SENTENZA N.284
ANNO 1989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA, Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il 3 gennaio 1989, depositato in cancelleria il 9 gennaio 1989 ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1989, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro dell'Agricoltura e Foreste del 12 ottobre 1988, n. 469 recante: <Disciplina del trasferimento del diritto di reimpianto, in regime di blocco di nuovi impianti di vite>. Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;
uditi l'avv. Antonio Ragazzini per la Regione e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1. - IL Regolamento C.E.E. n. 822 del 1987 del Consiglio del 16 marzo 1987, relativo all'organizzazione del mercato vitivinicolo, nel consentire, in regime di blocco di nuovi impianti, il trasferimento totale o parziale del diritto di reimpianto di viti verso superfici appartenenti ad azienda diversa da quella originaria e destinate alla produzione di vini di qualità prodotti in regioni determinate (v.q.p.r.d.), prevede che tale trasferimento avvenga <alle condizioni fissate dallo Stato membro interessato> (art. 7, par. 2).
Il Regolamento in esame é dunque, per questa parte, non <autosufficiente>, avendo un contenuto dispositivo incompleto e perciò insuscettibile di immediata applicazione.
Il Ministro dell'agricoltura, con il decreto impugnato, ha inteso - come risulta anche dal preambolo-specificare le misure normative necessarie per rendere possibile l'esecuzione della disposizione comunitaria da parte dei soggetti interessati e delle pubbliche autorità.
La Regione Toscana, promuovendo il presente conflitto, si duole che, cosi facendo, il decreto in questione, investendo la materia <agricoltura> ad essa demandata, abbia invaso la sua competenza a dare attuazione, anche in via normativa, al suddetto Regolamento C.E.E., poiché mancherebbero, nella specie, i presupposti e i requisiti necessari, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, per giustificare una simile ingerenza dell'autorità statale.
L'Avvocatura dello Stato obietta che il medesimo decreto non lede la competenza regionale, avendo ad oggetto specifico il solo trasferimento del diritto di reimpianto, il quale oltretutto, per concernere l'intero territorio nazionale, abbisognerebbe di una disciplina unitaria. Lo stesso decreto inoltre, ove richiede il previo parere favorevole delle regioni nel cui territorio dovrà esercitarsi il diritto trasferito, sarebbe pienamente rispettoso delle attribuzioni ad esse costituzionalmente riconosciute.
2. - II decreto ministeriale in esame contiene diverse disposizioni destinate ad incidere variamente anche nella sub- materia della produzione vitivinicola e dunque ad investire, sia pure per profili particolari, la materia dell'agricoltura, demandata alle Regioni.
In particolare, nell'ambito di tale sub-materia, come riconosce pure la circolare ministeriale n. 23891 dell'11 ottobre 1980 citata nel preambolo del decreto e recante <note illustrative ed adempimenti inerenti la normativa comunitaria sul 6pacchetto vino" (G.U C.E.E. L. 57 del 29 febbraio 1980)>, spetta alle Regioni (e alle Province autonome) la competenza a riconoscere in concreto il diritto di reimpianto di viti, <in quanto destinatarie della documentazione che lo attesta>.
L'atto impugnato dunque, laddove integra con norme particolari la regolamentazione comunitaria del trasferimento di tale diritto investe, senza presentare peraltro le caratteristiche strutturali di un intervento di mero indirizzo e coordinamento, un aspetto specifico di un istituto, la cui concreta attuazione nell'ordinamento interno risulta rimessa in via generale alle autorità regionali.
Ciò premesso, deve osservarsi che, a differenza di quanto ritiene la ricorrente, talune previsioni del decreto appaiono in effetti sorrette da indubbie esigenze unitarie che impongono una disciplina identica in tutto il territorio nazionale degli specifici oggetti regolati, anche perché incidenti in situazioni giuridiche soggettive di privati esercitabili, in ipotesi, pure con riguardo a superfici appartenenti a regioni diverse: cosi per quanto concerne la previsione che il trasferimento del diritto avvenga per atto notarile opportunamente registrato (art. 1); che l'atto di compravendita riporti le generalità dei proprietari delle aziende contraenti, gli estremi catastali delle superfici interessate all'operazione, la rinuncia del cedente ad esercitare il diritto sulle superfici estirpate; che il contratto sia trascritto nei registri immobiliari del territorio in cui é situata l'azienda cedente (art. 3).
Tuttavia, per questa parte, l'intervento statale, pur inteso correttamente a perseguire le ricordate finalità generali, non e stato adottato nella forma della legge (o atto equiparato) o almeno sulla base di una disciplina legislativa idonea a fornirgli adeguato supporto - come peraltro richiesto anche dalla <riserva> stabilita dagli artt. 41 e 42 della Costituzione - e perciò si risolve in una compressione indebita delle attribuzioni anche legislative della regione ricorrente (cfr. sentenza n. 304 del 1987).
Egualmente invasivo di tali attribuzioni, ma per diversa ragione, e poi l'art. 5 del decreto contestato. Tale articolo, sancendo - come conseguenza della cessione del diritto di reimpianto-la radicale preclusione di ogni possibilità per l'azienda cedente di richiedere, nell'azienda stessa, l'autorizzazione di nuovi impianti di viti, in deroga al blocco, previsti per le superfici a denominazione di origine controllata a norma dell'art. 6 Reg. C.E.E. n. 822 del 1987, implica, specularmente, il totale diniego del correlativo potere autorizzatorio in capo alle autorità competenti. Ma tale potere spetta in via generale alle Regioni (e Province autonome), come espressamente riconosciuto nello stesso preambolo dell'atto impugnato e come peraltro ribadito anche dalla circolare ministeriale n. 87492 del 28 giugno 1984, esibita dall'Avvocatura. Poiché però non é dato desumere dal testo del decreto ministeriale, ne è ricavabile aliunde, l'esistenza di un interesse unitario che esiga non la semplice prefissione di uniformi criteri orientativi, ma, addirittura, la soppressione in toto del potere delle regioni nel caso di specie, deve concludersi che l'adozione di tale drastica misura si traduce, in un’illegittima delimitazione delle attribuzioni di loro competenza 3. -A diverse conclusioni deve invece giungersi per le disposizioni del decreto (contenute negli artt. 2 e 3) che prevedono l'indispensabile previo assenso regionale all'esercizio del diritto oggetto del trasferimento. Tali previsioni infatti costituiscono un riconoscimento della competenza regionale e non privano gli organi degli enti autonomi della facoltà di disciplinare i criteri relativi, ovviamente nell'ambito di quanto previsto dalla normativa comunitaria.
Egualmente non invasive della competenza regionale sono sia la norma che impone l'obbligo di comunicazione delle copie degli atti di trasferimento agli organi delle regioni interessate all'estirpazione e al reimpianto (art. 4) sia la disposizione che indica il termine entro il quale tali organi debbono a loro volta comunicare al Ministero i dati relativi all'entità delle aziende e delle superfici interessate dai trasferimenti (art. 6). Si tratta di adempimenti che sono indispensabili per garantire, con la necessaria omogeneità nell'intero territorio nazionale, la possibilità di conoscenza del fenomeno in questione, e ciò sia allo scopo di consentire i dovuti controlli nelle diverse sedi competenti, sia al fine di mettere in grado l'autorità statale di ottemperare all'obbligo, imposto dall'art. 9 dello stesso Regolamento C.E.E., di informarne gli organismi comunitari.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che non spetta allo Stato di disciplinare mediante decreto ministeriale gli oggetti di cui agli artt. 1 e 3 (salvo che per la parte concernente l'autorizzazione regionale all'esercizio del diritto trasferito), del decreto del Ministro dell'agricoltura del 12 ottobre 1988, n. 469 e di conseguenza annulla tale decreto limitatamente a tali disposizioni;
dichiara che non spetta allo Stato vietare qualsiasi autorizzazione di nuovi impianti di viti, previsti per le superfici a denominazione di origine controllata a norma dell'art. 6 del Regolamento C.E.E. n. 822 del 1987, a favore di chi abbia ceduto il diritto di reimpianto di viti e di conseguenza annulla l'art. 5 del decreto del Ministro dell'agricoltura del 12 ottobre 1988, n. 469;
dichiara che spetta allo Stato di adottare la disciplina di cui agli artt. 2 e 3 (limitatamente alla parte concernente l'autorizzazione regionale all'esercizio del diritto trasferito), nonché 4 e 6 del decreto del Ministro dell'agricoltura del 12 ottobre 1988, n. 469.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/05/89.
Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.
Depositata in cancelleria il 25/05/89.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Ugo SPAGNOLI, REDATTORE