SENTENZA N. 274
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso Quaranta "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, promossi con ordinanze del 9 febbraio 2004 dal Tribunale di Siena, del 17 febbraio 2004 dal Tribunale di Lecco, del 16 dicembre 2004 dalla Corte d’appello di Ancona e dell’8 settembre 2004 dal Tribunale di Catanzaro, rispettivamente iscritte ai numeri 390 e 550 del registro ordinanze 2004 e ai numeri 145 e 157 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 20 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2004 e n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di costituzione delle Storiche Cantine – Radda in Chianti s.c.r.l., dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e della Azienda agricola Saltarelli Giuseppe e Migiani Pasquale, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2006 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Federico Favilli e Stefano Coen per le Storiche Cantine – Radda in Chianti s.c.r.l., Fabrizio Correra e Antonietta Coretti per l’INPS, Pietro Michienzi per l’Azienda agricola Saltarelli Giuseppe e Migiani Pasquale e l’avvocato dello Stato Francesco Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 9 febbraio 2004, il Tribunale di Siena – in una controversia promossa contro l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) da un’azienda agricola per ottenere il rimborso di contributi previdenziali erroneamente versati senza tener conto del diritto a cumulare lo sgravio contributivo spettante alle aziende operanti in zone svantaggiate (art. 9, comma 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67) con la fiscalizzazione del contributo di malattia (art. 1, comma 6, del decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536, convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 48) – ha dichiarato non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 72 e 102 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo il quale l’art. 9, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, si interpreta nel senso che le agevolazioni di cui al comma 5 dello stesso art. 9 non sono cumulabili con i benefici di cui al comma 1 dell’art. 14 della legge 1° marzo 1986, n. 64, e al comma 6 dell’art. 1 del decreto-legge n. 536 del 1987, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 48 del 1988.
Secondo il Tribunale – poiché, prima della censurata disposizione di interpretazione autentica, la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14227 del 2000) aveva ritenuto ammissibile il cumulo fra i benefici citati – il legislatore ha inteso non tanto interpretare autenticamente il testo originario, quanto piuttosto eliminare il cumulo dei benefici. In realtà, secondo il rimettente, il presupposto per l’interpretazione autentica – ossia l’integrazione della norma interpretata con la norma di interpretazione, sì da formare un’unica disposizione univoca e coerente – non ricorre quando, come nella specie, la norma originaria abbia un’interpretazione univoca e la legge di interpretazione autentica aggiunga a quella originaria un nuovo elemento che ne muti radicalmente il significato. Ove invece la norma originaria non necessiti oggettivamente di interpretazione autentica, l'adozione di tale strumento da parte del legislatore lede il potere giurisdizionale, in quanto si risolve nell’imposizione di un’interpretazione contraria al dettato normativo originario.
1.1. – Si sono costituiti sia la ricorrente società Storiche Cantine Radda in Chianti s.r.l., che ha aderito all’ordinanza di rimessione chiedendo che la disposizione censurata sia dichiarata incostituzionale, sia l’INPS che ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di costituzionalità.
1.2. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha concluso parimenti per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di costituzionalità.
L’Avvocatura rileva che la controversia pendente innanzi al giudice rimettente concerne non la misura dei contributi assicurativi ordinari, ma la misura dei due benefici contributivi in riferimento ad un eventuale cumulo. E sottolinea che l’istituto previdenziale si è sempre opposto al cumulo, onde deve escludersi la natura innovativa della norma in contestazione: essa, mirando a chiarire il senso di una disposizione preesistente dal contenuto non univoco, deve considerarsi norma di interpretazione autentica, con conseguente effetto retroattivo.
La disposizione censurata, quindi, risponde al criterio di ragionevolezza e non è lesiva di eventuali giudicati già formatisi.
2. – Con ordinanza del 12 febbraio 2004, il Tribunale di Lecco, in una controversia analoga a quella prima ricordata, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione di legge, in riferimento agli artt. 101 e 104 della Costituzione.
Secondo il rimettente, il legislatore non può ricorrere a leggi di interpretazione autentica per introdurre norme in realtà innovative dotate di efficacia retroattiva.
La disposizione censurata, apparentemente di interpretazione autentica, ha l'effetto di frustrare un'aspettativa dei fruitori del beneficio previdenziale in questione per consentire un risparmio patrimoniale alla finanza pubblica. Essa inoltre, per un verso, sottrae la funzione di interpretazione delle norme giuridiche all'ordine giudiziario, e, per altro verso, estingue controversie in corso attraverso una norma che non esamina il rapporto tra i due benefici, ma – retroattivamente – disciplina la situazione delle imprese che svolgono attività agricola in zone svantaggiate.
2.1. – Si è costituito l’INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo entrambi per l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di costituzionalità.
3. – Con ordinanza del 16 dicembre 2004, la Corte d’appello di Ancona – in una controversia tra un’azienda agricola e l’INPS, pendente in grado d’appello contro la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto la cumulabilità dei benefici in esame – ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale della medesima norma.
Secondo la Corte rimettente, il legislatore, pur potendo emanare norme interpretative, come tali provviste di efficacia retroattiva, tuttavia non deve violare il principio di ragionevolezza o altri precetti costituzionalmente garantiti. In particolare, non può utilizzare tale potere per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva, in quanto così facendo la legge interpretativa tradirebbe la funzione che le è propria. Né la retroattività di una disposizione legislativa può trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica, che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto. La legge interpretativa viola poi – secondo la Corte rimettente – gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, quando sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso, o quando, oltrepassando i limiti di ragionevolezza, definisca interpretativa una norma avente invece natura innovativa.
3.1. – Si è costituita la parte privata (Azienda agricola Saltarelli Giuseppe e Migiani Pasquale) aderendo alle argomentazioni dell’ordinanza di rimessione e chiedendo la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.
Si è costituito l’INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità, con argomentazioni analoghe a quelle esposte in riferimento ai precedenti giudizi incidentali.
4. – Con ordinanza del 9 settembre 2004, il Tribunale di Catanzaro, in una controversia pendente tra un’azienda agricola e l’INPS, ha sollevato la medesima questione.
Ricostruito il quadro normativo e richiamato la citata sentenza n. 14227 del 2000 della Corte di cassazione, il rimettente osserva che il ricorso a norme di interpretazione autentica da parte del legislatore è costituzionalmente compatibile solo quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore. Nella specie, invece, l'interpretazione operata dal legislatore non era riscontrabile in alcun modo nel dato normativo preesistente. Sia il tenore letterale delle norme, sia la loro ratio, inducevano a ritenere la piena cumulabilità dei benefici previdenziali.
Sono così violati il principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonché quello dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti destinatari del beneficio previdenziale.
4.1. – Si è costituito l’INPS concludendo per l’inammissibilità o l’infondatezza della sollevata questione di costituzionalità, con argomentazioni analoghe a quelle già esposte in riferimento ai precedenti giudizi incidentali.
5. – In prossimità dell’udienza, l’Azienda agricola Saltarelli e Migiani, la società Storiche Cantine Radda in Chianti e l’INPS hanno presentato memorie insistendo nelle conclusioni già rassegnate.
Considerato in diritto
1. – La questione di legittimità costituzionale proposta dai giudici indicati in epigrafe riguarda l’art. 44, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo il quale l’art. 9, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n. 67, si interpreta nel senso che le agevolazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 9, come sostituito dall’art. 11 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, non sono cumulabili con i benefici di cui al comma 1 dell’art. 14 della legge 1° marzo 1986, n. 64, e al comma 6 dell’art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1987, n. 536, convertito con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 48.
I rimettenti sospettano la violazione degli artt. 3, 72, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione, ritenendo che la disposizione censurata, pur qualificandosi come norma di interpretazione autentica, abbia in realtà un contenuto innovativo e comporti la revoca, con efficacia retroattiva, del cumulo dei citati benefici, già ammesso dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, deducono l’intrinseca irragionevolezza della norma, la cui retroattività trasmoda in una disciplina arbitrariamente lesiva di situazioni sostanziali sorte in conformità alle leggi allora vigenti, violando l’affidamento nella stabilità dell’ordinamento e interferendo illegittimamente sull’attività della giurisprudenza, orientata invece nel senso della cumulabilità.
2. – I quattro giudizi, riguardando la stessa norma di legge, devono essere riuniti.
3. – La questione non è fondata.
La norma censurata, dichiaratamente di interpretazione autentica, regola il rapporto tra distinti benefici: a) lo sgravio contributivo in favore delle imprese agricole del Mezzogiorno, consistente in una riduzione dell’aliquota per il calcolo dei contributi agricoli unificati, previsto dall’art. 14 della legge n. 64 del 1986, modificato dal quinto comma dell’art. 1 del decreto-legge n. 536 del 1987, convertito dalla legge n. 48 del 1988, e poi ulteriormente modificato; b) la fiscalizzazione del contributo di malattia per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, mediante una riduzione, in cifra fissa per ogni dipendente, riconosciuta in favore delle imprese agricole dal sesto comma del medesimo art. 1 del citato decreto-legge; c) lo sgravio contributivo, consistente in una riduzione dell’aliquota dei contributi previdenziali ed assistenziali previsto, in favore delle imprese agricole site in territori montani o in “zone agricole svantaggiate”, dal quinto comma dell’art. 9 della legge n. 67 del 1988.
Il problema del concorso dei primi due benefici è stato espressamente risolto dal medesimo sesto comma dell’art. 1 del decreto-legge n. 536 del 1987, il quale – disponendo che dalla fiscalizzazione del contributo di malattia (sopra, sub b) «sono esclusi i datori di lavoro del settore agricolo operanti nei territori di cui all'art. 1 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno» (sopra, sub a) – pone un chiaro divieto di cumulo.
Per quanto riguarda invece il possibile concorso tra l’ultimo beneficio ed i primi due, il sesto comma dell’art. 9 della legge n. 67 del 1988 prevede che per i calcoli delle agevolazioni di cui al comma 5 (sgravi in favore delle imprese agricole site in territori montani o in zone agricole svantaggiate: sopra, sub c) – «non si tiene conto delle fiscalizzazioni» di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 1 del decreto-legge n. 536 del 1987 (sgravio contributivo di cui sopra, sub a; vera e propria fiscalizzazione di cui sopra, sub b).
4. – I giudizi all’esame dei giudici rimettenti riguardano, in particolare, l’ammissibilità del cumulo tra la fiscalizzazione del contributo di malattia e i ricordati sgravi contributivi.
La tesi della non cumulabilità è stata sostenuta dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) fin dalla circolare n. 160 del 1988, nel senso che alle aziende agricole beneficiarie di uno di tali sgravi non potesse spettare anche l’ulteriore agevolazione della fiscalizzazione del contributo di malattia.
Peraltro, dopo oltre dieci anni, la Corte di cassazione (sentenza n. 14227 del 2000) – diversamente interpretando il citato sesto comma dell’art. 9 della legge n. 67 del 1988 – ha da esso ricavato la regola per cui il beneficio della fiscalizzazione del contributo di malattia è cumulabile con ciascuno degli indicati sgravi contributivi. Ne è conseguita per le aziende agricole la possibilità di chiedere all’INPS – come nei giudizi promossi dinanzi ai rimettenti – la ripetizione delle somme versate a titolo di contributi senza tener conto del cumulo.
5. – In questa situazione di incertezza tra una costante prassi amministrativa ed un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale, il legislatore è intervenuto nel 2003 con la norma impugnata, interpretando l’art. 9, comma 6, della legge n. 67 del 1988 nel senso che le agevolazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 9 (sgravi contributivi per le imprese agricole site nei territori montani o in “zone agricole svantaggiate”) non sono cumulabili con i benefici di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 1 del decreto-legge n. 536 del 1987, convertito dalla legge n. 48 del 1988 (rispettivamente, sgravio contributivo in favore delle imprese agricole nel Mezzogiorno, e fiscalizzazione del contributo di malattia in favore delle imprese agricole tout court). È stato così esplicitato uno specifico criterio di divieto di cumulo, che si è affiancato a quello già contenuto nel citato sesto comma dell’art. 1 (sopra, n. 2).
6. – Questa Corte (sentenza n. 374 del 2002) ha già affermato – con riferimento ad altra legge di interpretazione autentica nella stessa materia degli sgravi contributivi, di contenuto non dissimile da quella in esame – che «non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell'art. 25 della Costituzione». Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di “interpretazione autentica”, che determinano – chiarendola – la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Ed è, quindi, proprio sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza che rilevano, simmetricamente, la funzione di “interpretazione autentica”, che una disposizione sia in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l’idoneità di una disposizione innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche situazioni pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che per l’avvenire. In particolare, la norma che deriva dalla legge di “interpretazione autentica” non può ritenersi irragionevole (art. 3, primo comma, Cost.) ove si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come «una delle possibili letture del testo originario» (sentenze n. 39 e n. 135 del 2006, n. 291 del 2003 e n. 374 del 2002).
Questo accade nella fattispecie in esame, poiché nella norma interpretata (sesto comma dell’art. 9 della legge n. 67 del 1988) – secondo quanto si è detto – il divieto di cumulabilità delle ricordate agevolazioni contributive era appunto, fin dall’inizio, “una delle possibili letture”, coonestata subito dall’INPS e contrastata, oltre dieci anni dopo, dall’opposta interpretazione, parimenti non implausibile, della Corte di cassazione. Ricorreva quindi una situazione di “incertezza” del dato normativo che rendeva non irragionevole il ricorso alla “interpretazione autentica”.
Quanto agli altri parametri evocati dai rimettenti, nella norma impugnata non si ravvisa alcuna compromissione dell’esercizio della funzione giurisdizionale, che opera su un piano diverso rispetto a quello del potere legislativo di interpretazione autentica (sentenze numeri 341 e 26 del 2003).
7. – In conclusione, la questione di costituzionalità deve essere dichiarata non fondata, in riferimento a tutti i parametri evocati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 72, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione, dai Tribunali di Siena, di Lecco e di Catanzaro e dalla Corte d’appello di Ancona con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2006.