Sentenza n. 16 del 2010

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SENTENZA N. 16

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                      Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                       "

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                     "

            Franco                         GALLO                                                    "

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

            Sabino                         CASSESE                                                "

-           Maria Rita                   SAULLE                                                  "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi dalle Regioni Emilia-Romagna e Calabria, con ricorsi notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ed il 29 ottobre 2008 ed iscritti ai nn. 69 e 86 del registro ricorsi 2008.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Massimo Luciani e Giuseppe Naimo per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. — La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 22 ottobre (r.r. n. 69 del 2008), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale con riferimento a numerosi articoli del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

In particolare, ha impugnato gli articoli 6-quater, comma 2, primo periodo, e 6-quinquies, commi 2 e 3, per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.

2. — La ricorrente premette che il citato art. 6-quater dispone nel comma 1 che, al fine di rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), di cui all’art. 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), sono revocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006, in favore di amministrazioni centrali, con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma quadro (APQ), sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria. Il comma 2 della norma stabilisce che le disposizioni di cui al comma 1, per le analoghe risorse ad esse assegnate, costituiscono norme di principio per le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e che «il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce, di concerto con i Ministri interessati, i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse disponibili previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano».

Le censure della difesa regionale si riferiscono al primo periodo del comma 2, ritenuta norma di "oscura formulazione”, in quanto il legislatore, pur non volendo direttamente revocare le risorse assegnate alle Regioni per non violare il principio della loro autonomia finanziaria, avrebbe inteso comunque conseguire tale obiettivo, disponendo che esse debbano «auto-revocarsi» l’assegnazione, cioè restituire le risorse al CIPE (nel limite dell’ammontare di quelle che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate). Il CIPE, poi, dovrebbe provvedere al riparto delle risorse resesi disponibili ai sensi del secondo periodo del comma 2.

La norma, secondo la ricorrente, ad onta dell’autoqualificazione come principio fondamentale, sarebbe una norma dettagliata (in base ai criteri applicati dalla Corte costituzionale, da ultimo nella sentenza n. 159 del 2008, in relazione alle leggi statali le quali pongono limiti alla spesa regionale), che richiederebbe soltanto di essere "applicata” dalle Regioni. Tale disposizione sarebbe perciò illegittima, in quanto esorbitante dai limiti di un principio di coordinamento della finanza pubblica e lesiva dell’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.), vincolando l’uso delle risorse in materie di competenza residuale (quelle attinenti allo sviluppo economico: industria, commercio, artigianato, agricoltura, tutte spettanti alla Regione ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.).

3. — La difesa regionale censura, inoltre, la disposizione dettata dall’art. 6-quinquies del d.l. n. 112 del 2008, come convertito nella legge n. 133 del 2008.

La norma nel comma 1 istituisce «nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, a decorrere dall’anno 2009, un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese».

Il comma 2 della norma dispone che, con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza unificata, fermo restando il vincolo di concentrare nelle Regioni del Mezzogiorno almeno 1’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Il fondo istituito dal comma 1, riguardando gli interventi «finalizzati  al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche», ad avviso della Regione incide su materie di competenza concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia). La Corte costituzionale, come si desume dalla sentenza n. 168 del 2008, ha già affermato che «l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati», precisando che «il titolo di competenza statale che permette l’istituzione di un fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma può consistere anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di "chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.».

Nel caso di cui si tratta, la previsione del fondo potrebbe trovare giustificazione, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., ma allora la disposizione di cui al comma 2, che richiede il semplice parere della Conferenza unificata per la delibera del CIPE, anziché l’intesa, sarebbe illegittima per violazione del principio di leale collaborazione. Infatti, fin dalla sentenza n. 303 del 2003, è stata affermata la necessità dell’intesa per i casi di chiamata in sussidiarietà e tale esigenza è stata ribadita, proprio per la materia dell’energia, dalla sentenza n. 383 del 2005.

A parere della ricorrente, anche il comma 3 della norma censurata risulterebbe in contrasto con il parametro di cui all’art. 119, primo comma, Cost., per la violazione del principio dell’autonomia finanziaria di spesa garantita alle Regioni (sentenza n. 169 del 2007). Tale disposizione afferma che «costituisce un principio fondamentale la concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate e di ridefinizione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari». Pur qualificando il proprio contenuto come principio fondamentale, la norma esorbita dai limiti del potere statale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo sulle concrete scelte di investimento effettuate dalle Regioni, in quanto pone un vincolo di destinazione all’uso delle risorse ad esse spettanti.

4. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle censure.

Al riguardo, la difesa erariale osserva come la disposizione di cui all’art. 6-quater, finalizzato alla «Concentrazione strategica degli interventi del fondo per le aree sottoutilizzate» mediante unificazione di risorse non ancora impegnate, è stata introdotta in sede di conversione del decreto-legge per imprimere un particolare impulso all’azione di promozione dello sviluppo economico del Paese a fronte della crisi economica internazionale e per ragioni di coesione e di solidarietà sociale, al fine di prevenire l’incremento degli squilibri economici delle aree ex depresse, finalità perseguita in via ordinaria con il fondo alimentato con risorse statali di cui all’art. 61 della legge n. 289 del 2002.

Pertanto, la censura sollevata dalla ricorrente, circa la natura di norma di dettaglio della disposizione in esame, non risulta condivisibile. Non si tratta, infatti, di situazione comparabile a quella oggetto della sentenza della Corte n. 159 del 2008, in quanto è evidente che il legislatore nazionale ha ritenuto di fronteggiare la crisi economica evitando la giacenza e l’inutilizzazione di risorse finalizzate proprio a combattere gli squilibri economici, rimodulando il loro impiego ed assegnando alle stesse finalità da concordare con le Regioni, mediante l’intesa con il Comitato permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome. Del resto, non si è mai dubitato che, anche in situazioni ordinarie, competa sempre allo Stato recuperare risorse già assegnate ma non utilizzate, concentrandone l’impiego su interventi di rilevanza strategica nazionale.

Del pari inammissibile sarebbe la lamentata violazione del principio di leale collaborazione, in quanto tale principio non può essere invocato in riferimento all’attività legislativa.

Quanto alla censura relativa all’inammissibilità del finanziamento statale a destinazione vincolata, sollevata in riferimento al comma 2 dell’art. 6-quinquies, nella parte in cui prevede la ripartizione di risorse del fondo per il potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale con delibere CIPE, sentita la Conferenza unificata, la difesa erariale pone in evidenza come la ripartizione di fondi finalizzati debba avvenire tenendo conto delle finalità perseguite, nell’ambito della destinazione propria del fondo, dalla singola Regione.

Da ultimo, la difesa erariale segnala che la ricorrente non ha formulato in sostanza alcuna censura in riferimento al comma 3 del citato articolo 6-quinquies, benché tale comma risulti indicato nella intestazione del ricorso.

5. — In data 18 novembre 2009 la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria illustrativa, nella quale replica all’intervento dell’Avvocatura dello Stato, ribadendo la fondatezza delle censure già sollevate.

Relativamente all’art. 6-quater, la ricorrente contesta l’affermazione dell’Avvocatura circa la diversità tra la norma impugnata e quelle oggetto di censura nella sentenza n. 159 del 2008. La disposizione in oggetto non chiarisce quale margine di discrezionalità residui alle Regioni, una volta che si attui il recupero delle risorse inutilizzate e non menziona neppure l’attività di restituzione che esse dovrebbero compiere. Sarebbe evidente, quindi, che la disposizione non ha un reale contenuto di principio nei confronti delle Regioni, a meno di non ritenere in via interpretativa che l’ente territoriale mantenga una discrezionalità nel modulare il principio della riassegnazione. La norma sarebbe invece ancora più lesiva se venisse interpretata nel senso che le Regioni sono obbligate a revocare anche le assegnazioni di risorse già operate in favore di altri soggetti, qualora le somme non siano state concretamente impegnate o programmate da questi. D’altra parte non pare sufficiente, ad avviso della ricorrente, la previsione dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in quanto la singola Regione non sarebbe più protagonista della rimodulazione e potrebbe non essere d’accordo sui nuovi criteri di riparto "codeliberati” dalla Conferenza.

Quanto all’art. 6-quinquies, la ricorrente insiste nella illegittimità costituzionale del comma 2, nella parte in cui non prevede l’intesa, pur riconoscendo la legittimità del Fondo in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost. (si richiama sul punto la sentenza n. 124 del 2009), ed evidenzia che la difesa dell’Avvocatura si è limitata a sostenere la legittimità dell’istituzione dello stesso, legittimità non contestata dalla Regione. Inoltre, nelle argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato mancherebbe una difesa pertinente in riferimento al comma 3, che incide illegittimamente sulle concrete scelte di investimento effettuate dalle Regioni, anche se le risorse provenienti dal Fondo per l’attuazione del QSN sono destinate ad essere pur sempre investite in infrastrutture strategiche regionali.

6. — La Regione Calabria, con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il successivo 29 ottobre (r.r. n. 86 del 2008), ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcuni articoli del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008 e, tra questi, degli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies, in riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, 118 e 119 Cost., al principio di leale collaborazione, al «generale canone di ragionevolezza delle leggi», all’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità europea) e successive modificazioni, agli artt. 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE 11 luglio 2006, n. 1083 (Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il regolamento CE n. 1260 del 1999).

7. – La ricorrente, richiamato il contenuto del citato art. 6-quater, pone in evidenza che le risorse in esso contemplate riguardano non soltanto fondi revocati ai ministeri e destinati ad interventi da realizzare in Calabria ma anche fondi assegnati direttamente alla Regione e da impegnare all’interno di Accordi di programma quadro (per complessivi euro 301.083.804 entro il  31 dicembre 2009 ed euro 324.389.000 entro il 31 dicembre 2008, in forza di delibere del CIPE).

In ordine alla distinzione tra «somme impegnate» e «somme programmate», la ricorrente rileva come la programmazione, in realtà, sia insita nella stipula di un Accordo di programma quadro (APQ), mentre l’impegno deriva dall’assunzione degli Impegni Giuridicamente Vincolanti (IGV), che possono essere formalizzati entro 3 anni dalla programmazione: quindi, alla data di entrata in vigore della norma, non vi era alcuna inadempienza da parte della Regione. Inoltre, nel periodo temporale intercorso tra l’adozione del d.l. n. 112 del 2008 (che non conteneva alcuna norma in materia) e l’entrata in vigore della legge di conversione (che ha apportato la modifica qui censurata), la Giunta regionale ha deliberato 14 APQ per un valore complessivo di oltre 331.236.000 euro, proponendone  la stipula al Ministero dello sviluppo economico ed alle altre amministrazioni centrali competenti (solo 4 APQ dei quali sono stati stipulati fino alla data del 1° agosto 2008 per l’importo di oltre 70.000.000 euro). Tutti gli atti in questione, ivi compresi quelli ritualmente stipulati, sono stati «congelati», a seguito dell’entrata in vigore della norma impugnata, che risulterebbe illegittima innanzitutto per la sua retroattività prevista al comma 1, e questa sarebbe irragionevole in quanto incide su rapporti contrattuali consolidatisi in data antecedente all’entrata in vigore della norma, senza alcun motivo (quale, ad esempio, un eventuale inadempimento regionale) idoneo a giustificarne l’adozione, con lesione del principio di certezza del diritto e violazione del principio del legittimo affidamento.

Inoltre, la norma censurata violerebbe gli artt. 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione: infatti, incidendo retroattivamente, ed in modo del tutto irragionevole, su accordi già conclusi ed impegni già assunti in data antecedente alla loro entrata in vigore e sviando fondi ancora legittimamente programmabili e, soprattutto, impegnabili, comporta variazioni nel bilancio regionale che vulnerano l’autonomia amministrativa, quella finanziaria della Regione ricorrente e la sua capacità di spesa, garantite dall’art. 119 Cost., nonché incide con norma di estremo dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi su interventi di rilevanza strategica nazionale) in materie di legislazione concorrente (ad esempio, per restare ai soli APQ già approvati, governo del territorio, istruzione, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali).

Secondo la Regione ricorrente, l’illegittimità risulterebbe dalla lettura della finalità indicata nel comma 1 (e posta, quale norma di principio, nel comma 2): «rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale». Porre come prioritario questo scopo significherebbe non solo sconvolgere l’intera programmazione già effettuata, senza garanzia alcuna che ogni Regione, ed in particolare la Regione Calabria, possa vedersi attribuite tutte le risorse già assegnate in precedenza, ma anche impedire qualunque azione regionale, introducendo un vincolo specifico in materia di competenza concorrente (mentre la Corte costituzionale ha chiarito che «la finalizzazione a scopi rientranti in materia di competenza residuale delle Regioni o anche di competenza concorrente comporta la illegittimità costituzionale delle norme statali», così ex plurimis: sentenze nn. 118 del 2006; 231 del 2005; 424 del 2004 e 370 del 2003).

E’ ben vero che la Corte costituzionale ebbe a ritenere infondata una questione di legittimità di norme simili a quelle censurate (art. 1, commi 310 e 311, della legge 23 dicembre del 2005, n. 266 - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria 2006), in quanto esse si limitavano a prendere atto «dell’inattività di alcune regioni nell’utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato ed oggetto di accordi di programma stipulati in modo libero e paritario con il Governo nazionale, prevedendo risoluzione di accordi di programma e favorendo anche, sempre secondo il metodo dell’accordo, la riutilizzazione aggiornata, per le medesime finalità, dei finanziamenti revocati», ma ciò ha fatto proprio in riferimento ai casi in cui venisse registrato un inadempimento da parte delle Regioni. Nel caso de quo non risulta, invece, alcuna inadempienza (né nella programmazione, né nella stipula) da parte della ricorrente, che vede il proprio bilancio privato di somme già rese disponibili, senza che sia stato previsto almeno un procedimento per l’eventuale messa in mora delle regioni o un modulo «partecipativo», per determinare, in cooperativo confronto con le Regioni, gli eventuali riutilizzi delle somme, con palese violazione del principio di leale collaborazione.

Secondo la ricorrente sarebbe altresì evidente la violazione dell’art. 97 (in combinato disposto con gli artt. 118 e 119) Cost., atteso che la disciplina censurata finirebbe per sconvolgere la programmazione già stabilita delle attività amministrative, vulnerando il principio del buon andamento dell’amministrazione ed incidendo direttamente sulle attribuzioni della ricorrente in ordine all’amministrazione regionale ed al finanziamento delle attività ad essa spettanti.

8 — La Regione censura, poi, l’art. 6-quinquies del d.l. n. 112 del 2008, che prevede, al comma 1, l’istituzione di un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, alimentato con le modalità nella stessa norma indicate.

Anche tale norma risulterebbe in violazione dei medesimi parametri posti in evidenza con riferimento alla disposizione di cui all’art. 6-quater, nella parte in cui incide su vincoli e rapporti già sorti in data antecedente alla propria entrata in vigore senza ragionevolezza alcuna ed in violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto. Inoltre la medesima violerebbe gli artt. 97, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, per le medesime ragioni prima riassunte, in quanto verrebbe ad incidere retroattivamente, ed in modo del tutto irragionevole, su stanziamenti già effettuati prima della sua entrata in vigore, e svierebbe fondi ancora legittimamente programmabili, comportando variazioni nel bilancio regionale, che vulnerano l’autonomia amministrativa e l’autonomia finanziaria della Regione, garantite dagli artt. 118 e 119 Cost.; ancora, rappresenterebbe una norma di dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi sul potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale) in materie di legislazione concorrente (ad esempio, governo del territorio, grandi reti di trasporto e navigazione; porti e aeroporti civili; trasporto e distribuzione nazionale dell’energia).

Nel comma 3, poi, è prevista, come principio fondamentale, la concentrazione, da parte delle Regioni, delle risorse del Quadro Strategico  Nazionale (QSN) su infrastrutture di interesse strategico regionale in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal FAS, e di ridefinizione dei programmi finanziati dai fondi strutturali comunitari. La disposizione incide sia su materie di competenza concorrente (in particolare, porti e aeroporti, governo del territorio, tutela della salute, trasporto e distribuzione di energia) che su materie riservate alla Regione (in particolare, turismo, rete regionale di trasporto); inoltre, pone un vincolo di destinazione sull’intero ammontare delle risorse residue, ivi compresi i fondi comunitari (differentemente dal comma 1 della medesima norma), privando le Regioni di autonomia sia per determinare le proprie scelte, sia per negoziare eventuali intese con lo Stato e con la Comunità europea, con conseguente violazione anche dell’art. 117, commi terzo e quinto, Cost., nonché dell’art. 118, che conferisce autonomia amministrativa alle Regioni (ivi compresa la discrezionalità nell’impiego delle risorse), con violazione anche del principio del buon andamento della pubblica amministrazione, sancito nell’art. 97 Cost.

La norma impugnata sarebbe, quindi, illegittima, perché, in virtù del QSN, i programmi attuativi dei FAS regionali sono nella titolarità delle amministrazioni regionali, responsabili della loro definizione e attuazione, e destinatarie delle risorse FAS assegnate con la delibera CIPE di riferimento.

Quanto previsto nei commi 2 e 3, ad avviso della ricorrente, limita direttamente anche l’autonomia di spesa della Regione, con  conseguente lesione dell’art. 119 Cost.: infatti, vengono definanziati i programmi di interesse strategico nazionale (all’interno dei quali la quota di spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%), come l’istruzione, l’ambiente, la sicurezza, l’inclusione sociale, le risorse naturali, le reti ed i servizi per la mobilità, l’internazionalizzazione, per complessivi 9.451,440 milioni di euro (dei quali 97,279 relativi alla sola Calabria) e viene definanziato il progetto speciale relativo alla salute nelle Regioni del Mezzogiorno (all’interno del quale la quota di spettanza della Regione Calabria è sempre pari al 10,34%), per una somma pari a 1.550 milioni di euro (di cui 155 per la sola Calabria); viene inoltre definanziata la riserva di programmazione (all’interno della quale la quota di spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%) stravolgendo le regole fissate per lo svincolo di tali risorse fissate dal punto 7.3 della delibera CIPE 166 del 2007.

La ricorrente lamenta anche la violazione del principio di leale e fattiva collaborazione. Infatti, il QSN, previa intesa con la Conferenza unificata, costituisce la sede della programmazione unitaria delle risorse  aggiuntive, nazionali e comunitarie, e rappresenta, per le priorità individuate, il quadro di riferimento della programmazione delle risorse ordinarie in conto capitale, fatte salve le competenze regionali in materia. L’intesa raggiunta, che riconosceva espressamente un ruolo regionale nella programmazione, non è stata osservata, senza prevedere la necessità di una nuova intesa, ma limitando il meccanismo «partecipativo» della Regione alla mera necessità di «sentire» la Conferenza unificata.

Ulteriore violazione dell’art. 119, primo e quinto comma, Cost., riguarderebbe la previsione di cui al comma 2, circa la generica concentrazione nel Mezzogiorno almeno dell’85% degli stanziamenti, in quanto non sarebbe stata richiamata la necessaria applicazione della chiave di riparto valida per il ciclo 2007-2013 e della metodologia utilizzata nell’istruttoria tecnica curata dal Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, diffusa con nota del 5 aprile 2006; non sarebbero stati garantiti a ciascuna Regione il volume di stanziamenti già indicato in precedenza – con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria della Regione – e la finalità di «riequilibrio» bene evidenziata nel QSN, dovendosi considerare che nel Mezzogiorno d’Italia  coesistono Regioni (come la Calabria) inserite integralmente nell’Obiettivo "Convergenza” – già Obiettivo 1 – ed ammesse agli aiuti di Stato di carattere regionale per l’Italia con il massimale di aiuto più elevato (40%), per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2010, e Regioni (come Molise ed Abruzzo), selezionate per l’estinzione degli aiuti, all’interno delle quali solo alcuni comuni hanno ottenuto di essere ammessi a tali aiuti per un periodo limitato, o come la Basilicata, ammessa fino al 2001 e soggetta a revisione.

Inoltre, il mero riferimento alla concentrazione degli stanziamenti nel Mezzogiorno non garantisce il rispetto dell’ impegno assunto in sede di QSN, ossia la concentrazione nel Mezzogiorno (e quindi, anche nella Regione ricorrente) di una quota pari al 45% del totale della spesa in conto capitale, proprio al fine di «conseguire una significativa accelerazione nell’accumulazione del capitale pubblico e, di conseguenza, nei tassi di crescita», il che determinerebbe la violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost.

Nel suo complesso, la disposizione impugnata, nonostante sia stato riconosciuto il ruolo delle Regioni nella predisposizione del QSN, impedisce, di fatto, sia la partecipazione alla formazione, che l’attuazione e l’esecuzione dei provvedimenti comunitari, che competono alle Regioni proprio in forza del citato art. 119, quinto comma, Cost.

La difesa regionale trova un’ulteriore ragione di censura in riferimento all’art. 6-quinquies, deducendo la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. e degli artt. 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea e 9, 13, 15, 32 e 33 Regolamento CE n. 1083 del 2006. Infatti, la norma censurata (in particolare, il comma 2) prevede che, nel rispetto del detto Regolamento, i programmi operativi nazionali, finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del Quadro Strategico Nazionale per il periodo 2007-2013, possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui al medesimo articolo. Ma il QSN 2007-2013, cui si riferisce la norma, è stato approvato con decisione della Commissione europea n. 3339 del 13 luglio 2007 e così anche i relativi POR (tale decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati, in forza dell’art. 249, paragrafo 4, del Trattato). Pertanto, la disposizione viola tale principio e risulta contraria anche all’art. 33 del Regolamento n. 1083 del 2006, il quale prevede i casi in cui i Piani operativi possono essere riesaminati e cioè: a) a seguito di cambiamenti socioeconomici significativi; b) al fine di  tener conto in misura maggiore o differente dei mutamenti di rilievo nelle priorità comunitarie, nazionali o regionali; c) alla luce della valutazione di cui all’articolo 48, paragrafo 3; d) a seguito di difficoltà in fase di attuazione. Secondo la ricorrente, non sarebbe ravvisabile alcuna delle ipotesi in cui la normativa comunitaria consente di richiedere alla Commissione una decisione in merito, con conseguente inammissibile scostamento dalla normativa comunitaria di riferimento, quanto alle ipotesi di riesame. La norma censurata, poi, altererebbe il principio di aggiuntività delle risorse comunitarie, di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Regolamento n. 1083 del 2006, in base al quale è stato concepito ed approvato in sede comunitaria il QSN, violazione che consentirebbe alla Commissione di procedere ad una rettifica finanziaria sopprimendo la totalità o una parte del contributo a titolo dei fondi strutturali, con conseguente danno diretto per la Regione ricorrente.

9. — La Regione censura, infine, l’art. 6-sexies del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008, per violazione dell’art. 119 Cost.

Richiamati i primi due commi della disposizione impugnata, sostiene che, per dimostrare l’illegittimità costituzionale della norma, è indispensabile individuare il meccanismo sul quale essa incide, prendendo le mosse dalla disciplina relativa ai programmi cofinanziati dall’Unione Europea (in particolare, per i programmi del periodo 2000-2006), riconducibile alla delibera CIPE n. 189 del 1997 e al Quadro comunitario di sostegno (QCS) per le Regioni italiane dell’Obiettivo 1 del 2000-2006, approvato con decisione della Commissione C (2000) 2050.

La menzionata delibera CIPE n. 189 del 1997 ha previsto che, per garantire il proficuo utilizzo delle risorse nazionali e comunitarie, i soggetti titolari dei programmi cofinanziati dalla Commissione Europea procedono ad una ricognizione di tutti gli interventi, comunque attivati a livello nazionale, regionale, locale dai diversi soggetti pubblici e privati, e finanziati con risorse nazionali, pubbliche e private, riconducibili, per settore e/o territorio, al programma cofinanziato e, sulla base di tale ricognizione, provvedono ad individuare gli interventi da ammettere a cofinanziamento, previa verifica, con le amministrazioni competenti, che gli stessi non risultino già inseriti in altro programma cofinanziato e che siano coerenti con i programmi approvati, quanto a rispetto degli obiettivi dei suddetti programmi, ammissibilità degli impegni e delle spese e rispetto della normativa comunitaria.

Il QCS stabilisce alcuni principi di base, fra i quali quello dell’urgenza (paragrafo 2.2) e quello dell’immediata utilizzazione e valorizzazione dei progetti esistenti, prevedendo una sorta di "ponte” fra programmazione in corso e nuova programmazione ed un meccanismo di reimpiego all’esito delle rendicontazioni, nel caso sussistano i presupposti per un rientro dei fondi di cofinanziamento comunitario e statale. L’ammontare delle risorse da riprogrammare, definite «risorse liberate», viene quantificato attraverso le informazioni tratte dal sistema di monitoraggio nazionale, avendo a riferimento la data di avvio del progetto e la loro identificazione come progetti che liberano risorse, puntualmente indicati sulla scheda progetto. La quantificazione delle risorse potenzialmente liberate è il primo presupposto per verificare la relativa destinazione territoriale, che costituisce elemento essenziale di verifica per i programmi nazionali, ma non per i programmi regionali, e quella per obiettivi.

In tale contesto, è importante monitorare le decisioni sulla destinazione dei rientri dei Programmi operativi nazionali (PON) che hanno giurisdizione su territori più ampi di quelli ammissibili all’obiettivo 1, per evitare fuoriuscite di risorse da tali territori a vantaggio di altri ed assicurare una equilibrata allocazione delle risorse liberate tra le diverse Regioni in considerazione degli specifici fabbisogni settoriali. La riallocazione «per misura e azione» avviene a discrezione delle Autorità di Gestione, purché assicuri un apporto diretto agli obiettivi, sia effettuata all’interno dello stesso Asse prioritario che ha generato i rimborsi e sia aderente ai criteri previsti, nei programmi operativi 2000-2006, per le misure di riferimento, così come dettagliati nei complementi di programmazione. La continuità degli interventi, nella successione dei cicli di programmazione comunitaria, rende sempre più concreta la possibilità di indifferenza delle fonti di copertura di progetti volti al conseguimento di obiettivi comuni, anche in vista delle esigenze di tempestivo avvio del nuovo ciclo di programmazione. Sulla base della preventiva quantificazione dell’ammontare delle risorse liberate, le Autorità di gestione dei programmi operativi inviano annualmente all’Autorità di gestione del QCS per l’eventuale informativa al Comitato di sorveglianza del medesimo, apposite relazioni nelle quali sono specificati: le misure i cui obiettivi specifici sono rafforzati dai progetti finanziati con le risorse liberate; l’elenco dei progetti finanziati con le risorse liberate con la specifica del titolo, importo e tempistica di attuazione di ciascun progetto; i criteri di ammissibilità e selezione previsti dai rispettivi Complementi di programmazione, sulla base dei quali sono stati selezionati e finanziati i suddetti progetti. Il rispetto di questi requisiti costituisce elemento di valutazione in sede di determinazione delle allocazioni finanziarie relative al prossimo ciclo dei Fondi Strutturali.

L’inclusione di progetti avviati e finanziati nel Programma operativo 2000-2006, e la loro rendicontazione nell’ambito di una certificazione di spesa determina il rimborso da parte della Commissione della corrispondente quota comunitaria e da parte dello Stato della quota di cofinanziamento statale garantita dal Fondo di Rotazione, secondo le regole previste dal piano finanziario del POR. I rientri finanziari sono assegnati ai bilanci regionali a titolo di rimborso e si rendono disponibili per l’impiego in ulteriori operazioni. La delibera del CIPE n. 189 del 1997 prevede che: «I rientri finanziari messi a disposizione dei soggetti titolari dei programmi cofinanziati per effetto della inclusione negli stessi di interventi finanziati con le risorse nazionali, dovranno essere utilizzati per finalizzarli al conseguimento degli obiettivi di sviluppo individuati dalla programmazione territoriale e settoriale, in modo da garantire il rispetto del principio di addizionalità delle risorse comunitarie».

In particolare, per i progetti finanziati con i rimborsi di cui sopra, gli impegni giuridicamente vincolanti non ancora effettuati dovranno essere assunti entro 12 mesi dal 30 giugno 2009. Nel caso di progetti finanziati con i rimborsi ricevuti successivamente al 31 dicembre 2008, gli impegni giuridicamente vincolanti dovranno essere assunti, entro 12 mesi dalla data di ricezione dei rimborsi, mentre i pagamenti dovranno essere ultimati e i progetti conclusi e resi operativi entro i 36 mesi successivi a decorrere dall’assunzione dell’impegno giuridicamente vincolante.

Nel caso in cui i termini di impegno, pagamento, conclusione e operatività dei progetti, nonché la loro coerenza con i vincoli tematici e territoriali così come stabiliti nel QCS, non siano stati rispettati, l’ammontare corrispondente al valore degli impegni non assunti ed al valore dei progetti non conclusi o operativi, sarà dedotto dalle assegnazioni e/o erogazioni a valere sulle  risorse del Fondo aree sottoutilizzate spettanti alle amministrazioni responsabili dell’attuazione del progetto.

La difesa regionale assume che, ricostruita in tal modo la disciplina, la norma impugnata violerebbe l’art. 119 Cost., in quanto tende a «deviare» i  rimborsi dalla naturale destinazione (ossia dal bilancio regionale), fissata dalla normativa regolamentare comunitaria (Regolamento CE del 27 giugno 1999, n. 1260 e n. 1083 dell’11 luglio 2006), con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria della Regione, privata di fondi ad essa direttamente destinati.

10.— Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza delle censure.

Al riguardo, la difesa erariale osserva come la disposizione di cui all’art. 6-quater, finalizzato alla «Concentrazione strategica degli interventi del fondo per le aree sott’utilizzate» mediante unificazione di risorse non ancora impegnate, è stata introdotta per prevenire, nell’attuale crisi economica internazionale, un incremento degli squilibri economici delle aree ex depresse del paese. Infatti, non può essere consentita la giacenza e l’inutilizzazione di risorse del FAS (fondo alimentato con risorse statali ai sensi dell’art. 61 della legge 289 del 2002), che è finalizzato proprio a combattere gli squilibri economici. D’altra parte, le risorse saranno assegnate a scopi da concordare con le Regioni stesse, tramite l’intesa da raggiungere nella Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, rimodulando gli obiettivi specifici. Tale compito di recupero delle risorse inutilizzate spetta sicuramente allo Stato ed è perciò pienamente giustificata l’attribuzione di valore di norme di principio, che non viola l’autonomia finanziaria delle Regioni, in quanto non si tratta di misura analitica e di dettaglio. Né la data di riferimento per l’impegno o la programmazione delle somme, che ne esclude il recupero al 31 maggio 2008, avrebbe effetto retroattivo non giustificato, come la giurisprudenza costituzionale sulla legittimità della revoca di somme assegnate e non utilizzate conferma.

Secondo la difesa erariale, il principio di leale collaborazione risulta richiamato impropriamente, trattandosi di attività legislativa e non già amministrativa.

Anche la censura relativa alla ripartizione di risorse del fondo per il potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale (art. 6-quinquies), rimesso alle delibere del CIPE, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 98 del decreto legislativo del 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), è, per il resistente, infondata, in quanto non si tratta affatto, come sostenuto dalla Regione ricorrente, di rendere ammissibili finanziamenti statali a destinazione vincolata, ma di ripartire risorse non ordinarie tra le Regioni, tenendo conto delle finalità perseguite, ossia del numero e del costo delle opere rientranti nel quadro generale di interesse nazionale, con l’ausilio della Regione interessata mediante la Conferenza unificata.

Per quanto attiene al merito della censura relativa al disposto dell’art.6-sexies che, al fine di garantire l’unitarietà del quadro strategico nazionale, favorendo il coordinato e tempestivo utilizzo delle risorse, prevede la ricognizione – d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome – delle risorse assegnate ai programmi operativi per gli anni 2000-2006 e non utilizzate al fine di concentrarle sui programmi 2007-2013, nessun contrasto sussiste tra tale disposizione ed i Regolamenti CE 1260 del 1999 e 1083 del 2006, invocati dalla ricorrente e neppure sussiste contrasto con l’art. 119 Cost., atteso il coordinamento dell’intervento con le Regioni stesse stabilito dalla censurata disposizione.

11. — Nella memoria depositata il 10 novembre 2009, la Regione Calabria, oltre a richiamarsi agli argomenti esposti nel ricorso introduttivo, ha inteso replicare alle difese spiegate dall’Avvocatura dello Stato.

In particolare, in riferimento all’art. 6-quater, la ricorrente ribadisce che la disposizione che interviene a ridestinare somme ancora legittimamente programmabili dalla Regione stessa, in quanto fondi assegnati direttamente alla Regione e da impegnare all’interno degli APQ in Calabria, violerebbe il divieto di retroattività.

A sostegno di tale censura, la ricorrente richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di sindacato di ragionevolezza sulle disposizioni di legge con efficacia retroattiva, affermando l’esistenza in capo alla Regione di una posizione giuridica consolidata e della mancanza di una qualunque inadempienza regionale che, sola, avrebbe potuto giustificare la revoca di disponibilità di risorse già assegnate. Peraltro, la difesa regionale evidenzia il fatto che, successivamente alla emanazione della norma impugnata, lo Stato ha sottoscritto un accordo in sede di Conferenza Unificata (ratificato con delibera CIPE n. 1 del 2009), nel quale ha disciplinato la vicenda dei fondi FAS, ipotizzando la riassegnazione di somme alla Regione Calabria, e sembra adombrare una cessazione della materia del contendere in caso di effettiva riassegnazione di tali somme, anche se non coincidenti con quelle indicate nel ricorso introduttivo.

In ordine alle censure svolte avverso l’art. 6-quinquies, oltre a ribadire la violazione del divieto di retroattività, la Regione Calabria sottolinea nuovamente la violazione della normativa comunitaria, richiamando i principi di complementarità e addizionalità che caratterizzano la disciplina relativa ai fondi comunitari (artt. 9 e 15 del Regolamento CE n. 1083 del 2006). In relazione al co-finanziamento da parte dello Stato, il QSN avrebbe, infatti, espressamente quantificato il livello di spesa "interna”. La Commissione europea ha approvato la relazione sulla verifica ex ante dell’addizionalità in riferimento alle Regioni dell’obiettivo "Convergenza” per il periodo 2007-2013 (COM [2009] 112 def.), proprio tenendo conto dei valori indicati nel QSN, ma alterati dalla norma impugnata: in tale relazione è indicato che per ogni euro di finanziamento comunitario sono previsti 7, 6 euro di spesa nazionale. La disposizione impugnata, secondo la difesa regionale, avrebbe distratto i fondi dalle finalità indicate nel QSN, mediante l’istituzione di un apposito fondo, in palese violazione dei suddetti principi comunitari.

Infine, la difesa regionale, ritenendo non condivisibile il principio affermato nella recente decisione di questa Corte (n. 284 del 2009) in riferimento ai Fondi comunitari (ove si è sostenuto che dai principi comunitari non è ricavabile la conseguenza di una inscindibilità assoluta ed a tutti gli effetti delle componenti aggregate del finanziamento), chiede a questa Corte un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato, formulando la questione che sarà esaminata in motivazione.

Considerato in diritto

1. — La Regione Emilia-Romagna e la Regione Calabria, con i ricorsi indicati in epigrafe (r.r. nn. 69 e 86 del 2008), sollevano questioni di legittimità costituzionale con riferimento a numerosi articoli del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Riservata a separate pronunzie la decisione delle questioni riguardanti altre disposizioni del medesimo testo normativo, vanno qui trattate le censure mosse avverso gli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies. Le due impugnazioni, essendo dirette contro le stesse norme e presentando profili di connessione, rendono opportuna la trattazione congiunta di entrambi i ricorsi ai fini della loro riunione e decisione con unica sentenza.

2. — La Regione Emilia-Romagna denunzia l’illegittimità costituzionale dell’art. 6-quater, comma 2, primo periodo, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.

La norma de qua stabilisce, nel comma 1, che, al fine di rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all’art. 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), e successive modificazioni, su indicazione dei ministri competenti sono revocate le relative assegnazioni operate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per il periodo 2000-2006 in favore di amministrazioni centrali con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate nell’ambito di accordi di programma-quadro sottoscritti entro la medesima data, con esclusione delle assegnazioni per progetti di ricerca, anche sanitaria. In ogni caso è fatta salva la ripartizione dell’85% delle risorse alle Regioni del Mezzogiorno e del restante 15% alle Regioni del Centro-Nord.

Il comma 2 della norma prescrive che le disposizioni di cui al comma precedente, per le analoghe risorse ad esse assegnate, costituiscono norme di principio per le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. Il CIPE, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce, di concerto con i ministri interessati, i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse disponibili, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le dette Province autonome.

Infine, il comma 3 aggiunge che le risorse oggetto della revoca, già trasferite ai soggetti assegnatari, sono versate in entrata nel bilancio dello Stato per essere riassegnate alla unità previsionale di base in cui è iscritto il fondo per le aree sottoutilizzate.

La ricorrente afferma che il primo periodo del comma 2 della disposizione censurata, dietro l’autoqualificazione come principio fondamentale, cela in realtà una norma di dettaglio perché, se le Regioni sono vincolate ad operare la revoca-restituzione, esse non hanno alcun margine di scelta né sulla "voce” da tagliare, né sulle modalità con cui operare il taglio. Si tratta, dunque, di una norma che richiede soltanto di essere applicata dalle Regioni medesime, con conseguente illegittimità costituzionale della disposizione censurata, in quanto esorbitante dai limiti di un principio di coordinamento della finanza pubblica e lesiva dell’autonomia finanziaria regionale (art. 119 Cost.), vincolando l’uso delle risorse in materie di competenza regionale (quelle attinenti allo sviluppo economico: industria, commercio, artigianato, agricoltura e così via, tutte spettanti alle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.). Al riguardo, è richiamata la sentenza di questa Corte n. 159 del 2008.

La questione non è fondata.

La norma di cui si tratta, come le altre due del pari oggetto di censure, si colloca nel contesto della manovra finanziaria posta in essere col d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008. La necessità di detta manovra è stata imposta dall’esigenza di far fronte alla grave crisi economica e finanziaria, di dimensioni internazionali, che ha investito il Paese, e che ha ispirato anche altri interventi normativi, tra i quali – per quanto qui rileva – merita di essere segnalato quello attuato con il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito con modificazioni dalla legge 29 gennaio 2009, n. 2.

Infatti, l’art. 18 del provvedimento normativo ora citato, ponendosi in linea di continuità con gli scopi perseguiti dagli articoli in questa sede impugnati (che formano oggetto di richiamo espresso), stabilisce che, ferma la ripartizione territoriale, il CIPE provvede a riprogrammare le risorse nazionali disponibili del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), al fine di conseguire obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell’economia. Tra l’altro, il citato art. 18, comma 3, ribadisce che «Per le risorse derivanti dal fondo per le aree sottoutilizzate resta fermo il vincolo di destinare alle Regioni del Mezzogiorno l’85% delle risorse ed il restante 15% alle Regioni del Centro-Nord».

Il detto Fondo statale è stato istituito con l’art. 61 della legge n. 289 del 2002 ed in esso confluiscono le risorse disponibili autorizzate dalle disposizioni legislative, comunque evidenziate contabilmente in modo autonomo, con finalità di riequilibrio economico e sociale (art. 61, comma 1). Il Fondo è ripartito con apposite delibere del CIPE, nelle forme stabilite dall’art. 61, comma 3, ed alle riunioni di tale organo partecipano in via ordinaria, con diritto di voto, il Ministro per gli affari regionali, in qualità di Presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, e il Presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle dette Province autonome, o un suo delegato, in rappresentanza della Conferenza stessa (art. 61, comma 7).

In questo quadro, l’art. 6-quater rientra nella citata manovra, dettata da esigenze di coordinamento della finanza pubblica, materia a competenza ripartita tra Stato, Regioni e Province autonome, ancorché in essa sia ravvisabile anche la materia della perequazione delle risorse finanziarie, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato. Contrariamente a quanto sostiene la Regione Emilia-Romagna, la norma censurata non è una norma di dettaglio, bensì una disposizione di principio, come è reso palese dall’obiettivo perseguito (concentrare risorse su interventi di rilevanza strategica nazionale), sicché essa può incidere su una o più materie di competenza regionale, anche di tipo residuale, e determinare una, sia pure parziale, compressione degli spazi entro cui possono esercitarsi le competenze legislative ed amministrative delle Regioni (ex multis: sentenze n. 237 del 2009, n. 159 del 2008, n. 417 del 2005).

Invero, come questa Corte ha già affermato, il vaglio di costituzionalità, che deve verificare il rispetto del rapporto tra normativa di principio e normativa di dettaglio, va inteso nel senso che l’una è volta a prescrivere criteri e obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi (sentenze n. 237 del 2009 e n. 181 del 2006). Inoltre, la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenze n. 237 del 2009 e n. 430 del 2007). Infine, si deve aggiungere che, nella dinamica dei rapporti tra Stato e Regioni, la stessa nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia.

Nella fattispecie, la norma statale, ponendosi l’obiettivo di rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale, ha reperito risorse dal Fondo per le aree sottoutilizzate, mediante revoca delle assegnazioni disposte dal CIPE per il periodo 2000-2006 (con le delibere adottate fino al 31 dicembre 2006), nel limite dell’ammontare delle risorse che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate, nei sensi di cui alla disposizione medesima.

La norma, dunque, riguarda somme del detto fondo statale, assegnate dal CIPE nell’arco di tempo ora indicato, ma non impegnate o programmate entro la data del 31 maggio 2008. La disposizione non prevede interventi specifici e puntuali, ma si riferisce in via generale a somme assegnate e non impegnate o programmate nel periodo suddetto, peraltro circoscritto nel tempo, disponendo la nuova programmazione di esse per il conseguimento degli obiettivi di rilevanza strategica nazionale enunciati, ai quali è strettamente collegata. Questo intervento normativo non viola la sfera di competenze costituzionalmente garantita alle Regioni, appunto perché riguarda risorse non ancora utilizzate da tali enti (sentenza n. 105 del 2007), nella disponibilità dei quali, peraltro, le risorse medesime sono destinate a rientrare, sia pure con la suddetta nuova programmazione per le finalità indicate e con adeguato coinvolgimento delle Regioni medesime.

Infatti, si deve considerare che il CIPE, su proposta del Ministro per lo sviluppo economico, definisce, di concerto con i Ministri interessati, i criteri e le modalità per la ripartizione delle risorse disponibili, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Pertanto, è assicurata la partecipazione attiva delle Regioni nella ripartizione delle risorse, sia in sede di adozione delle delibere CIPE (art. 61, comma 7, della legge n. 289 del 2002 cit.), sia con lo strumento dell’intesa, ripartizione da effettuare secondo la percentuale dell’85% per quelle del Mezzogiorno e del 15% per quelle del Centro-Nord.

Il richiamo alla sentenza n. 159 del 2008 non è pertinente. Quella pronunzia, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione che imponeva alle Regioni e alle Province autonome di adeguare «ai principi di cui ai commi da 725 a 735 la disciplina dei compensi degli amministratori delle società da esse partecipate e del numero massimo dei componenti del consiglio di amministrazione di dette società». Tuttavia, come emerge dal dettato della norma in quella sede censurata, il legislatore statale con essa vincolava gli enti territoriali all’adozione di misure analitiche e di dettaglio (quali sono, senza dubbio, i compensi degli amministratori e il numero massimo dei componenti di un consiglio di amministrazione), così comprimendone illegittimamente l’autonomia finanziaria, il che è da escludere con riferimento alla disposizione qui in esame, alla stregua delle considerazioni dianzi svolte.

Va ribadito, dunque, che l’art. 6-quater è norma di principio, a prescindere dall’autoqualificazione (non decisiva), con conseguente infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo ad essa dalla Regione Emilia-Romagna, con riferimento agli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.

2.1.— La detta Regione impugna, inoltre, l’art. 6-quinquies, commi 2 e 3, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.

La norma censurata, nel comma 1, istituisce, a decorrere dall’anno 2009, un Fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese. Il fondo è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, con salvezza delle risorse nella norma stessa indicate.

Il comma 2 dispone che, con delibera del CIPE, su proposta del Ministero dello sviluppo economico d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si provvede alla ripartizione del fondo di cui al comma 1, sentita la Conferenza unificata, fermo restando il vincolo di concentrare nelle Regioni del Mezzogiorno almeno l’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013. Lo schema di delibera del CIPE è trasmesso al Parlamento per il parere delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Nel rispetto delle procedure previste dal Regolamento CE n. 1083 del 2006 del Consiglio in data 11 luglio 2006 e successive modificazioni, i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del Quadro strategico nazionale, per il periodo 2007-2013, possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui allo stesso art. 6-quinquies.

Infine, in base al comma 3, costituisce principio fondamentale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., la concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013 in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal Fondo per le aree sottoutilizzate e di ridefinizione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.

La ricorrente, censurando il comma 2, sostiene che il Fondo istituito dal comma 1, riguardando gli interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, ivi comprese le reti di telecomunicazione e quelle energetiche, incide su materie di competenza concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia). Come questa Corte ha già affermato (è richiamata la sentenza n. 168 del 2008), l’art. 119 Cost. vieta al legislatore statale di prevedere, in materia di competenza regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti a destinazione vincolata, anche a favore di soggetti privati, precisando che «il titolo di competenza statale che permette l’istituzione di un Fondo con vincolo di destinazione non deve necessariamente identificarsi con una delle materie espressamente elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost., ma può consistere anche nel fatto che detto fondo incida su materie oggetto di "chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost.».

Nel caso di specie, ad avviso della Regione, la previsione del fondo può giustificarsi ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., ma in questo caso il comma 2 risulta illegittimo (per violazione del principio di leale collaborazione) nella parte in cui richiede, in relazione alla delibera del CIPE, il semplice parere della Conferenza unificata invece dell’intesa.

La ricorrente ricorda che la necessità dell’intesa, per i casi di "chiamata in sussidiarietà”, è stata sancita fin dalla sentenza n. 303 del 2003 di questa Corte ed è stata ribadita, proprio per la materia dell’energia, dalla sentenza n. 383 del 2005.

Quanto al comma 3, la Regione Emilia-Romagna deduce che esso si autoqualifica come principio fondamentale, ma in realtà esorbita dai limiti del potere statale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo sulle concrete scelte d’investimento effettuate dalle Regioni e limitando l’autonomia finanziaria di spesa ad esse garantita dall’art. 119, primo comma, Cost. Al riguardo, la ricorrente osserva che questa Corte, con sentenza n. 169 del 2007, ha annullato una norma che imponeva «una puntuale modalità di utilizzo di risorse proprie delle Regioni, così da risolversi in una specifica prescrizione di destinazione di dette risorse».

Neppure tali questioni sono fondate.

Si deve premettere che la nozione di infrastrutture non si presta ad essere ricondotta in quella di "materie”, prevista dall’art. 117 Cost.

Per infrastrutture, invece, devono intendersi le opere finalizzate alla realizzazione di complessi costruttivi destinati ad uso pubblico, nei campi più diversi, che incidono senza dubbio su materie di competenza legislativa concorrente (governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, coordinamento della finanza pubblica ai fini del reperimento e dell’impiego delle risorse), ma coinvolgono anche materie di competenza esclusiva dello Stato, come l’ambiente, la sicurezza e la perequazione delle risorse finanziarie.

Le infrastrutture sono state considerate una priorità sia dallo Stato italiano, sia dall’Unione europea. Quanto al primo profilo, si deve richiamare, in particolare, la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio di attività produttive), cosiddetta legge-obiettivo, cui ha fatto seguito, in attuazione della delega, il decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della L. 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale). Quanto al secondo, il Regolamento CE n. 1083 del 2006, recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, stabilisce, tra l’altro, le norme generali che disciplinano i Fondi strutturali (Fondo europeo di sviluppo regionale [FESR] e Fondo sociale Europeo [FSE]), definisce gli obiettivi cui essi devono contribuire ("Convergenza”, volto ad accelerare la convergenza degli Stati membri e regioni in ritardo di sviluppo, "Competitività regionale e occupazione”, "Cooperazione territoriale europea”), disciplina i programmi operativi nel cui ambito prevede i grandi progetti (artt. 39–41), che includono anche le infrastrutture. Queste ultime sono definite dalla comunicazione della Commissione delle Comunità europee in data 16 dicembre 2008 – diretta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni – come uno dei «quattro settori prioritari della strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l’occupazione (persone, imprese, infrastrutture ed energia, nonché ricerca ed innovazione)».

In questo quadro, le norme in questione non violano le competenze costituzionali delle Regioni.

Invero, come risulta dal dettato della disposizione, il Fondo istituito con l’art. 6-quinquies, comma 1, che non forma oggetto di censure da parte della ricorrente, è destinato a finanziare interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, di cui è riconosciuta la valenza strategica ai fini della competitività e della coesione del Paese (obiettivi, questi, tutelati anche a livello comunitario). Esso, inoltre, è alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del Quadro strategico nazionale (QSN) relativamente al periodo 2007-2013: si tratta di un documento previsto dagli artt. 27 e seguenti del Regolamento CE n. 1083 del 2006 ed elaborato dallo Stato previa consultazione con i soggetti indicati nell’art. 11 del citato Regolamento, tra cui le istituzioni regionali.

Orbene, salvo quanto si osserverà più avanti in ordine alla suddetta disposizione, si deve rilevare, con riferimento al comma 2, qui censurato, che esso prevede le modalità per la ripartizione del suddetto Fondo, sentita la Conferenza unificata. Ad avviso della ricorrente, la previsione del Fondo può giustificarsi, ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost., ma in tale ipotesi il comma 2 risulta illegittimo (per violazione del principio di leale collaborazione), in quanto si limita a chiedere il semplice parere della Conferenza unificata, in luogo dell’intesa. Si deve però replicare che, nel caso in esame, l’esigenza di esercizio unitario, idonea a giustificare l’affidamento al CIPE della ripartizione del Fondo di cui al comma 1, discende dalla normativa comunitaria che, con l’obiettivo di ridurre le disparità economiche, sociali e territoriali emerse in particolare nei Paesi e nelle Regioni in ritardo di sviluppo, e quindi di accelerare la convergenza degli Stati membri e di dette Regioni migliorando le condizioni per la crescita e l’occupazione (Regolamento CE n. 1083 del 2006, primo considerando, nonché art. 3, commi 1 e 2, lett. a), impone l’intervento statale per una valutazione del contesto generale delle diverse realtà.

Proprio in tale contesto l’art. 6-quinquies, comma 2, conferma il vincolo di concentrare nelle Regioni del Mezzogiorno almeno l’85% degli stanziamenti nazionali per l’attuazione del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013.

Quando poi si perviene, con l’art. 6-quinquies, comma 3, al diretto coinvolgimento delle Regioni, alle quali la norma richiede la concentrazione su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013, con le modalità nella norma stessa precisate, è previsto un momento di partecipazione "forte” delle Regioni medesime. Infatti, ai sensi dell’art. 6-sexies, comma 5, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008, lo strumento di attuazione di quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 6-quinquies è costituito dalle intese istituzionali di programma, di cui all’art. 2, comma 203, lettera b), della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e successive modificazioni. Tali intese consistono in accordi «tra l’amministrazione centrale, regionale o delle province autonome, con cui tali soggetti si impegnano a collaborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale d’interventi d’interesse comune o funzionalmente collegati. La gestione finanziaria degli interventi per i quali sia necessario il concorso di più amministrazioni dello Stato, nonché di queste ed altri amministrazioni, enti ed organismi pubblici, anche operanti in regime privatistico, può attuarsi secondo le procedure e le modalità previste dall’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367».

Si tratta, dunque, di un incisivo strumento di partecipazione che, correlato al parere della Conferenza unificata, attribuisce spazio e ruolo adeguati all’intervento regionale, sicché si deve escludere la violazione dei parametri costituzionali invocati dalla ricorrente.

Quest’ultima, con riferimento all’art. 6-quinquies, comma 3, sostiene anche che la norma «si autoqualifica come principio fondamentale ma, in realtà, esorbita dai limiti del potere statale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.), incidendo sulle concrete scelte d’investimento effettuate dalle Regioni», in quanto pone un vincolo di destinazione all’uso delle risorse a queste spettanti, limitando l’autonomia finanziaria di spesa garantita alle Regioni medesime dall’art. 119, primo comma, Cost. (è richiamata la sentenza n. 169 del 2007).

Questa tesi non può essere condivisa.

A parte l’autoqualificazione che, come già notato, non è decisiva, la disposizione de qua è norma di principio in materia di coordinamento della finanza pubblica. Essa, infatti, disponendo la concentrazione, da parte delle Regioni, su infrastrutture di interesse strategico regionale delle risorse del Quadro strategico nazionale per il periodo 2007-2013, nella norma medesima indicate, da un lato si conforma alle priorità ed agli obiettivi stabiliti dalla normativa comunitaria già citata, dall’altro non impone un vincolo specifico o puntuali modalità di utilizzo, ma lascia alle Regioni adeguati spazi di manovra, avuto riguardo all’ampia nozione di infrastrutture sopra ricordata.

Conclusivamente, le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe, con riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo comma e 119 Cost., devono essere dichiarate non fondate.

3. — La Regione Calabria, con il ricorso indicato in epigrafe, solleva questioni di legittimità costituzionale, tra l’altro, degli artt. 6-quater, 6-quinquies e 6-sexies del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.

I parametri invocati sono, per la prima norma, gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonché i principi di leale collaborazione, dell’affidamento e della certezza del diritto, del generale canone di ragionevolezza delle leggi; per la seconda, gli artt. 3, 11, 97, 117, 118 e 119 Cost., gli stessi principi ora ricordati, l’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità europea), gli artt. 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE del Consiglio 11 luglio 2006, n. 1083; per la terza, l’art. 119 Cost.

4. — In via preliminare, devono essere dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater e 6-quinquies del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133 del 2008, sollevate dalla ricorrente con riferimento all’art. 97 Cost.

Infatti, come questa Corte ha più volte affermato, le Regioni possono far valere nei giudizi in via principale il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle contenute negli artt. 117, 118 e 119 Cost. soltanto se esso si risolva in una esclusione o limitazione delle competenze legislative regionali (ex plurimis: sentenze n. 233 del 2009; n. 45 del 2008 e n. 383 del 2005).

Nel caso in esame, l’asserita violazione del citato parametro costituzionale è dedotta sull’assunto che «la disciplina censurata sconvolge la già stabilita programmazione delle attività amministrative delle Regioni, vulnerando il principio del buon andamento dell’Amministrazione e incidendo direttamente sulle attribuzioni della ricorrente in ordine all’amministrazione regionale e al finanziamento delle attività ad essa spettanti», anche in ragione della rigidità della normativa.

Si tratta di un assunto meramente assertivo, insuscettibile di verifica e privo del carattere specifico che la censura deve avere, ancor più nei giudizi promossi in via principale (ex plurimis: sentenze nn. 200 del 2009; 428, 326 del 2008 e 387 del 2007). Di qui la declaratoria d’inammissibilità.

5.— La ricorrente, nel censurare il citato art. 6-quater, deduce che le somme di cui alla detta norma afferiscono non soltanto a fondi revocati ai Ministeri e destinati ad interventi da realizzare in Calabria, ma anche ai fondi assegnati direttamente alla Regione e da impegnare all’interno di accordi di programma quadro (APQ) in Calabria in base a delibere CIPE (richiamate nel ricorso), come comunicato alla medesima Regione dal Ministero per lo sviluppo economico con nota del 31 gennaio 2008.

Inoltre, in ordine alla distinzione tra "somme impegnate” e "somme programmate”, rileva come la programmazione sia già insita nella stipula di APQ, mentre l’impegno deriva dall’assunzione degli Impegni Giuridicamente Vincolanti (IGV), che – come da delibera CIPE n. 14 del 2006 – possono essere formalizzati entro tre anni dalla programmazione. Infatti, con APQ stipulati in data 10 aprile 2008, risultano disponibili per la Regione Calabria euro 5.000.000 per sicurezza e legalità, ancora non impegnati per le ragioni giuridiche prima espresse in ordine ai termini per l’assunzione degli IGV.

Pertanto, non vi sarebbe dubbio che, alla data di adozione della norma, non vi fosse alcuna inadempienza da parte della Regione.

Ad avviso della ricorrente, va poi considerata la circostanza che, nell’arco temporale intercorso tra l’adozione del d. l. n. 112 del 2008 (che non conteneva alcuna norma in materia) e l’entrata in vigore della legge di conversione (che ha introdotto la normativa censurata), la Giunta regionale ha deliberato quattordici APQ, proponendone la stipula al Ministero per lo sviluppo economico e alle altre Amministrazioni centrali competenti. Di questi, soltanto quattro APQ o atti integrativi sono stati stipulati fino al 1°agosto 2008 e risultano formalmente inviati alla competente Direzione generale del Ministero, ma per cinque di questi non sono ancora pervenute le risultanze istruttorie propedeutiche alla stipula.

La ricorrente prosegue affermando che tutti gli atti in questione sono stati "congelati”, a seguito dell’entrata in vigore della norma impugnata.

In questo quadro, i primi due commi di detta norma sarebbero evidentemente illegittimi.

In primo luogo, la retroattività del comma 1 (norma di principio per la Regione, in forza del comma 2) sarebbe priva di qualsiasi ragionevolezza, mentre il legislatore può approvare norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 274 del 2006).

Nel caso di specie la retroattività sarebbe priva di qualsiasi ragionevolezza, perché andrebbe ad incidere su rapporti contrattuali già consolidati in data anteriore all’entrata in vigore della norma, senza alcun motivo (come un eventuale inadempimento regionale) che ne giustifichi l’adozione. Al riguardo, e soltanto per fare un esempio, secondo la ricorrente andrebbe posto in evidenza che – nel periodo 31 maggio-30 giugno 2008 – la Regione Calabria, all’interno degli accordi già stipulati sulle risorse della delibera CIPE n. 35 del 2005, sarebbe passata, quanto ad IGV legittimamente assumibili alla luce della disciplina vigente, da euro 38.369.000 ad euro 54.628.000. Su tali impegni la norma censurata andrebbe irragionevolmente ad incidere.

Sarebbe poi violato anche il connesso principio della tutela dell’affidamento nella sicurezza giuridica (valevole anche per i soggetti istituzionali), costituente per giurisprudenza di questa Corte elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto, che non può essere leso da norme con effetti retroattivi, volte ad incidere irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti.

La normativa censurata, inoltre, violerebbe gli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, perché, intervenendo con le suddette illegittime modalità su accordi già conclusi ed impegni già assunti, svierebbe fondi ancora legittimamente programmabili ed impegnabili, comportando variazioni nel bilancio regionale che vulnerano l’autonomia amministrativa e l’autonomia finanziaria della ricorrente, nonché la sua capacità di spesa, garantite dall’art. 119 Cost., andando ad incidere con norma di estremo dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi su interventi di rilevanza strategica nazionale) in materie di legislazione concorrente.

Invero, «rafforzare la concentrazione su interventi di rilevanza strategica nazionale» significherebbe non soltanto sconvolgere l’intera programmazione già effettuata, senza alcuna garanzia che ogni Regione, e in particolare la Calabria, abbia ancora le risorse già ad essa assegnate, ma anche impedire qualunque azione della medesima Regione mediante un vincolo specifico in materia di competenza concorrente.

Infine, nel caso in esame, non vi sarebbe stata alcuna inadempienza, da parte della ricorrente, che vedrebbe il proprio bilancio privato di somme già rese disponibili. Inoltre, anche in violazione del principio di leale collaborazione, non sarebbero stati previsti procedimenti per l’eventuale messa in mora delle Regioni e neppure un modulo "partecipativo” per determinare gli eventuali riutilizzi.

5.1 — La questione, anche per i profili riferibili all’art. 3 Cost. (asserita irragionevolezza per il carattere retroattivo stabilito nel comma 1 della norma censurata e connessa violazione del principio di tutela dell’affidamento nella sicurezza giuridica), è ammissibile perché, nella prospettazione della ricorrente, tali violazioni si riflettono in lesioni della propria autonomia amministrativa e finanziaria, nonché della propria capacità di spesa.

5.2. — Essa, tuttavia, non è fondata.

Richiamate le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 2, si deve osservare che l’irragionevolezza denunziata dalla Regione Calabria non sussiste.

Invero la norma, nel contesto delle esigenze e delle finalità già illustrate nel detto paragrafo, dispone la revoca delle assegnazioni operate dal CIPE per il periodo 2000-2006, nel limite dell’ammontare delle risorse che, entro la data del 31 maggio 2008, non sono state impegnate o programmate nell’ambito di APQ sottoscritti entro la medesima data. Si tratta, dunque, di risorse non ancora utilizzate che, peraltro, non sono sottratte in via permanente al circuito regionale, ma sono destinate ad essere nuovamente programmate in base alle modalità ed ai criteri dalla norma medesima contemplati.

Il presunto carattere irragionevole della disposizione non può desumersi dalla sua retroattività, neppure sotto il profilo della violazione del principio di affidamento, come invece sostiene la ricorrente. In particolare, non è esatto che essa vada ad incidere senza alcun motivo su rapporti consolidati in data anteriore all’entrata in vigore della norma. Dal momento che oggetto dell’intervento sono risorse non impegnate o programmate nel termine suddetto, non è sostenibile che esse abbiano dato vita a rapporti già consolidati, mentre proprio la mancanza di impegno o programmazione, in presenza di risorse assegnate ma non utilizzate in un arco di tempo circoscritto ma non breve, giustifica che l’intervento sia stato compiuto proprio su quelle risorse.

Né si può giungere a diverse conclusioni sul rilievo che le somme oggetto di revoca costituissero fondi ancora legittimamente programmabili e, soprattutto, impegnabili. Questi concetti esprimono semplici intenzioni de futuro, laddove il legislatore statale, nel contesto di una generale manovra di coordinamento della finanza pubblica destinata a concentrare su interventi di rilevanza strategica nazionale risorse provenienti da un fondo dello Stato (FAS), rimaste non utilizzate, ha preso atto di tale mancato utilizzo per reperire mezzi comunque destinati ad essere nuovamente impiegati in ambito regionale.

Quanto, poi, all’analitica indicazione, contenuta in ricorso, circa provvedimenti adottati dalla Giunta regionale (a quanto si desume dal ricorso medesimo, dopo il 31 maggio 2008), nonché alla distinzione tra "somme impegnate” e "somme programmate”, si deve osservare che tali profili esulano dalla cognizione di questa Corte, in quanto riguardano problemi interpretativi che potranno eventualmente porsi in sede applicativa.

In ordine all’assunto secondo cui la norma censurata introdurrebbe una disciplina di dettaglio, si deve rinviare alle considerazioni svolte sul punto nel paragrafo 2 di questa sentenza.

Infine, non è esatto che sarebbe stato violato il principio di leale collaborazione, perché: a) non sarebbe stato previsto alcun procedimento per l’eventuale messa in mora delle Regioni; b) non sarebbe stato contemplato un modulo "partecipativo” per gli eventuali riutilizzi. Infatti, a parte il rilievo che – per costante giurisprudenza – tale principio non si applica all’attività legislativa, si deve ricordare, quanto al punto sub a), che, come questa Corte ha già osservato, «né la sfera di competenze costituzionalmente garantita delle Regioni, né il principio di leale collaborazione risultano violati da una norma che prende atto dell’inattività di alcune Regioni nell’utilizzare risorse poste a loro disposizione nel bilancio dello Stato» (sentenza n. 105 del 2007), sicché la messa in mora non era dovuta; e, quanto al punto sub b), che l’art. 6-quater, comma 2, nell’affidare al CIPE, con le forme nella norma stessa previste, la definizione  dei criteri e delle modalità per la ripartizione delle risorse disponibili, stabilisce che ciò debba avvenire «previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano». Lo strumento partecipativo, dunque, è previsto.

6. — La Regione Calabria, poi, denunzia l’illegittimità costituzionale dell’art. 6-quinquies del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008.

Richiamato il contenuto del comma 1 di detta norma, sostiene che esso si espone alle stesse censure mosse all’art. 6-quater, nella parte in cui incide su vincoli e rapporti sorti in data precedente all’entrata in vigore della normativa denunziata, senza alcuna ragionevolezza ed in violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto. Ad avviso della Regione, la retroattività del primo comma è del tutto irragionevole: andare ad incidere su fondi ancora legittimamente programmabili, senza alcun motivo (quale, ad esempio, un eventuale inadempimento regionale) che ne giustifichi l’adozione, «è di palmare irragionevolezza, gravemente lesiva del principio di certezza del diritto e del principio di affidamento».

Il comma in esame, poi, viola gli artt. 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, anche in tal caso per ragioni analoghe a quelle indicate trattando dell’art. 6-quater. Esso, infatti, «incide retroattivamente, ed in modo del tutto irragionevole, su stanziamenti già effettuati prima della sua entrata in vigore, e svia fondi ancora legittimamente programmabili, comportando variazioni nel bilancio regionale, che vulnerano l’autonomia amministrativa e l’autonomia finanziaria della Regione, garantite dagli artt. 118 e 119 Cost., nonché incide con norma di estremo dettaglio (obbligo di concentrazione dei fondi sul potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale) in materie di legislazione concorrente».

Ad avviso della ricorrente, inoltre, il comma 3 dell’art. 6-quinquies impone – sotto forma di principio fondamentale – la concentrazione, da parte delle Regioni, delle risorse del Quadro strategico nazionale (QSN) su infrastrutture di interesse strategico regionale in sede di predisposizione dei programmi finanziati dal FAS e di ridefinizione dei programmi finanziati dai Fondi strutturali comunitari.

Tale disposizione viene ad incidere sia su materie di competenza concorrente, sia su materie riservate alla Regione (in particolare, turismo e rete regionale di trasporto). Essa pone un vincolo di destinazione sull’intero ammontare delle risorse residue, ivi compresi i Fondi comunitari (a differenza del comma 1 della medesima norma), che non lascia alle Regioni alcun margine di autonomia sia per determinare le proprie scelte sia per negoziare eventuali intese con la Stato e con la Comunità europea, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo e quinto comma, e 118 Cost. Infatti, in forza del QSN, «i Programmi attuativi FAS Regionali sono nella titolarità delle Amministrazioni regionali, responsabili della loro definizione e attuazione e destinatarie delle risorse FAS assegnate con la delibera CIPE di riferimento». Ciò comporta, ad avviso della Regione, l’illegittimità della norma impugnata.

Sempre ad avviso della ricorrente, poi, l’art. 6-quinquies, con i commi 2 e 3, pone un limite diretto all’autonomia di spesa della Regione, con conseguente lesione dell’art. 119 Cost. Infatti, vengono definanziati programmi di interesse strategico nazionale (all’interno dei quali la quota di spettanza della Regione Calabria è pari al 10,34%) ed inoltre viene definanziato il progetto speciale relativo alla salute nelle Regioni del Mezzogiorno; ancora, viene definanziata la riserva di programmazione, stravolgendo le regole fissate per lo svincolo di tali risorse fissate dal punto 7.3 della delibera CIPE 166 del 2007.

La ricorrente sostiene che «l’attentato all’autonomia finanziaria regionale è addirittura devastante, risolvendosi nella privazione di risorse e nel totale sconvolgimento della programmazione regionale, già in essere, dell’impiego delle risorse». E’ violato, altresì, il principio di leale collaborazione perché con l’art. 1, comma 864, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), previa intesa con la Conferenza unificata, si era stabilito che il QSN avrebbe costituito «la sede della programmazione unitaria delle risorse aggiuntive, nazionali e comunitarie» ed avrebbe rappresentato per le priorità individuate «il quadro di riferimento della programmazione delle risorse ordinarie in conto capitale, fatte salve le competenze regionali in materia». Invece con la norma impugnata viene smentita l’intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata, nella quale è stato riconosciuto il ruolo regionale nella programmazione, senza nemmeno prevedere il raggiungimento di una nuova intesa ma limitando il meccanismo "partecipativo” alla mera necessità di "sentire” la Conferenza stessa.

La previsione della generica concentrazione nel Mezzogiorno almeno dell’85% degli stanziamenti, secondo la Regione Calabria, viola l’art. 119, primo e quinto comma, Cost., perché tale previsione, non richiamando anche la necessaria applicazione della chiave di riparto valida per il ciclo 2007-2013 e della metodologia utilizzata nell’istruttoria tecnica curata dal Dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione, non garantisce a ciascuna Regione il volume di stanziamenti già indicato in precedenza, con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria della Regione stessa, e, soprattutto, non garantisce il mantenimento dell’equilibrio raggiunto in sede di QSN quanto alla finalità di riequilibrio prevista dall’art. 119, quinto comma, Cost.

Al riguardo va considerato che nel Mezzogiorno d’Italia coesistono Regioni (come la Calabria) inserite integralmente nell’obiettivo "Convergenza” ed ammesse agli aiuti di Stato di carattere regionale, e Regioni (come Molise ed Abruzzo) selezionate per l’estinzione degli aiuti, all’interno delle quali solo alcuni Comuni hanno ottenuto di essere ammessi a tali aiuti per un periodo limitato, o come la Basilicata, ammessa fino al 2001 e soggetta a revisione.

Inoltre, il mero riferimento alla concentrazione degli stanziamenti nel Mezzogiorno non garantisce il rispetto dell’altro fondamentale impegno assunto in sede di QSN, cioè la concentrazione nel Mezzogiorno (e, quindi, anche nella Regione Calabria) di una quota pari al 45% del totale della spesa in conto capitale, proprio al fine di «conseguire una significativa accelerazione nell’accumulazione del capitale pubblico e, di conseguenza, nei tassi di crescita», con ulteriore violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost.

La ricorrente prosegue affermando che la sostanziale ridefinizione del QSN e il vincolo nella predisposizione e ridefinizione dei vari programmi, in base ai tre commi della disposizione impugnata, violano anche l’art. 117, quinto comma, Cost.: malgrado il riconoscimento, in sede di predisposizione del QSN, del ruolo "programmatico” regionale, la norma de qua impedisce sia la partecipazione alla formazione che l’attuazione dei provvedimenti comunitari, spettanti alle Regioni proprio in forza del citato quinto comma.

Anche in relazione alla lesione della capacità di spesa di cui all’art. 119 Cost. e delle competenze regionali di cui all’art. 117, quinto comma, Cost., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. e degli artt. 249 del Trattato e 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE n. 1083 del 2006.

Infatti, l’articolo censurato (in particolare, il comma 2) prevede che, nel rispetto del detto Regolamento, i Programmi operativi nazionali, finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del QSN per il periodo 2007-2013, possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui al medesimo articolo.

Il QSN 2007-2013 è stato approvato con decisione della Commissione europea n. 3339 del 13 luglio 2007 e, del pari, sono stati approvati i relativi Programmi operativi regionali (POR). Ai sensi dell’art. 249, paragrafo 4, del Trattato, «La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati». Secondo la Regione Calabria, la norma censurata viola detta previsione, cozzando anche con la Carta italiana degli aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo 2007-2013.

L’art. 32 del citato Regolamento prevede che la Commissione adotti il Piano operativo, mentre l’art. 33 prevede i casi in cui detti Piani possono essere riesaminati, ma nel caso di specie sarebbe evidente l’insussistenza delle relative ipotesi.

Infine, la norma censurata altera il principio di aggiuntività delle risorse comunitarie, di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Regolamento 1083 del 2006, in base al quale è stato concepito ed approvato in sede comunitaria il QSN. Tale violazione consente alla Commissione di procedere ad una rettifica finanziaria sopprimendo la totalità o una parte del contributo dei Fondi strutturali, con conseguente danno diretto per la ricorrente.

7. — Le suddette questioni non sono fondate.

7.1.— Come sopra si è notato (paragrafo 2.1.), la norma censurata istituisce, a decorrere dall’anno 2009 (quindi per il tempo successivo alla data della sua entrata in vigore), un fondo per il finanziamento, in via prioritaria, di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale, alimentato con gli stanziamenti nazionali assegnati per l’attuazione del QSN per il periodo 2007-2013, in favore di programmi di interesse strategico nazionale, di progetti speciali e di riserve premiali, con salvezza delle risorse già vincolate alla data del 31 maggio 2008 nei sensi  previsti dalla norma medesima.

Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, si deve ribadire che non si tratta di «norma di estremo dettaglio», bensì di norma di principio (in base alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo 2.1), in quanto persegue un obiettivo di ampio respiro (concentrazione di risorse sul potenziamento della rete infrastrutturale di livello nazionale) ed individua una priorità, peraltro in coerenza con gli indirizzi comunitari.

La norma rientra, dunque, nella finalità generale del coordinamento finanziario e non pone alcun vincolo specifico alle Regioni, ancorché i principi di coordinamento della finanza pubblica comprendano anche «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali» (sentenze nn. 284 e 237 del 2009). Anzi, lascia alle Regioni adeguati spazi di manovra, segnatamente nell’individuazione delle infrastrutture di interesse strategico regionale sulle quali concentrare le risorse, e prevede strumenti altrettanto adeguati di partecipazione, sia mediante il parere della Conferenza unificata in sede di ripartizione del fondo di cui al comma 1, sia nel momento attuativo di quanto previsto dal comma 3, che si realizza mediante le intese istituzionali di programma, ai sensi dell’art. 6-sexies, comma 5, del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008 (anche su questo punto si rinvia a quanto esposto nel paragrafo 2.1 di questa sentenza).

Al riguardo, è il caso di rimarcare che il citato art. 6-sexies, nel comma 1, allo scopo di promuovere il coordinamento della programmazione statale e regionale, ed in particolare per garantire l’unitarietà dell’impianto programmatico del QSN per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 e favorire il tempestivo e coordinato utilizzo delle relative risorse, affida alla Presidenza del Consiglio dei ministri il compito di effettuare la ricognizione delle risorse indicate nella disposizione stessa; all’esito di detta ricognizione la Presidenza, su proposta dei ministri competenti, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico, e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, adotta la riprogrammazione che definisce le modalità d’impiego delle risorse, nonché i criteri per la selezione e le modalità di attuazione degli interventi (comma 2); sulla base di tale intesa, approvata dal CIPE (comma 3), la Presidenza del Consiglio dei Ministri promuove con le singole Regioni interessate la stipula delle intese istituzionali di programma (comma 4).

Da questa complessa normativa si evincono sia la dimensione della manovra di coordinamento della finanza pubblica in ambito statale e regionale, sia la previsione di congrui momenti di coinvolgimento delle Regioni nella fase attuativa della manovra.

Pertanto: a) nessun profilo di irragionevolezza è ravvisabile nella normativa de qua; b) gli invocati parametri costituzionali non sono violati, per le ragioni fin qui esposte; c) non è esatto che la disposizione dettata dal comma 3 dell’art. 6-sexies neghi alle Regioni qualche margine di autonomia, che invece può ben essere esercitata sia nella vasta gamma degli interventi infrastrutturali da compiere, sia nella possibilità di negoziare con lo Stato attraverso gli strumenti operativi all’uopo previsti, sia nell’individuazione delle possibilità di spesa.

In questo quadro, anche la censura relativa al fatto che la prevista concentrazione nel Mezzogiorno almeno dell’85% degli stanziamenti violerebbe l’art. 119, primo e quinto comma, Cost., perché non garantirebbe a ciascuna Regione il volume di stanziamenti già indicato in precedenza e il mantenimento dell’equilibrio raggiunto in sede di QSN, non è fondato.

Infatti, a parte il carattere ipotetico della doglianza, si deve rilevare che proprio la previsione di adeguati momenti partecipativi consente alle Regioni, e quindi anche alla ricorrente, di rendersi portatrici delle rispettive esigenze di bilancio, evidentemente in un contesto di compatibilità generali.

7.2.— La Regione Calabria, con riferimento alla (presunta) lesione della capacità di spesa, di cui all’art. 119 Cost., e delle competenze regionali, di cui all’art. 117, quinto comma, Cost., deduce la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., e degli artt. 249 del Trattato e 9, 13, 15, 32 e 33 del Regolamento CE del Consiglio n. 1083 del 2006, (richiamati come parametri interposti).

La ricorrente rileva che l’art. 6-quinquies (in particolare, il comma 2), prevedendo che, nel rispetto del detto Regolamento, i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie, per l’attuazione del QSN, possono essere ridefiniti in coerenza con i principi di cui al medesimo articolo, si porrebbe in contrasto con l’art. 249, paragrafo 4, del Trattato, perché il QSN per il periodo 2007-2013 ed i relativi Programmi operativi regionali (POR) sono stati approvati dagli organi comunitari. Ad avviso della Regione l’art. 33 del Regolamento prevede i casi in cui i Programmi operativi possono essere riesaminati, ma nella specie nessuno di tali casi sarebbe ravvisabile.

Questa tesi non può essere condivisa. 

Il citato art. 33, sotto la rubrica «Revisione dei programmi operativi», dispone che, su iniziativa dello Stato membro o della Commissione, di concerto con lo Stato membro interessato, i programmi operativi possono essere riesaminati e, se necessario, la parte rimanente del programma può essere riveduta, tra l’altro, a seguito di cambiamenti socioeconomici significativi. La crisi economica e finanziaria internazionale, che ha ispirato la normativa qui censurata, ha introdotto appunto rilevanti cambiamenti socioeconomici (basta considerare i riflessi in tema di occupazione), sicché la possibilità di ridefinire i Programmi operativi nazionali finanziati con risorse comunitarie per l’attuazione del QSN, peraltro nel rispetto delle procedure previste dal menzionato Regolamento (come l’art. 6-quinquies precisa nel comma 2), non si pone affatto in contrasto con la normativa comunitaria, ma rientra anzi nell’ambito applicativo di questa.

La ricorrente, inoltre, sostiene che la norma censurata «altera il principio di aggiuntività delle risorse comunitarie di cui agli artt. 9, 13 e 15 del Reg. 1083 del 2006, in base al quale è stato concepito ed approvato in sede comunitaria il QSN». Con la memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione pone ancora l’accento sui principi di complementarità e di addizionalità (rispettivamente, artt. 9 e 15 del Regolamento citato), che sarebbero violati per effetto della distrazione di risorse dalle finalità indicate nel QSN, mentre essi non potrebbero incontrare deroghe in alcun campo.

La Regione, poi, richiama la sentenza di questa Corte n. 284 del 2009, nella parte in cui afferma che «Dai suddetti principi non è ricavabile la conseguenza di una inscindibilità assoluta ed a tutti gli effetti delle componenti aggregate del finanziamento» e, mostrando di non condividere tale affermazione, chiede che, ove non si ritenga di rimeditare il relativo punto di diritto, si rimetta alla Corte di giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 del Trattato, la seguente questione pregiudiziale: « Se la normativa comunitaria, in particolare gli artt. 9 e 15 del Reg. CE 1083/06, mirando a far sì che le erogazioni dei Fondi strutturali non si sostituiscano alla spesa pubblica degli Stati membri, in modo da garantire che esse esercitino un reale impatto economico, osti ad una normativa statale, come l’art. 6-quinquies del D. L. 112/08, che imponga il sostanziale frazionamento, per finalità interne allo Stato membro, dell’insieme inscindibile – imposto dal principio di addizionalità, sul quale si fonda la politica di coesione dettata dagli artt. 158-160 del Trattato – tra fondi nazionali e fondi comunitari, mediante l’istituzione del fondo disciplinato dalla stessa norma statale».

Neppure sotto tale profilo la questione è fondata.

L’art. 9, paragrafo 1, del Regolamento CE n. 1083 del 2006 dispone che i Fondi (comunitari) intervengono a complemento delle azioni nazionali, comprese le azioni a livello regionale e locale, integrandovi le priorità comunitarie. A sua volta, l’art. 15, sotto la rubrica "Addizionalità”, stabilisce che i contributi dei Fondi strutturali non sostituiscono le spese strutturali, pubbliche o assimilabili, di uno Stato membro. Detto principio è posto al fine di garantire che le erogazioni dei Fondi strutturali comunitari possano esercitare un reale impatto economico.

In questo quadro la ricorrente afferma che tra fondi nazionali e fondi comunitari verrebbe a crearsi un "insieme inscindibile”, le cui componenti non potrebbero essere frazionate. In sostanza, ad ogni spesa interna (statale, regionale o locale) andrebbe aggregata la componente del relativo finanziamento comunitario. Tuttavia, tale inscindibilità non risulta radicata in alcuna disposizione, né può dirsi imposta dai principii di complementarità o di addizionalità. Anzi, il rispetto dell’addizionalità è verificato a livello nazionale e va considerata la relazione globale  tra gli investimenti nazionali e quelli comunitari (comunicazione della Commissione delle Comunità europee in data 6 marzo 2009, recante la relazione sulla verifica ex ante dell’addizionalità nelle Regioni dell’obiettivo "Convergenza” per il periodo 2007-2013), il cui rapporto per il detto obiettivo è suscettibile di essere modificato in occasione della verifica intermedia prevista dall’art. 15, paragrafo 4, del Regolamento citato. E’ poi prevista una terza verifica dell’addizionalità, a conclusione del periodo, definita ex post nella norma ora citata.

Anche la cadenza delle verifiche, articolata in tre fasi, e la possibilità «di modificare il livello richiesto di spese strutturali se la situazione economica nello Stato membro interessato è cambiata in misura significativa rispetto a quella esistente al momento della determinazione del livello di spese strutturali pubbliche o assimilabili di cui al paragrafo 2» (norma citata, paragrafo 4), conducono alla conclusione che il vincolo postulato dalla ricorrente, nei sensi sopra indicati, non sussiste.

Sulla base di tali considerazioni la Corte ritiene di dover confermare il principio affermato con la sentenza n. 284 del 2009, né ravvisa gli estremi per investire la Corte di giustizia delle Comunità Europee, in quanto gli atti comunitari richiamati non  presentano dubbi interpretativi.

Da quanto esposto consegue, altresì, la non fondatezza della questione promossa per il suddetto profilo dalla Regione Calabria, perché né la normativa comunitaria (parametri interposti) né gli invocati parametri costituzionali  risultano violati.

8. — Infine, la Regione Calabria censura l’art. 6-sexies del d.l. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni nella legge n. 133 del 2008, per violazione dell’art. 119 Cost.

Dopo aver riportato il contenuto dei primi due commi della norma, la ricorrente sostiene che, per dimostrare la denunciata illegittimità costituzionale di essa, è indispensabile individuare il meccanismo sul quale incide. Pertanto, procede ad una ricostruzione assai dettagliata di tale meccanismo, risalendo anche alla delibera CIPE n. 189 del 1997, ai programmi del periodo 2000-2006 e al Quadro Comunitario di Sostegno (QCS) per le Regioni italiane dell’Obiettivo 1 2000-2006, approvato con decisione della Commissione C (2000) 2050.

All’esito di questa ricostruzione (meglio descritta in narrativa) la Regione rileva «come la norma violi l’art. 119 Cost.: infatti, per come congegnata, la stessa tende a "deviare” i rimborsi dalla naturale destinazione – e cioè il bilancio regionale – fissata dalla normativa regolamentare comunitaria (Reg. CE 1260/99 e 1083/06), con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria della Regione, privata di fondi ad essa direttamente destinati».

La questione non è fondata.

L’art. 6-sexies della normativa censurata, proponendosi la finalità di promuovere il coordinamento della programmazione statale e regionale, ed in particolare per garantire l’unitarietà dell’impianto programmatico del QSN per la politica regionale di sviluppo 2007-2013 e favorire il tempestivo e coordinato utilizzo delle relative risorse, definisce un complesso procedimento (le cui linee essenziali sono esposte nel precedente paragrafo 7.1), del quale sono momenti qualificanti l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano (comma 2) e le intese istituzionali di programma, di cui all’art. 2, comma 203, lettera b), comma 4, della legge n. 662 del 1996.

Tra l’altro, è previsto che l’intesa, nell’individuare gli interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico e rimuovere gli squilibri economici e sociali, con le priorità dalla norma stessa contemplate, tenga conto del vincolo delle precedenti assegnazioni alle amministrazioni centrali e regionali.

Orbene, in presenza di questo complesso tessuto normativo, che da un lato stabilisce criteri e obiettivi senza imporre vincoli specifici e, dall’altro, prevede adeguati momenti partecipativi delle Regioni, la ricorrente, con la scarna proposizione sopra trascritta, si limita ad affermare che la norma violerebbe l’art. 119 Cost., perché «tende a deviare» i rimborsi dalla naturale destinazione, cioè dal bilancio regionale. L’assunto si rivela privo di adeguata capacità dimostrativa, nonché espresso in forma tendenziale e quindi ipotetica. Inoltre, ignora il ruolo attribuito alle Regioni con gli strumenti di partecipazioni sopra indicati e le conseguenti implicazioni.

Ne segue la non fondatezza della questione.

9. — L’istanza di sospensione dell’efficacia delle norme impugnate, formulata col ricorso, rimane assorbita.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

riservata a separate pronunzie la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Emilia-Romagna e dalla Regione Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe, nei confronti del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 6-quater e 6-quinquies del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevate dalla Regione Calabria col ricorso in epigrafe, in riferimento all’art. 97 della Costituzione;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater, comma 2, primo periodo e 6-quiquies, commi 2 e 3, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna col ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 Cost.;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 6-quater, 6-quinquies, 6-sexies del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sollevate dalla Regione Calabria col ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, 11, 117, 118, 119 Cost.; ai principi di leale collaborazione, dell’affidamento e della certezza del diritto, nonché del generale canone di ragionevolezza delle leggi; all’art. 249 del Trattato 25 marzo 1957 (Trattato che istituisce la Comunità europea), e successive modificazioni; agli artt. 9, 13, 15, 32, 33 del Regolamento CE 11 luglio 2006, n. 1083 del 2006 (Regolamento del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il Regolamento CE n. 1260/1999).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 gennaio 2010.