SENTENZA N. 9
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 88, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promossi con ricorso delle Regioni Campania, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia notificati il 27 febbraio 2006, depositati in cancelleria il 3 e il 4 marzo 2006 ed iscritti ai nn. 36, 39 e 41 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Giandomenico Falcon per le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La Regione Campania (reg. ric. n. 36 del 2006) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale nei riguardi di una pluralità di disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2005, suppl. ord. n. 211. In questa sede viene in rilievo la questione relativa al comma 88 dell’art. 1, che aggiunge il comma 6-ter all’art. 1 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 novembre 2001, n. 410 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), e che, secondo la ricorrente, confliggerebbe con gli articoli «114, 117, 118 Cost.», ledendo «la sfera di competenza delle Regioni» e violando i princìpi di leale collaborazione e di ragionevolezza.
La disposizione impugnata stabilisce che «I beni immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.a. ed alle società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate si presumono costruiti in conformità alla legge vigente al momento della loro edificazione. Indipendentemente dalle alienazioni di tali beni, Ferrovie dello Stato S.p.a. e le società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, possono procedere all’ottenimento di documentazione che tenga luogo di quella attestante la regolarità urbanistica ed edilizia mancante, in continuità d’uso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. Allo scopo, dette società possono proporre al Comune nel cui territorio si trova l’immobile una dichiarazione sostitutiva della concessione allegando: a) dichiarazione resa ai sensi dell’articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, corredata dalla documentazione fotografica, nella quale risulti la descrizione delle opere per le quali si rende la dichiarazione; b) quando l’opera supera i 450 metri cubi una perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere e una certificazione redatta da un tecnico abilitato all’esercizio della professione attestante l’idoneità statica delle opere eseguite. Qualora l’opera sia stata in precedenza collaudata, tale certificazione non è necessaria se non è oggetto di richiesta motivata da parte del sindaco; c) denuncia in catasto dell’immobile e documentazione relativa all’attribuzione della rendita catastale e del relativo frazionamento; d) attestazione del versamento di una somma pari al 10 per cento di quella che sarebbe stata dovuta in base all’Allegato 1 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, per le opere di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. La dichiarazione sostitutiva produce i medesimi effetti di una concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta giorni dal suo deposito il Comune non riscontri l’esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia e lo notifichi all’interessato. In nessun caso la dichiarazione sostitutiva potrà valere come una regolarizzazione degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Ai soggetti che acquistino detti immobili da Ferrovie dello Stato S.p.a. e dalle società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate è attribuita la stessa facoltà, ma la somma da corrispondere è pari al triplo di quella sopra indicata».
Secondo la ricorrente, la disposizione censurata avrebbe introdotto «una nuova forma di condono edilizio», anzitutto tramite «la presunzione de iure di regolarità urbanistico-edilizia» degli immobili dalla stessa previsti. In particolare, tale disposizione assegna alla dichiarazione sostitutiva gli stessi effetti di una concessione in sanatoria, a meno che, entro sessanta giorni dal suo deposito, il Comune non riscontri l’esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia e lo notifichi all’interessato: si sarebbe così introdotto un’ipotesi di silenzio-assenso per situazioni che espressamente potrebbero derogare agli strumenti di programmazione territoriale degli enti locali.
L’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005 inoltre, individua nel dettaglio, senza alcun rinvio alla disciplina regionale, la documentazione necessaria per l’ottenimento della sanatoria, con ampio ricorso all’autocertificazione, ed esclude, nelle ipotesi di collaudo, la necessità di una certificazione redatta da tecnico abilitato.
La stessa disposizione, poi, limita l’oblazione ad una somma pari al 10 per cento dell’importo dovuto in virtù dell’ultimo condono edilizio. Somma, questa, triplicata in caso di sanatoria a favore degli acquirenti dei predetti immobili.
La censurata disposizione, «in quanto surrettizia ipotesi di condono edilizio», violerebbe, pertanto, la competenza legislativa regionale in materia di «governo del territorio», «anche alla luce della sentenza n. 196 del 2004» della Corte costituzionale.
In particolare con tale sentenza, la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile il condono edilizio solo sulla base della sua straordinarietà: condizione, questa, non sussistente nel caso di specie. Infine, i contenuti della disposizione impugnata non sarebbero in linea con quanto affermato nella richiamata pronuncia, secondo la quale spetta al legislatore regionale determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissione a sanatoria degli abusi edilizi.
1.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, sostenendo l’infondatezza della promossa questione di legittimità costituzionale (avente per oggetto l’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005).
Per la difesa erariale, la censurata disposizione intende semplificare la documentazione occorrente per le operazioni di dismissione di edifici costruiti per solito da più decenni, «e non certo – come insinuato nel motivo di ricorso – consentire nuove edificazioni». A sostegno di tale asserzione l’Avvocatura generale ricorda come più volte squadre di tecnici abbiano provveduto a redigere rilievi degli immobili in oggetto, sovente oggetto di occupazioni abusive, per i quali non era stato possibile reperire adeguata documentazione. Ed in effetti, il comma 88 censurato farebbe riferimento alla documentazione «mancante».
Né potrebbe «ravvisarsi ulteriore condono edilizio», poiché la potestà dell’autorità urbanistica e l’osservanza delle norme e degli strumenti urbanistici sarebbero garantite dall’inciso «a meno che [...] il Comune non riscontri l’esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia» e dal successivo periodo. Semmai, una condizione di favore sarebbe costituita dalla previsione di un termine perentorio di 60 giorni, «mirante a superare inerzie ed a prevenire manovre».
2. – Anche la Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 39 del 2006), ha promosso questioni di legittimità costituzionale nei riguardi di una pluralità di disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118, 119 Cost. e dei princìpi costituzionali di leale collaborazione, nonché di ragionevolezza e di proporzionalità. In questa sede viene in rilievo la censura relativa al comma 88 dell’art. 1 di questa legge.
La censurata disposizione, introducendo una «presunzione legale di regolarità urbanistico-edilizia» degli immobili in questione «che prescinde dalla situazione reale» ad avviso della ricorrente, configurerebbe «una singolare forma di sanatoria urbanistica». La stessa disposizione definisce una procedura per consentire, entro tre anni, la formazione di una documentazione attestante la stessa regolarità, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti.
La ricorrente sottolinea, poi, l’assimilazione, sul piano dell’efficacia, della prevista dichiarazione sostitutiva e della concessione in sanatoria, anche a favore di eventuali acquirenti, salvo che il Comune non riscontri una situazione di abuso non sanabile.
L’autonomia legislativa regionale sarebbe violata sotto diversi profili.
La disposizione sospettata d’incostituzionalità introdurrebbe un altro caso di condono edilizio, «che risulta, però, ancora più difforme dalla Costituzione rispetto alla disciplina generale introdotta nel 1985, nel 1994 e nel 2003». Infatti: a) il condono sarebbe circoscritto ad una specifica società, alle società ad essa collegate ed ai loro aventi causa; b) non essendo previsti limiti temporali, il condono potrebbe essere esteso anche agli immobili edificati nel triennio successivo all’entrata in vigore della legge; c) l’oblazione risulterebbe ridotta al 10 per cento rispetto a quella prevista dal decreto-legge n. 269 del 2003, ed inoltre si applicherebbe l’importo previsto per le «ristrutturazioni edilizie, anche se l’abuso è più grave»; d) il silenzio-assenso è soggetto ad un termine molto più ristretto rispetto a quello previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003; e) non sarebbero fissati limiti quanto alle volumetrie sanabili; f) non sarebbero previsti àmbiti di intervento del legislatore regionale, diversamente da quelli, seppur in misura ridotta, contemplati dal decreto-legge n. 269 del 2003.
Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale (sono citate le sentenze n. 49 del 2006, n. 71 del 2005 e n. 196 del 2004), l’autonomia legislativa e amministrativa delle Regioni in materia apparirebbe violata nella misura in cui il comma 88 denunciato «disciplina dettagliatamente i (quasi inesistenti) limiti e la procedura di condono, senza consentire alle Regioni di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla quantità e alla tipologia degli abusi sanabili».
Né la stessa sanatoria straordinaria troverebbe comunque giustificazione: mentre i condoni “generali” miravano principalmente alla estinzione dei reati, con conseguente estinzione degli illeciti amministrativi e acquisizione di nuove risorse finanziarie, la previsione qui in discussione avrebbe «solamente lo scopo di facilitare la privatizzazione degli immobili pubblici».
Oltre alla lamentata lesione delle attribuzioni, legislative e amministrative, delle Regioni, la stessa disposizione violerebbe irragionevolmente il principio di eguaglianza, in quanto configurerebbe un “privilegio” per un gruppo specifico di società e per i loro aventi causa.
Infine, la denunciata riduzione della misura della prevista oblazione (misura corrispondente, peraltro, a quella delle ristrutturazioni edilizie, anche se l’abuso è più grave), violerebbe l’autonomia finanziaria dei Comuni e si tradurrebbe «in una lesione dell’autonomia finanziaria regionale», come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
2.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito anche nel presente giudizio sostenendo l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale avente per oggetto l’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005.
La difesa erariale sviluppa, in tale atto di costituzione, le medesime argomentazioni, di cui al punto 1.1.
3. – Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 41 del 2006), impugna, unitamente ad una pluralità di disposizioni, l’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005.
In relazione a questa disposizione, la ricorrente assume la lesione della potestà legislativa primaria e dell’autonomia amministrativa in materia di urbanistica, previste dall’art. 4, numero 12, e dall’art. 8 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia). La stessa parte ritiene «che tale potestà è, dopo il 2001, soggetta solo ai limiti di cui all’art. 117, comma 1, per effetto dell’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001».
Per il resto, la Regione deduce le medesime censure e sviluppa il medesimo iter argomentativo del ricorso proposto dalla Regione Emilia-Romagna.
3.1 – Anche in tale giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, sostenendo l’infondatezza del ricorso con argomentazioni analoghe a quelle svolte negli altri due giudizi aventi il medesimo oggetto.
4. – In prossimità dell’udienza del 17 aprile 2007 la Regione Campania ha depositato una memoria con la quale ribadisce le proprie censure.
In particolare, la ricorrente sostiene che la «conformità alla legge vigente», nella quale si sostanzia la prevista presunzione legale prevista dalla disposizione impugnata, consentirebbe «la implicita sanabilità anche “in deroga agli strumenti urbanistici”» ed a prescindere dalla gravità dell’abuso. Particolarmente criticabile sarebbe la mancata previsione di un limite alla volumetria sanabile e la mancata predeterminazione dell’àmbito temporale di operatività del condono. Di conseguenza tale àmbito potrebbe riguardare anche le future costruzioni, realizzando una sorta di «sanatoria anticipata».
Anche alla luce delle statuizioni rese dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 196 del 2004, la censurata disposizione sarebbe incostituzionale, in quanto non riconoscerebbe alcun ruolo alla Regione, titolare di potestà legislativa in materia, ridurrebbe radicalmente i poteri del Comune, non prevedrebbe alcun tipo di coordinamento idoneo ad evidenziare le esigenze territoriali.
5. – Anche l’Avvocatura generale delle Stato ha depositato, relativamente al giudizio promosso dalla Regione Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 41 del 2006), una memoria nella quale ricostruisce l’evoluzione della speciale disciplina relativa alla costruzione delle opere delle Ferrovie dello Stato, disciplina prevista dagli artt. 29 e 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), dall’art. 9 della legge 14 agosto 1974, n. 377 (Programma di interventi straordinari per l'ammodernamento e il potenziamento della rete delle ferrovie dello Stato e mutamento della denominazione del Ministero dei trasporti e della aviazione civile), dall’art. 81 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), dall’art. 25 della legge 17 maggio 1985, n. 210 (Istituzione dell’ente “Ferrovie dello Stato” ).
Tali disposizioni evidenzierebbero il peculiare regime giuridico cui era assoggettata la realizzazione di questi immobili e spiegherebbe che il comma 88 sarebbe finalizzato a rendere possibile la circolazione giuridica di immobili privi della relativa documentazione urbanistico-edilizia. A tale scopo, infatti, sarebbe risultata insufficiente la previsione contenuta nel comma 6-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 351 del 2001 che esonera le Ferrovie dello Stato dall’obbligo di presentare la documentazione attestante la proprietà e la regolarità urbanistica, edilizia e fiscale dei beni che essa intende alienare, poiché i terzi acquirenti, in assenza di tale documentazione, non potrebbero a loro volta ritrasferire gli immobili acquistati.
Pertanto, la disposizione impugnata non avrebbe inteso sanare abusi edilizi, ma soltanto costituire la documentazione necessaria a consentire o facilitare la circolazione giuridica di immobili «normalmente già regolari». Ulteriore finalità sarebbe la prevenzione di futuri abusi, consentendosi ai Comuni di identificare gli immobili in questione e di verificare se dopo la vendita essi subiscano ampliamenti o trasformazioni.
Infondata sarebbe, dunque, la prospettazione secondo la quale il censurato comma 88 introdurrebbe una nuova ipotesi di condono edilizio, e del pari, la opinione secondo la quale non esisterebbero limiti temporali al condono: infatti tale comma 88 si riferirebbe unicamente agli immobili già esistenti e non potrebbe essere interpretato nel senso di consentire interventi edilizi in deroga alle leggi statali e regionali vigenti.
Pertanto, erroneamente la Regione Friuli - Venezia Giulia lamenterebbe la lesione della propria competenza primaria in materia urbanistica. Peraltro, osserva l’Avvocatura generale, l’art. 26 del D.P.R. 26 agosto 1965, n. 1116 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di agricoltura e foreste, industria e commercio, turismo e industria alberghiera, istituzioni ricreative e sportive, lavori pubblici) qualificherebbe la costruzione e manutenzione degli immobili ferroviari come di interesse statale e tale materia sarebbe dunque sottratta alla competenza legislativa ed amministrativa della Regione.
La difesa erariale contesta, poi, l’affermazione, contenuta nel ricorso secondo la quale la potestà primaria regionale, dopo la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, sarebbe soggetta solo ai limiti di cui all’art. 117, primo comma, Cost., poiché ove si invochino le norme costituzionali introdotte nel 2001, verrebbe in gioco tutto il sistema di riparto delle competenze di cui al nuovo titolo V della Costituzione e, dunque, i limiti alla potestà legislativa regionale andrebbero rinvenuti anche nell’art. 117, secondo e terzo comma, Cost.
La competenza dello Stato ad emanare la disposizione impugnata andrebbe ravvisata nel «congiunto disposto» dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. «ordinamento civile», dal momento che il comma 88 denunciato riguarderebbe l’acquisizione della documentazione richiesta per la stipulazione dei contratti di compravendita degli immobili; dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., poiché la documentazione concernerebbe interventi edilizi realizzati anteriormente alla trasformazione delle Ferrovie dello Stato in società commerciale e, per tale ragione, non corredati dalla documentazione urbanistico-edilizia; e dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost. in quanto il comma 88 censurato disciplinerebbe «la raccolta e la documentazione di dati fattuali».
6. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria anche relativamente al giudizio promosso dalla Regione Campania (reg. ric. n. 36 del 2006). Oltre a richiamare le argomentazioni svolte nel giudizio promosso dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, la difesa dello Stato sostiene che questo ricorso sarebbe inammissibile in quanto ometterebbe di indicare in modo chiaro «le specifiche disposizioni oggetto del ricorso ed il parametro costituzionale invocato».
Nel merito, l’Avvocatura esclude che la disposizione censurata consenta la realizzazione di nuovi interventi edilizi in deroga, dal momento che l’espressione «anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti» si riferirebbe soltanto «all’ottenimento della documentazione».
7. – La Regione Friuli-Venezia Giulia e la Regione Emilia-Romagna hanno depositato memorie, di identico contenuto, nelle quali, replicando alle difese svolte dall’Avvocatura generale, sostengono che la disciplina introdotta dal comma 88 censurato non potrebbe essere ricondotta all’istituto dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale presuppone la conformità degli immobili alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dei medesimi, sia al momento della presentazione della domanda. Diversamente, il significato della disposizione impugnata sarebbe proprio quello di consentire comunque di ottenere la documentazione attestante la regolarità urbanistica ed edilizia mancante, anche nel caso di interventi realizzati in deroga agli strumenti urbanistici.
La riconducibilità della disciplina censurata ad un’ipotesi di condono edilizio straordinario sarebbe confermata dalla previsione del versamento di una somma pari al 10 per cento di quella prevista dal decreto-legge n. 269 del 2003, nonché dalla espressa previsione che «la dichiarazione sostitutiva produce i medesimi effetti di una concessione in sanatoria».
La Regione Friuli-Venezia Giulia, in una memoria successiva, osserva come la tesi dell’Avvocatura erariale, relativa alla riconducibilità della disciplina in esame alla competenza esclusiva statale in materia di lavori pubblici concernenti la costruzione e manutenzione di opere ferroviarie, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 1116 del 1965, sarebbe «fuorviante ed arbitraria»: il comma 88 denunciato non riguarderebbe, infatti, opere ferroviarie e non regolerebbe i lavori pubblici, ma disciplinerebbe la regolarizzazione urbanistica di taluni immobili.
Arbitraria sarebbe l’individuazione del fondamento della disciplina censurata nella materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; infatti, la disposizione denunciata disciplinerebbe un procedimento di regolarizzazione urbanistico-edilizia e quindi non potrebbe che essere ricondotto alla materia urbanistica. Quanto al riferimento alla materia dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa degli enti pubblici nazionali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., la Regione rileva come la disposizione impugnata non inciderebbe sull’ordinamento e sull’organizzazione dell’ente, «ma sullo status urbanistico dei suoi immobili». Del tutto inconferente sarebbe, poi, il richiamo all’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.
8. – In prossimità dell’udienza pubblica del 20 novembre 2007, l’Avvocatura dello Stato ha depositato un’ulteriore memoria, con la quale ha ribadito l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005. L’impugnata disposizione, lungi dal «condonare, ossia sanare» eventuali infrazioni edilizie, mirerebbe semplicemente a consentire la ricostruzione documentale della situazione urbanistica ed edilizia degli immobili in questione attraverso la previsione di una presunzione di costruzione in conformità alle leggi vigenti e la disciplina di una procedura amministrativa per il conseguimento della documentazione mancante. Il riferimento alla eventuale deroga agli strumenti urbanistici si spiegherebbe alla luce della possibilità, «da sempre prevista», di edificazioni in deroga consentite dalla legge.
Il resistente sottolinea, in particolare, che, analogamente a quanto previsto da risalenti discipline (cfr. r.d.l. n. 2071 del 1925, Disposizioni eccezionali per la ricostruzione degli atti e documenti distrutti in occasione di terremoti, inondazioni, altre pubbliche calamità o tumulti popolari.; d.lgs.lgt. n. 272 del 1946, Disposizioni per la ricostruzione degli atti e documenti degli archivi dei municipi distrutti a seguito di eventi bellici o di tumulti popolari o di incendi, inondazioni, terremoti ed altre pubbliche calamità; art. 2720 codice civile), la prevista operazione di ricostruzione documentale non sarebbe unilaterale, in quanto coinvolge l’amministrazione comunale. Il contributo parametrato a quelli dovuti per il condono – che per l’Avvocatura dello Stato «può aver ingenerato l’equivoco in cui è caduta la ricorrente» – sarebbe un contributo non dissimile da quelli versati al Comune per la richiesta di un servizio.
La difesa erariale riafferma, dunque, l’ascrivibilità della disposizione oggetto di censura alle materie dell’«ordinamento civile», dell’«ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» e del «coordinamento informativo», di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e), g) e r), della Costituzione.
9. – La Regione Campania, in prossimità dell’udienza pubblica del 20 novembre 2007, ha depositato una ulteriore memoria, con la quale insiste nel chiedere che sia dichiarata l’incostituzionalità della disposizione impugnata.
La stessa normativa anteriore alla riforma costituzionale del 2001 riconosceva un ruolo decisivo agli enti locali in relazione a molteplici profili della materia: accertamento della conformità urbanistica delle opere statali (art. 29 della legge n. 1150 del 1942); parere obbligatorio sui progetti esecutivi di costruzioni edilizie da realizzare nell’ambito dei comprensori ferroviari (art. 9 della legge n. 377 del 1974); intesa con le Regioni interessate per la realizzazione delle opere in oggetto (art. 81 del d.P.R. n. 616 del 1977). L’accertamento della conformità di tali opere alle prescrizioni urbanistiche ed il coinvolgimento diretto delle istituzioni locali sono state confermate dalla successiva legislazione (art. 10 della legge 12 febbraio 1981, n. 17, recante «Finanziamento per l’esecuzione di un programma integrativo di interventi di riclassamento, potenziamento ed ammodernamento delle linee, dei mezzi e degli impianti e per il proseguimento del programma di ammodernamento e potenziamento del parco del materiale rotabile della rete ferroviaria dello Stato»; art. 25 della legge n. 210 del 1985). Sicché, la censurata disposizione determinerebbe un «arretramento rispetto al ruolo riconosciuto alla Regione in materia».
Contrariamente a quanto sostenuto dalla controparte, la disposizione impugnata non si limiterebbe a colmare una carenza documentale, dal momento che la dichiarazione unilaterale avrebbe in realtà una efficacia sanante nei confronti degli immobili in questione. Pertanto – conclude la difesa regionale – la prevista presunzione assoluta di conformità, la possibilità di derogare ai vigenti strumenti urbanistici e l’assenza di limiti temporali, volumetrici e tipologici delle opere «presuntivamente conformi» darebbero vita ad un nuovo condono edilizio.
Considerato in diritto
1. – La Regione Campania e la Regione Emilia-Romagna hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale nei riguardi di numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006). oggetto del presente giudizio sono le sole questioni di costituzionalità che riguardano il comma 88 dell’art. 1 impugnato dalle suddette ricorrenti per contrasto con gli artt. 114 (evocato dalla sola Regione Campania), 117, terzo comma, e 118 della Costituzione.
Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato – tra le altre – l’art. 1, comma 88 della legge n. 266 del 2005, denunciando la violazione dell’art. 4, numero 12, e dell’art. 8 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
Tutte le ricorrenti lamentano la violazione delle rispettive competenze in materia di governo del territorio o di urbanistica ad opera della disposizione impugnata, che prevedrebbe un eccezionale procedimento di sanatoria edilizia per i beni immobili «appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.a. ed alle società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate» o a coloro che li abbiano acquistati da tali società. Ciò, tramite la presunzione che detti immobili siano stati «costruiti in conformità alla legge vigente al momento della loro edificazione» ed uno speciale procedimento, da avviare entro un triennio dalla data di entrata in vigore della legge, per ottenere la «documentazione che tenga luogo di quella attestante la regolarità urbanistica ed edilizia mancante, in continuità d’uso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti». In particolare, vengono indicati dalle ricorrenti, come sintomi evidenti della natura di sanatoria edilizia straordinaria, la previsione, contenuta nella disposizione impugnata, secondo cui la «dichiarazione sostitutiva della concessione» produce «i medesimi effetti di una concessione in sanatoria, a meno che entro sessanta giorni dal suo deposito il Comune non riscontri l’esistenza di un abuso non sanabile ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia», e la previsione per la quale deve essere versata al Comune una somma pari al 10 o al 30 per cento di quella che sarebbe stata dovuta per il condono edilizio previsto dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni dall’art.1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326.
La Regione Campania denuncia, altresì, la violazione del principio di leale cooperazione e del principio di ragionevolezza.
Le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia lamentano, inoltre, il contrasto della disposizione impugnata con l’art. 3 Cost. per violazione al principio di uguaglianza, sostenendo che tale disposizione introdurrebbe un privilegio per un gruppo di società, consistente, appunto, nella previsione di un condono il quale si ripercuoterebbe sulle prerogative delle Regioni, in violazione dell’art. 119 Cost.
Le medesime ricorrenti sostengono, infine, che l’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005, nel prevedere il pagamento di un’oblazione in misura ridotta rispetto a quella prevista dal decreto-legge n. 269 del 2003, lederebbe l’autonomia finanziaria dei Comuni e, conseguentemente, quella delle Regioni.
2. – In considerazione dell’identità della disposizione impugnata, nonché degli analoghi profili di illegittimità costituzionale fatti valere, i ricorsi per la parte relativa al comma 88 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3. – In via preliminare, va considerata l’eccezione della Avvocatura generale dello Stato secondo la quale il ricorso della Regione Campania sarebbe inammissibile, in quanto ometterebbe di indicare in modo chiaro «le specifiche disposizioni oggetto del ricorso ed il parametro costituzionale invocato».
In questi termini generali la eccezione deve essere respinta, dal momento che – al contrario di quanto sostenuto dall’Avvocatura erariale – il ricorso regionale, da una parte, si riferisce con chiarezza alle varie fasi della procedura prevista nel comma 88, considerata dalla ricorrente «surrettizia ipotesi di condono edilizio», e, dall’altra, elenca come parametri asseritamente violati gli articoli «114, 117, 118 Cost.», nonché i princìpi di leale collaborazione e di ragionevolezza.
Piuttosto, deve essere dichiarata inammissibile la censura fondata sull’art. 114 Cost., perché la relativa censura non è suffragata da alcun contributo argomentativo (analogamente si veda già la sentenza n. 196 del 2004).
Quanto alla censura con cui viene dedotta la violazione del principio di ragionevolezza, benché la costante giurisprudenza di questa Corte ritenga ammissibile tale doglianza allorché con essa le Regioni deducano la (almeno) potenziale lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, nel caso di specie, essa deve essere dichiarata inammissibile in quanto non sorretta da alcuna motivazione.
Per le medesime ragioni, anche la questione concernente la denunciata lesione del principio di leale collaborazione deve essere dichiarata inammissibile: ciò tanto più in quanto proprio nella sentenza n. 196 del 2004 si è affermato che «non è individuabile un fondamento costituzionale dell’obbligo di procedure legislative ispirate alla leale collaborazione tra Stato e Regioni (né risulta sufficiente il sommario riferimento all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001)» (analogamente, da ultimo, si veda la sentenza n. 401 del 2007).
4. – Inammissibile è, inoltre, la censura con cui le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia deducono la violazione dell’art. 119 Cost., sostenendo che la lesione dell’autonomia finanziaria dei Comuni si tradurrebbe in una lesione dell’autonomia finanziaria regionale: pur non negandosi che ciò possa avvenire, come questa Corte ha riconosciuto (sentenze n. 417 del 2005, n. 196 del 2004 e n. 533 del 2002), nel caso di specie le ricorrenti argomentano la dedotta compressione della finanza locale in ragione della riduzione della misura della somma che deve essere corrisposta per il conseguimento della «dichiarazione sostitutiva della concessione», rispetto all’importo previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003. tuttavia, le ricorrenti lamentano la lesione della propria autonomia finanziaria con riguardo ad un’entrata che esse stesse qualificano come “oblazione” e che dunque, per sua natura, è di spettanza dello Stato.
5. – Venendo al merito della questione, in via preliminare occorre considerare il fondamento dell’intervento legislativo statale in oggetto.
L’Avvocatura dello Stato ha sostenuto più volte che il censurato comma 88 avrebbe inteso solo «semplificare la documentazione occorrente per le operazioni di dismissione» degli immobili «appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate», dal momento che, per molteplici motivi, non si riusciva a ricostruire la documentazione relativa alla situazione di tipo urbanistico-edilizio di molti di questi beni. Non ci si troverebbe, quindi, dinanzi ad una ipotesi di condono edilizio ma, semmai, solo ad una speciale procedura per ottenere, entro brevi termini perentori, dai Comuni interessati la documentazione urbanistico-edilizia necessaria per la commercializzazione di questi beni anche da parte dei loro acquirenti.
La disciplina in esame sarebbe dunque riconducibile a materie di esclusiva competenza statale, e precisamente: alla materia dell’ordinamento civile, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal momento che il comma 88 riguarderebbe l’acquisizione della documentazione richiesta per la stipulazione dei contratti di compravendita degli immobili; alla materia dell’ordinamento degli enti pubblici nazionali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., poiché la disciplina, concernendo interventi edilizi realizzati anteriormente alla trasformazione delle Ferrovie dello Stato in società commerciale, riguarderebbe un ente pubblico; al coordinamento dei dati relativi all’amministrazione statale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., in quanto il comma 88 concernerebbe «la raccolta e la documentazione di dati fattuali».
La ricostruzione proposta dall’Avvocatura non può essere condivisa.
La necessità di speciali disposizioni per facilitare la vendita dei beni immobili delle Ferrovie dello Stato, pur in mancanza della documentazione attestante la relativa conformità urbanistico-edilizia, è già stata soddisfatta con il comma 6-bis dell’art. 1 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351 (Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 novembre 2001, n. 410, il quale prevede che detti immobili possano essere alienati «con esonero dalla consegna dei documenti relativi alla proprietà e di quelli attestanti la regolarità urbanistica, edilizia e fiscale».
Più in generale, per la alienazione degli immobili degli enti pubblici trasformati in società per azioni l’art. 43, comma 6, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), prevede che gli atti aventi ad oggetto i suddetti beni possano essere validamente compiuti «senza l’osservanza delle norme previste nella citata legge n. 47 del 1985, con il rilascio di una dichiarazione resa ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni, attestante, per i fabbricati, la regolarità urbanistico-edilizia con riferimento alla data delle costruzioni e, per i terreni la destinazione urbanistica, senza obbligo di allegare qualsiasi documento probatorio».
Attraverso le disposizioni ora richiamate il legislatore ha affrontato e disciplinato il problema concernente la commercializzazione di immobili privi della necessaria documentazione urbanistico-edilizia, stabilendo eccezionalmente la non necessità di tale documentazione ovvero la possibilità della sua sostituzione.
Diverso è invece il contenuto della disposizione impugnata. Essa, anzitutto, pone una presunzione assoluta di «conformità alla legge vigente al momento della loro edificazione» per tutti «i beni immobili appartenenti a Ferrovie dello Stato S.p.A. ed alle società dalla stessa direttamente o indirettamente integralmente controllate». La norma non si riferisce, quindi, alle sole fasi della costruzione del bene o della sua successiva trasformazione sulla base delle speciali normative che disciplinavano questi beni immobili, ma genericamente anche a tutte le successive innovazioni e trasformazioni che fossero comunque intervenute.
In secondo luogo, si prevede che Ferrovie dello Stato S.p.A. e le società dalla stessa direttamente o indirettamente controllate integralmente, nonché gli acquirenti dei relativi beni immobili, possono, entro il termine di tre anni dalla entrata in vigore della disposizione impugnata, ottenere una documentazione «che tenga luogo di quella attestante la regolarità urbanistica ed edilizia mancante, in continuità d’uso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti». D’altra parte, questa derogabilità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente è confermata dalla previsione contenuta nella stessa disposizione impugnata, secondo la quale «la dichiarazione sostitutiva produce» effetti sostanziali, e cioè «i medesimi effetti di una concessione in sanatoria».
In terzo luogo, la disposizione impugnata stabilisce che «in nessun caso la dichiarazione sostitutiva potrà valere come una regolarizzazione degli abusi non sanabili ai sensi delle norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia». Il riferimento agli «abusi non sanabili» richiama evidentemente la categoria delle opere abusive «non suscettibili di sanatoria» di cui all’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), e (da ultimo) al comma 27 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, e cioè il limite assoluto posto alle ipotesi di condono edilizio straordinario. Tale riferimento attesta che il legislatore, da un lato, ha richiamato i medesimi limiti previsti per la sanatoria edilizia straordinaria, con ciò ritenendo analoga la natura dell’intervento in esame; dall’altro lato, ha ritenuto ammissibile la sanatoria sostanziale di tutti gli altri interventi abusivi.
In quarto luogo, la previsione della necessità del versamento di una somma pari al 10 o al 30 per cento di quella che sarebbe stata dovuta in base all’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale individua la tipologia delle opere abusive suscettibili della sanatoria edilizia straordinaria del 2003, nonché l’entità dell’oblazione da corrispondere a tal fine, conferma che l’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005 si riferisce ad un fenomeno del tutto analogo.
Si aggiunga, infine, che il meccanismo previsto dalla disposizione impugnata, è destinato ad operare, per espressa previsione, «indipendentemente dalle alienazioni di tali beni».
In conclusione, la disposizione impugnata si caratterizza per la netta prevalenza di elementi caratteristici di una procedura di sanatoria edilizia di tipo straordinario, mentre i profili documentativi, finalizzati alla commercializzazione dei beni in parola da parte degli acquirenti, si configurano come meramente conseguenti ed accessori.
D’altra parte, durante i lavori parlamentari relativi alla disposizione impugnata, appariva pacificamente condivisa l’opinione che si trattasse di una nuova ipotesi di condono straordinario.
6. – La giurisprudenza di questa Corte successiva alla modificazione del titolo V della seconda parte della Costituzione e formatasi in relazione al recente condono edilizio previsto dal decreto-legge n. 269 del 2003 (si vedano le sentenze n. 49 del 2006; n. 304, n. 71 e n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), è caratterizzata in primo luogo dalla affermazione secondo cui il legislatore statale può prevedere una sanatoria edilizia straordinaria solo in presenza di gravi situazioni di interesse generale; in secondo luogo, dalla riconduzione della competenza legislativa in tema di condono, salvi i soli profili di ordine penale che sono di esclusiva competenza statale, essenzialmente alla materia «governo del territorio», di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. ovvero alla materia “urbanistica” per le Regioni a statuto speciale che hanno tale competenza.
La disposizione censurata nel presente giudizio non supera evidentemente quello «stretto esame di costituzionalità» che questa Corte ha ritenuto indispensabile per legittimare un condono edilizio straordinario: anzitutto, perché non sono ravvisabili esigenze che costituiscano un «ragionevole fondamento» alla reiterazione di un istituto «a carattere contingente e del tutto eccezionale» (sentenze n. 196 del 2004 e n. 427 del 1995), che determina la compressione di valori come «quelli del paesaggio, della cultura, della salute, della conformità dell’iniziativa economica privata all’utilità sociale, della funzione sociale della proprietà» (sentenza n. 427 del 1995), tanto più che la disposizione impugnata segue – quasi senza soluzione di continuità – una sanatoria straordinaria di portata generale appena conclusa. In secondo luogo, la sua disciplina del tutto analitica contrasta con la natura della potestà legislativa delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo del territorio» ed, a maggior ragione, con quella di una Regione ad autonomia speciale, come il Friuli-Venezia Giulia, dotata in materia di potestà legislativa di tipo primario, e con il conseguente «doveroso riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo – all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in tema di condono» (sentenza n. 196 del 2004 - punto 23 del diritto).
Infine, viene del tutto negata l’autonomia amministrativa in una materia del genere dei Comuni e delle Regioni.
La censura di costituzionalità è pertanto fondata in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione e agli artt. 4, numero 12, e 8 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Resta assorbito l’esame degli altri profili di censura prospettati.
Per questi motivi
la Corte costituzionale
riservata a separate pronunce la decisione sulle questioni di legittimità costituzionale, sollevate nei confronti di altre disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006) con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005, sollevate, in riferimento all’art. 114 Cost., al principio di ragionevolezza e al principio di leale cooperazione, dalla Regione Campania con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 88, della legge n. 266 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 119 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2008.