e disfunzioni dell'Amministrazione centrale, quando la previa intesa fa parte del procedimento per l'adozione del "successivo regolamento" di limitazione della superficie delle zone preferenziali.

3. - Ha depositato memoria illustrativa la Regione Emilia-Romagna, la quale insiste nelle conclusioni già formulate, ribadendo, in particolare, che il decreto ministeriale impugnato ha operato una novazione della fonte rispetto al precedente decreto n. 35 del 1990, che l'obbligo di individuazione delle zone preferenziali non discende direttamente dalla normativa CEE e che, infine, è stato violato il principio di leale cooperazione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con il ricorso in esame la Regione Emilia-Romagna solleva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine ad alcune norme contenute nel decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste n. 63 del 19 febbraio 1991, recante "disposizioni di adattamento alla realtà nazionale del regime di aiuti per il ritiro di seminativi dalla produzione di cui al regolamento CEE del Consiglio delle Comunità europee n. 797/85".

Le censure della Regione ricorrente, previa una sommaria esposizione delle competenze regionali in ordine all'applicazione dei regolamenti comunitari nelle materie - quali l'agricoltura e foreste - comprese nell'art. 117 della Costituzione, si incentrano specificamente sull'art. 1, secondo comma, e sull'art. 7, terzo comma, del decreto ministeriale citato.

2.1. - La Corte ritiene opportuno richiamare a grandi linee i fondamenti e le finalità della politica agricola comune (P.A.C.), nonché gli sviluppi successivi della sua applicazione, con speciale riguardo agli obiettivi che essa oggi tende a perseguire. Tale richiamo è utile per meglio comprendere e valutare nel caso sottoposto al presente giudizio il tema, quanto mai complesso e delicato, del rapporto Stato-regioni nell'attuazione della normativa comunitaria in materia di agricoltura e foreste.

All'agricoltura è dedicato il titolo II della parte II del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, titolo comprendente gli articoli da 38 a 47. Le finalità della politica agricola comune sono elencate nell'art. 39, ed i mezzi per conseguirle negli articoli successivi. Basterà qui ricordare che per realizzare gli obiettivi prefissi - quali l'incremento della produttività, il miglioramento del reddito di quanti lavorano nell'agricoltura, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli approvvigionamenti - il Trattato ha previsto una serie di interventi e di misure, la cui attuazione ha fatto sì che l'agricoltura sia divenuta negli Stati membri un settore economico caratterizzato dalla direzione e dall'incidenza dei pubblici poteri, che si identificano nelle istituzioni comunitarie quanto meno a livello di indirizzi vincolanti.

2.2. - Per generale ammissione le finalità della P.A.C. sono state nel complesso raggiunte già da molti anni, seppure con risultati più o meno soddisfacenti e soprattutto più o meno onerosi a seconda delle diverse aree regionali e delle modalità di applicazione e di adattamento realizzate dagli Stati membri.

Sta di fatto che, nel giro di una quindicina di anni (l'inizio vero e proprio della P.A.C. data dal 1962), l'Europa comunitaria è divenuta non soltanto autosufficiente, ma largamente eccedentaria nella produzione agricola, e specialmente nelle derrate alimentari. A partire quindi dalla fine degli anni '70 si è posto il problema di una riforma della politica agricola comune, secondo linee direttive che furono ampiamente esposte nella comunicazione della Commissione delle Comunità europee al Consiglio e al Parlamento intitolata "Prospettive per la politica agraria comune" (documento COM (85) 333 def. del 9 agosto 1985). Fino dai primi anni dello scorso decennio è stata avviata a tal fine una politica di riduzione della produzione eccedentaria attraverso una restrizione dei prezzi e la fissazione dei limiti di garanzia.

Le ultime linee di sviluppo di questa P.A.C., per così dire riformata, sono contenute nella comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo del 19 luglio 1991 (documento COM (91) 258 def.).

Fra gli strumenti odierni della politica agricola comune vanno annoverati i regolamenti CEE che stabiliscono un regime di aiuti per il ritiro dei seminativi dalla produzione, quale quello n. 797 del 1985, come successivamente modificato ed integrato da altri regolamenti adottati sia dal Consiglio, sia dalla Commissione, tutti tendenti a favorire, oltre al ritiro dei seminativi dalla produzione, l'estensivizzazione e la riconversione della produzione, nonché l'imboschimento delle superfici agricole. Attualmente l'intera normativa in materia risulta trasfusa nel regolamento del Consiglio n. 2328 del 15 luglio 1991, con cui si è appunto proceduto alla "codificazione" del citato regolamento n. 797/85, il quale è stato conseguenzialmente abrogato.

2.3. - I richiami suesposti vanno necessariamente tenuti presenti per collocare in un giusto contesto la valutazione della normativa statale di interposizione rispetto a regolamenti comunitari in materia agricola e forestale, sia sotto il profilo dell'obbligo primario dello Stato di garantire l'osservanza del Trattato CEE e della normativa che ne scaturisce, sia sotto il profilo dell'interesse nazionale a realizzare, pur nel rispetto delle competenze costituzionalmente attribuite alle regioni, un'applicazione soddisfacente ed omogenea, nella misura in cui una omogeneità è indispensabile, delle norme comunitarie e della politica (nel caso in esame la politica agricola comune) di cui esse sono strumento ed estrinsecazione.

3. - La Regione Emilia-Romagna impugna, in primo luogo, l'art. 1, secondo comma, del decreto in esame, secondo cui "l'intervento è attuato dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste (in appresso denominato Ministero), dal Ministero del tesoro, dalle regioni a statuto ordinario, dalle regioni a statuto speciale, dalla provincia autonoma di Bolzano e dall'AIMA".

Ad avviso della ricorrente la norma viola le competenze regionali in tema di attuazione di regolamenti comunitari, nella specie in materia agricola (artt. 117 e 118 Cost., 6 del d.P.R. n. 616 del 1977), in quanto introduce un nuovo ruolo di intervento diretto dei suddetti ministeri senza che vi sia alcun obbligo comunitario al riguardo, né alcuna attinenza con la situazione definita "interventi di interesse nazionale per la regolazione del mercato", solo in presenza della quale apparirebbe giustificata l'interposizione statale.

L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilità della censura, per i motivi affermati da questa Corte nella sentenza n. 448 del 1990, in ordine ad un'identica norma contenuta in un precedente decreto ministeriale.

L'eccezione deve essere accolta. La norma impugnata contiene una mera elencazione, senza ulteriori specificazioni, dei soggetti ai quali è demandata l'attuazione degli interventi previsti dai regolamenti comunitari cui si riferisce il decreto ministeriale in discussione. La formulazione è letteralmente identica a quella dell'art. 1, secondo comma, del decreto dello stesso Ministro dell'agricoltura e delle foreste 8 febbraio 1990 n. 35. Vale perciò anche per il caso in esame quanto è stato affermato da questa Corte nella richiamata sentenza n. 448 del 1990, pronunciata sul conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Toscana in ordine al decreto per ultimo citato: che cioè vi è carenza di interesse a ricorrere, in quanto, da un lato, la ricorrente non contesta in radice la presenza di qualsivoglia ruolo degli organi statali in materia (basta a dimostrar ciò quanto si dirà dopo in ordine alla seconda censura), e, dall'altro, la norma si limita ad una semplice elencazione senza precisare "quale sia il ruolo e la funzione attribuiti ai singoli soggetti elencati (né può al riguardo avere alcun rilievo l'ordine in cui gli stessi sono menzionati)".

4.1. - La ricorrente impugna, in secondo luogo, l'art. 7, terzo comma, del provvedimento in esame. Tale articolo (intitolato "Incentivazione dell'imboschimento") contiene, nella parte censurata, l'elencazione delle cosiddette "zone preferenziali", nelle quali è possibile la concessione degli aiuti previsti dalla normativa comunitaria (artt. 20 e 20- bis del reg. CEE n. 797/85, come modificato dal reg. CEE n. 1609/89; v. ora artt. 25 e 26 del regolamento CEE n. 2328/91), in aggiunta agli altri aiuti di cui al precedente art. 6. In particolare, la norma oggetto di censura afferma che le dette zone preferenziali "sono state individuate col decreto ministeriale n. 35/1990" sulla base delle proposte presentate dalle regioni e dalla provincia autonoma di Bolzano, ed aggiunge che il Ministero "d'intesa con le predette amministrazioni, con successivo regolamento, potrà limitare la superficie delle zone preferenziali e in particolare di quelle indicate alla lettera l)".

La ricorrente deduce, in sintesi, che la norma non trova alcun fondamento nella disciplina comunitaria, che la individuazione delle zone preferenziali è così rigida e dettagliata da non lasciare alcuno spazio di autonomia alle regioni e che, infine, tale individuazione deve valere al massimo come indicazione di indirizzo, ma, a fronte della ritenuta esigenza da parte dello Stato di emanare disposizioni uniformi in materia, la funzione di indirizzo e coordinamento avrebbe dovuto essere esercitata nelle forme prescritte.

L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilità anche di questa seconda censura; ma l'eccezione non può essere condivisa. Vero è che il predetto terzo comma dell'art. 7 riproduce l'elenco contenuto nell'art. 6, terzo comma, del precedente decreto ministeriale n. 35 del 1990; ma da tale constatazione non può dedursi che esso ha natura "meramente compilativa", "non presenta alcun contenuto provvedimentale e non può quindi produrre effetti invasivi". A prescindere dal rilievo che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi per conflitto di attribuzione non è applicabile l'istituto dell'acquiescenza (cfr., da ult., sent. n. 278 del 1991), va osservato, come esattamente rileva la difesa della Regione, che il decreto n. 63 del 1991 è espressamente definito nelle premesse come sostitutivo del decreto n. 35 del 1990 ("considerata la necessità di sostituire quest'ultimo con il presente provvedimento a valere dalla campagna 1990-91 per tener conto dell'esperienza acquisita durante le passate campagne di applicazione del regime di aiuti e delle modifiche intervenute nella normativa comunitaria, nonché dei chiarimenti interpretativi verificatisi"). Inoltre, a parte la riproduzione dell'elenco delle zone preferenziali, nella prima parte del terzo comma dell'art. 7 vi è indubbiamente una sostanziale modifica rispetto al decreto ministeriale n. 35 del 1990. Questo prevedeva, infatti, un successivo provvedimento del Ministro - "sulla base delle proposte presentate dalle regioni e dalla provincia autonoma di Bolzano" - di individuazione (evidentemente più dettagliata e definitiva) delle zone preferenziali. Senonché, nel testo in esame tale previsione è scomparsa, ed è stata riprodotta l'elencazione contenuta nel precedente decreto: la suddetta modificazione è proprio uno dei punti sui quali si incentra la doglianza della Regione.

4.2. - La censura va, pertanto, esaminata nel merito.

L'art. 7 del decreto ministeriale n. 63 trova il suo supporto normativo specifico, a livello comunitario, come già detto, nel regolamento CEE n. 1609/89, che sostituisce il titolo VI del regolamento CEE n. 797/85 (ora divenuto titolo VIII del regolamento CEE n. 2328/91): esso disciplina la concessione di aiuti all'imboschimento delle superfici agricole, aiuti che si aggiungono a quelli già previsti per il ritiro dei seminativi dalla produzione; si inquadra quindi in un complesso di misure attraverso le quali si esplica la politica agricola comune, caratterizzata, nell'attuale fase, dalla necessità di ridurre la produzione eccedentaria, contribuendo nello stesso tempo alla tutela del territorio e dell'ambiente, secondo quanto è stato per sommi capi ricordato sub 2. Va altresì aggiunto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, l'art. 20- ter del regolamento CEE n. 797/85, come modificato dal menzionato regolamento CEE n. 1609/89 (cfr. ora art. 27 del regolamento n. 2328/91), attribuisce agli Stati membri il compito di determinare le condizioni cui deve rispondere l'imboschimento delle superfici agricole, ivi comprese "le condizioni relative alla localizzazione e al raggruppamento delle superfici idonee ad essere rese boschive".

Nel caso in esame un intervento dello Stato appare perciò pienamente giustificato, in quanto una operazione complessa e delicata in tutti i suoi aspetti, quale è quella del passaggio di terreni dalla produzione agricola ad una destinazione boschiva, esige indubbiamente - e del resto lo si deduce dallo stesso regolamento comunitario citato - una omogeneità di criteri nella scelta delle aree su cui operare in via preferenziale che, quanto meno nella forma dell'atto di indirizzo e coordinamento, vincoli le regioni nel campo di attività che resta loro riservato.

Del resto la stessa Regione Emilia-Romagna, come si è visto, nel lamentare che la individuazione delle zone preferenziali sia stata disposta in forma troppo dettagliata ed analitica, riconosce, in definitiva, l'esistenza delle suindicate esigenze di uniformità di disciplina, traendone la conseguenza che l'intervento statale sarebbe stato legittimo se effettuato mediante un atto di indirizzo e coordinamento, rilevando però che tale funzione avrebbe dovuto essere esercitata nelle forme dovute, vale a dire "con legge o atto equiparato, o mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri ai sensi di quanto disposto dai commi 5 e 6 dell'art. 9 L. 86/1989". Infine, la ricorrente sembra ritenere particolarmente lesivo delle sue competenze l'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 7, sostenendo testualmente che "sarebbe sufficiente - rispetto allo specifico problema delle zone preferenziali - rimuovere dal contesto dell'art. 7, terzo comma ultimo capoverso, l'inciso ' ... il Ministero potrà limitare la superficie delle zone preferenziali ...' ".

4.3. - Di tutti i motivi del ricorso, formulati in parte anche in modo contraddittorio, deve ritenersi fondato quello che, come si è visto, contesta che un atto di indirizzo e coordinamento possa essere adottato nella forma del decreto ministeriale.

Invero, il decreto ministeriale n. 63 del 1991, limitatamente all'impugnato art. 7 terzo comma, non sarebbe di per sé - quanto ai contenuti - invasivo delle competenze regionali: si è già detto infatti, in primo luogo, che sarebbe difficile immaginare l'attuazione di una politica di rilevante incidenza economica e sociale, quale è, di tutta evidenza, l'incoraggiamento a ritirare una parte di terreni agricoli dalla produzione per destinarli a insediamenti boschivi, senza che lo Stato provveda a definire criteri di scelta secondo un indirizzo necessariamente omogeneo ed armonico per tutto il territorio nazionale. Inoltre, non può negarsi che la norma in esame, nell'elencare le zone preferenziali, presenti anche le caratteristiche strutturali tipiche dell'atto di indirizzo e coordinamento (cfr. sent. n. 389 del 1989) e lasci, quindi, alle regioni uno spazio di azione che consenta di tenere nel dovuto conto le diverse realtà e le peculiari caratteristiche di ognuna di esse. Le disposizioni contenute nel terzo comma dell'art. 7 andrebbero quindi esenti da censura, una volta interpretate come norme di indirizzo e coordinamento. Ma poiché un tale atto, - ove anche se ne riconosca nel regolamento comunitario il supporto legislativo indispensabile -, non può comunque certamente essere adottato nella forma del decreto ministeriale, l'adozione di questo strumento dà luogo, di per sé (con assorbimento di ogni altra censura), ad una lesione delle competenze della ricorrente; ne consegue l'accoglimento in parte qua del ricorso.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto, in ordine all'art. 1, secondo comma, del decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione;

Dichiara che non spetta allo Stato individuare con decreto ministeriale le zone preferenziali per la concessione degli aiuti all'imboschimento di cui agli artt. 20 e ss. del regolamento CEE n. 797/85 del Consiglio delle Comunità europee, come modificato dal regolamento CEE n. 1609/89 del Consiglio stesso;

Annulla conseguentemente l'art. 7, terzo comma, del decreto del Ministro dell'agricoltura e delle foreste 19 febbraio 1991, n. 63.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 1991.

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

Depositata in cancelleria il 13 dicembre 1991.