Sentenza n. 340 del 2009

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SENTENZA N. 340

ANNO 2009

 

Commento alla decisione di

 

Daria de Pretis

Valorizzazione dei beni pubblici e piani urbanistici: spetta alle Regioni la disciplina delle procedure di variante

 

(per gentile concessione del Foro di Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-        Francesco               AMIRANTE                                     Presidente

-        Ugo                       DE SIERVO                                      Giudice

-        Paolo                     MADDALENA                                        “

-        Alfio                     FINOCCHIARO                                      “

-        Franco                   GALLO                                                   “

-        Luigi                     MAZZELLA                                            “

-        Gaetano                 SILVESTRI                                             “

-        Sabino                   CASSESE                                                “

-        Giuseppe                TESAURO                                               “

-        Paolo Maria           NAPOLITANO                                        “

-        Giuseppe                FRIGO                                                    “

-        Alessandro            CRISCUOLO                                           “

-        Paolo                     GROSSI                                                  “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), promossi dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, con ricorsi notificati il 16-17 e il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 e il 24 ottobre 2008 ed iscritti ai nn. 68, 69, 70 e 74 del registro ricorsi 2008.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 novembre 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Stefano Santarelli per la Regione Piemonte, Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.



Ritenuto in fatto

1. — La Regione Piemonte, con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 15 ottobre 2008, depositato il 22 ottobre 2008 (r.r. n. 68 del 2008), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 58, commi 1 e 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), lamentando la lesione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, della Costituzione.

1.1. — Dopo aver riportato il contenuto della disposizione censurata, la ricorrente espone che i primi due commi della stessa violano la competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, essi consentono ai comuni di operare scelte di pianificazione in materia urbanistica, anche in contrasto con le disposizioni contenute nei piani territoriali delle Regioni e delle Province, senza alcuna possibilità reale di valutazione od opposizione da parte della Regione stessa. Le disposizioni censurate addirittura prevedono la possibilità di disporre modifiche agli strumenti urbanistici nelle zone agricole e per volumetrie praticamente illimitate, in contrasto con la sopra menzionata pianificazione. Tale possibilità non sarebbe contemperata dalla verifica di conformità di cui all’ultimo periodo del comma 2 della norma, in considerazione della genericità di detta procedura, in relazione all’ente od organo eventualmente competente ed all’estrema brevità del termine perentorio di trenta giorni, il quale sembrerebbe configurare una sorta di silenzio-assenso. Pertanto, secondo la ricorrente, con le disposizioni impugnate il legislatore avrebbe definito una regolamentazione autoapplicativa che comprime la sfera costituzionale di autonomia delle Regioni e viola le regole di riparto di cui all’art. 117 Cost.

La ricorrente lamenta, altresì, il contrasto con l’art. 118 Cost., in quanto la disposizione impugnata attribuisce direttamente l’esercizio di funzioni amministrative ai comuni, laddove tali funzioni dovrebbero essere conferite con legge regionale, trattandosi di disciplina di dettaglio in materia riservata alla competenza concorrente (governo del territorio) e comunque residuale (edilizia e urbanistica) della Regione.

1.2. — In data 4 novembre 2008 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

La difesa erariale premette che, mentre prima della riforma costituzionale l’art. 117 Cost., nella versione originaria, assegnava alle Regioni una competenza legislativa concorrente in materia urbanistica, la successiva identificazione della materia, con la dizione più estesa di governo del territorio, ha posto notevoli problemi interpretativi.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri il ricorso in oggetto si fonda sul presupposto dell’avvenuto superamento da parte dello Stato, con l’introduzione della norma impugnata, dei limiti della competenza legislativa ad esso riservata, circoscritta alla determinazione dei principi fondamentali, trattandosi di materia, qual è quella del governo del territorio, rientrante nella competenza legislativa concorrente delle Regioni. Ad avviso della difesa erariale, la disciplina dettata dal legislatore ordinario deve, invece, ritenersi espressione del potere dello Stato di fissare nuove linee ordinamentali ed organizzative idonee a conferire un’incidenza profonda e stabile sull’assetto del territorio, in corretta applicazione dei principi fondamentali in materia.

2. — Con ricorso, notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre, la Regione Emilia-Romagna (r.r. n. 69 del 2008), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 58, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, per asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

2.1. — Nel riportare il contenuto delle disposizioni sospettate di illegittimità costituzionale, la ricorrente pone in evidenza che il citato art. 58 prevede, da parte di Regioni ed enti locali, la predisposizione di un «piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari», il quale deve essere presentato con riguardo agli immobili non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali degli enti. Ad avviso della Regione, la disciplina di cui al suddetto art. 58 è di competenza statale per i soli profili civilistici evidenziati dal comma 3 e seguenti. Invece, sarebbe illegittima, in primo luogo, la precisazione di cui al comma 1 dell’art. 58, secondo il quale il piano deve essere approvato «dall’organo di Governo», anziché dall’organo competente sulla base delle regole organizzative dell’ente, ed, in particolare, in base allo statuto o alle leggi regionali che statuiscano in materia. Secondo la ricorrente anche l’art. 58, comma 2, risulta illegittimo, laddove stabilisce che «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale». Tale previsione trascenderebbe, infatti, i limiti delle potestà normative statali concorrenti in materia di coordinamento della finanza pubblica e di governo del territorio, in quanto si tratterebbe di disposizioni di dettaglio e non di principio. La situazione sarebbe analoga a quella decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 401 del 2007.

Ad avviso della ricorrente, è ugualmente illegittima, per il carattere dettagliato e per violazione dei poteri e doveri di controllo spettanti alle Regioni, la disposizione secondo cui «tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni», ma che «la verifica di conformità è richiesta e deve essere effettuata entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente». Da un lato, sarebbe evidente il carattere dettagliato della suddetta normativa e, dall’altro, trattandosi di vicende che involgono singoli immobili, mancherebbe un interesse unitario atto a giustificare un intervento statale e la sottrazione alla disciplina urbanistica regionale dei casi in cui sia opportuno o meno procedere ad una verifica di conformità.

2.2. — In data 10 novembre 2008 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o non fondato.

3. ? Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre 2008, la Regione Veneto (r.r. n. 70 del 2008) ha impugnato, tra gli altri, l’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

3.1. ? Dopo aver riportato il testo della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, la ricorrente lamenta la contrarietà a Costituzione della previsione che attribuisce alla deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del piano di alienazione e valorizzazione del proprio patrimonio, il carattere di variante allo strumento urbanistico generale, senza necessità di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di Provincia e Regione (se non nei casi di varianti relative a terreni agricoli ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10% dei volumi previsti dallo strumento urbanistico vigente). Le disposizioni normative impugnate possono, ad avviso della ricorrente, essere inquadrate nella materia «governo del territorio», ricompresa nell’elenco di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Trattandosi di materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». Secondo la ricorrente la previsione specifica e autoapplicativa contenuta nella disposizione impugnata, non può considerarsi “principio fondamentale”, in quanto comporta il risultato di porre nel nulla la pianificazione territoriale regionale mediante il provvedimento di un ente territoriale minore. Alla luce di quanto sopra, la Regione ricorrente chiede dichiararsi la illegittimità costituzionale dell’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008.

3.2. ? In data 10 novembre 2008 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o non fondato.

4.? Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 24 ottobre 2008, la Regione Toscana (r.r. n. 74 del 2008) ha impugnato, tra gli altri, l’art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.

4.1. ? Dopo aver riportato il tenore del secondo comma dell’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, la ricorrente espone che detta disposizione è lesiva delle competenze regionali in materia di governo del territorio, in quanto consente che la variante, automaticamente apportata con l’approvazione del piano delle alienazioni da parte del consiglio comunale, non necessiti di verifiche di conformità rispetto agli atti della pianificazione provinciale e regionale. In questo modo viene incisa la legislazione regionale in materia di governo del territorio, la quale regola il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale e stabilisce la necessaria conformità urbanistica dei provvedimenti stessi – piani e varianti comunali – rispetto alle previsioni contenute nelle delibere di programmazione e pianificazione provinciali e regionali, con conseguente violazione dell’art. 117 Cost. Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata viola anche l’art. 118 Cost. in quanto non sussistono esigenze di carattere unitario tali da legittimare detta disciplina e, comunque, perché non sarebbe prevista una intesa con la Regione interessata dalla modifica urbanistica contenuta nel piano. Per i motivi esposti la Regione ricorrente chiede dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008.

4.2. ? In data 10 novembre 2008 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato. La difesa dello Stato premette che, con riguardo alla norma impugnata, non appare pertinente il richiamo all’art. 118 Cost. Quanto all’asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la Presidenza del Consiglio dei ministri prospetta le medesime argomentazioni difensive dedotte in ordine al ricorso n. 68 del 2008. La difesa erariale sottolinea, peraltro, come risulti, invece, rispettata l’autonomia regionale con riferimento alla previsione dell’art. 58, comma 7, secondo cui gli enti locali possono individuare forme alternative di valorizzazione, con i soli limiti, costituzionalmente e comunitariamente doverosi, della salvaguardia dell’interesse pubblico e dell’utilizzo di strumenti competitivi. Ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto dichiararsi inammissibile e, comunque, infondato il ricorso in oggetto.

5. — Il 26 ottobre 2009 la Regione Toscana ha depositato memoria illustrativa con la quale, nel contestare quanto sostenuto dalla difesa erariale nella comparsa di costituzione, ha precisato che la competenza legislativa regionale in materia di «governo del territorio» ha un ambito oggettivo molto esteso, con il limite dei principi fondamentali della materia.

Al riguardo, la ricorrente ha sottolineato che, come affermato dalla Corte costituzionale, la disciplina del governo del territorio deve essere considerata più ampia dei profili tradizionalmente appartenenti all’urbanistica e all’edilizia in quanto «comprensiva, in linea di principio, di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti ed attività» e riconducibile, in definitiva, all’«insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio» (sentenze n. 9 del 2008, n. 196 del 2004, nn. 362, 331, 307 e 303 del 2003).

Secondo la ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, la disposizione in esame non contiene un principio fondamentale della materia «governo del territorio», il quale, infatti, deve essere espressione di scelte politiche fondamentali (sentenze n. 336 del 2005 e n. 4 del 2004) e dunque dettare i criteri, gli obiettivi e le direttive che successivamente la legislazione regionale è chiamata a sviluppare. Come chiarito da questa Corte nella sentenza n. 200 del 2009, appartengono alla categoria delle disposizioni espressive di principi fondamentali di competenza statale quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale, «necessitano per la loro attuazione dell’intervento del legislatore regionale il quale deve conformare la sua azione all’osservanza dei principi fondamentali stessi; in particolare, lo svolgimento attuativo dei predetti principi è necessario quando si tratta di disciplinare situazioni legate a valutazioni coinvolgenti le specifiche realtà territoriali delle Regioni, anche sotto il profilo socio-economico». Come rilevato dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza, la relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri e obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi. Pertanto, alla luce di tali insegnamenti, secondo la ricorrente, appare evidente che la norma impugnata non esprime un principio fondamentale nella materia del governo del territorio. Infatti, come evidenziato dalla Regione, la previsione secondo la quale la delibera del Consiglio comunale che approva il piano delle alienazioni immobiliari costituisce variante automatica, non necessitante delle verifiche di conformità rispetto alla pianificazione territoriale, provinciale e regionale, non è un principio della materia, in quanto non esprime scelte politiche fondamentali (ma anzi sovverte le regole fondamentali dell’ordinato assetto territoriale), e costituisce una norma autoapplicativa, che non si limita a dettare criteri e obiettivi oggetto di un possibile sviluppo da parte del legislatore regionale, con riguardo alle specifiche realtà territoriali.

Ad avviso della ricorrente, la fondatezza delle censure trova conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 206 del 2001 che ha dichiarato illegittima, per violazione delle competenze regionali in materia urbanistica, la disposizione legislativa ai sensi della quale, ove il progetto di insediamento fosse stato in contrasto con le previsioni di uno strumento urbanistico, la determinazione della conferenza dei servizi avrebbe costituito, anche nell’ipotesi di dissenso della Regione, proposta di variante sulla quale si sarebbe pronunciato definitivamente il Consiglio comunale. Al riguardo, la ricorrente osserva che, come non è ammissibile che una proposta di variante sia approvata con il dissenso regionale, così la stessa non può essere approvata a prescindere dalla verifica di conformità con gli strumenti di pianificazione regionale sovraordinati a quelli comunali.

Nello stesso senso, con sentenza n. 401 del 2007, questa Corte ha accolto l’eccezione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., relativa ad una disposizione secondo cui «l’approvazione dei progetti definitivi da parte del consiglio comunale costituisce variante urbanistica a tutti gli effetti?».

Secondo la ricorrente, anche l’art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito dalla legge n. 133 del 2008, eccede il potere statale di dettare i principi fondamentali della materia del «governo del territorio», determinando così una irragionevole compressione della potestà regionale di apprezzamento dell’impatto delle opere sul proprio territorio, tramite la garanzia del rispetto delle direttive contenute negli atti di pianificazione sovraordinati.

Né, al riguardo, la previsione di cui all’art. 58, comma 7, di forme alternative di valorizzazione dei beni eliminerebbe la lesione delle competenze regionali, in quanto trattasi di una mera eventualità che non impedisce la vanificazione degli atti di pianificazione territoriale regionale. La Regione Toscana precisa di avere emanato una completa normativa in materia di governo del territorio (Legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 – Norme per il governo del territorio), in base alla quale il Consiglio regionale ha approvato il piano di indirizzo territoriale (P.I.T.: deliberazione del Consiglio n. 72 del 24 luglio 2007, in Bollettino Ufficiale Regione Toscana n. 42 del 17 ottobre 2007), che indirizza l’azione territoriale delle province e degli enti locali. In base alla norma impugnata, gli indirizzi regionali contenuti nel P.I.T. circa l’utilizzo della fascia costiera, ad esempio, non sarebbero presi in considerazione, quale parametro di conformità, in un eventuale provvedimento approvato dai comuni costieri di alienazione dei beni immobili, con destinazione urbanistica per servizi turistici ed alberghieri. Tale esempio rende evidente, secondo la Regione, l’incidenza della norma impugnata sulla legislazione approvata e sugli atti emanati dalla Regione medesima per la disciplina del corretto uso del territorio.

Infine, neanche alla luce dell’art. 118 Cost. la disposizione può ritenersi legittima. Infatti, la Corte costituzionale ha affermato che, in materie di competenza concorrente, la chiamata in sussidiarietà da parte dello Stato di poteri amministrativi legittima, ai sensi dell’art. 118 Cost., il legislatore statale ad intervenire per la disciplina dell’esercizio delle funzioni. Nel caso di specie, invece, come rilevato dalla ricorrente, lo Stato non interviene ad avocare a sé l’esercizio di funzioni amministrative e, dunque, tale titolo legittimante non sarebbe invocabile.

6. — In data 28 ottobre 2009, nei quattro giudizi indicati in epigrafe il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie illustrative, in ognuna delle quali pone in rilievo che la finalità della norma impugnata è quella di procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni ed enti locali e di redigere un «Piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari» da allegare al bilancio di previsione dell’ente. Il resistente sottolinea, altresì, che disposizioni di tenore analogo all’art. 58 sono contenute nell’art. 1 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), il quale rimetteva ad appositi «decreti dirigenziali» dell’Agenzia del demanio l’individuazione dei beni immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici non territoriali, dei beni ubicati all’estero e di quelli, non strumentali, attribuiti a società integralmente controllate dallo Stato, distinguendo tra beni demaniali e beni facenti parte del patrimonio indisponibile e disponibile. Tale ricognizione del patrimonio immobiliare era, tra l’altro, finalizzata alla redazione del conto patrimoniale dello Stato.

Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che anche questi decreti, come gli elenchi approvati dagli organi esecutivi di regioni ed enti locali (secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 58), hanno effetti dichiarativi della proprietà e, in caso di assenza di precedenti trascrizioni nei pubblici registri immobiliari, producono gli stessi effetti relativi alla trascrizione.

Il resistente, riassunte le censure proposte dalle ricorrenti nei singoli ricorsi, dopo aver segnalato che il richiamo all’art. 118 Cost. non appare pertinente, sostiene che la disciplina censurata è espressione del potere dello Stato di fissare nuove linee ordinamentali e organizzative idonee a conferire un’incidenza profonda e stabile sull’assetto del territorio, in perfetta applicazione dei principi fondamentali della materia.

In particolare, in questo disegno ordinamentale rientra l’intento del legislatore statale rivolto a favorire l’incremento delle entrate locali mediante la valorizzazione di beni immobili, non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali, con l’ulteriore previsione della eliminazione dei tempi procedurali per le varianti urbanistiche che la normativa impugnata ricollega, come effetto automatico, al piano delle alienazioni e valorizzazioni. Peraltro, il perseguimento di tale intento è affidato all’autonoma iniziativa dell’ente locale, chiamato ad individuare, con delibera del proprio organo di governo, l’apposito elenco dei singoli immobili suscettibili di valorizzazione, ovvero di dismissione, finalizzato alla redazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari. Ad avviso del resistente, anche il comma 2 dell’art. 58 si sottrae alle prospettate censure di illegittimità costituzionale, risultando rispettata l’autonomia regionale laddove, al comma 7 della stessa norma, è precisato che gli enti locali possono individuare forme alternative di valorizzazione, con i soli limiti, costituzionalmente e comunitariamente doverosi, della salvaguardia dell’interesse pubblico e l’utilizzo di strumenti competitivi.

7. — Il 30 ottobre 2009 la Regione Emilia-Romagna ha depositato memoria illustrativa nella quale, ad integrazione delle censure contenute nel ricorso, richiama, in relazione al comma 1 dell’art. 58, la sentenza della Corte costituzionale n. 387 del 2007, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma statale che individuava l’organo regionale competente ad adottare un determinato atto (il rinvio è fatto anche alla sentenza n. 407 del 1989) e, in relazione al comma 2 dell’art. 58, le sentenze n. 237 del 2009 e n. 371 del 2008 che confermerebbero le argomentazioni svolte nel ricorso circa il rapporto tra legislazione statale di principio e legislazione regionale. Con riferimento a tali ultime pronunce, la Regione osserva che, mentre nella prima si ribadisce che il «rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio deve essere inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi e all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi», nella seconda si annullano diverse norme statali in quanto autoapplicative ed a carattere procedimentale. Anche per i suddetti motivi, la Regione Emilia-Romagna insiste per l’accoglimento del ricorso.

8. — Il 4 novembre 2009 la Regione Veneto ha depositato memoria illustrativa, nella quale eccepisce la inammissibilità degli argomenti difensivi addotti dal Presidente del Consiglio dei ministri nella sua memoria del 28 ottobre 2009, che assume depositata tardivamente solo in vista dell’udienza pubblica, non essendo stata mossa alcuna contestazione alle prospettazioni della ricorrente nell’atto di costituzione datato 7 novembre 2008. Pertanto, essa chiede che la costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri venga dichiarata inammissibile. Comunque nel merito, con riferimento alla previsione normativa che attribuisce alla deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni del proprio patrimonio il carattere di variante allo strumento urbanistico generale senza necessità di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di Province e Regioni, la ricorrente contesta la tesi del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui essa costituirebbe «espressione del potere dello Stato di fissare nuove linee ordinamentali ed organizzative idonee a conferire un’incidenza profonda e stabile sull’assetto del territorio», ponendosi come principio fondamentale della materia del governo del territorio. Invero, secondo la Regione Veneto, la disposizione impugnata ha un’efficacia immediatamente autoapplicativa, con l’effetto di porre nel nulla la pianificazione provinciale e regionale del territorio, in contrasto con i principi della materia. La ricorrente ritiene che la previsione normativa in esame costituisca un intervento del legislatore statale in materia di edilizia o urbanistica denotante un’insofferenza verso la pianificazione territoriale, nonché una mancata considerazione degli strumenti pianificatori. Alla luce di tali argomentazioni, la Regione Veneto insiste per l’accoglimento del ricorso.



Considerato in diritto

1. — Le Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna hanno promosso, questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), come convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), tra cui l’art. 58, commi 1 e 2, in relazione agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, della Costituzione. La Regione Veneto ha promosso, tra l’altro, questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 58, in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., mentre la Regione Toscana ha impugnato, insieme con altre norme, il comma 2 della stessa disposizione, in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

2. — Riservata a separate pronunzie la decisione sulle altre questioni proposte, i quattro giudizi ora indicati possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, per la sostanziale coincidenza dell’oggetto della questione proposta e dei parametri evocati.

3. — La Regione Veneto, con la memoria depositata il 4 novembre 2009, deduce, in via preliminare, «l’inammissibilità della difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, stante l’assoluta tardività della presentazione della stessa. Solo in vista dell’udienza del prossimo 18 novembre, infatti, l’Avvocatura dello Stato ha depositato un atto difensivo sul punto, non avendo mosso alcuna eccezione alle prospettazioni della ricorrente nel proprio atto di costituzione datato 7 novembre 2008, ritualmente depositato. La Regione Veneto chiede, dunque, che la costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri sia dichiarata inammissibile».

L’eccezione non può essere condivisa.

Invero, il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituto ritualmente con atto del 7 novembre 2008, depositato il 10 novembre successivo. È esatto che in quella memoria (come nell’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla Regione Emilia-Romagna) non sono contenute specifiche argomentazioni difensive concernenti l’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, in relazione al quale la posizione della difesa erariale resta circoscritta alla richiesta di «dichiarare inammissibili e comunque infondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale». Ma il carattere molto sintetico di questo assunto difensivo non incide sull’ammissibilità della costituzione del resistente, che non è diretta a far valere proprie pretese impugnatorie, richiedenti una motivazione specifica, ma soltanto a contrastare la questione sollevata dalla ricorrente.

4. — La Regione Veneto, pur impugnando nell’intestazione e nelle conclusioni del ricorso l’intero art. 58 (che si compone di 9 commi), in realtà non svolge argomentazioni specifiche riferibili ai commi 1 e da 3 a 9, come risulta con evidenza dal tenore delle censure.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio costituzionale in via principale l’esigenza di una adeguata motivazione dell’impugnazione si pone in termini ancora più pregnanti di quelli relativi alle questioni sollevate in via incidentale. Ne deriva che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, commi 1 e da 3 a 9, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, sollevata da detta Regione con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., deve essere dichiarata inammissibile (ex plurimis: sentenze n. 200 del 2009, nn. 428 e 326 del 2008 e n. 387 del 2007).

5. — Analogo rilievo vale per il ricorso della Regione Piemonte che, pur dichiarando d’impugnare i primi due commi del citato art. 58, in quanto «violano la competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di governo del territorio di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.», non espone alcuna motivazione a sostegno della censura relativa al comma 1 della norma denunziata che, avendo un contenuto del tutto diverso dal comma 2, avrebbe richiesto l’allegazione di motivi specifici. È evidente, infatti, che non può essere considerata una scelta di pianificazione in materia urbanistica la semplice formazione di un elenco dei singoli beni immobili «sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi ed uffici», mentre generico e meramente assertivo appare il richiamo all’art. 118 Cost.

Pertanto, anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla Regione Piemonte in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., deve essere dichiarata inammissibile.

6. — La Regione Emilia-Romagna ha sollevato, tra le altre, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008.

Dopo avere trascritto il testo delle norme censurate, la ricorrente «ritiene che la disciplina così dettata sia di competenza statale per i soli profili civilistici evidenziati dal comma 3 e seguenti», mentre non altrettanto può dirsi per i primi due commi.

In particolare, ad avviso della Regione, è costituzionalmente illegittima, in primo luogo, la precisazione contenuta nel comma 1 della citata norma, secondo cui il piano deve essere approvato «dall’organo di Governo», anziché dall’organo competente in base alle regole organizzative dell’ente e, segnatamente, in base allo statuto o alle leggi regionali che dispongano o vengano a disporre in materia. A sostegno di tale assunto nella memoria illustrativa sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 387 del 2007 e n. 487 del 1989.

6.1. — La questione non è fondata.

L’art. 58, comma 1, della disciplina censurata, dispone che «Per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Province, Comuni ed altri Enti locali, ciascun ente con delibera dell’organo di Governo individua redigendo apposito elenco, sulla base e nei limiti della documentazione esistente presso i propri archivi ed uffici, i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. Viene così redatto il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari allegato al bilancio di previsione».

Come rivela il tenore testuale dell’articolo, si tratta di una norma che affida agli enti locali la formazione degli elenchi in essa previsti, sulla base di valutazioni demandate agli enti medesimi, con lo scopo di favorire su tutto il territorio nazionale l’individuazione di immobili suscettibili di «valorizzazione ovvero di dismissione», nella prospettiva di permettere il reperimento di ulteriori risorse economiche e quindi di ottenere l’incremento delle entrate locali. L’indicazione, sulla quale si concentrano le censure della ricorrente, secondo cui la relativa delibera è adottata dall’organo di Governo, non è idonea a vincolare l’autonomia organizzativa degli enti, perché si tratta di un’espressione generica e dunque priva dei caratteri propri di una norma di dettaglio. Basta considerare che, ai sensi dell’art. 36 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), nella nozione di organi di governo di Comuni e Province rientrano il Consiglio, la Giunta e il Sindaco o il Presidente, mentre l’art. 121, primo comma, Cost. stabilisce che «Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo presidente». Pertanto, ai sensi della norma in esame, l’individuazione dell’organo competente a deliberare può avvenire soltanto sulla base delle regole organizzative degli enti stessi, alle quali, in definitiva, si deve ritenere che la norma censurata faccia rinvio con detta espressione.

Il richiamo alle sentenze di questa Corte n. 387 del 2007 e n. 407 del 1989 non è d’altro canto pertinente.

A parte la considerazione che in quelle pronunzie la declaratoria d’illegittimità costituzionale delle norme statali, le quali individuavano l’organo regionale competente ad adottare determinati atti, avvenne con riguardo a parametri diversi da quello invocato in questa sede (artt. 117, quarto comma, e 123 Cost.), è decisivo il rilievo che in entrambi i casi esaminati dalle citate sentenze le norme censurate indicavano in modo specifico l’organo regionale competente (rispettivamente, la giunta regionale e l’assemblea), onde la violazione dell’autonomia organizzativa interna delle regioni realmente sussisteva.

Conclusivamente, si deve dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna con riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

7. — La Regione Piemonte censura i primi due commi dell’art. 58, ma in realtà, come in precedenza riferito, formula doglianze riferibili soltanto al comma 2. Infatti, essa sostiene che la normativa de qua consente ai comuni «di operare scelte di pianificazione in materia urbanistica anche in contrasto con le disposizioni contenute in Piani territoriali regionali e provinciali, senza alcuna possibilità reale di valutazione o opposizione da parte della Regione. È addirittura prevista la possibilità di disporre modifiche agli strumenti urbanistici nelle zone agricole e per volumetrie praticamente illimitate in contrasto con la summenzionata pianificazione. Possibilità per nulla contemperata dalla verifica di conformità di cui all’ultimo periodo del secondo comma, in considerazione della estrema genericità di detta procedura, anche in relazione all’ente od organo eventualmente competente, ed all’estrema brevità del termine perentorio di 30 giorni, che sembrerebbe adombrare una sorta di silenzio-assenso».

Ad avviso della ricorrente, «il legislatore definisce una regolamentazione autoapplicativa che comprime la sfera costituzionale di autonomia delle Regioni e viola le regole di riparto di cui all’art. 117 Cost.».

La disciplina de qua sarebbe anche in contrasto con l’art. 118 Cost., in quanto la norma impugnata attribuirebbe direttamente le funzioni amministrative ai comuni, mentre tali funzioni dovrebbero essere assegnate con legge regionale, trattandosi di disciplina di dettaglio, in materia riservata alla competenza concorrente (governo del territorio) e comunque residuale (edilizia e urbanistica) della Regione.

7.1 – La Regione Emilia-Romagna censura l’art. 58, comma 2, della normativa in esame, nella parte in cui stabilisce che «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale». Ad avviso della ricorrente, infatti, tale previsione trascende i limiti delle potestà normative statali concorrenti in materia di coordinamento della finanza pubblica e di governo del territorio, trattandosi con evidenza di disposizioni di dettaglio e non di principio (sul punto è richiamata la sentenza n. 401 del 2007), onde è violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

Del pari illegittima, per il suo carattere dettagliato in materia urbanistica e per violazione dei poteri e doveri di controllo spettanti alle Regioni, sarebbe la restante parte della norma, secondo cui la variante non necessita di verifiche di conformità, invece necessarie e da effettuare entro un termine perentorio qualora si tratti di varianti relative a terreni classificati come agricoli, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10% dei volumi previsti dallo strumento urbanistico vigente.

Da un lato, emergerebbe il carattere dettagliato della regola, dall’altro, trattandosi di vicende che involgono singoli immobili, non sarebbe ravvisabile un interesse unitario idoneo a giustificare un intervento statale e la sottrazione alla disciplina urbanistica regionale nei casi in cui sia opportuno o meno procedere ad una verifica di conformità.

7.2. — La Regione Veneto «lamenta la contrarietà a Costituzione della previsione che attribuisce alla deliberazione del Consiglio comunale di approvazione del piano di alienazione e valorizzazione del proprio patrimonio il carattere di variante allo strumento urbanistico generale, senza necessità di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di Provincia e Regione (se non nei casi di varianti relative a terreni agricoli ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10% dei volumi previsti dallo strumento urbanistico vigente)».

Ad avviso della ricorrente, la normativa impugnata è inquadrabile nella materia «governo del territorio», compresa tra quelle previste dall’art. 117, terzo comma, Cost. Pertanto, trattandosi di materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».

La previsione specifica ed autoapplicativa contenuta nella disposizione impugnata non potrebbe considerarsi principio fondamentale e, quindi, non sarebbe rispettosa del riparto di competenze previsto in Costituzione, in quanto comporterebbe il risultato di porre nel nulla la pianificazione territoriale regionale, mediante il provvedimento di un ente territoriale minore. Pertanto, sussisterebbe il denunziato contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.

7.3. — Infine, la Regione Toscana censura l’art. 58, comma 2, della normativa in esame, in quanto «lesiva delle competenze regionali in materia di governo del territorio, perché consente che la variante, automaticamente apportata con l’approvazione del piano delle alienazioni da parte del consiglio comunale non necessita di verifiche di conformità rispetto agli atti della pianificazione provinciale e regionale».

Ad avviso della ricorrente, «in tal modo viene incisa la legislazione regionale in materia di governo del territorio, la quale disciplina il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale», stabilendo la necessaria conformità urbanistica degli atti – piani e varianti – comunali, rispetto alle previsioni degli atti regionali indicati, con conseguente violazione dell’art. 117 Cost.

Né sussistono esigenze di carattere unitario, idonee a rendere legittima, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., la norma che, comunque, sarebbe contraria a Costituzione per la mancata previsione di un’intesa con la Regione interessata dalla modifica urbanistica prevista nel piano.

8. — La questione sollevata dalle quattro ricorrenti, le cui argomentazioni – essendo strettamente connesse (sia pure con diversità di sfumature) – possono formare oggetto di esame congiunto, è fondata, nei sensi di seguito indicati.

La norma censurata stabilisce che «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. La verifica di conformità è comunque richiesta e deve essere effettuata entro un termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta, nei casi di varianti relative a terreni classificati come agricoli dallo strumento urbanistico generale vigente, ovvero nei casi che comportano variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente».

Ancorché nella ratio dell’art. 58 siano ravvisabili anche profili attinenti al coordinamento della finanza pubblica, in quanto finalizzato alle alienazioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare degli enti, non c’è dubbio che, con riferimento al comma 2 qui censurato, assuma carattere prevalente la materia del governo del territorio, anch’essa rientrante nella competenza ripartita tra lo Stato e le Regioni, avuto riguardo all’effetto di variante allo strumento urbanistico generale, attribuito alla delibera che approva il piano di alienazione e valorizzazione.

Ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., in tali materie lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normativa di principio e normativa di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi (ex plurimis: sentenze nn. 237 e 200 del 2009).

Orbene la norma in esame, stabilendo l’effetto di variante sopra indicato ed escludendo che la variante stessa debba essere sottoposta a verifiche di conformità, con l’eccezione dei casi previsti nell’ultima parte della disposizione (la quale pure contempla percentuali volumetriche e termini specifici), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale (sentenza n. 401 del 2007).

Alla stregua di queste considerazioni deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., restando assorbito ogni altro profilo.

Da tale declaratoria, tuttavia, resta esclusa la proposizione iniziale del comma 2, secondo cui «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica». Infatti, in primo luogo, la suddetta disposizione non risulta oggetto di specifiche censure. In secondo luogo, mentre la classificazione degli immobili come patrimonio disponibile è un effetto legale conseguente all’accertamento che si tratta di beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente, la destinazione urbanistica va ovviamente determinata nel rispetto delle disposizioni e delle procedure stabilite dalle norme vigenti.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunzie la decisione sulle altre questioni sollevate con i ricorsi in epigrafe;

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 58, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, esclusa la proposizione iniziale: «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica»;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, commi 1 e da 3 a 9, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla Regione Veneto, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla Regione Piemonte, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2009.