SENTENZA N. 16
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi dalle Regioni Emilia-Romagna e Calabria,
con ricorsi notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ed
il 29 ottobre 2008 ed iscritti ai nn. 69 e 86 del
registro ricorsi 2008.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2009 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna,
Massimo Luciani e Giuseppe Naimo
per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1. — La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008
e depositato il successivo 22 ottobre (r.r. n. 69 del
2008), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento a
numerosi articoli del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
In particolare, ha impugnato gli
articoli 6-quater, comma 2, primo periodo, e 6-quinquies, commi 2
e 3, per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
2. — La ricorrente premette che il
citato art. 6-quater dispone nel comma 1 che, al fine di rafforzare la
concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale delle risorse
del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), di cui all’art. 61 della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), sono revocate le relative
assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la programmazione
economica (CIPE) per il periodo 2000-2006, in favore di amministrazioni
centrali, con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite
dell’ammontare delle risorse che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono
state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma quadro (APQ),
sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per
progetti di ricerca, anche sanitaria. Il comma 2 della norma stabilisce che le
disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse assegnate,
costituiscono norme di principio per le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano e che «il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo
economico, definisce, di concerto con i Ministri interessati, i criteri e le
modalità per la ripartizione delle risorse disponibili previa intesa con la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano».
Le censure della difesa regionale si
riferiscono al primo periodo del comma 2, ritenuta norma di "oscura
formulazione”, in quanto il legislatore, pur non volendo direttamente revocare
le risorse assegnate alle Regioni per non violare il principio della loro
autonomia finanziaria, avrebbe inteso comunque conseguire tale obiettivo,
disponendo che esse debbano «auto-revocarsi» l’assegnazione, cioè restituire le
risorse al CIPE (nel limite dell’ammontare di quelle che, entro la data del 31
maggio 2008, non sono state impegnate o programmate). Il CIPE, poi, dovrebbe
provvedere al riparto delle risorse resesi disponibili ai sensi del secondo
periodo del comma 2.
La norma, secondo la ricorrente, ad onta
dell’autoqualificazione come principio fondamentale,
sarebbe una norma dettagliata (in base ai criteri applicati dalla Corte
costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 159 del
2008, in relazione alle leggi statali le quali pongono limiti alla spesa
regionale), che richiederebbe soltanto di essere "applicata” dalle Regioni.
Tale disposizione sarebbe perciò illegittima, in quanto esorbitante dai limiti
di un principio di coordinamento della finanza pubblica e lesiva dell’autonomia
finanziaria regionale (art. 119 Cost.), vincolando l’uso delle risorse in
materie di competenza residuale (quelle attinenti allo sviluppo economico:
industria, commercio, artigianato, agricoltura, tutte spettanti alla Regione ai
sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.).
3. — La difesa regionale censura,
inoltre, la disposizione dettata dall’art. 6-quinquies del d.l. n. 112
del 2008, come convertito nella legge n. 133 del 2008.
La norma nel comma 1 istituisce «nello
stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere
dall’anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di
interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello
nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di
cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della
coesione del Paese».
Il comma 2 della norma dispone che, con
delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico d’intesa
con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla
ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza unificata,
fermo restando il vincolo di concentrare nelle Regioni del Mezzogiorno almeno
1’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico
nazionale per il periodo 2007-2013. Il fondo istituito dal comma 1, riguardando
gli interventi «finalizzati al
potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le
reti di telecomunicazione e quelle energetiche», ad avviso della Regione incide
su materie di competenza concorrente (governo del territorio, porti e
aeroporti, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia). La Corte costituzionale, come si desume
dalla sentenza
n. 168 del 2008, ha già affermato che «l’art. 119 Cost. vieta al
legislatore statale di prevedere, in materie di competenza legislativa
regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione
vincolata, anche a favore di soggetti privati», precisando che «il titolo di
competenza statale che permette l’istituzione di un fondo con vincolo di
destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie
espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma può consistere
anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di "chiamata in
sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.».
Nel caso di cui si tratta, la previsione
del fondo potrebbe trovare giustificazione, ai sensi dell’art. 118, primo
comma, Cost., ma allora la disposizione di cui al comma 2, che richiede il
semplice parere della Conferenza unificata per la delibera del CIPE, anziché
l’intesa, sarebbe illegittima per violazione del principio di leale
collaborazione. Infatti, fin dalla sentenza n. 303 del
2003, è stata affermata la necessità dell’intesa per i casi di chiamata in
sussidiarietà e tale esigenza è stata ribadita, proprio per la materia
dell’energia, dalla sentenza n. 383 del
2005.
A parere della ricorrente, anche il comma 3 della norma censurata
risulterebbe in contrasto con il parametro di cui all’art. 119, primo comma,
Cost., per la violazione del principio dell’autonomia finanziaria di spesa
garantita alle Regioni (sentenza n. 169 del
2007). Tale disposizione afferma che «costituisce un principio fondamentale
la concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse
strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il
periodo 2007-2013 in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo
per le aree sottoutilizzate e di ridefinizione dei programmi finanziati dai
Fondi strutturali comunitari». Pur qualificando il proprio contenuto come
principio fondamentale, la norma esorbita dai limiti del potere statale di
coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo
sulle concrete scelte di investimento effettuate dalle Regioni, in quanto pone
un vincolo di destinazione all’uso delle risorse ad esse spettanti.
4. — Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, si è costituito eccependo l’inammissibilità e comunque
l’infondatezza delle censure.
Al riguardo, la difesa erariale osserva
come la disposizione di cui all’art. 6-quater,
finalizzato alla «Concentrazione strategica degli interventi del fondo per le
aree sottoutilizzate» mediante unificazione di risorse non ancora impegnate, è
stata introdotta in sede di conversione del decreto-legge per imprimere un
particolare impulso all’azione di promozione dello sviluppo economico del Paese
a fronte della crisi economica internazionale e per ragioni di coesione e di
solidarietà sociale, al fine di prevenire l’incremento degli squilibri
economici delle aree ex depresse, finalità perseguita in via ordinaria con il
fondo alimentato con risorse statali di cui all’art. 61 della legge n. 289 del
2002.
Pertanto, la censura sollevata dalla ricorrente,
circa la natura di norma di dettaglio della disposizione in esame, non risulta
condivisibile. Non si tratta, infatti, di situazione comparabile a quella
oggetto della sentenza della Corte n. 159 del
2008, in quanto è evidente che il legislatore nazionale ha ritenuto di
fronteggiare la crisi economica evitando la giacenza e l’inutilizzazione di
risorse finalizzate proprio a combattere gli squilibri economici, rimodulando
il loro impiego ed assegnando alle stesse finalità da concordare con le Regioni,
mediante l’intesa con il Comitato permanente per i rapporti tra Stato, Regioni
e Province autonome. Del resto, non si è mai dubitato che, anche in situazioni
ordinarie, competa sempre allo Stato recuperare risorse già assegnate ma non
utilizzate, concentrandone l’impiego su interventi di rilevanza strategica
nazionale.
Del pari inammissibile sarebbe la
lamentata violazione del principio di leale collaborazione, in quanto tale
principio non può essere invocato in riferimento all’attività legislativa.
Quanto alla censura relativa
all’inammissibilità del finanziamento statale a destinazione vincolata,
sollevata in riferimento al comma 2 dell’art. 6-quinquies, nella parte in cui prevede la ripartizione di risorse
del fondo per il potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale
con delibere CIPE, sentita la Conferenza unificata, la difesa erariale pone in
evidenza come la ripartizione di fondi finalizzati debba avvenire tenendo conto
delle finalità perseguite, nell’ambito della destinazione propria del fondo,
dalla singola Regione.
Da ultimo, la difesa erariale segnala
che la ricorrente non ha formulato in sostanza alcuna censura in riferimento al
comma 3 del citato articolo 6-quinquies,
benché tale comma risulti indicato nella intestazione del ricorso.
5. — In data 18 novembre 2009 la Regione
Emilia-Romagna ha depositato una memoria illustrativa, nella quale replica
all’intervento dell’Avvocatura dello Stato, ribadendo la fondatezza delle
censure già sollevate.
Relativamente all’art. 6-quater,
la ricorrente contesta l’affermazione dell’Avvocatura circa la diversità tra la
norma impugnata e quelle oggetto di censura nella sentenza n. 159 del
2008. La disposizione in oggetto non chiarisce quale margine di
discrezionalità residui alle Regioni, una volta che si attui il recupero delle
risorse inutilizzate e non menziona neppure l’attività di restituzione che esse
dovrebbero compiere. Sarebbe evidente, quindi, che la disposizione non ha un
reale contenuto di principio nei confronti delle Regioni, a meno di non
ritenere in via interpretativa che l’ente territoriale mantenga una
discrezionalità nel modulare il principio della riassegnazione.
La norma sarebbe invece ancora più lesiva se venisse interpretata nel senso che
le Regioni sono obbligate a revocare anche le assegnazioni di risorse già
operate in favore di altri soggetti, qualora le somme non siano state
concretamente impegnate o programmate da questi. D’altra parte non pare
sufficiente, ad avviso della ricorrente, la previsione dell’intesa con la
Conferenza Stato-Regioni, in quanto la singola Regione non sarebbe più
protagonista della rimodulazione e potrebbe non essere d’accordo sui nuovi
criteri di riparto "codeliberati” dalla Conferenza.
Quanto all’art. 6-quinquies, la
ricorrente insiste nella illegittimità costituzionale del comma 2, nella parte
in cui non prevede l’intesa, pur riconoscendo la legittimità del Fondo in virtù
dell’art. 118, primo comma, Cost. (si richiama sul punto la sentenza n. 124 del
2009), ed evidenzia che la difesa dell’Avvocatura si è limitata a sostenere
la legittimità dell’istituzione dello stesso, legittimità non contestata dalla
Regione. Inoltre, nelle argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato mancherebbe
una difesa pertinente in riferimento al comma 3, che incide illegittimamente
sulle concrete scelte di investimento effettuate dalle Regioni, anche se le
risorse provenienti dal Fondo per l’attuazione del QSN sono destinate ad essere
pur sempre investite in infrastrutture strategiche regionali.
6. — La Regione Calabria, con ricorso
notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 29 ottobre (r.r. n. 86 del 2008), ha promosso questioni di legittimità
costituzionale di alcuni articoli del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 133 del 2008 e, tra questi, degli artt. 6-quater,
6-quinquies e 6-sexies,
in riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, 118 e 119 Cost., al principio di
leale collaborazione, al «generale canone di ragionevolezza delle leggi»,
all’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità
europea) e successive modificazioni, agli artt. 9, 13, 15, 32 e 33 del
Regolamento CE 11 luglio 2006, n. 1083 (Regolamento del Consiglio recante
disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale
europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento CE n. 1260 del
1999).
7. – La ricorrente, richiamato il
contenuto del citato art. 6-quater, pone in evidenza che le risorse in
esso contemplate riguardano non soltanto fondi revocati ai ministeri e
destinati ad interventi da realizzare in Calabria ma anche fondi assegnati
direttamente alla Regione e da impegnare all’interno di Accordi di programma
quadro (per complessivi euro 301.083.804 entro il 31 dicembre 2009 ed euro 324.389.000 entro il
31 dicembre 2008, in forza di delibere del CIPE).
In ordine alla distinzione tra «somme
impegnate» e «somme programmate», la ricorrente rileva come la programmazione,
in realtà, sia insita nella stipula di un Accordo di programma quadro (APQ),
mentre l’impegno deriva dall’assunzione degli Impegni Giuridicamente Vincolanti
(IGV), che possono essere formalizzati entro 3 anni dalla programmazione:
quindi, alla data di entrata in vigore della norma, non vi era alcuna
inadempienza da parte della Regione. Inoltre, nel periodo temporale intercorso
tra l’adozione del d.l. n. 112 del 2008 (che non conteneva alcuna norma in
materia) e l’entrata in vigore della legge di conversione (che ha apportato la
modifica qui censurata), la Giunta regionale ha deliberato 14 APQ per un valore
complessivo di oltre 331.236.000 euro, proponendone la stipula al Ministero dello sviluppo
economico ed alle altre amministrazioni centrali competenti (solo 4 APQ dei
quali sono stati stipulati fino alla data del 1° agosto 2008 per l’importo di
oltre 70.000.000 euro). Tutti gli atti in questione, ivi compresi quelli
ritualmente stipulati, sono stati «congelati», a seguito dell’entrata in vigore
della norma impugnata, che risulterebbe illegittima innanzitutto per la sua
retroattività prevista al comma 1, e questa sarebbe irragionevole in quanto
incide su rapporti contrattuali consolidatisi in data antecedente all’entrata
in vigore della norma, senza alcun motivo (quale, ad esempio, un eventuale
inadempimento regionale) idoneo a giustificarne l’adozione, con lesione del
principio di certezza del diritto e violazione del principio del legittimo
affidamento.
Inoltre, la norma censurata violerebbe
gli artt. 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale
collaborazione: infatti, incidendo retroattivamente, ed in modo del tutto
irragionevole, su accordi già conclusi ed impegni già assunti in data
antecedente alla loro entrata in vigore e sviando fondi ancora legittimamente
programmabili e, soprattutto, impegnabili, comporta variazioni nel bilancio
regionale che vulnerano l’autonomia amministrativa, quella finanziaria della
Regione ricorrente e la sua capacità di spesa, garantite dall’art. 119 Cost.,
nonché incide con norma di estremo dettaglio (obbligo di concentrazione dei
fondi su interventi di rilevanza strategica nazionale) in materie di
legislazione concorrente (ad esempio, per restare ai soli APQ già approvati,
governo del territorio, istruzione, tutela della salute, valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali).
Secondo la Regione ricorrente,
l’illegittimità risulterebbe dalla lettura della finalità indicata nel comma 1
(e posta, quale norma di principio, nel comma 2): «rafforzare la concentrazione
su interventi di rilevanza strategica nazionale». Porre come prioritario questo
scopo significherebbe non solo sconvolgere l’intera programmazione già
effettuata, senza garanzia alcuna che ogni Regione, ed in particolare la
Regione Calabria, possa vedersi attribuite tutte le risorse già assegnate in
precedenza, ma anche impedire qualunque azione regionale, introducendo un
vincolo specifico in materia di competenza concorrente (mentre la Corte
costituzionale ha chiarito che «la finalizzazione a scopi rientranti in materia
di competenza residuale delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta
la illegittimità costituzionale delle norme statali», così ex plurimis: sentenze nn.
118 del 2006;
231 del 2005;
424 del 2004
e 370 del 2003).
E’ ben vero che la Corte costituzionale
ebbe a ritenere infondata una questione di legittimità di norme simili a quelle
censurate (art. 1, commi 310 e 311, della legge 23 dicembre del 2005, n. 266 -
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato,
legge finanziaria 2006), in quanto esse si limitavano a prendere atto
«dell’inattività di alcune regioni nell’utilizzare risorse poste a loro
disposizione nel bilancio dello Stato ed oggetto di accordi di programma
stipulati in modo libero e paritario con il Governo nazionale, prevedendo
risoluzione di accordi di programma e favorendo anche, sempre secondo il metodo
dell’accordo, la riutilizzazione aggiornata, per le medesime finalità, dei
finanziamenti revocati», ma ciò ha fatto proprio in riferimento ai casi in cui
venisse registrato un inadempimento da parte delle Regioni. Nel caso de quo non risulta, invece, alcuna
inadempienza (né nella programmazione, né nella stipula) da parte della
ricorrente, che vede il proprio bilancio privato di somme già rese disponibili,
senza che sia stato previsto almeno un procedimento per l’eventuale messa in
mora delle regioni o un modulo «partecipativo», per determinare, in cooperativo
confronto con le Regioni, gli eventuali riutilizzi delle somme, con palese
violazione del principio di leale collaborazione.
Secondo la ricorrente sarebbe altresì
evidente la violazione dell’art. 97 (in combinato disposto con gli artt. 118 e
119) Cost., atteso che la disciplina censurata finirebbe per sconvolgere la
programmazione già stabilita delle attività amministrative, vulnerando il
principio del buon andamento dell’amministrazione ed incidendo direttamente
sulle attribuzioni della ricorrente in ordine all’amministrazione regionale ed
al finanziamento delle attività ad essa spettanti.
8 — La Regione censura, poi, l’art. 6-quinquies
del d.l. n. 112 del 2008, che prevede, al comma 1, l’istituzione di un fondo
per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al
potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le
reti di telecomunicazione e quelle energetiche, alimentato con le modalità
nella stessa norma indicate.
Anche tale norma risulterebbe in
violazione dei medesimi parametri posti in evidenza con riferimento alla
disposizione di cui all’art. 6-quater, nella parte in cui incide su
vincoli e rapporti già sorti in data antecedente alla propria entrata in vigore
senza ragionevolezza alcuna ed in violazione dei principi di affidamento e di
certezza del diritto. Inoltre la medesima violerebbe gli artt. 97, 117, terzo
comma, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, per le
medesime ragioni prima riassunte, in quanto verrebbe ad incidere
retroattivamente, ed in modo del tutto irragionevole, su stanziamenti già
effettuati prima della sua entrata in vigore, e svierebbe fondi ancora
legittimamente programmabili, comportando variazioni nel bilancio regionale,
che vulnerano l’autonomia amministrativa e l’autonomia finanziaria della
Regione, garantite dagli artt. 118 e 119 Cost.; ancora, rappresenterebbe una
norma di dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi sul potenziamento della
rete infrastrutturale di livello nazionale) in materie di legislazione
concorrente (ad esempio, governo del territorio, grandi reti di trasporto e
navigazione; porti e aeroporti civili; trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia).
Nel comma 3, poi, è prevista, come
principio fondamentale, la concentrazione, da parte delle Regioni, delle
risorse del Quadro Strategico Nazionale
(QSN) su infrastrutture di interesse strategico regionale in sede di
predisposizione dei programmi finanziati dal FAS, e di ridefinizione dei
programmi finanziati dai fondi strutturali comunitari. La disposizione incide
sia su materie di competenza concorrente (in particolare, porti e aeroporti,
governo del territorio, tutela della salute, trasporto e distribuzione di
energia) che su materie riservate alla Regione (in particolare, turismo, rete
regionale di trasporto); inoltre, pone un vincolo di destinazione sull’intero
ammontare delle risorse residue, ivi compresi i fondi comunitari (differentemente
dal comma 1 della medesima norma), privando le Regioni di autonomia sia per
determinare le proprie scelte, sia per negoziare eventuali intese con lo Stato
e con la Comunità europea, con conseguente violazione anche dell’art. 117,
commi terzo e quinto, Cost., nonché dell’art. 118, che conferisce autonomia
amministrativa alle Regioni (ivi compresa la discrezionalità nell’impiego delle
risorse), con violazione anche del principio del buon andamento della pubblica
amministrazione, sancito nell’art. 97 Cost.
La norma impugnata sarebbe, quindi,
illegittima, perché, in virtù del QSN, i programmi attuativi dei FAS regionali
sono nella titolarità delle amministrazioni regionali, responsabili della loro
definizione e attuazione, e destinatarie delle risorse FAS assegnate con la
delibera CIPE di riferimento.
Quanto previsto nei commi 2 e 3, ad
avviso della ricorrente, limita direttamente anche l’autonomia di spesa della
Regione, con conseguente lesione
dell’art. 119 Cost.: infatti, vengono definanziati i
programmi di interesse strategico nazionale (all’interno dei quali la quota di
spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%), come l’istruzione,
l’ambiente, la sicurezza, l’inclusione sociale, le risorse naturali, le reti ed
i servizi per la mobilità, l’internazionalizzazione, per complessivi 9.451,440
milioni di euro (dei quali 97,279 relativi alla sola Calabria) e viene definanziato il progetto speciale relativo alla salute
nelle Regioni del Mezzogiorno (all’interno del quale la quota di spettanza
della Regione Calabria è sempre pari al 10,34%), per una somma pari a 1.550
milioni di euro (di cui 155 per la sola Calabria); viene inoltre definanziata la riserva di programmazione (all’interno
della quale la quota di spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%)
stravolgendo le regole fissate per lo svincolo di tali risorse fissate dal
punto 7.3 della delibera CIPE 166 del 2007.
La ricorrente lamenta anche la
violazione del principio di leale e fattiva collaborazione. Infatti, il QSN,
previa intesa con la Conferenza unificata, costituisce la sede della
programmazione unitaria delle risorse
aggiuntive, nazionali e comunitarie, e rappresenta, per le priorità
individuate, il quadro di riferimento della programmazione delle risorse
ordinarie in conto capitale, fatte salve le competenze regionali in materia.
L’intesa raggiunta, che riconosceva espressamente un ruolo regionale nella
programmazione, non è stata osservata, senza prevedere la necessità di una
nuova intesa, ma limitando il meccanismo «partecipativo» della Regione alla
mera necessità di «sentire» la Conferenza unificata.
Ulteriore violazione dell’art. 119,
primo e quinto comma, Cost., riguarderebbe la previsione di cui al comma 2,
circa la generica concentrazione nel Mezzogiorno almeno dell’85% degli stanziamenti,
in quanto non sarebbe stata richiamata la necessaria applicazione della chiave
di riparto valida per il ciclo 2007-2013 e della metodologia utilizzata
nell’istruttoria tecnica curata dal Dipartimento per le politiche di sviluppo e
coesione, diffusa con nota del 5 aprile 2006; non sarebbero stati garantiti a
ciascuna Regione il volume di stanziamenti già indicato in precedenza – con
conseguente lesione dell’autonomia finanziaria della Regione – e la finalità di
«riequilibrio» bene evidenziata nel QSN, dovendosi considerare che nel
Mezzogiorno d’Italia coesistono Regioni
(come la Calabria) inserite integralmente nell’Obiettivo "Convergenza” – già
Obiettivo 1 – ed ammesse agli aiuti di Stato di carattere regionale per
l’Italia con il massimale di aiuto più elevato (40%), per il periodo dal 1°
gennaio 2007 al 31 dicembre 2010, e Regioni (come Molise ed Abruzzo),
selezionate per l’estinzione degli aiuti, all’interno delle quali solo alcuni
comuni hanno ottenuto di essere ammessi a tali aiuti per un periodo limitato, o
come la Basilicata, ammessa fino al 2001 e soggetta a revisione.
Inoltre, il mero riferimento alla
concentrazione degli stanziamenti nel Mezzogiorno non garantisce il rispetto
dell’ impegno assunto in sede di QSN, ossia la concentrazione nel Mezzogiorno
(e quindi, anche nella Regione ricorrente) di una quota pari al 45% del totale
della spesa in conto capitale, proprio al fine di «conseguire una significativa
accelerazione nell’accumulazione del capitale pubblico e, di conseguenza, nei
tassi di crescita», il che determinerebbe la violazione dell’art. 119, quinto
comma, Cost.
Nel suo complesso, la disposizione
impugnata, nonostante sia stato riconosciuto il ruolo delle Regioni nella
predisposizione del QSN, impedisce, di fatto, sia la partecipazione alla
formazione, che l’attuazione e l’esecuzione dei provvedimenti comunitari, che
competono alle Regioni proprio in forza del citato art. 119, quinto comma,
Cost.
La difesa regionale trova un’ulteriore
ragione di censura in riferimento all’art. 6-quinquies, deducendo la
violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. e degli artt. 249 del
Trattato istitutivo della Comunità europea e 9, 13, 15, 32 e 33 Regolamento CE
n. 1083 del 2006. Infatti, la norma censurata (in particolare, il comma 2)
prevede che, nel rispetto del detto Regolamento, i programmi operativi
nazionali, finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del Quadro
Strategico Nazionale per il periodo 2007-2013, possono essere ridefiniti in
coerenza con i principi di cui al medesimo articolo. Ma il QSN 2007-2013, cui
si riferisce la norma, è stato approvato con decisione della Commissione
europea n. 3339 del 13 luglio 2007 e così anche i relativi POR (tale decisione
è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati, in
forza dell’art. 249, paragrafo 4, del Trattato). Pertanto, la disposizione
viola tale principio e risulta contraria anche all’art. 33 del Regolamento n.
1083 del 2006, il quale prevede i casi in cui i Piani operativi possono essere
riesaminati e cioè: a) a seguito di
cambiamenti socioeconomici significativi; b)
al fine di tener conto in misura
maggiore o differente dei mutamenti di rilievo nelle priorità comunitarie,
nazionali o regionali; c) alla luce
della valutazione di cui all’articolo 48, paragrafo 3; d) a seguito di difficoltà in fase di attuazione. Secondo la
ricorrente, non sarebbe ravvisabile alcuna delle ipotesi in cui la normativa
comunitaria consente di richiedere alla Commissione una decisione in merito,
con conseguente inammissibile scostamento dalla normativa comunitaria di
riferimento, quanto alle ipotesi di riesame. La norma censurata, poi,
altererebbe il principio di aggiuntività delle
risorse comunitarie, di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Regolamento n. 1083 del
2006, in base al quale è stato concepito ed approvato in sede comunitaria il
QSN, violazione che consentirebbe alla Commissione di procedere ad una
rettifica finanziaria sopprimendo la totalità o una parte del contributo a
titolo dei fondi strutturali, con conseguente danno diretto per la Regione
ricorrente.
9. — La Regione censura, infine, l’art.
6-sexies del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 133 del 2008, per violazione dell’art. 119 Cost.
Richiamati i primi due commi della
disposizione impugnata, sostiene che, per dimostrare l’illegittimità
costituzionale della norma, è indispensabile individuare il meccanismo sul
quale essa incide, prendendo le mosse dalla disciplina relativa ai programmi
cofinanziati dall’Unione Europea (in particolare, per i programmi del periodo
2000-2006), riconducibile alla delibera CIPE n. 189 del 1997 e al Quadro
comunitario di sostegno (QCS) per le Regioni italiane dell’Obiettivo 1 del
2000-2006, approvato con decisione della Commissione C (2000) 2050.
La menzionata delibera CIPE n. 189 del
1997 ha previsto che, per garantire il proficuo utilizzo delle risorse
nazionali e comunitarie, i soggetti titolari dei programmi cofinanziati dalla
Commissione Europea procedono ad una ricognizione di tutti gli interventi, comunque
attivati a livello nazionale, regionale, locale dai diversi soggetti pubblici e
privati, e finanziati con risorse nazionali, pubbliche e private,
riconducibili, per settore e/o territorio, al programma cofinanziato e, sulla
base di tale ricognizione, provvedono ad individuare gli interventi da
ammettere a cofinanziamento, previa verifica, con le amministrazioni
competenti, che gli stessi non risultino già inseriti in altro programma
cofinanziato e che siano coerenti con i programmi approvati, quanto a rispetto
degli obiettivi dei suddetti programmi, ammissibilità degli impegni e delle
spese e rispetto della normativa comunitaria.
Il QCS stabilisce alcuni principi di
base, fra i quali quello dell’urgenza (paragrafo 2.2) e quello dell’immediata
utilizzazione e valorizzazione dei progetti esistenti, prevedendo una sorta di
"ponte” fra programmazione in corso e nuova programmazione ed un meccanismo di
reimpiego all’esito delle rendicontazioni, nel caso sussistano i presupposti
per un rientro dei fondi di cofinanziamento comunitario e statale. L’ammontare
delle risorse da riprogrammare, definite «risorse liberate», viene quantificato
attraverso le informazioni tratte dal sistema di monitoraggio nazionale, avendo
a riferimento la data di avvio del progetto e la loro identificazione come
progetti che liberano risorse, puntualmente indicati sulla scheda progetto. La
quantificazione delle risorse potenzialmente liberate è il primo presupposto
per verificare la relativa destinazione territoriale, che costituisce elemento
essenziale di verifica per i programmi nazionali, ma non per i programmi
regionali, e quella per obiettivi.
In tale contesto, è importante
monitorare le decisioni sulla destinazione dei rientri dei Programmi operativi
nazionali (PON) che hanno giurisdizione su territori più ampi di quelli
ammissibili all’obiettivo 1, per evitare fuoriuscite di risorse da tali
territori a vantaggio di altri ed assicurare una equilibrata allocazione delle
risorse liberate tra le diverse Regioni in considerazione degli specifici
fabbisogni settoriali. La riallocazione «per misura e azione» avviene a
discrezione delle Autorità di Gestione, purché assicuri un apporto diretto agli
obiettivi, sia effettuata all’interno dello stesso Asse prioritario che ha
generato i rimborsi e sia aderente ai criteri previsti, nei programmi operativi
2000-2006, per le misure di riferimento, così come dettagliati nei complementi
di programmazione. La continuità degli interventi, nella successione dei cicli
di programmazione comunitaria, rende sempre più concreta la possibilità di
indifferenza delle fonti di copertura di progetti volti al conseguimento di
obiettivi comuni, anche in vista delle esigenze di tempestivo avvio del nuovo
ciclo di programmazione. Sulla base della preventiva quantificazione
dell’ammontare delle risorse liberate, le Autorità di gestione dei programmi
operativi inviano annualmente all’Autorità di gestione del QCS per l’eventuale
informativa al Comitato di sorveglianza del medesimo, apposite relazioni nelle
quali sono specificati: le misure i cui obiettivi specifici sono rafforzati dai
progetti finanziati con le risorse liberate; l’elenco dei progetti finanziati
con le risorse liberate con la specifica del titolo, importo e tempistica di
attuazione di ciascun progetto; i criteri di ammissibilità e selezione previsti
dai rispettivi Complementi di programmazione, sulla base dei quali sono stati
selezionati e finanziati i suddetti progetti. Il rispetto di questi requisiti
costituisce elemento di valutazione in sede di determinazione delle allocazioni
finanziarie relative al prossimo ciclo dei Fondi Strutturali.
L’inclusione di progetti avviati e
finanziati nel Programma operativo 2000-2006, e la loro rendicontazione
nell’ambito di una certificazione di spesa determina il rimborso da parte della
Commissione della corrispondente quota comunitaria e da parte dello Stato della
quota di cofinanziamento statale garantita dal Fondo di Rotazione, secondo le
regole previste dal piano finanziario del POR. I rientri finanziari sono assegnati
ai bilanci regionali a titolo di rimborso e si rendono disponibili per
l’impiego in ulteriori operazioni. La delibera del CIPE n. 189 del 1997 prevede
che: «I rientri finanziari messi a disposizione dei soggetti titolari dei
programmi cofinanziati per effetto della inclusione negli stessi di interventi
finanziati con le risorse nazionali, dovranno essere utilizzati per
finalizzarli al conseguimento degli obiettivi di sviluppo individuati dalla
programmazione territoriale e settoriale, in modo da garantire il rispetto del
principio di addizionalità delle risorse
comunitarie».
In particolare, per i progetti
finanziati con i rimborsi di cui sopra, gli impegni giuridicamente vincolanti
non ancora effettuati dovranno essere assunti entro 12 mesi dal 30 giugno 2009.
Nel caso di progetti finanziati con i rimborsi ricevuti successivamente al 31
dicembre 2008, gli impegni giuridicamente vincolanti dovranno essere assunti,
entro 12 mesi dalla data di ricezione dei rimborsi, mentre i pagamenti dovranno
essere ultimati e i progetti conclusi e resi operativi entro i 36 mesi
successivi a decorrere dall’assunzione dell’impegno giuridicamente vincolante.
Nel caso in cui i termini di impegno,
pagamento, conclusione e operatività dei progetti, nonché la loro coerenza con
i vincoli tematici e territoriali così come stabiliti nel QCS, non siano stati
rispettati, l’ammontare corrispondente al valore degli impegni non assunti ed
al valore dei progetti non conclusi o operativi, sarà dedotto dalle assegnazioni
e/o erogazioni a valere sulle risorse
del Fondo aree sottoutilizzate spettanti alle amministrazioni responsabili
dell’attuazione del progetto.
La difesa regionale assume che, ricostruita in tal modo la disciplina, la
norma impugnata violerebbe l’art. 119 Cost., in quanto tende a «deviare» i rimborsi dalla naturale destinazione (ossia
dal bilancio regionale), fissata dalla normativa regolamentare comunitaria
(Regolamento CE del 27 giugno 1999, n. 1260 e n. 1083 dell’11 luglio 2006), con conseguente violazione
dell’autonomia finanziaria della Regione, privata di fondi ad essa direttamente
destinati.
10.— Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle
censure.
Al riguardo, la difesa erariale osserva
come la disposizione di cui all’art. 6-quater,
finalizzato alla «Concentrazione strategica degli interventi del fondo per le
aree sott’utilizzate» mediante unificazione di risorse non ancora impegnate, è
stata introdotta per prevenire, nell’attuale crisi economica internazionale, un
incremento degli squilibri economici delle aree ex depresse del paese. Infatti,
non può essere consentita la giacenza e l’inutilizzazione di risorse del FAS
(fondo alimentato con risorse statali ai sensi dell’art. 61 della legge 289 del
2002), che è finalizzato proprio a combattere gli squilibri economici. D’altra
parte, le risorse saranno assegnate a scopi da concordare con le Regioni
stesse, tramite l’intesa da raggiungere nella Conferenza permanente per i
rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, rimodulando gli obiettivi
specifici. Tale compito di recupero delle risorse inutilizzate spetta
sicuramente allo Stato ed è perciò pienamente giustificata l’attribuzione di
valore di norme di principio, che non viola l’autonomia finanziaria delle
Regioni, in quanto non si tratta di misura analitica e di dettaglio. Né la data
di riferimento per l’impegno o la programmazione delle somme, che ne esclude il
recupero al 31 maggio 2008, avrebbe effetto retroattivo non giustificato, come
la giurisprudenza costituzionale sulla legittimità della revoca di somme
assegnate e non utilizzate conferma.
Secondo la difesa erariale, il principio
di leale collaborazione risulta richiamato impropriamente, trattandosi di
attività legislativa e non già amministrativa.
Anche la censura relativa alla
ripartizione di risorse del fondo per il potenziamento della rete
infrastrutturale di livello nazionale (art. 6-quinquies), rimesso alle delibere del CIPE, sentita la Conferenza
unificata di cui all’art. 98 del decreto legislativo del 28 agosto 1997, n. 281
(Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano
ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città
ed autonomie locali), è, per il resistente, infondata, in quanto non si
tratta affatto, come sostenuto dalla Regione ricorrente, di rendere ammissibili
finanziamenti statali a destinazione vincolata, ma di ripartire risorse non
ordinarie tra le Regioni, tenendo conto delle finalità perseguite, ossia del
numero e del costo delle opere rientranti nel quadro generale di interesse
nazionale, con l’ausilio della Regione interessata mediante la Conferenza
unificata.
Per quanto attiene al merito della
censura relativa al disposto dell’art.6-sexies
che, al fine di garantire l’unitarietà del quadro strategico nazionale,
favorendo il coordinato e tempestivo utilizzo delle risorse, prevede la
ricognizione – d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato,
Regioni e Province autonome – delle risorse assegnate ai programmi operativi per
gli anni 2000-2006 e non utilizzate al fine di concentrarle sui programmi
2007-2013, nessun contrasto sussiste tra tale disposizione ed i Regolamenti CE
1260 del 1999 e 1083 del 2006, invocati dalla ricorrente e neppure sussiste
contrasto con l’art. 119 Cost., atteso il coordinamento dell’intervento con le
Regioni stesse stabilito dalla censurata disposizione.
11. — Nella memoria depositata il 10 novembre 2009, la Regione Calabria,
oltre a richiamarsi agli argomenti esposti nel ricorso introduttivo, ha inteso
replicare alle difese spiegate dall’Avvocatura dello Stato.
In particolare, in riferimento all’art.
6-quater, la ricorrente ribadisce che la disposizione che interviene a ridestinare somme ancora legittimamente programmabili dalla
Regione stessa, in quanto fondi assegnati direttamente alla Regione e da
impegnare all’interno degli APQ in Calabria, violerebbe il divieto di
retroattività.
A sostegno di tale censura, la
ricorrente richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di
sindacato di ragionevolezza sulle disposizioni di legge con efficacia
retroattiva, affermando l’esistenza in capo alla Regione di una posizione
giuridica consolidata e della mancanza di una qualunque inadempienza regionale
che, sola, avrebbe potuto giustificare la revoca di disponibilità di risorse
già assegnate. Peraltro, la difesa regionale evidenzia il fatto che,
successivamente alla emanazione della norma impugnata, lo Stato ha sottoscritto
un accordo in sede di Conferenza Unificata (ratificato con delibera CIPE n. 1
del 2009), nel quale ha disciplinato la vicenda dei fondi FAS, ipotizzando la riassegnazione di somme alla Regione Calabria, e sembra
adombrare una cessazione della materia del contendere in caso di effettiva riassegnazione di tali somme, anche se non coincidenti con
quelle indicate nel ricorso introduttivo.
In ordine alle censure svolte avverso
l’art. 6-quinquies, oltre a ribadire la violazione del divieto di
retroattività, la Regione Calabria sottolinea nuovamente la violazione della
normativa comunitaria, richiamando i principi di complementarità e addizionalità che caratterizzano la disciplina relativa ai
fondi comunitari (artt. 9 e 15 del Regolamento CE n. 1083 del 2006). In
relazione al co-finanziamento da parte dello Stato, il QSN avrebbe, infatti,
espressamente quantificato il livello di spesa "interna”. La Commissione
europea ha approvato la relazione sulla verifica ex ante dell’addizionalità in riferimento
alle Regioni dell’obiettivo "Convergenza” per il periodo 2007-2013 (COM [2009]
112 def.), proprio tenendo conto dei valori indicati
nel QSN, ma alterati dalla norma impugnata: in tale relazione è indicato che
per ogni euro di finanziamento comunitario sono previsti 7, 6 euro di spesa
nazionale. La disposizione impugnata, secondo la difesa regionale, avrebbe
distratto i fondi dalle finalità indicate nel QSN, mediante l’istituzione di un
apposito fondo, in palese violazione dei suddetti principi comunitari.
Infine, la difesa regionale, ritenendo non
condivisibile il principio affermato nella recente decisione di questa Corte (n. 284 del 2009)
in riferimento ai Fondi comunitari (ove si è sostenuto che dai principi
comunitari non è ricavabile la conseguenza di una inscindibilità assoluta ed a
tutti gli effetti delle componenti aggregate del finanziamento), chiede a
questa Corte un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato,
formulando la questione che sarà esaminata in motivazione.
Considerato
in diritto
1. — La Regione Emilia-Romagna e la Regione Calabria, con i ricorsi
indicati in epigrafe (r.r. nn.
69 e 86 del 2008), sollevano questioni di legittimità costituzionale con
riferimento a numerosi articoli del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Riservata a separate pronunzie la decisione delle questioni riguardanti
altre disposizioni del medesimo testo normativo, vanno qui trattate le censure
mosse avverso gli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies.
Le due impugnazioni, essendo dirette contro le stesse norme e presentando
profili di connessione, rendono opportuna la trattazione congiunta di entrambi
i ricorsi ai fini della loro riunione e decisione con unica sentenza.
2. — La Regione Emilia-Romagna denunzia l’illegittimità costituzionale
dell’art. 6-quater, comma 2, primo periodo, del d.l. n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.
La norma de qua stabilisce, nel comma 1, che, al fine di rafforzare
la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale delle risorse
del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’art. 61 della legge 27
dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), e successive modificazioni,
su indicazione dei ministri competenti sono revocate le relative assegnazioni
operate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE)
per il periodo 2000-2006 in favore di amministrazioni centrali con le delibere
adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che,
entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate
nell’ambito di accordi di programma-quadro sottoscritti entro la medesima data,
con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria. In
ogni caso è fatta salva la ripartizione dell’85% delle risorse alle Regioni del
Mezzogiorno e del restante 15% alle Regioni del Centro-Nord.
Il comma 2 della norma prescrive che le disposizioni di cui al comma
precedente, per le analoghe risorse ad esse assegnate, costituiscono norme di
principio per le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Il CIPE,
su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce, di concerto con i
ministri interessati, i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse
disponibili, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le dette Province autonome.
Infine, il comma 3 aggiunge che le risorse oggetto della revoca, già
trasferite ai soggetti assegnatari, sono versate in entrata nel bilancio dello
Stato per essere riassegnate alla unità previsionale di base in cui è iscritto
il fondo per le aree sottoutilizzate.
La ricorrente afferma che il primo periodo del comma 2 della disposizione
censurata, dietro l’autoqualificazione come principio
fondamentale, cela in realtà una norma di dettaglio perché, se le Regioni sono
vincolate ad operare la revoca-restituzione, esse non hanno alcun margine di
scelta né sulla "voce” da tagliare, né sulle modalità con cui operare il
taglio. Si tratta, dunque, di una norma che richiede soltanto di essere
applicata dalle Regioni medesime, con conseguente illegittimità costituzionale
della disposizione censurata, in quanto esorbitante dai limiti di un principio
di coordinamento della finanza pubblica e lesiva dell’autonomia finanziaria
regionale (art. 119 Cost.), vincolando l’uso delle risorse in materie di
competenza regionale (quelle attinenti allo sviluppo economico: industria,
commercio, artigianato, agricoltura e così via, tutte spettanti alle Regioni ai
sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.). Al riguardo, è richiamata la
sentenza di questa Corte n. 159 del 2008.
La questione non è fondata.
La norma di cui si tratta, come le altre due del pari oggetto di censure,
si colloca nel contesto della manovra finanziaria posta in essere col d.l. n.
112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008. La
necessità di detta manovra è stata imposta dall’esigenza di far fronte alla
grave crisi economica e finanziaria, di dimensioni internazionali, che ha
investito il Paese, e che ha ispirato anche altri interventi normativi, tra i
quali – per quanto qui rileva – merita di essere segnalato quello attuato con
il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a
famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione
anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito con modificazioni dalla
legge 29 gennaio 2009, n. 2.
Infatti, l’art. 18 del provvedimento normativo ora citato, ponendosi in
linea di continuità con gli scopi perseguiti dagli articoli in questa sede
impugnati (che formano oggetto di richiamo espresso), stabilisce che, ferma la
ripartizione territoriale, il CIPE provvede a riprogrammare le risorse
nazionali disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), al fine di
conseguire obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell’economia. Tra
l’altro, il citato art. 18, comma 3, ribadisce che «Per le risorse derivanti
dal fondo per le aree sottoutilizzate resta fermo il vincolo di destinare alle
Regioni del Mezzogiorno l’85% delle risorse ed il restante 15% alle Regioni del
Centro-Nord».
Il detto Fondo statale è stato istituito con l’art. 61 della legge n. 289
del 2002 ed in esso confluiscono le risorse disponibili autorizzate dalle
disposizioni legislative, comunque evidenziate contabilmente in modo autonomo,
con finalità di riequilibrio economico e sociale (art. 61, comma 1). Il Fondo è
ripartito con apposite delibere del CIPE, nelle forme stabilite dall’art. 61,
comma 3, ed alle riunioni di tale organo partecipano in via ordinaria, con
diritto di voto, il Ministro per gli affari regionali, in qualità di Presidente
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e Bolzano, e il Presidente della Conferenza dei
presidenti delle Regioni e delle dette Province autonome, o un suo delegato, in
rappresentanza della Conferenza stessa (art. 61, comma 7).
In questo quadro, l’art. 6-quater rientra nella citata manovra,
dettata da esigenze di coordinamento della finanza pubblica, materia a
competenza ripartita tra Stato, Regioni e Province autonome, ancorché in essa
sia ravvisabile anche la materia della perequazione delle risorse finanziarie,
rientrante nella competenza esclusiva dello Stato. Contrariamente a quanto
sostiene la Regione Emilia-Romagna, la norma censurata non è una norma di
dettaglio, bensì una disposizione di principio, come è reso palese
dall’obiettivo perseguito (concentrare risorse su interventi di rilevanza
strategica nazionale), sicché essa può incidere su una o più materie di
competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure
parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze
legislative ed amministrative delle Regioni (ex multis: sentenze n. 237 del 2009,
n. 159 del 2008,
n. 417 del 2005).
Invero, come questa Corte ha già affermato, il vaglio di costituzionalità,
che deve verificare il rispetto del rapporto tra normativa di principio e
normativa di dettaglio, va inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere
criteri e obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (sentenze n. 237 del 2009
e n. 181 del
2006). Inoltre, la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può
escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata
al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità
e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del 2009
e n. 430 del
2007). Infine, si deve aggiungere che, nella dinamica dei rapporti tra
Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere
cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto
del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va
compiuto e della peculiarità della materia.
Nella fattispecie, la norma statale, ponendosi l’obiettivo di rafforzare
la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale, ha reperito
risorse dal Fondo per le aree sottoutilizzate, mediante revoca delle
assegnazioni disposte dal CIPE per il periodo 2000-2006 (con le delibere
adottate fino al 31 dicembre 2006), nel limite dell’ammontare delle risorse
che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate,
nei sensi di cui alla disposizione medesima.
La norma, dunque, riguarda somme del detto fondo statale, assegnate dal
CIPE nell’arco di tempo ora indicato, ma non impegnate o programmate entro la
data del 31 maggio 2008. La disposizione non prevede interventi specifici e
puntuali, ma si riferisce in via generale a somme assegnate e non impegnate o
programmate nel periodo suddetto, peraltro circoscritto nel tempo, disponendo
la nuova programmazione di esse per il conseguimento degli obiettivi di
rilevanza strategica nazionale enunciati, ai quali è strettamente collegata.
Questo intervento normativo non viola la sfera di competenze costituzionalmente
garantita alle Regioni, appunto perché riguarda risorse non ancora utilizzate
da tali enti (sentenza
n. 105 del 2007), nella disponibilità dei quali, peraltro, le risorse
medesime sono destinate a rientrare, sia pure con la suddetta nuova
programmazione per le finalità indicate e con adeguato coinvolgimento delle
Regioni medesime.
Infatti, si deve considerare che il CIPE, su proposta del Ministro per lo
sviluppo economico, definisce, di concerto con i Ministri interessati, i
criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse disponibili, previa
intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e
le Province autonome di Trento e Bolzano.
Pertanto, è assicurata la partecipazione attiva delle Regioni nella
ripartizione delle risorse, sia in sede di adozione delle delibere CIPE (art.
61, comma 7, della legge n. 289 del 2002 cit.), sia con lo strumento
dell’intesa, ripartizione da effettuare secondo la percentuale dell’85% per
quelle del Mezzogiorno e del 15% per quelle del Centro-Nord.
Il richiamo alla sentenza n. 159 del
2008 non è pertinente. Quella pronunzia, infatti, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale di una disposizione che imponeva alle Regioni e
alle Province autonome di adeguare «ai principi di cui ai commi da 725 a 735 la
disciplina dei compensi degli amministratori delle società da esse partecipate
e del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione di dette
società». Tuttavia, come emerge dal dettato della norma in quella sede
censurata, il legislatore statale con essa vincolava gli enti territoriali
all’adozione di misure analitiche e di dettaglio (quali sono, senza dubbio, i
compensi degli amministratori e il numero massimo dei componenti di un
consiglio di amministrazione), così comprimendone illegittimamente l’autonomia
finanziaria, il che è da escludere con riferimento alla disposizione qui in
esame, alla stregua delle considerazioni dianzi svolte.
Va ribadito, dunque, che l’art. 6-quater è norma di principio, a
prescindere dall’autoqualificazione (non decisiva),
con conseguente infondatezza della questione di legittimità costituzionale
sollevata riguardo ad essa dalla Regione Emilia-Romagna, con riferimento agli
artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.
2.1.— La detta Regione impugna, inoltre, l’art. 6-quinquies, commi
2 e 3, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n.
133 del 2008.
La norma censurata, nel comma 1, istituisce, a decorrere dall’anno 2009,
un Fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al
potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le
reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la
valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese. Il
fondo è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione
del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi
di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali,
con salvezza delle risorse nella norma stessa indicate.
Il comma 2 dispone che, con delibera del CIPE, su proposta del Ministero
dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita
la Conferenza unificata, fermo restando il vincolo di concentrare nelle Regioni
del Mezzogiorno almeno l’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del
Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Lo schema di delibera del
CIPE è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per
materia e per i profili di carattere finanziario. Nel rispetto delle procedure
previste dal Regolamento CE n. 1083 del 2006 del Consiglio in data 11 luglio
2006 e successive modificazioni, i Programmi operativi nazionali finanziati con
risorse comunitarie per l’attuazione del Quadro strategico nazionale, per il
periodo 2007-2013, possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui
allo stesso art. 6-quinquies.
Infine, in base al comma 3, costituisce principio fondamentale, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., la concentrazione, da parte delle Regioni,
su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico
nazionale per il periodo 2007-2013 in sede di predisposizione dei programmi
finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate e di ridefinizione dei
programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.
La ricorrente, censurando il comma 2, sostiene che il Fondo istituito dal
comma 1, riguardando gli interventi finalizzati al potenziamento della rete
infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di
telecomunicazione e quelle energetiche, incide su materie di competenza
concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di
trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia). Come questa Corte ha già affermato (è richiamata la sentenza n. 168 del
2008), l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in
materia di competenza regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a
destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati, precisando che «il
titolo di competenza statale che permette l’istituzione di un Fondo con vincolo
di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie
espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma può consistere
anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di "chiamata in
sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.».
Nel caso di specie, ad avviso della Regione, la previsione del fondo può
giustificarsi ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., ma in questo caso il
comma 2 risulta illegittimo (per violazione del principio di leale
collaborazione) nella parte in cui richiede, in relazione alla delibera del
CIPE, il semplice parere della Conferenza unificata invece dell’intesa.
La ricorrente ricorda che la necessità dell’intesa, per i casi di "chiamata
in sussidiarietà”, è stata sancita fin dalla sentenza n. 303 del
2003 di questa Corte ed è stata ribadita, proprio per la materia
dell’energia, dalla sentenza n. 383 del
2005.
Quanto al comma 3, la Regione Emilia-Romagna deduce che esso si autoqualifica come principio fondamentale, ma in realtà
esorbita dai limiti del potere statale di coordinamento della finanza pubblica
(art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo sulle concrete scelte d’investimento
effettuate dalle Regioni e limitando l’autonomia finanziaria di spesa ad esse
garantita dall’art. 119, primo comma, Cost. Al riguardo, la ricorrente osserva
che questa Corte, con sentenza n. 169 del
2007, ha annullato una norma che imponeva «una puntuale modalità di
utilizzo di risorse proprie delle Regioni, così da risolversi in una specifica
prescrizione di destinazione di dette risorse».
Neppure tali questioni sono fondate.
Si deve premettere che la nozione di infrastrutture non si presta ad
essere ricondotta in quella di "materie”, prevista dall’art. 117 Cost.
Per infrastrutture, invece, devono intendersi le opere finalizzate alla
realizzazione di complessi costruttivi destinati ad uso pubblico, nei campi più
diversi, che incidono senza dubbio su materie di competenza legislativa
concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di
trasporto e di navigazione, produzione trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia, coordinamento della finanza pubblica ai fini del reperimento e
dell’impiego delle risorse), ma coinvolgono anche materie di competenza
esclusiva dello Stato, come l’ambiente, la sicurezza e la perequazione delle
risorse finanziarie.
Le infrastrutture sono state considerate una priorità sia dallo Stato
italiano, sia dall’Unione europea. Quanto al primo profilo, si deve richiamare,
in particolare, la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia
di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per
il rilancio di attività produttive), cosiddetta legge-obiettivo, cui ha fatto
seguito, in attuazione della delega, il decreto legislativo 20 agosto 2002, n.
190 (Attuazione della L. 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale). Quanto al secondo, il Regolamento CE n. 1083 del 2006, recante
disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo
sociale europeo e sul Fondo di coesione, stabilisce, tra l’altro, le norme
generali che disciplinano i Fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo
regionale [FESR] e Fondo sociale Europeo [FSE]), definisce gli obiettivi cui
essi devono contribuire ("Convergenza”, volto ad accelerare la convergenza
degli Stati membri e regioni in ritardo di sviluppo, "Competitività regionale e
occupazione”, "Cooperazione territoriale europea”), disciplina i programmi
operativi nel cui ambito prevede i grandi progetti (artt. 39–41), che includono
anche le infrastrutture. Queste ultime sono definite dalla comunicazione della
Commissione delle Comunità europee in data 16 dicembre 2008 – diretta al
Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato
delle Regioni – come uno dei «quattro settori prioritari della strategia di
Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione (persone, imprese,
infrastrutture ed energia, nonché ricerca ed innovazione)».
In questo quadro, le norme in questione non violano le competenze
costituzionali delle Regioni.
Invero, come risulta dal dettato della disposizione, il Fondo istituito
con l’art. 6-quinquies, comma 1, che non forma oggetto di censure da parte
della ricorrente, è destinato a finanziare interventi finalizzati al
potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, di cui è
riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione
del Paese (obiettivi, questi, tutelati anche a livello comunitario). Esso,
inoltre, è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione
del Quadro strategico nazionale (QSN) relativamente al periodo 2007-2013: si
tratta di un documento previsto dagli artt. 27 e seguenti del Regolamento CE n.
1083 del 2006 ed elaborato dallo Stato previa consultazione con i soggetti
indicati nell’art. 11 del citato Regolamento, tra cui le istituzioni regionali.
Orbene, salvo quanto si osserverà più avanti in ordine alla suddetta
disposizione, si deve rilevare, con riferimento al comma 2, qui censurato, che
esso prevede le modalità per la ripartizione del suddetto Fondo, sentita la
Conferenza unificata. Ad avviso della ricorrente, la previsione del Fondo può
giustificarsi, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., ma in tale ipotesi
il comma 2 risulta illegittimo (per violazione del principio di leale
collaborazione), in quanto si limita a chiedere il semplice parere della
Conferenza unificata, in luogo dell’intesa. Si deve però replicare che, nel
caso in esame, l’esigenza di esercizio unitario, idonea a giustificare
l’affidamento al CIPE della ripartizione del Fondo di cui al comma 1, discende
dalla normativa comunitaria che, con l’obiettivo di ridurre le disparità
economiche, sociali e territoriali emerse in particolare nei Paesi e nelle
Regioni in ritardo di sviluppo, e quindi di accelerare la convergenza degli
Stati membri e di dette Regioni migliorando le condizioni per la crescita e l’occupazione
(Regolamento CE n. 1083 del 2006, primo considerando, nonché art. 3, commi 1 e
2, lett. a), impone l’intervento
statale per una valutazione del contesto generale delle diverse realtà.
Proprio in tale contesto l’art. 6-quinquies, comma 2, conferma il
vincolo di concentrare nelle Regioni del Mezzogiorno almeno l’85% degli
stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il
periodo 2007-2013.
Quando poi si perviene, con l’art. 6-quinquies, comma 3, al diretto
coinvolgimento delle Regioni, alle quali la norma richiede la concentrazione su
infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro
strategico nazionale per il periodo 2007-2013, con le modalità nella norma
stessa precisate, è previsto un momento di partecipazione "forte” delle Regioni
medesime. Infatti, ai sensi dell’art. 6-sexies, comma 5, del d.l. n. 112
del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008, lo
strumento di attuazione di quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 6-quinquies
è costituito dalle intese istituzionali di programma, di cui all’art. 2, comma
203, lettera b), della legge 23
dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e
successive modificazioni. Tali intese consistono in accordi «tra
l’amministrazione centrale, regionale o delle province autonome, con cui tali
soggetti si impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione
programmatica delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti interessati e
delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano
pluriennale d’interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati. La
gestione finanziaria degli interventi per i quali sia necessario il concorso di
più amministrazioni dello Stato, nonché di queste ed altri amministrazioni,
enti ed organismi pubblici, anche operanti in regime privatistico, può attuarsi
secondo le procedure e le modalità previste dall’art. 8 del decreto del
Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367».
Si tratta, dunque, di un incisivo strumento di partecipazione che,
correlato al parere della Conferenza unificata, attribuisce spazio e ruolo
adeguati all’intervento regionale, sicché si deve escludere la violazione dei
parametri costituzionali invocati dalla ricorrente.
Quest’ultima, con riferimento all’art. 6-quinquies, comma 3,
sostiene anche che la norma «si autoqualifica come
principio fondamentale ma, in realtà, esorbita dai limiti del potere statale di
coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo
sulle concrete scelte d’investimento effettuate dalle Regioni», in quanto pone
un vincolo di destinazione all’uso delle risorse a queste spettanti, limitando
l’autonomia finanziaria di spesa garantita alle Regioni medesime dall’art. 119,
primo comma, Cost. (è richiamata la sentenza n. 169 del
2007).
Questa tesi non può essere condivisa.
A parte l’autoqualificazione che, come già
notato, non è decisiva, la disposizione de qua è norma di principio in
materia di coordinamento della finanza pubblica. Essa, infatti, disponendo la
concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse
strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il
periodo 2007-2013, nella norma medesima indicate, da un lato si conforma alle
priorità ed agli obiettivi stabiliti dalla normativa comunitaria già citata,
dall’altro non impone un vincolo specifico o puntuali modalità di utilizzo, ma
lascia alle Regioni adeguati spazi di manovra, avuto riguardo all’ampia nozione
di infrastrutture sopra ricordata.
Conclusivamente, le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe, con riferimento agli artt.
117, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo comma e 119 Cost., devono essere
dichiarate non fondate.
3. — La Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe, solleva
questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 6-quater,
6-quinquies e 6-sexies del d.l. n. 112 del 2008, convertito con
modificazioni nella legge n. 133 del 2008.
I parametri invocati sono, per la prima norma, gli artt. 3, 97, 117, 118 e
119 Cost., nonché i principi di leale collaborazione, dell’affidamento e della
certezza del diritto, del generale canone di ragionevolezza delle leggi; per la
seconda, gli artt. 3, 11, 97, 117, 118 e 119 Cost., gli stessi principi ora
ricordati, l’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la
Comunità europea), gli artt. 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE del
Consiglio 11 luglio 2006, n. 1083; per la terza, l’art. 119 Cost.
4. — In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater e 6-quinquies
del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del
2008, sollevate dalla ricorrente con riferimento all’art. 97 Cost.
Infatti, come questa Corte ha più volte affermato, le Regioni possono far
valere nei giudizi in via principale il contrasto con norme costituzionali
diverse da quelle contenute negli artt. 117, 118 e 119 Cost. soltanto se esso
si risolva in una esclusione o limitazione delle competenze legislative
regionali (ex plurimis: sentenze n. 233 del
2009; n. 45
del 2008 e n.
383 del 2005).
Nel caso in esame, l’asserita violazione del citato parametro
costituzionale è dedotta sull’assunto che «la disciplina censurata sconvolge la
già stabilita programmazione delle attività amministrative delle Regioni,
vulnerando il principio del buon andamento dell’Amministrazione e incidendo
direttamente sulle attribuzioni della ricorrente in ordine all’amministrazione
regionale e al finanziamento delle attività ad essa spettanti», anche in
ragione della rigidità della normativa.
Si tratta di un assunto meramente assertivo, insuscettibile di verifica e
privo del carattere specifico che la censura deve avere, ancor più nei giudizi
promossi in via principale (ex plurimis: sentenze nn.
200 del 2009;
428, 326 del 2008 e 387 del 2007).
Di qui la declaratoria d’inammissibilità.
5.— La ricorrente, nel censurare il citato art. 6-quater, deduce
che le somme di cui alla detta norma afferiscono non soltanto a fondi revocati
ai Ministeri e destinati ad interventi da realizzare in Calabria, ma anche ai
fondi assegnati direttamente alla Regione e da impegnare all’interno di accordi
di programma quadro (APQ) in Calabria in base a delibere CIPE (richiamate nel
ricorso), come comunicato alla medesima Regione dal Ministero per lo sviluppo
economico con nota del 31 gennaio 2008.
Inoltre, in ordine alla distinzione tra "somme impegnate” e "somme
programmate”, rileva come la programmazione sia già insita nella stipula di
APQ, mentre l’impegno deriva dall’assunzione degli Impegni Giuridicamente
Vincolanti (IGV), che – come da delibera CIPE n. 14 del 2006 – possono essere
formalizzati entro tre anni dalla programmazione. Infatti, con APQ stipulati in
data 10 aprile 2008, risultano disponibili per la Regione Calabria euro
5.000.000 per sicurezza e legalità, ancora non impegnati per le ragioni
giuridiche prima espresse in ordine ai termini per l’assunzione degli IGV.
Pertanto, non vi sarebbe dubbio che, alla data di adozione della norma,
non vi fosse alcuna inadempienza da parte della Regione.
Ad avviso della ricorrente, va poi considerata la circostanza che,
nell’arco temporale intercorso tra l’adozione del d. l. n. 112 del 2008 (che
non conteneva alcuna norma in materia) e l’entrata in vigore della legge di
conversione (che ha introdotto la normativa censurata), la Giunta regionale ha
deliberato quattordici APQ, proponendone la stipula al Ministero per lo
sviluppo economico e alle altre Amministrazioni centrali competenti. Di questi,
soltanto quattro APQ o atti integrativi sono stati stipulati fino al 1°agosto
2008 e risultano formalmente inviati alla competente Direzione generale del
Ministero, ma per cinque di questi non sono ancora pervenute le risultanze
istruttorie propedeutiche alla stipula.
La ricorrente prosegue affermando che tutti gli atti in questione sono
stati "congelati”, a seguito dell’entrata in vigore della norma impugnata.
In questo quadro, i primi due commi di detta norma sarebbero evidentemente
illegittimi.
In primo luogo, la retroattività del comma 1 (norma di principio per la
Regione, in forza del comma 2) sarebbe priva di qualsiasi ragionevolezza,
mentre il legislatore può approvare norme innovative con efficacia retroattiva,
purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente
protetti (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 274 del 2006).
Nel caso di specie la retroattività sarebbe priva di qualsiasi
ragionevolezza, perché andrebbe ad incidere su rapporti contrattuali già
consolidati in data anteriore all’entrata in vigore della norma, senza alcun
motivo (come un eventuale inadempimento regionale) che ne giustifichi
l’adozione. Al riguardo, e soltanto per fare un esempio, secondo la ricorrente
andrebbe posto in evidenza che – nel periodo 31 maggio-30 giugno 2008 – la
Regione Calabria, all’interno degli accordi già stipulati sulle risorse della
delibera CIPE n. 35 del 2005, sarebbe passata, quanto ad IGV legittimamente
assumibili alla luce della disciplina vigente, da euro 38.369.000 ad euro
54.628.000. Su tali impegni la norma censurata andrebbe irragionevolmente ad
incidere.
Sarebbe poi violato anche il connesso principio della tutela
dell’affidamento nella sicurezza giuridica (valevole anche per i soggetti
istituzionali), costituente per giurisprudenza di questa Corte elemento
fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, che non può essere leso
da norme con effetti retroattivi, volte ad incidere irragionevolmente su
situazioni regolate da leggi precedenti.
La normativa censurata, inoltre, violerebbe gli artt. 117, 118 e 119
Cost., nonché il principio di leale collaborazione, perché, intervenendo con le
suddette illegittime modalità su accordi già conclusi ed impegni già assunti,
svierebbe fondi ancora legittimamente programmabili ed impegnabili, comportando
variazioni nel bilancio regionale che vulnerano l’autonomia amministrativa e
l’autonomia finanziaria della ricorrente, nonché la sua capacità di spesa,
garantite dall’art. 119 Cost., andando ad incidere con norma di estremo
dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi su interventi di rilevanza
strategica nazionale) in materie di legislazione concorrente.
Invero, «rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza
strategica nazionale» significherebbe non soltanto sconvolgere l’intera
programmazione già effettuata, senza alcuna garanzia che ogni Regione, e in
particolare la Calabria, abbia ancora le risorse già ad essa assegnate, ma
anche impedire qualunque azione della medesima Regione mediante un vincolo
specifico in materia di competenza concorrente.
Infine, nel caso in esame, non vi sarebbe stata alcuna inadempienza, da
parte della ricorrente, che vedrebbe il proprio bilancio privato di somme già
rese disponibili. Inoltre, anche in violazione del principio di leale
collaborazione, non sarebbero stati previsti procedimenti per l’eventuale messa
in mora delle Regioni e neppure un modulo "partecipativo” per determinare gli
eventuali riutilizzi.
5.1 — La questione, anche per i profili riferibili all’art. 3 Cost.
(asserita irragionevolezza per il carattere retroattivo stabilito nel comma 1
della norma censurata e connessa violazione del principio di tutela
dell’affidamento nella sicurezza giuridica), è ammissibile perché, nella
prospettazione della ricorrente, tali violazioni si riflettono in lesioni della
propria autonomia amministrativa e finanziaria, nonché della propria capacità
di spesa.
5.2. — Essa, tuttavia, non è fondata.
Richiamate le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 2, si deve
osservare che l’irragionevolezza denunziata dalla Regione Calabria non
sussiste.
Invero la norma, nel contesto delle esigenze e delle finalità già
illustrate nel detto paragrafo, dispone la revoca delle assegnazioni operate
dal CIPE per il periodo 2000-2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che,
entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate
nell’ambito di APQ sottoscritti entro la medesima data. Si tratta, dunque, di
risorse non ancora utilizzate che, peraltro, non sono sottratte in via
permanente al circuito regionale, ma sono destinate ad essere nuovamente
programmate in base alle modalità ed ai criteri dalla norma medesima
contemplati.
Il presunto carattere irragionevole della disposizione non può desumersi
dalla sua retroattività, neppure sotto il profilo della violazione del
principio di affidamento, come invece sostiene la ricorrente. In particolare,
non è esatto che essa vada ad incidere senza alcun motivo su rapporti
consolidati in data anteriore all’entrata in vigore della norma. Dal momento
che oggetto dell’intervento sono risorse non impegnate o programmate nel
termine suddetto, non è sostenibile che esse abbiano dato vita a rapporti già
consolidati, mentre proprio la mancanza di impegno o programmazione, in
presenza di risorse assegnate ma non utilizzate in un arco di tempo
circoscritto ma non breve, giustifica che l’intervento sia stato compiuto
proprio su quelle risorse.
Né si può giungere a diverse conclusioni sul rilievo che le somme oggetto
di revoca costituissero fondi ancora legittimamente programmabili e,
soprattutto, impegnabili. Questi concetti esprimono semplici intenzioni de
futuro, laddove il legislatore statale, nel contesto di una generale
manovra di coordinamento della finanza pubblica destinata a concentrare su
interventi di rilevanza strategica nazionale risorse provenienti da un fondo
dello Stato (FAS), rimaste non utilizzate, ha preso atto di tale mancato
utilizzo per reperire mezzi comunque destinati ad essere nuovamente impiegati
in ambito regionale.
Quanto, poi, all’analitica indicazione, contenuta in ricorso, circa
provvedimenti adottati dalla Giunta regionale (a quanto si desume dal ricorso
medesimo, dopo il 31 maggio 2008), nonché alla distinzione tra "somme
impegnate” e "somme programmate”, si deve osservare che tali profili esulano
dalla cognizione di questa Corte, in quanto riguardano problemi interpretativi
che potranno eventualmente porsi in sede applicativa.
In ordine all’assunto secondo cui la norma censurata introdurrebbe una
disciplina di dettaglio, si deve rinviare alle considerazioni svolte sul punto
nel paragrafo 2 di questa sentenza.
Infine, non è esatto che sarebbe stato violato il principio di leale
collaborazione, perché: a) non
sarebbe stato previsto alcun procedimento per l’eventuale messa in mora delle
Regioni; b) non sarebbe stato
contemplato un modulo "partecipativo” per gli eventuali riutilizzi. Infatti, a
parte il rilievo che – per costante giurisprudenza – tale principio non si
applica all’attività legislativa, si deve ricordare, quanto al punto sub a), che, come questa Corte ha già
osservato, «né la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle
Regioni, né il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma
che prende atto dell’inattività di alcune Regioni nell’utilizzare risorse poste
a loro disposizione nel bilancio dello Stato» (sentenza n. 105 del
2007), sicché la messa in mora non era dovuta; e, quanto al punto sub b), che l’art. 6-quater,
comma 2, nell’affidare al CIPE, con le forme nella norma stessa previste, la
definizione dei criteri e delle modalità
per la ripartizione delle risorse disponibili, stabilisce che ciò debba
avvenire «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano». Lo strumento
partecipativo, dunque, è previsto.
6. — La Regione Calabria, poi, denunzia l’illegittimità costituzionale
dell’art. 6-quinquies del d.l. n. 112 del 2008, convertito con
modificazioni nella legge n. 133 del 2008.
Richiamato il contenuto del comma 1 di detta norma, sostiene che esso si
espone alle stesse censure mosse all’art. 6-quater, nella parte in cui incide
su vincoli e rapporti sorti in data precedente all’entrata in vigore della
normativa denunziata, senza alcuna ragionevolezza ed in violazione dei principi
di affidamento e di certezza del diritto. Ad avviso della Regione, la
retroattività del primo comma è del tutto irragionevole: andare ad incidere su
fondi ancora legittimamente programmabili, senza alcun motivo (quale, ad
esempio, un eventuale inadempimento regionale) che ne giustifichi l’adozione,
«è di palmare irragionevolezza, gravemente lesiva del principio di certezza del
diritto e del principio di affidamento».
Il comma in esame, poi, viola gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost.,
nonché il principio di leale collaborazione, anche in tal caso per ragioni
analoghe a quelle indicate trattando dell’art. 6-quater. Esso, infatti,
«incide retroattivamente, ed in modo del tutto irragionevole, su stanziamenti
già effettuati prima della sua entrata in vigore, e svia fondi ancora
legittimamente programmabili, comportando variazioni nel bilancio regionale,
che vulnerano l’autonomia amministrativa e l’autonomia finanziaria della
Regione, garantite dagli artt. 118 e 119 Cost., nonché incide con norma di
estremo dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi sul potenziamento della
rete infrastrutturale di livello nazionale) in materie di legislazione
concorrente».
Ad avviso della ricorrente, inoltre, il comma 3 dell’art. 6-quinquies
impone – sotto forma di principio fondamentale – la concentrazione, da parte
delle Regioni, delle risorse del Quadro strategico nazionale (QSN) su
infrastrutture di interesse strategico regionale in sede di predisposizione dei
programmi finanziati dal FAS e di ridefinizione dei programmi finanziati dai
Fondi strutturali comunitari.
Tale disposizione viene ad incidere sia su materie di competenza
concorrente, sia su materie riservate alla Regione (in particolare, turismo e
rete regionale di trasporto). Essa pone un vincolo di destinazione sull’intero
ammontare delle risorse residue, ivi compresi i Fondi comunitari (a differenza
del comma 1 della medesima norma), che non lascia alle Regioni alcun margine di
autonomia sia per determinare le proprie scelte sia per negoziare eventuali
intese con la Stato e con la Comunità europea, con conseguente violazione degli
artt. 117, terzo e quinto comma, e 118 Cost. Infatti, in forza del QSN, «i
Programmi attuativi FAS Regionali sono nella titolarità delle Amministrazioni
regionali, responsabili della loro definizione e attuazione e destinatarie
delle risorse FAS assegnate con la delibera CIPE di riferimento». Ciò comporta,
ad avviso della Regione, l’illegittimità della norma impugnata.
Sempre ad avviso della ricorrente, poi, l’art. 6-quinquies, con i
commi 2 e 3, pone un limite diretto all’autonomia di spesa della Regione, con
conseguente lesione dell’art. 119 Cost. Infatti, vengono definanziati
programmi di interesse strategico nazionale (all’interno dei quali la quota di
spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%) ed inoltre viene definanziato il progetto speciale relativo alla salute
nelle Regioni del Mezzogiorno; ancora, viene definanziata
la riserva di programmazione, stravolgendo le regole fissate per lo svincolo di
tali risorse fissate dal punto 7.3 della delibera CIPE 166 del 2007.
La ricorrente sostiene che «l’attentato all’autonomia finanziaria
regionale è addirittura devastante, risolvendosi nella privazione di risorse e
nel totale sconvolgimento della programmazione regionale, già in essere,
dell’impiego delle risorse». E’ violato, altresì, il principio di leale
collaborazione perché con l’art. 1, comma 864, della legge 27 dicembre 2006, n.
296 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007), previa intesa con la Conferenza unificata, si era stabilito
che il QSN avrebbe costituito «la sede della programmazione unitaria delle
risorse aggiuntive, nazionali e comunitarie» ed avrebbe rappresentato per le
priorità individuate «il quadro di riferimento della programmazione delle
risorse ordinarie in conto capitale, fatte salve le competenze regionali in
materia». Invece con la norma impugnata viene smentita l’intesa raggiunta in
sede di Conferenza unificata, nella quale è stato riconosciuto il ruolo
regionale nella programmazione, senza nemmeno prevedere il raggiungimento di
una nuova intesa ma limitando il meccanismo "partecipativo” alla mera necessità
di "sentire” la Conferenza stessa.
La previsione della generica concentrazione nel Mezzogiorno almeno
dell’85% degli stanziamenti, secondo la Regione Calabria, viola l’art. 119,
primo e quinto comma, Cost., perché tale previsione, non richiamando anche la
necessaria applicazione della chiave di riparto valida per il ciclo 2007-2013 e
della metodologia utilizzata nell’istruttoria tecnica curata dal Dipartimento
per le politiche di sviluppo e coesione, non garantisce a ciascuna Regione il
volume di stanziamenti già indicato in precedenza, con conseguente lesione
dell’autonomia finanziaria della Regione stessa, e, soprattutto, non garantisce
il mantenimento dell’equilibrio raggiunto in sede di QSN quanto alla finalità
di riequilibrio prevista dall’art. 119, quinto comma, Cost.
Al riguardo va considerato che nel Mezzogiorno d’Italia coesistono Regioni
(come la Calabria) inserite integralmente nell’obiettivo "Convergenza” ed
ammesse agli aiuti di Stato di carattere regionale, e Regioni (come Molise ed
Abruzzo) selezionate per l’estinzione degli aiuti, all’interno delle quali solo
alcuni Comuni hanno ottenuto di essere ammessi a tali aiuti per un periodo
limitato, o come la Basilicata, ammessa fino al 2001 e soggetta a revisione.
Inoltre, il mero riferimento alla concentrazione degli stanziamenti nel
Mezzogiorno non garantisce il rispetto dell’altro fondamentale impegno assunto
in sede di QSN, cioè la concentrazione nel Mezzogiorno (e, quindi, anche nella
Regione Calabria) di una quota pari al 45% del totale della spesa in conto
capitale, proprio al fine di «conseguire una significativa accelerazione
nell’accumulazione del capitale pubblico e, di conseguenza, nei tassi di
crescita», con ulteriore violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost.
La ricorrente prosegue affermando che la sostanziale ridefinizione del QSN
e il vincolo nella predisposizione e ridefinizione dei vari programmi, in base
ai tre commi della disposizione impugnata, violano anche l’art. 117, quinto
comma, Cost.: malgrado il riconoscimento, in sede di predisposizione del QSN,
del ruolo "programmatico” regionale, la norma de qua impedisce sia la
partecipazione alla formazione che l’attuazione dei provvedimenti comunitari,
spettanti alle Regioni proprio in forza del citato quinto comma.
Anche in relazione alla lesione della capacità di spesa di cui all’art.
119 Cost. e delle competenze regionali di cui all’art. 117, quinto comma,
Cost., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma,
Cost. e degli artt. 249 del Trattato e 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE n.
1083 del 2006.
Infatti, l’articolo censurato (in particolare, il comma 2) prevede che,
nel rispetto del detto Regolamento, i Programmi operativi nazionali, finanziati
con risorse comunitarie per l’attuazione del QSN per il periodo 2007-2013,
possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui al medesimo
articolo.
Il QSN 2007-2013 è stato approvato con decisione della Commissione europea
n. 3339 del 13 luglio 2007 e, del pari, sono stati approvati i relativi
Programmi operativi regionali (POR). Ai sensi dell’art. 249, paragrafo 4, del Trattato,
«La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa
designati». Secondo la Regione Calabria, la norma censurata viola detta
previsione, cozzando anche con la Carta italiana degli aiuti di Stato a
finalità regionale per il periodo 2007-2013.
L’art. 32 del citato Regolamento prevede che la Commissione adotti il
Piano operativo, mentre l’art. 33 prevede i casi in cui detti Piani possono
essere riesaminati, ma nel caso di specie sarebbe evidente l’insussistenza
delle relative ipotesi.
Infine, la norma censurata altera il principio di aggiuntività
delle risorse comunitarie, di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Regolamento 1083
del 2006, in base al quale è stato concepito ed approvato in sede comunitaria
il QSN. Tale violazione consente alla Commissione di procedere ad una rettifica
finanziaria sopprimendo la totalità o una parte del contributo dei Fondi
strutturali, con conseguente danno diretto per la ricorrente.
7. — Le suddette questioni non sono fondate.
7.1.— Come sopra si è notato (paragrafo 2.1.), la norma censurata
istituisce, a decorrere dall’anno 2009 (quindi per il tempo successivo alla
data della sua entrata in vigore), un fondo per il finanziamento, in via
prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete
infrastrutturale di livello nazionale, alimentato con gli stanziamenti
nazionali assegnati per l’attuazione del QSN per il periodo 2007-2013, in
favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e
di riserve premiali, con salvezza delle risorse già vincolate alla data del 31
maggio 2008 nei sensi previsti dalla
norma medesima.
Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, si deve ribadire che non
si tratta di «norma di estremo dettaglio», bensì di norma di principio (in base
alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo 2.1), in quanto persegue un
obiettivo di ampio respiro (concentrazione di risorse sul potenziamento della
rete infrastrutturale di livello nazionale) ed individua una priorità, peraltro
in coerenza con gli indirizzi comunitari.
La norma rientra, dunque, nella finalità generale del coordinamento
finanziario e non pone alcun vincolo specifico alle Regioni, ancorché i
principi di coordinamento della finanza pubblica comprendano anche «norme
puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del
coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di
intervento dei livelli territoriali sub-statali» (sentenze nn.
284 e 237
del 2009). Anzi, lascia alle Regioni adeguati spazi di manovra,
segnatamente nell’individuazione delle infrastrutture di interesse strategico
regionale sulle quali concentrare le risorse, e prevede strumenti altrettanto
adeguati di partecipazione, sia mediante il parere della Conferenza unificata
in sede di ripartizione del fondo di cui al comma 1, sia nel momento attuativo
di quanto previsto dal comma 3, che si realizza mediante le intese
istituzionali di programma, ai sensi dell’art. 6-sexies, comma 5, del
d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008
(anche su questo punto si rinvia a quanto esposto nel paragrafo 2.1 di questa
sentenza).
Al riguardo, è il caso di rimarcare che il citato art. 6-sexies,
nel comma 1, allo scopo di promuovere il coordinamento della programmazione
statale e regionale, ed in particolare per garantire l’unitarietà dell’impianto
programmatico del QSN per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 e
favorire il tempestivo e coordinato utilizzo delle relative risorse, affida
alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito di effettuare la
ricognizione delle risorse indicate nella disposizione stessa; all’esito di
detta ricognizione la Presidenza, su proposta dei ministri competenti, di
concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo
economico, e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome, adotta la riprogrammazione che
definisce le modalità d’impiego delle risorse, nonché i criteri per la
selezione e le modalità di attuazione degli interventi (comma 2); sulla base di
tale intesa, approvata dal CIPE (comma 3), la Presidenza del Consiglio dei
Ministri promuove con le singole Regioni interessate la stipula delle intese
istituzionali di programma (comma 4).
Da questa complessa normativa si evincono sia la dimensione della manovra
di coordinamento della finanza pubblica in ambito statale e regionale, sia la
previsione di congrui momenti di coinvolgimento delle Regioni nella fase
attuativa della manovra.
Pertanto: a) nessun profilo di
irragionevolezza è ravvisabile nella normativa de qua; b) gli invocati parametri costituzionali
non sono violati, per le ragioni fin qui esposte; c) non è esatto che la disposizione dettata dal comma 3 dell’art.
6-sexies neghi alle Regioni qualche
margine di autonomia, che invece può ben essere esercitata sia nella vasta
gamma degli interventi infrastrutturali da compiere, sia nella possibilità di
negoziare con lo Stato attraverso gli strumenti operativi all’uopo previsti,
sia nell’individuazione delle possibilità di spesa.
In questo quadro, anche la censura relativa al fatto che la prevista
concentrazione nel Mezzogiorno almeno dell’85% degli stanziamenti violerebbe
l’art. 119, primo e quinto comma, Cost., perché non garantirebbe a ciascuna
Regione il volume di stanziamenti già indicato in precedenza e il mantenimento
dell’equilibrio raggiunto in sede di QSN, non è fondato.
Infatti, a parte il carattere ipotetico della doglianza, si deve rilevare
che proprio la previsione di adeguati momenti partecipativi consente alle
Regioni, e quindi anche alla ricorrente, di rendersi portatrici delle
rispettive esigenze di bilancio, evidentemente in un contesto di compatibilità
generali.
7.2.— La Regione Calabria, con riferimento alla (presunta) lesione della
capacità di spesa, di cui all’art. 119 Cost., e delle competenze regionali, di
cui all’art. 117, quinto comma, Cost., deduce la violazione degli artt. 11 e
117, primo comma, Cost., e degli artt. 249 del Trattato e 9, 13, 15, 32 e 33
del Regolamento CE del Consiglio n. 1083 del 2006, (richiamati come parametri
interposti).
La ricorrente rileva che l’art. 6-quinquies (in particolare, il comma 2), prevedendo che, nel rispetto del detto
Regolamento, i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse
comunitarie, per l’attuazione del QSN, possono essere ridefiniti in coerenza
con i principi di cui al medesimo articolo, si porrebbe in contrasto con l’art.
249, paragrafo 4, del Trattato, perché il QSN per il periodo 2007-2013 ed i
relativi Programmi operativi regionali (POR) sono stati approvati dagli organi
comunitari. Ad avviso della Regione l’art. 33 del Regolamento prevede i casi in
cui i Programmi operativi possono essere riesaminati, ma nella specie nessuno
di tali casi sarebbe ravvisabile.
Questa tesi non può essere condivisa.
Il citato art. 33, sotto la rubrica «Revisione dei programmi operativi»,
dispone che, su iniziativa dello Stato membro o della Commissione, di concerto
con lo Stato membro interessato, i programmi operativi possono essere
riesaminati e, se necessario, la parte rimanente del programma può essere
riveduta, tra l’altro, a seguito di cambiamenti socioeconomici significativi.
La crisi economica e finanziaria internazionale, che ha ispirato la normativa
qui censurata, ha introdotto appunto rilevanti cambiamenti socioeconomici
(basta considerare i riflessi in tema di occupazione), sicché la possibilità di
ridefinire i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie
per l’attuazione del QSN, peraltro nel rispetto delle procedure previste dal
menzionato Regolamento (come l’art. 6-quinquies precisa nel comma 2),
non si pone affatto in contrasto con la normativa comunitaria, ma rientra anzi
nell’ambito applicativo di questa.
La ricorrente, inoltre, sostiene che la norma censurata «altera il
principio di aggiuntività delle risorse comunitarie
di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Reg. 1083 del 2006, in base al quale è stato
concepito ed approvato in sede comunitaria il QSN». Con la memoria depositata
in prossimità dell’udienza di discussione pone ancora l’accento sui principi di
complementarità e di addizionalità (rispettivamente,
artt. 9 e 15 del Regolamento citato), che sarebbero violati per effetto della
distrazione di risorse dalle finalità indicate nel QSN, mentre essi non
potrebbero incontrare deroghe in alcun campo.
La Regione, poi, richiama la sentenza di questa Corte n. 284 del
2009, nella parte in cui afferma che «Dai suddetti principi non è
ricavabile la conseguenza di una inscindibilità assoluta ed a tutti gli effetti
delle componenti aggregate del finanziamento» e, mostrando di non condividere
tale affermazione, chiede che, ove non si ritenga di rimeditare il relativo
punto di diritto, si rimetta alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai
sensi dell’art. 234 del Trattato, la seguente questione pregiudiziale: « Se la
normativa comunitaria, in particolare gli artt. 9 e 15 del Reg. CE 1083/06,
mirando a far sì che le erogazioni dei Fondi strutturali non si sostituiscano
alla spesa pubblica degli Stati membri, in modo da garantire che esse
esercitino un reale impatto economico, osti ad una normativa statale, come
l’art. 6-quinquies del D. L. 112/08, che imponga il sostanziale
frazionamento, per finalità interne allo Stato membro, dell’insieme
inscindibile – imposto dal principio di addizionalità,
sul quale si fonda la politica di coesione dettata dagli artt. 158-160 del
Trattato – tra fondi nazionali e fondi comunitari, mediante l’istituzione del
fondo disciplinato dalla stessa norma statale».
Neppure sotto tale profilo la questione è fondata.
L’art. 9, paragrafo 1, del Regolamento CE n. 1083 del 2006 dispone che i
Fondi (comunitari) intervengono a complemento delle azioni nazionali, comprese
le azioni a livello regionale e locale, integrandovi le priorità comunitarie. A
sua volta, l’art. 15, sotto la rubrica "Addizionalità”,
stabilisce che i contributi dei Fondi strutturali non sostituiscono le spese
strutturali, pubbliche o assimilabili, di uno Stato membro. Detto principio è
posto al fine di garantire che le erogazioni dei Fondi strutturali comunitari
possano esercitare un reale impatto economico.
In questo quadro la ricorrente afferma che tra fondi nazionali e fondi
comunitari verrebbe a crearsi un "insieme inscindibile”, le cui componenti non
potrebbero essere frazionate. In sostanza, ad ogni spesa interna (statale,
regionale o locale) andrebbe aggregata la componente del relativo finanziamento
comunitario. Tuttavia, tale inscindibilità non risulta radicata in alcuna
disposizione, né può dirsi imposta dai principii di
complementarità o di addizionalità. Anzi, il rispetto
dell’addizionalità è verificato a livello nazionale e
va considerata la relazione globale tra
gli investimenti nazionali e quelli comunitari (comunicazione della Commissione
delle Comunità europee in data 6 marzo 2009, recante la relazione sulla
verifica ex ante dell’addizionalità nelle
Regioni dell’obiettivo "Convergenza” per il periodo 2007-2013), il cui rapporto
per il detto obiettivo è suscettibile di essere modificato in occasione della
verifica intermedia prevista dall’art. 15, paragrafo 4, del Regolamento citato.
E’ poi prevista una terza verifica dell’addizionalità,
a conclusione del periodo, definita ex post nella norma ora citata.
Anche la cadenza delle verifiche, articolata in tre fasi, e la possibilità
«di modificare il livello richiesto di spese strutturali se la situazione
economica nello Stato membro interessato è cambiata in misura significativa
rispetto a quella esistente al momento della determinazione del livello di
spese strutturali pubbliche o assimilabili di cui al paragrafo 2» (norma
citata, paragrafo 4), conducono alla conclusione che il vincolo postulato dalla
ricorrente, nei sensi sopra indicati, non sussiste.
Sulla base di tali considerazioni la Corte ritiene di dover confermare il
principio affermato con la sentenza n. 284 del
2009, né ravvisa gli estremi per investire la Corte di giustizia delle
Comunità Europee, in quanto gli atti comunitari richiamati non presentano dubbi interpretativi.
Da quanto esposto consegue, altresì, la non fondatezza della questione
promossa per il suddetto profilo dalla Regione Calabria, perché né la normativa
comunitaria (parametri interposti) né gli invocati parametri costituzionali risultano violati.
8. — Infine, la Regione Calabria censura l’art. 6-sexies del d.l.
n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008, per
violazione dell’art. 119 Cost.
Dopo aver riportato il contenuto dei primi due commi della norma, la
ricorrente sostiene che, per dimostrare la denunciata illegittimità
costituzionale di essa, è indispensabile individuare il meccanismo sul quale
incide. Pertanto, procede ad una ricostruzione assai dettagliata di tale
meccanismo, risalendo anche alla delibera CIPE n. 189 del 1997, ai programmi
del periodo 2000-2006 e al Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) per le Regioni
italiane dell’Obiettivo 1 2000-2006, approvato con decisione della Commissione
C (2000) 2050.
All’esito di questa ricostruzione (meglio descritta in narrativa) la
Regione rileva «come la norma violi l’art. 119 Cost.: infatti, per come
congegnata, la stessa tende a "deviare” i rimborsi dalla naturale destinazione
– e cioè il bilancio regionale – fissata dalla normativa regolamentare comunitaria
(Reg. CE 1260/99 e 1083/06), con conseguente violazione dell’autonomia
finanziaria della Regione, privata di fondi ad essa direttamente destinati».
La questione non è fondata.
L’art. 6-sexies della normativa censurata, proponendosi la finalità
di promuovere il coordinamento della programmazione statale e regionale, ed in
particolare per garantire l’unitarietà dell’impianto programmatico del QSN per
la politica regionale di sviluppo 2007-2013 e favorire il tempestivo e
coordinato utilizzo delle relative risorse, definisce un complesso procedimento
(le cui linee essenziali sono esposte nel precedente paragrafo 7.1), del quale
sono momenti qualificanti l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (comma 2) e
le intese istituzionali di programma, di cui all’art. 2, comma 203, lettera b), comma 4, della legge n. 662 del
1996.
Tra l’altro, è previsto che l’intesa, nell’individuare gli interventi
speciali per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri
economici e sociali, con le priorità dalla norma stessa contemplate, tenga
conto del vincolo delle precedenti assegnazioni alle amministrazioni centrali e
regionali.
Orbene, in presenza di questo complesso tessuto normativo, che da un lato
stabilisce criteri e obiettivi senza imporre vincoli specifici e, dall’altro,
prevede adeguati momenti partecipativi delle Regioni, la ricorrente, con la
scarna proposizione sopra trascritta, si limita ad affermare che la norma
violerebbe l’art. 119 Cost., perché «tende a deviare» i rimborsi dalla naturale
destinazione, cioè dal bilancio regionale. L’assunto si rivela privo di
adeguata capacità dimostrativa, nonché espresso in forma tendenziale e quindi
ipotetica. Inoltre, ignora il ruolo attribuito alle Regioni con gli strumenti
di partecipazioni sopra indicati e le conseguenti implicazioni.
Ne segue
la non fondatezza della questione.
9. —
L’istanza di sospensione dell’efficacia delle norme impugnate, formulata col
ricorso, rimane assorbita.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi;
riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Calabria
con i ricorsi indicati in epigrafe, nei confronti del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6-quater
e 6-quinquies del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevate dalla Regione Calabria
col ricorso in epigrafe, in riferimento all’art. 97 della Costituzione;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater,
comma 2, primo periodo e 6-quiquies, commi 2 e 3, del
decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
133 del 2008, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna col ricorso in epigrafe,
in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo comma,
e 119 Cost.;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater,
6-quinquies, 6-sexies del decreto-legge n. 112 del 2008,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevate dalla
Regione Calabria col ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 11, 117,
118, 119 Cost.; ai principi di leale collaborazione, dell’affidamento e della
certezza del diritto, nonché del generale canone di ragionevolezza delle leggi;
all’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità
europea), e successive modificazioni; agli artt. 9, 13, 15, 32, 33 del
Regolamento CE 11 luglio 2006, n. 1083 del 2006 (Regolamento del Consiglio
recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul
Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il Regolamento CE n.
1260/1999).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio
2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2010.