SENTENZA N. 103
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 3, 9, 11, 12, 15, comma 3, 16, comma 5, e 17, comma 7, della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico), e degli artt. 2, comma 5, 4 e 5, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 2005, n. 11 (Modifiche alla legge regionale 13 dicembre 2004, n. 45 recante: Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 14 febbraio e il 16 maggio 2005, depositati in cancelleria il 17 febbraio e il 24 maggio successivi ed iscritti ai nn. 22 e 61 del registro ricorsi 2005.
Visti gli atti di costituzione della Regione Abruzzo, nonché gli atti di intervento di Telecom Italia Mobile S.p.a., della Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., della Rai Way S.p.a. e della Vodafone-Omnitel N.V.;
udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l'avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Sandro Pasquali per la Regione Abruzzo.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso (n. 22 del 2005) notificato il 14 febbraio 2005, e depositato il successivo giorno 17, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 7, comma 3, 9, 11, 12, 15, comma 3, 16, comma 5, 17, comma 7, della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico).
Il ricorrente premette che questa Corte si è già espressa in materia individuando i principi fondamentali, introdotti dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), ai quali le Regioni si devono attenere nel regolamentare il settore.
In particolare, secondo la Corte, la suddetta legge ha attribuito «allo Stato la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità», intesi quest'ultimi come valori di campo «ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (sentenza n. 307 del 2003). La Corte, con la stessa sentenza, avrebbe, inoltre, chiarito che la ratio della fissazione dei valori-soglia sarebbe complessa, essendo rappresentata sia dalla esigenza di proteggere la salute della popolazione dagli effetti negativi delle emissioni elettromagnetiche, sia di consentire, attraverso la fissazione di soglie uniformi sul territorio nazionale, «la realizzazione degli impianti e delle reti rispondenti ad elevati interessi nazionali».
Svolta questa premessa, il ricorrente prospetta le seguenti argomentazioni a sostegno della illegittimità costituzionale delle singole norme impugnate.
1.1.— Il censurato art. 7, comma 3, della legge regionale n. 45 del 2004 prevede divieti generalizzati di localizzazione di impianti per l'emittenza radio e televisiva, a prescindere dal raggiungimento dei valori-soglia di esposizione. La illegittimità di tale norma discenderebbe dal fatto che la Corte, con la citata sentenza n. 307 del 2003, ha affermato che le Regioni possono regolare l'uso del proprio territorio «purché (…) criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi». Nel caso di specie, si osserva, la illegittimità sarebbe finanche più accentuata, venendo in rilievo norme che, in via preventiva ed astratta, precludono la localizzazione degli impianti.
1.2.— Secondo la difesa erariale la assunta illegittimità costituzionale del predetto art. 7, determinerebbe la illegittimità costituzionale «di conseguenza» degli art. 9, 11, 12 e 15, comma 3.
In particolare:
dell'art. 9, in quanto prevede che le autorizzazioni all'installazione siano rilasciate «in conformità con la pianificazione urbanistica comunale aggiornata» ai sensi della stessa legge regionale n. 45 del 2004, ed in quanto stabilisce che l'autorizzazione in via transitoria venga rilasciata dal Comune su parere favorevole del Comitato provinciale per l'emittenza radio e televisiva;
dell'art. 11, in quanto disciplina il procedimento di rilascio dell'autorizzazione tenendo conto dei divieti di cui all'art. 9;
dell'art. 12, in quanto, dopo avere introdotto il divieto di nuovi impianti in certe aree in considerazione della loro destinazione urbanistica, renderebbe applicabili «le condizioni generali previste all'art. 7» anche agli impianti fissi di telefonia mobile;
dell'art. 15, comma 3, in quanto, dopo aver confermato il rispetto dei limiti di esposizione previsti dalla normativa statale, estende il divieto di cui all'art. 12 agli impianti mobili di telefonia mobile.
1.3.— Con il ricorso viene impugnato, altresì, l'art. 16, comma 5, il quale stabilisce che nelle aree soggette a vincoli imposti da leggi statali e regionali dagli strumenti territoriali e urbanistici a tutela degli interessi storici, artistici, architettonici, paesistici ed ambientali, il parere favorevole della Regione è condizionato al fatto che nel territorio vincolato l'elettrodotto corra in cavo sotterraneo e siano previste, in fase di progettazione, particolari misure onde evitare danni irreparabili ai valori paesaggistici ed ambientali.
La norma, secondo il ricorrente, sarebbe illegittima per diversi motivi.
Innanzitutto, si afferma, richiamando quanto sostenuto da questa Corte con le sentenze n. 9 del 2004 e n. 94 del 2003, che è tutela «ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali»; è gestione «ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela»; è valorizzazione «ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementare la fruizione».
Detto ciò, il ricorrente lamenta, da un lato, la genericità ed eterogeneità delle aree alle quali la norma è applicabile, dall'altro, la mancata identificazione degli interessi da tutelare ovvero dei criteri per la identificazione degli interessi stessi, non essendo specificato se questi ultimi siano soltanto quelli definiti come tali nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) o «se siano anche quelli che trovano il loro riconoscimento soltanto negli strumenti urbanistici». Tali circostanze sarebbero tali da potere «pregiudicare l'interesse, protetto dalla legislazione nazionale, alla realizzazione delle reti di trasmissione e distribuzione di energia elettrica», così come affermato dalla Corte con la sentenza n. 307 del 2003. Si sottolinea, inoltre, come le modalità di costruzione, imposte in via generale ed astratta, senza tenere conto delle situazioni specifiche dei luoghi, potrebbero pregiudicare la realizzazione delle reti o, comunque, la loro efficienza. Infine, il ricorrente osserva come, secondo i principi fissati negli artt. 1, comma 1, lettera c), e 5 della legge n. 36 del 2001, sarebbe riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, alla luce di quanto statuito da questa Corte con la sentenza n. 94 del 2003, la «apposizione di vincolo, diretto o indiretto, di interesse storico o artistico e vigilanza sui beni vincolati».
La Regione, pertanto, avrebbe esercitato una competenza legislativa in relazione ad una materia che non rientrerebbe nell'ambito delle proprie attribuzioni, «finendo con il pregiudicare un interesse, la cui tutela è rimessa allo Stato, e che deve trovare il coordinamento con altri interessi senza che questi ultimi prevalgano».
1.4.— Il ricorrente, infine, impugna l'art. 17, comma 7, il quale stabilisce, in tema di risanamento degli impianti, «che in caso di delocalizzazione, l'autorizzazione per gli impianti è concessa ad almeno 500 mt. dai centri abitati, perimetrali ai sensi del Nuovo Codice della strada, dalle aree soggette a vincoli imposti da leggi statali e regionali, dalle aree destinate dagli strumenti urbanistici ad insediamenti produttivi, turistico-ricettivi, scolastici e sanitari».
Tale norma sarebbe illegittima, nella prospettazione del ricorrente, per il seguente ordine di motivi.
L'art. 9 della legge n. 36 del 2001 fissa i principi fondamentali, vincolanti per le Regioni, sul risanamento degli elettrodotti attraverso il richiamo dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, la cui determinazione è di competenza statale.
Nel caso di specie, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con tali principi, per la sua natura generica ed indeterminata, riferendosi, da un lato, ai centri abitati e alle aree «soggetti a vincoli imposti da leggi statali e regionali» senza che sia indicata la natura dei vincoli, e, dall'altro, agli insediamenti produttivi, turistico-ricettivi, scolastici e sanitari, dovunque collocati, anche se al di fuori dei centri abitati. Si rileva nel ricorso, inoltre, come, «stabilendo poi una distanza fissa di 500 metri, qualunque sia la natura e la conformazione dei luoghi, in caso di pluralità di impianti a distanza tra di loro a non più di 1000 metri, la delocalizzazione potrebbe diventare impossibile, costringendo non a delocalizzare gli impianti preesistenti, ma a costruirne di nuovi».
2.— Si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo la quale osserva, innanzitutto, che, avendo l'art. 68 della legge regionale 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo. Legge finanziaria regionale 2005), abrogato l'art. 7, comma 3, della impugnata legge n. 45 del 2004, dovrebbe, «a prescindere da ogni considerazione in ordine alla legittimità costituzionale della norma medesima», essere dichiarata cessata la materia del contendere.
2.1.— Secondo la Regione, la suddetta abrogazione avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere anche in relazione alle collegate censure che hanno investito gli artt. 11 e 12. Per quanto attiene all'art. 9, si assume che sarebbe cessata la materia del contendere, ad eccezione di quanto previsto dal comma 3 dello stesso articolo, il quale prevede che prima dell'approvazione del piano provinciale di localizzazione dell'emittenza radio e televisiva il Comune autorizza l'impianto su parere favorevole del Comitato tecnico provinciale per l'emittenza televisiva previsto dall'art. 24 della predetta legge n. 45 del 2004. Secondo la difesa regionale, «dal momento che l'art. 24 non è stato oggetto di alcun rilievo di costituzionalità non pare che la disposizione impugnata concretizzi fattispecie di incostituzionalità».
2.2.— Allo stesso modo dovrebbe essere dichiarata cessata la materia del contendere in relazione alla doglianza che ha investito gli artt. 16, comma 5, e 17, comma 7, per le modifiche alle suddette norme apportate dall'art. 5, comma 3, «della legge regionale approvata nella seduta del 15 febbraio 2005, verbale n. 173/1, dal Consiglio regionale ed attualmente in fase di promulgazione».
2.3.— In relazione, invece, all'art. 15, comma 3, si osserva che lo stesso non avrebbe esorbitato dai confini propri, essendo ben possibile che si operino restrizioni limitate e puntuali alla libertà, altrimenti arbitraria, dei gestori.
3.— Con successivo ricorso (n. 61 del 2005), notificato alla Regione Abruzzo il 16 maggio 2005 e depositato il successivo giorno 24, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche gli artt. 2, comma 5, 4 e 5, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 2005, n. 11 (Modifiche alla legge regionale 13 dicembre 2004, n. 45 recante: Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico).
3.1.— In particolare, l'art. 2, comma 5, della legge n. 11 del 2005, che ha introdotto nell'art. 2 della legge n. 45 del 2004 il comma 1-bis, prevede che «la Regione prescrive ed incentiva i gestori all'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili sul mercato». Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe illegittima, in quanto l'art. 1, comma 1, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), assegna alla competenza statale la elaborazione e la definizione degli obiettivi e le linee di politica energetica nazionale, nonché i criteri generali per la sua attuazione. L'art. 1, comma 7, lettera c), della stessa legge stabilisce, nell'ambito dei principi ai quali, secondo il ricorrente, dovrebbe attenersi la legislazione regionale, che spettano allo Stato le funzioni relative alla determinazione dei criteri generali tecnico-costruttivi e delle norme tecniche essenziali degli impianti di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione dell'energia. Un sistema a rete – aggiunge il ricorrente – deve essere necessariamente unitario, con la conseguenza che le caratteristiche tecnico-costruttive non possono che essere uniformi per fini di funzionalità e sicurezza.
In difformità da quanto sopra riportato, la norma impugnata stabilisce che i gestori sono tenuti ad adottare le tecnologie «volute dalla Regione», che potrebbe così agire unilateralmente senza alcuna verifica in ordine alla compatibilità con le esigenze unitarie della rete.
Infine, sottolinea l'Avvocatura, la normativa statale di cui sopra andrebbe coordinata con quanto statuito dall'art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001, che prescrive anche l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili a cui le Regioni devono attenersi.
3.2.— In relazione alla censura che investe l'art. 4 della legge impugnata, il ricorrente premette che i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica sono disciplinati dall'art. 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che attribuisce la relativa competenza agli enti locali, i quali provvedono dopo che l'organismo deputato ad effettuare i controlli abbia accertato la compatibilità del progetto con i limiti di esposizioni, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti uniformemente a livello nazionale. Il procedimento, in attuazione di quanto stabilito anche a livello comunitario, deve essere lo stesso su tutto il territorio nazionale per assicurare la uniformità della rete nazionale. La norma impugnata non prevede, di converso, alcuna verifica della compatibilità con le esigenze della rete nazionale. La stessa, infatti, dispone che nel piano regolatore generale o nella variante dello strumento urbanistico sono definiti i siti per la localizzazione o la delocalizzazione secondo criteri di funzionalità delle reti e dei servizi, la cui definizione è demandata ai Comuni senza alcuna valutazione in ordine alla conformità alle esigenze della rete. I gestori si devono attenere alle norme di regolamento e potranno utilizzare le informazioni contenute negli strumenti di pianificazione, che sarà il Comune stesso a mettere a loro disposizione.
3.3.— In relazione all'art. 5, comma 3, si assume che esso apporterebbe mere «modifiche di dettaglio» all'art. 16 della legge n. 45 del 2004, già oggetto di impugnazione. In particolare, la nuova formulazione della norma impugnata stabilisce, in luogo della originaria previsione secondo cui il parere della Regione «è esercitato», che lo stesso «può essere esercitato», a condizione che nel territorio vincolato l'elettrodotto o – si è aggiunto rispetto alla precedente versione – «porzione di esso» venga realizzato con cavo interrato. Le marginali modifiche apportate non sottrarrebbero, pertanto, la norma impugnata ai profili di illegittimità costituzionale già evidenziati nel ricorso n. 22 del 2005, avendo la Regione legiferato in materia di tutela dei beni culturali che, invece, spetterebbe allo Stato.
4.— Si è costituita la Regione Abruzzo la quale, in relazione all'art. 2, comma 5, che ha inserito il comma 1-bis nell'art. 2 della legge n. 45 del 2004, rileva – dopo avere puntualizzato che quest'ultima non si riferisce esclusivamente ai gestori delle reti elettriche – che le tecnologie incentivate dalla Regione non possono comunque porsi in contrasto con «le migliori tecnologie disponibili» che lo Stato stesso «è tenuto a ricercare ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001».
4.1.— In relazione all'impugnato art. 4, si osserva che esso non violerebbe le regole di disciplina relative al procedimento autorizzatorio poste dall'art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, limitandosi a integrare le modalità programmatorie previste dal legislatore statale e attribuendo, così come è stabilito dalla norma statale, la competenza al rilascio dell'autorizzazione agli enti locali. Sul punto si rileva, inoltre, che la previsione secondo cui il Comune deve richiedere al gestore un programma annuale delle installazioni è finalizzata ad avere «una visione più sistematica e completa delle richieste del gestore, visione certamente non emergente dalle singole richieste tra loro slegate». Analogo discorso può farsi, secondo la Regione, per il regolamento predisposto dal Comune al solo fine di ottimizzare le localizzazioni degli impianti alla luce dell'unico dato obiettivo costituito dalla morfologia del territorio. Per quanto attiene alla previsione contenuta nell'art. 4, secondo cui la definizione dei siti deve rispondere «a criteri di funzionalità delle reti e dei servizi», si osserva come i Comuni, nel momento in cui definiscono i siti nell'ambito del piano regolatore generale per valutare i criteri di funzionalità dell'impianto alla rete, esprimano necessariamente un giudizio di conformità dell'impianto stesso alle esigenze della rete, con la conseguenza che l'impianto sarebbe funzionale alla rete soltanto se conforme alle esigenze di questa.
4.2.— Infine, in relazione all'art. 5, comma 3, si deduce che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, non sussisterebbe alcuna eterogeneità delle aree, in quanto le stesse sono soltanto quelle previste dal d.lgs. n. 42 del 2004, non potendo gli strumenti urbanistici prevedere nella materia dei beni culturali altri beni da tutelare se non quelli dichiarati tali dallo Stato in base alla propria normativa. Si osserva, infine, come, nel caso di specie, verrebbe in rilievo la materia appartenente alla legislazione concorrente della “valorizzazione dei beni culturali” e non quella di competenza esclusiva statale della tutela degli stessi beni, atteso che la norma si inserirebbe «nell'ambito di una valorizzazione del patrimonio che può comprendere anche la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale stesso attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze».
5.— Hanno spiegato intervento in entrambi i giudizi: Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., Rai Way S.p.a., Telecom Italia Mobile S.p.a., Vodafone-Omnitel N.V. (quest'ultima con atto depositato tardivamente), chiedendo l'accoglimento del ricorso, con dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
6.— Con memoria, relativa ad entrambi i giudizi, depositata nell'imminenza dell'udienza pubblica, lo Stato ha rilevato quanto segue.
6.1.— In relazione all'impugnazione che investe l'art. 7, comma 3, della legge n. 45 del 2004, si chiede, conformemente a quanto sostenuto anche dalla difesa regionale, che venga dichiarata cessata la materia del contendere per intervenuta abrogazione della predetta disposizione ad opera dell'art. 68 della successiva legge regionale n. 6 del 2005.
6.2.— La suddetta abrogazione avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere in relazione alle censure che hanno riguardato l'art. 12 della stessa legge n. 45 del 2004. Per quanto attiene, invece, all'art. 9 la difesa erariale riferisce che la Regione avrebbe concordato sul venire meno delle ragioni del contendere in relazione a tutti i commi del predetto art. 9, ad eccezione di quanto stabilito dal comma 3. Secondo la difesa erariale, invece, sarebbero venute meno le ragioni dell'impugnazione anche in relazione a tale ultima disposizione.
6.3.— In relazione alle censure relative all'art. 15, comma 3, si chiede che venga dichiarata cessata la materia del contendere, in quanto tale norma rinvierebbe ai divieti di collocazione degli impianti nelle aree di cui all'art. 12, il quale a sua volta rinvia all'art. 7, comma 3, che, come detto, è stato abrogato.
6.4.— Per quanto attiene all'impugnazione dell'art. 16, comma 5, si sottolinea come le modifiche ad esso apportate dalla legge regionale n. 11 del 2005 non farebbero cessare la materia del contendere, come sostiene di converso la difesa regionale; anzi, si sottolinea, «nella nuova formulazione la (…) illegittimità costituzionale risulta ancora più evidente. Secondo la formulazione iniziale, alle condizioni che vi erano indicate il parere doveva essere rilasciato. Nella formulazione attuale quelle condizioni non sarebbero più sufficienti per cui la Regione potrebbe dare parere contrario anche in loro presenza». Chiarito ciò, si ribadiscono le argomentazioni già svolte nel ricorso, sottolineandosi, in particolare, che sarebbe stata invasa la materia «tutela dell'ambiente e dei beni culturali» appartenente alla «legislazione esclusiva statale».
6.5.— In relazione all'art. 17, comma 7, l'Avvocatura ribadisce la richiesta, formulata nel ricorso, di dichiarare costituzionalmente illegittima la norma in esame.
7.— Con riferimento alla legge regionale n. 11 del 2005, si ripetono, in relazione a tutte le norme censurate con il ricorso, le ragioni che deporrebbero a favore dell'accoglimento delle relative questioni.
8.— Hanno presentato memorie, nell'imminenza dell'udienza pubblica, in entrambi i giudizi: Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., Rai Way S.p.a. e Telecom Italia Mobile S.p.a. Detti soggetti hanno, innanzitutto, svolto argomentazioni a sostegno dell'ammissibilità del proprio intervento nei giudizi in via principale. In particolare, la Rai e la Rai Way assumono che dalla propria qualificazione, rispettivamente di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e di società incaricata dell'installazione e della gestione della rete di trasmissione, deriverebbe «la presenza di un interesse rilevante, autonomo e particolarmente qualificato ad ottenere l'accertamento della legittimità delle norme impugnate», in quanto l'esito del giudizio «avrà un effetto diretto e immediato sulla sfera giuridica delle società intervenienti».
Analoghe argomentazioni sono state svolte nella memoria depositata da Telecom Italia Mobile S.p.a., la quale assume di avere, in qualità di titolare di licenza per la installazione e l'esercizio di reti di radiotelefonia cellulare, un interesse rilevante, autonomo e qualificato ad ottenere l'accertamento della legittimità delle norme impugnate.
Nel merito le società intervenienti chiedono che la Corte voglia accogliere i ricorsi proposti dallo Stato.
Considerato in diritto
1.— Con ricorso (n. 22 del 2005), notificato il 14 febbraio 2005 e depositato il successivo giorno 17, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 7, comma 3, 9, 11, 12, 15, comma 3, 16, comma 5, 17, comma 7, della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico), per contrasto, come risulta dal complessivo contenuto del ricorso, con l'art. 117 della Costituzione.
Con altro ricorso (n. 61 del 2005), notificato alla stessa Regione il 16 maggio 2005 e depositato il successivo giorno 24, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche gli artt. 2, comma 5, 4 e 5, comma 3, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 2005, n. 11, recante modifiche alla suindicata legge regionale 13 dicembre 2004, n. 45, per violazione, come emerge, anche in questo caso, dall'analisi delle censure, dell'art. 117 della Costituzione.
Le questioni sollevate con entrambi i ricorsi involgono unitariamente disposizioni relative alla protezione della salute e dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico. Data la sostanziale connessione oggettiva tra le questioni stesse, si impone la riunione dei giudizi ai fini di un'unica pronuncia.
2.— In via preliminare, devono essere dichiarati inammissibili gli interventi spiegati nei due giudizi dalla Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a e Rai Way S.p.a., da Telecom Italia Mobile S.p.a. e da Vodafone Omnitel N.V. (quest'ultima, tra l'altro, con atto depositato tardivamente).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via principale sono legittimati ad essere parti solo i soggetti titolari delle attribuzioni legislative in contestazione (v., tra le più recenti, sentenze n. 51 del 2006, n. 336 del 2005, n. 378 e n. 166 del 2004, ordinanza allegata alla sentenza n. 383 del 2005 e ordinanza n. 20 del 2005). Né le argomentazioni in senso contrario addotte dagli interventori sono idonee a determinare un mutamento di indirizzo interpretativo.
3.— Alla esposizione delle singole censure appare opportuno premettere, su un piano generale, che questa Corte ha già avuto modo di affermare (sentenze n. 336 del 2005 e n. 307 del 2003) che compete allo Stato, nel complessivo sistema di definizione degli standard di protezione dall'inquinamento elettromagnetico di cui alla legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), la fissazione delle soglie di esposizione e, dunque, nel lessico legislativo, la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, limitatamente, per questi ultimi, alla definizione dei valori di campo «ai fini della progressiva minimizzazione dell'esposizione» (art. 3, comma 1, lettera d, numero 2). Spetta, invece, alla competenza delle Regioni la disciplina dell'uso del territorio in funzione della localizzazione degli impianti di comunicazione e quindi la indicazione degli obiettivi di qualità, consistenti in criteri localizzativi degli impianti stessi (art. 3, comma 1, lettera d, numero 1); detti criteri devono, però, rispettare le esigenze della pianificazione nazionale di settore e non devono essere, nel merito, «tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento» degli impianti.
4.— Chiarito ciò, e passando a trattare delle singole questioni sollevate, va osservato che lo Stato, con il ricorso n. 22 del 2005, censura, innanzitutto, l'art. 7, comma 3, della legge regionale n. 45 del 2004, nella parte in cui lo stesso prevederebbe divieti generalizzati di localizzazione di impianti per l'emittenza radio e televisiva, a prescindere dal raggiungimento dei valori-soglia di esposizione. La illegittimità di tale norma discenderebbe dalla circostanza che con essa la Regione non si sarebbe limitata a regolare il proprio territorio, prevedendo criteri di localizzazione idonei a non ostacolare o impedire l'insediamento degli impianti di comunicazione elettronica, bensì avrebbe, «in via preventiva ed astratta», precluso la stessa localizzazione dei predetti impianti.
4.1.— Successivamente alla proposizione del ricorso la norma impugnata è stata abrogata dall'art. 68 della legge della Regione Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo. Legge finanziaria regionale 2005). Non risultando che tale norma abbia ricevuto una qualche attuazione durante il periodo della sua vigenza, deve essere dichiarata, in conformità a quanto richiesto dalle stesse parti, cessata la materia del contendere.
5.— Il ricorrente assume, altresì, la illegittimità costituzionale:
dell'art. 9, in quanto prevede che le autorizzazioni all'installazione siano rilasciate «in conformità con la pianificazione urbanistica comunale aggiornata» ai sensi della stessa legge regionale n. 45 del 2004, ed in quanto stabilisce che l'autorizzazione in via transitoria venga rilasciata dal Comune su parere favorevole del Comitato provinciale per l'emittenza radio e televisiva;
dell'art. 11, in quanto disciplina il procedimento di rilascio dell'autorizzazione tenendo conto dei divieti di cui all'art. 9;
dell'art. 12, in quanto, dopo avere introdotto il divieto di nuovi impianti in certe aree, in considerazione della loro destinazione urbanistica, renderebbe applicabili «le condizioni generali previste all'art. 7» anche agli impianti fissi di telefonia mobile;
dell'art. 15, comma 3, in quanto, dopo aver confermato il rispetto dei limiti di esposizione di cui alla normativa statale, estende il divieto di cui all'art. 12 agli impianti mobili di telefonia mobile.
5.1.— Le predette disposizioni sono state impugnate, come risulta dalla formulazione delle censure, nella parte in cui le stesse presentano, per aspetti diversi, profili di collegamento con l'art. 7, comma 3, della legge regionale n. 45 del 2004, ritenendosi che l'asserita illegittimità di quest'ultima disposizione determinerebbe l'illegittimità «di conseguenza» delle norme sopra indicate. Da ciò discende che l'intervenuta abrogazione del predetto comma 3 dell'art. 7 deve ritenersi satisfattiva delle pretese del ricorrente; ne consegue, pertanto, che va dichiarata la cessazione della materia del contendere anche in relazione alle doglianze che hanno investito le disposizioni in esame.
6.— Con il medesimo ricorso viene impugnato, altresì, l'art. 17, comma 7, della stessa legge regionale n. 45 del 2004, in tema di risanamento degli impianti, nella parte in cui prevede «che in caso di delocalizzazione, l'autorizzazione per gli impianti è concessa ad almeno 500 mt. dai centri abitati, perimetrali ai sensi del Nuovo Codice della strada, dalle aree soggette a vincoli imposti da leggi statali e regionali, dalle aree destinate dagli strumenti urbanistici ad insediamenti produttivi, turistico-ricettivi, scolastici e sanitari».
La disposizione riportata sarebbe, nella prospettiva del ricorrente, costituzionalmente illegittima perché, stabilendo vincoli di localizzazione degli impianti di natura generica ed operanti per insediamenti posti anche al di fuori del centro abitato, si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali sul risanamento degli elettrodotti stabiliti dall'art. 9 della legge n. 36 del 2001, che richiama i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità di competenza statale.
6.1.— La norma impugnata è stata abrogata dall'art. 6 della successiva legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2005. Non risultando, anche in questo caso, che tale norma abbia ricevuto una qualche attuazione medio tempore, sul punto deve essere dichiarata cessata la materia del contendere.
7.— Il ricorrente impugna, infine, l'art. 16, comma 5, della medesima legge regionale n. 45 del 2004, la cui disamina, per ragioni di connessione, sarà effettuata unitamente alla censura che ha investito l'art. 5 della citata legge regionale n. 11 del 2005, recante – come si è precisato – modifiche alla legge n. 45 del 2004.
8.— Con il successivo ricorso n. 61 del 2005 lo Stato ha impugnato gli artt. 2, comma 5, 4 e 5, comma 3, della suindicata legge regionale n. 11 del 2005.
9.— L'art. 2, comma 5, ora citato, ha aggiunto all'art. 2 della legge regionale n. 45 del 2004 il comma 1-bis, che è del seguente tenore: «la Regione prescrive ed incentiva i gestori all'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili sul mercato». Secondo il ricorrente, tale norma sarebbe costituzionalmente illegittima perché, da un lato, l'art. 1, comma 1, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), assegna alla competenza statale la elaborazione e la definizione degli obiettivi e le linee di politica energetica nazionale, nonché i criteri generali per la sua attuazione; dall'altro, l'art. 1, comma 7, lettera c), della stessa legge stabilisce, nell'ambito dei principi ai quali deve attenersi la legislazione regionale, che spettano allo Stato le funzioni relative alla determinazione dei criteri generali tecnico-costruttivi e delle norme tecniche essenziali degli impianti di produzione, trasporto, stoccaggio e distribuzione dell'energia. Secondo il ricorrente, in difformità da quanto disposto dalla suindicata disciplina statale, la norma impugnata prevede che i gestori sono tenuti ad adottare le tecnologie «volute dalla Regione», che potrebbe così agire unilateralmente senza alcuna verifica in ordine alla compatibilità di dette tecnologie con le esigenze unitarie della rete.
Sotto altro aspetto, poi, il ricorrente aggiunge che la suddetta normativa statale andrebbe coordinata con l'art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001 «che tra i principi fondamentali pone anche l'applicazione delle migliori tecnologie disponibili che, in quanto rientranti tra quei principi, non possono essere individuati se non dallo Stato».
9.1.— La questione è fondata.
È opportuno premettere che la norma impugnata riferisce l'impiego delle migliori tecnologie disponibili a tutti i casi elencati nel primo comma dell'art. 2 della legge regionale n. 45 del 2004, attribuendo, pertanto, alla Regione la competenza in esame relativamente:
all'esercizio delle funzioni inerenti «alla individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti radioelettrici compresi gli impianti per la telefonia mobile la cui stabilità sia assicurata con infissione o appoggio al suolo, i radar e gli impianti per la radiodiffusione» (lettera a);
alle modalità per il rilascio delle autorizzazioni «alla installazione degli impianti che possono comportare l'esposizione della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese tra 100 KHz e 300 GHz; tali modalità devono tener conto delle situazioni di rischio presistenti» (lettera b);
alla trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica con tensione non superiore a 150 Kv (lettera c).
Ciò detto, si deve preliminarmente osservare che l'impugnazione proposta dallo Stato ha ad oggetto la disposizione del comma 1-bis per la sua incidenza su quanto stabilito dalla lettera c) del precedente comma 1, e non anche per quanto previsto dalle lettere a) e b) dello stesso comma 1.
Così precisato il contenuto della censura proposta, deve ritenersi che la previsione relativa all'utilizzo delle «migliori tecnologie disponibili», con riferimento a quanto stabilito dalla disposizione contemplata nella suddetta lettera c), non è costituzionalmente legittima. Nel settore, infatti, della «trasmissione» e «distribuzione dell'energia elettrica» sussistono esigenze di unitarietà nella determinazione, tra l'altro, dei criteri tecnici (v. sentenza n. 7 del 2004), che non ammettono interferenze da parte delle Regioni per effetto di autonome previsioni legislative, come quella in esame, le quali, imponendo ai gestori che operano a livello regionale l'utilizzo di distinte tecnologie, eventualmente anche diverse da quelle previste dalla normativa statale, possano «produrre una elevata diversificazione della rete di distribuzione della energia elettrica, con notevoli inconvenienti sul piano tecnico ed economico» (cfr. sentenza n. 336 del 2005). Deve, pertanto, essere riconosciuto esclusivamente allo Stato, in questa materia, il compito, tra l'altro, di prescrivere l'utilizzo di determinate tecnologie, sia al fine di assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio e di promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sia al fine di assicurare unitarietà ed uniformità alla rete nazionale.
Da ciò consegue che la norma regionale impugnata è illegittima nella parte in cui riferisce l'impiego delle “migliori tecnologie” alla fattispecie prevista dalla lettera c) dell'art. 2, comma 1, della legge n. 45 del 2004.
10.— Con il ricorso in esame è impugnato anche l'art. 4 della legge n. 11 del 2005, che ha modificato i commi 1, 2 e 8 dell'art. 11 della legge n. 45 del 2004.
Il ricorrente premette che i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica sono disciplinati dall'art. 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), che, al fine di assicurare la uniformità della rete su tutto il territorio nazionale, attribuisce la relativa competenza agli enti locali, i quali provvedono dopo che l'organismo deputato ad effettuare i controlli abbia accertato la compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti uniformemente a livello nazionale. In materia, secondo la difesa statale, andrebbe, pertanto, «escluso ogni intervento legislativo della Regione che comprometta l'uniformità degli aspetti della disciplina, indispensabile su tutto il territorio nazionale». La norma impugnata non prevederebbe, invece, alcuna verifica della compatibilità con le esigenze della rete nazionale. La stessa, infatti, dispone, da un lato, che nel piano regolatore generale o nella variante dello strumento urbanistico sono definiti i siti per la localizzazione o la delocalizzazione secondo criteri di funzionalità delle reti e dei servizi, la cui definizione è demandata ai Comuni senza alcuna valutazione in ordine alla conformità alle esigenze della rete; dall'altro, che i gestori si devono attenere alle norme di regolamento e potranno utilizzare le informazioni contenute negli strumenti di pianificazione che sarà il Comune stesso a mettere a loro disposizione.
10.1.— Premesso, ai fini della delimitazione del thema decidendum, che la censura investe esclusivamente la prima parte del comma 1 dell'art. 4 della legge regionale n. 11 del 2005, la questione non è fondata.
Il ricorrente muove da un erroneo presupposto interpretativo, ritenendo che la disposizione in esame contenga norme relative al procedimento di rilascio delle autorizzazioni per l'installazione di impianti di comunicazione elettronica, che si pongano in contrasto con le esigenze di unitarietà sottese alle disposizioni statali (art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003) che regolamentano il suddetto procedimento.
La disposizione impugnata, nella parte espressamente censurata, si limita, invece, a disciplinare i criteri di localizzazione degli impianti, stabilendo che il Comune, nel piano regolatore generale o nella variante allo strumento urbanistico, definisce i siti tecnologici «dove saranno localizzate o delocalizzate le antenne per la telefonia mobile rispondendo a criteri di funzionalità delle reti e dei servizi». Nel dettare tale norma la Regione ha esercitato la propria competenza legislativa che, come già sottolineato, ricomprende la determinazione dei criteri localizzativi e degli standard urbanistici, afferenti all'uso del proprio territorio, a condizione che siano rispettate le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e che detti criteri non siano, nel merito, «tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi» impianti (sentenza n. 307 del 2003). D'altronde, la norma impugnata espressamente prevede che il Comune, nel procedere alla localizzazione o delocalizzazione delle antenne, ha l'obbligo di attenersi ai «criteri di funzionalità delle reti e dei servizi», sicchè può ritenersi assicurato anche il coordinamento tra le esigenze connesse alla gestione del territorio e quelle derivanti dalla necessità di non interferire con la funzionalità delle reti e dei servizi.
11.— È censurato, infine, l'art. 5, comma 3, della legge regionale n. 11 del 2005, che ha modificato l'art. 16, comma 5, della legge n. 45 del 2004, anch'esso oggetto di autonoma impugnazione con il precedente ricorso n. 22 del 2005. Entrambe le questioni vengono qui congiuntamente esaminate, per ragioni di connessione.
Il citato articolo 16, comma 5, della legge n. 45 del 2004, nella versione originaria, stabiliva che «nelle aree soggette a vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti territoriali e urbanistici a tutela degli interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici ed ambientali, il parere favorevole della Regione è rilasciato a condizione che nel territorio vincolato l'elettrodotto corra in cavo sotterraneo e siano previste, in fase di progettazione, particolari misure onde evitare danni irreparabili ai valori paesaggistici ed ambientali». Il successivo art. 5, comma 3, della legge n. 11 del 2005 ha modificato detta disposizione stabilendo, da un lato, che il parere «può essere rilasciato», anziché «è rilasciato»; dall'altro, che nel territorio vincolato passi l'elettrodotto o – si è aggiunto rispetto all'originaria formulazione – «porzione di esso», in cavo sotterraneo.
Le censure, che investono unitariamente le suddette disposizioni, malgrado si presentino esposte in modo non del tutto chiaro, denunciano in sostanza l'illegittimità costituzionale delle norme impugnate in quanto esse – nel prevedere che il parere della Regione sulla installazione di elettrodotti in zone del territorio regionale soggette a «vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici» è subordinato alla condizione che «l'elettrodotto» o «porzione di esso» corra in cavo sotterraneo – invaderebbero la competenza legislativa dello Stato «in materia di tutela dei beni culturali» (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
11.1.— Le censure non sono fondate.
La disposizione impugnata, contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa statale, non pone alcun nuovo vincolo diretto su determinate aree, ma si limita a prescrivere semplicemente una modalità di costruzione dell'elettrodotto (mediante, cioè, interramento dei cavi o di porzione di essi, con misure che evitino danni irreparabili ai valori paesaggistici e ambientali) su zone già soggette a vincoli statali o regionali, che si risolve in una prescrizione di dettaglio attinente al governo e all'uso del territorio e quindi rientrante nell'ambito della potestà legislativa concorrente regionale e non invece nell'ambito della “materia” statale della “tutela dei beni culturali”. D'altronde, questa Corte, con la citata sentenza n. 307 del 2003, ha riconosciuto, come già rilevato, la sussistenza della competenza delle Regioni per tutto ciò che attiene all'uso del territorio anche con riferimento al settore della realizzazione della rete per le comunicazioni elettroniche, con il solo limite, che nella specie è stato osservato, che «criteri localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustamente l'insediamento degli stessi».
Non senza dire, infine, che l'intervento della Regione si esplica soltanto per il tramite di un “parere”, che non esclude la possibilità per le competenti autorità statali, cui venga indirizzato, di disattenderlo quando sussistano, tra l'altro, esigenze di tutela della unitarietà della rete elettrica.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili gli interventi spiegati dalla Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.a., dalla Rai Way S.p.a., da Telecom Italia Mobile S.p.a. e da Vodafone Omnitel N.V.;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 5, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 2005, n. 11 (Modifiche alla legge regionale 13 dicembre 2004, n. 45 recante: Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'inquinamento elettromagnetico), nella parte in cui prevede che la Regione possa prescrivere ai gestori l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili sul mercato anche in relazione alla trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica con tensione non superiore a 150 Kv;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 3, 9, 11, 12, 15, comma 3, 17 comma 7, della legge della Regione Abruzzo 13 dicembre 2004, n. 45 (Norme per la tutela della salute e la salvaguardia dell'ambiente dall'inquinamento elettromagnetico), sollevate, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso n. 22 del 2005 indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5, della predetta legge della Regione Abruzzo n. 45 del 2004, sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso n. 22 del 2005 indicato in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 5, comma 3, della legge della Regione Abruzzo n. 11 del 2005, sollevate, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso n. 61 del 2005 indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2006.