SENTENZA N. 374
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), promossi con ordinanze emesse il 18 maggio 2001 dal Tribunale di Trieste, il 12 maggio 2001 dal Tribunale di Torino, il 24 maggio 2001 dal Tribunale di Gorizia, il 31 maggio 2001 dal Tribunale di Torino e il 9 maggio 2001 dalla Corte di cassazione, rispettivamente iscritte ai numeri 642, 643,658, 665 e 945 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 35, 36, 37 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione dell’ASTROFLEX s.p.a., della FINCANTIERI s.p.a., della CF Gomma s.p.a. e dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 9 aprile 2002 il Giudice relatore Franco Bile;
uditi gli avvocati Enrica Origlia per ASTROFLEX s.p.a., Luciano Spagnuolo Vigorita per FINCANTIERI s.p.a., Francesco Rocco di Torrepadula e Mario Capaccioli per CF Gomma s.p.a., Fabio Fonzo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con l’ordinanza iscritta al n. 642 del registro ordinanze del 2001, emessa il 18 maggio 2001, il Tribunale di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 101, 102 e 104 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), che ha dettato l’interpretazione autentica del sesto comma dell’art. 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, e delle sue successive modificazioni, disponendo che esso si deve interpretare <<nel senso che ai contratti di formazione lavoro non si applicano le disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali>>.
L’ordinanza è stata resa nel corso di un giudizio instaurato da una società nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), per ottenere il riconoscimento del diritto alla fiscalizzazione degli oneri sociali, ai sensi del citato art. 3 del decreto-legge n. 726 del 1984, convertito, con modificazioni, nella legge n. 863 del 1984, con riferimento ai contributi versati in relazione alla posizione di lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro.
Nel giudizio si è costituito l’INPS, contestando le pretese dell’attrice, assumendo di non poter aderire, per ragioni economiche, all’orientamento della giurisprudenza formatasi in materia e di aver interessato in proposito anche il Ministero competente.
Nel motivare la sollevata questione - prospettata anche dalla parte attrice - il rimettente osserva preliminarmente che, prima dell’entrata in vigore della norma censurata, la fattispecie era disciplinata dall’art. 3, quinto e sesto comma, del citato d.l. n. 726 del 1984, i quali, rispettivamente, prevedevano che ai contratti di formazione e lavoro si applicassero le disposizioni legislative disciplinanti il rapporto di lavoro subordinato, in quanto non derogate dallo stesso provvedimento legislativo e che <<per il lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è dovuta in misura fissa corrispondente a quella prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1995, n. 25 e successive modificazioni ferma restando la contribuzione a carico del lavoratore nelle misure previste per la generalità dei lavoratori>>.
Ricorda, quindi, il rimettente che alla luce di tali disposizioni l’INPS aveva ritenuto che la minore contribuzione così prevista per i contratti di formazione e lavoro non fosse cumulabile con il beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali e che ciò aveva dato luogo nell’arco di circa un quindicennio a vertenze giudiziali che, invece, erano sempre state risolte in senso contrario, a favore delle imprese, sia dai giudici di merito, sia dai giudici di legittimità.
Il legislatore sarebbe, dunque, intervenuto con la disposizione censurata ponendo <<una norma interpretativa del tutto nuova>>, priva di un’efficacia generale ed astratta (tenuto conto che la fiscalizzazione non opera più) ed avente, invece, un’efficacia provvedimentale retroattiva; inoltre, utilizzando lo strumento della norma interpretativa, avrebbe inciso direttamente su fattispecie ancora sub iudice, costringendo il giudice <<in osservanza del nuovo dettato legislativo a dissentire dalla interpretazione giurisprudenziale costante adottata in materia negli ultimi anni>>.
Per tali ragioni la norma censurata violerebbe gli artt. 101, 102, 104 della Costituzione - essendo diretta intenzionalmente ad incidere sui giudizi in corso - e l’art. 3 Cost. - poiché il legislatore, oltrepassando i limiti della ragionevolezza avrebbe definito come interpretativa una norma del tutto innovativa, non chiarendo un suo significato oscuro, né privilegiando una delle tante possibili interpretazioni, ma incidendo in modo nuovo sul sesto comma della norma, <<che è poi direttamente connessa a quella contenuta nel quinto comma>>.
La novità dell’intervento legislativo contrasterebbe con i limiti posti da questa Corte per la retroattività delle norme in materia civile, individuati nei principi di ragionevolezza ed uguaglianza, di tutela della certezza dell’ordinamento giuridico, e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
1.1.- E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, depositando memoria, nella quale ha sostenuto la manifesta infondatezza della questione.
Al riguardo ricorda che circolari emanate dall’INPS, su conforme parere del Ministero del lavoro, avevano ritenuto l’inapplicabilità della fiscalizzazione degli oneri sociali al contratto di formazione e lavoro. Sostiene, inoltre, che l’argomento in contrario desunto dal rinvio alle disposizioni in materia di lavoro subordinato non poteva concernere il regime dei benefici, attesa la diversa natura dei rapporti in considerazione e come confermerebbe il fatto che, qualora il lavoratore, al termine del contratto di formazione e lavoro fosse stato assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, dalla data di efficacia di quest’ultimo il diritto dell’impresa alla fiscalizzazione veniva riconosciuto secondo le norme e i criteri di carattere generale.
Rileva, infine, che l’accoglimento della questione comporterebbe, secondo una valutazione dell’INPS, oneri a carico della finanza pubblica per circa 1.300 miliardi di lire.
1.2. - Si è costituito l’INPS, depositando memoria in cui sostiene l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.
Sotto il primo aspetto, sostiene che il giudice rimettente avrebbe dato per scontata la rilevanza della questione, senza preventivamente domandarsi se sia consentito chiedere ora per allora il riconoscimento di un beneficio contributivo che avrebbe lo scopo principale ed esclusivo di incrementare l’occupazione attraverso un sostegno economico alle imprese.
Nel merito, la questione sarebbe infondata, in quanto riconosciuta la legittimità di interventi di interpretazione autentica, essi non potrebbero ritenersi limitati ai casi in cui si fossero verificati contrasti giurisprudenziali.
L’INPS sottolinea, quindi, che l’interpretazione contraria all’applicabilità della fiscalizzazione degli oneri sociali al contratto di formazione e lavoro - alla quale esso si era attenuto - era stata fatta propria dal Governo, come risultava da una circolare del Ministero del lavoro del 4 ottobre 1993. D’altro canto, il legislatore avrebbe discrezionalità in materia di agevolazioni contributive <<sulla base di autonomi parametri di bilancio e di politica legislativa>>.
Per il caso, invece, che questo rilievo non si condivida, l’INPS sostiene che un impedimento al legislatore ad introdurre la deroga attraverso una norma interpretativa o innovativa e retroattiva non potrebbe derivare dal principio dell’affidamento, posto che nella specie un affidamento nell’interpretazione difforme da quella accolta dal legislatore non vi sarebbe stato, come si evincerebbe anche dal fatto che l’attrice non aveva applicato il beneficio.
Infine, non potrebbe impedirsi al legislatore di innovare retroattivamente una disciplina agevolativa.
2.- Con l’ordinanza iscritta al n. 643 del registro ordinanze del 2001, pronunciata il 12 maggio 2001, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato anch’esso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge n. 388 del 2000, in riferimento agli artt. 3, 101, 102 e 104 della Costituzione.
L’ordinanza è stata resa nel giudizio promosso da una s.p.a. contro l’INPS, per ottenerne la condanna alla restituzione di contributi a suo dire indebitamente versati, fondando la pretesa per la quasi totalità della somma richiesta in restituzione, sull’applicabilità - con riferimento a contratti di formazione e lavoro - del regime di fiscalizzazione degli oneri sociali.
L’INPS, costituitosi in giudizio, ha invocato la norma censurata, sostenendone l’efficacia retroattiva, in quanto norma di interpretazione autentica, e l’attrice ha replicato adducendo che la norma avrebbe invece carattere innovativo e non troverebbe applicazione ai rapporti sorti anteriormente alla sua emanazione. In subordine, ne ha eccepito l’incostituzionalità.
Il rimettente, disattesa la replica, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata.
Al riguardo osserva anzitutto come fosse pacifico l’orientamento interpretativo che - per i contratti di formazione e lavoro - riteneva cumulabili i due benefici, della ridotta misura dei contributi gravanti sul datore di lavoro e della fiscalizzazione degli oneri sociali. La norma censurata non sarebbe, dunque, intervenuta a sanare alcun dissidio interpretativo.
Afferma quindi che la Corte costituzionale ha ritenuto ammissibile <<l’interpretazione, con efficacia retroattiva, di norme già esistenti>>, ritenendole non lesive degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, a meno che esse non incidano sul giudicato già formatosi <<o non siano intenzionalmente dirette ad incidere sui giudizi in corso>> ed assoggettandole al sindacato di ragionevolezza.
Richiama, quindi, la sentenza di questa Corte n. 402 del 1993, assumendo che essa avrebbe ritenuto ammissibile anche un intervento di interpretazione autentica motivato dall’intento di contrastare un’opzione interpretativa consolidatasi in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore, ma a condizione che la diversa interpretazione legislativamente imposta fosse ragionevolmente prospettabile come alternativa a quella consolidatasi. Ma tale presupposto non ricorrerebbe nel caso di specie, in quanto - come emergerebbe dalla giurisprudenza della Cassazione - l’orientamento favorevole all’applicabilità della fiscalizzazione costituiva l’unica soluzione interpretativa razionalmente prospettabile.
Sulla base di tali motivazioni, il rimettente assume la violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Quanto alla violazione degli altri parametri, rileva che, essendo ormai cessato dal 1998 il beneficio della fiscalizzazione, il problema della cumulabilità si poneva solo per il passato: onde la norma censurata avrebbe avuto esclusivamente la finalità di intervenire su giudizi in corso.
2.1.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si è costituito l’INPS. Le relative memorie sono di tenore identico rispetto a quelle depositate nel giudizio di cui all’ordinanza n. 642 del 2001.
2.2. - Si è costituita, altresì, la parte privata, depositando memoria, nella quale – dopo un’ampia premessa ricostruttiva sull’evoluzione della normativa sui contratti di formazione e lavoro ed in particolare sul loro regime contributivo, nonché sulla fiscalizzazione degli oneri sociali – sostiene l’impossibilità di negare l’applicabilità della fiscalizzazione ai contratti di formazione e lavoro.
Rileva, poi, che, intervenuto l’art. 3, quinto comma, del d.l. n. 726 del 1984, introdotto dalla legge di conversione n. 863 del 1984, l’equiparazione dei contratti di formazione e lavoro ai normali rapporti di lavoro subordinato avrebbe confermato che essi beneficiavano della fiscalizzazione.
D’altro canto, l’intenzione del legislatore di consentire l’applicabilità della fiscalizzazione derivava dalla comunanza di scopi delle leggi sulla fiscalizzazione e di quelle sui contratti di formazione e lavoro, mirando le une e le altre a ridurre il costo del lavoro al fine di incrementare l’occupazione.
Ne deriverebbe la conferma del carattere di norma innovativa della disposizione censurata, da riferire non solo all’art. 3 del d.l. n. 726 del 1984, ma anche agli artt. 5 del d.l. n. 173 del 1988 e 8, commi 1, 2 e 3, della legge n. 407 del 1990.
A sostegno della fondatezza della questione in relazione all’art. 3 della Costituzione, richiama poi una serie di decisioni di questa Corte, per desumerne il principio che quando il legislatore definisce interpretativa una norma innovativa, conferendole efficacia retroattiva, sarebbe violato l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
Per il caso in cui la norma censurata si dovesse considerare invece interpretativa, sostiene che la retroattività del suo operare sarebbe nella specie lesiva del principio di ragionevolezza, sia perché l’effetto retroattivo opererebbe per ben sedici anni, così sacrificando l’affidamento dei destinatari della norma interpretata, sia perché l’interpretazione proposta dalla norma censurata è intervenuta non in una situazione di contrasto giurisprudenziale ma, al contrario, in senso opposto ad un orientamento pacifico e senza che l’interpretazione accolta si possa configurare come una delle interpretazioni possibili.
La società sostiene ancora che l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche quanto al principio di eguaglianza, per l’ingiustificata disparità di trattamento tra i datori di lavoro, secondo che la stipula dei contratti di formazione e lavoro fosse o meno avvenuta sotto il vigore della norma autenticamente interpretata, senza una ragione giustificativa della diversità di trattamento.
Infine, aderisce alla prospettazione dell’ordinanza di rimessione con riferimento ai parametri degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.
3.- Con l’ordinanza iscritta al n. 658 del registro ordinanze del 2001, pronunciata il 24 maggio 2001, il Tribunale di Gorizia, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato anch’esso questione di legittimità dell’art. 68, comma 5, della legge n. 388 del 2000, in relazione all’art. 3 della Costituzione, nel corso di un giudizio introdotto da una s.p.a. contro l’INPS per ottenere il riconoscimento del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali in relazione alla posizione di lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro e per la consequenziale condanna dell’INPS al rimborso parziale della contribuzione versata.
Il rimettente muove dalla premessa che la norma censurata non sarebbe di interpretazione autentica, ma avrebbe carattere innovativo con efficacia retroattiva, sia per l’assenza di contrasti interpretativi, sia per il notevole lasso di tempo intercorso fra norma interpretata e norma interpretante. Il contrasto fra il fine perseguito dal legislatore ed il mezzo utilizzato configurerebbe <<un caso esemplare di sviamento strumentale della funzione legislativa>>, con violazione dell’art. 3 Cost., per intrinseca irragionevolezza.
Richiama, quindi, giurisprudenza di questa Corte per sottolineare che nel giudizio di legittimità costituzionale sarebbe irrilevante verificare se una norma abbia carattere interpretativo od innovativo con efficacia retroattiva, perché nell’uno come nell’altro caso la legge è sempre soggetta al controllo di conformità al canone generale di ragionevolezza, dovendo la retroattività (non impedita a livello costituzionale fuori della materia penale) pur sempre trovare adeguata giustificazione su quel piano e non porsi in contrasto con altri principi o valori costituzionalmente protetti, fra i quali vi sarebbe l’affidamento del cittadino nella sicurezza.
La norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di affidamento, sia in considerazione della pregressa esistenza del segnalato unanime orientamento giurisprudenziale, sia del rilevante lasso di tempo trascorso dall’intervento della norma interpretata, sia per l’insussistenza di un’adeguata ragione giustificativa della sua retroattività, tenuto conto della piena compatibilità fra i due istituti della fiscalizzazione e del contratto di formazione e lavoro, rispettivamente volti a favorire l’occupazione attraverso un sostegno alle imprese ed a favorire l’occupazione giovanile, nonché della circostanza che il beneficio della riduzione contributiva accordato al datore di lavoro per i contratti di formazione e lavoro a far tempo dal 1° giugno 1988 si è progressivamente attenuato, fino ad arrivare al 25% in meno dell’onere contributivo normale (essendo venuta meno per effetto del d.l. n. 173 del 1988, convertito nella legge n. 291 del 1988, l’equiparazione alla categoria degli apprendisti, che sola avrebbe potuto offrire un appiglio alla tesi dell’esclusione dell’applicabilità della fiscalizzazione).
3.1.- E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si è costituito l’INPS. Le relative memorie sono di tenore identico rispetto a quelle depositate nel giudizio di cui all’ordinanza n. 642 del 2001.
3.2. - Si è costituita la parte privata, depositando memoria, nella quale sostiene la fondatezza della questione.
A suo avviso, la norma censurata avrebbe avuto il solo fine di introdurre un nuovo precetto normativo dotato di portata retroattiva e non sarebbe una norma interpretativa, giacché il carattere distintivo di quest’ultima - fermo che l’autoqualificazione sarebbe da sola insufficiente - si individuerebbe nello stretto collegamento con la legge da interpretare, occorrendo che la scelta assunta dalla norma interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato. In difetto, la legge non può essere considerata realmente interpretativa.
La norma censurata non rispetterebbe questi criteri, poiché con il suo testo non sarebbero connesse né la norma dell’art. 3 del d.l. n. 726 del 1984, convertito con modificazioni nella legge n. 863 del 1984, né l’art. 5 del d.l. n. 173 del 1988, convertito nella legge n. 108 del 1991, né l’art. 8 della legge n. 407 del 1990.
Sulla base di tali premesse, sostiene che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, ed anche per la disparità di trattamento a beneficio dei datori di lavoro che prima dell’intervento della norma avevano ottenuto una sentenza già passata in giudicato favorevole al riconoscimento della fiscalizzazione. Sotto tale profilo, sarebbe violato anche l’art. 41 della Costituzione.
Inoltre, deduce la violazione del principio dell’affidamento, per l’ampio spazio temporale intercorso fra la norma asseritamene interpretata e quella censurata e per l’inesistenza di un contrasto interpretativo.
La memoria si chiude con argomentazioni a sostegno dell’illegittimità della norma per violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, che, tuttavia, non sono evocati dall’ordinanza di rimessione.
4. - Con l’ordinanza iscritta al n. 665 del registro ordinanze del 2001, pronunciata il 31 maggio 2001, il Tribunale di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato anch’esso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge n. 388 del 2000 in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
L’ordinanza è stata resa nel corso del giudizio introdotto da una s.p.a. nei confronti dell’INPS per ottenerne la condanna alla restituzione di contributi indebitamente versati in relazione a vari contratti di formazione e lavoro, da essa stipulati.
Dopo avere osservato che la domanda sarebbe stata accoglibile alla stregua dell’art. 3, quinto e sesto comma, del d.l. n. 726 del 1984, sulla base dell’orientamento unanime della giurisprudenza di legittimità e di merito favorevole al cumulo fra il sistema contributivo previsto per detta tipologia di contratti e quello della fiscalizzazione, il rimettente rileva che questa soluzione è esclusa dalla norma censurata. Assume, quindi, che essa sarebbe diretta non a chiarire il senso delle disposizioni preesistenti o ad escludere una delle alternative interpretative dal suo testo potenzialmente desumibili, perché nessun dubbio interpretativo era emerso sulla applicabilità della fiscalizzazione, bensì ad intervenire sui giudizi in corso in contrasto con un’interpretazione che si era ormai consolidata.
Ciò non sarebbe consentito dall’art. 3 della Costituzione. D’altronde nella specie non ricorrerebbe nemmeno la possibilità di prospettare ragionevolmente la interpretazione contraria a quella della giurisprudenza.
4.1. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si è costituito l’INPS. Le relative memorie sono di tenore identico rispetto a quelle depositate nel giudizio di cui all’ordinanza n. 642 del 2001.
5. - Con l’ordinanza iscritta al n. 945 del registro ordinanze del 2001, pronunciata il 9 maggio 2001, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato anch’essa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge n. 388 del 2000, in relazione all’art. 3, primo comma, della Costituzione.
L’ordinanza è stata resa in sede di esame del ricorso proposto dall’INPS contro una s.p.a., per la cassazione di una sentenza resa in grado d’appello dal Tribunale di Torino a conferma di quella di primo grado del Pretore di Torino, con la quale era stata accolta l’opposizione proposta dalla società avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dall’INPS per contributi non versati per effetto della cumulativa applicazione, sulle retribuzioni corrisposte a lavoratori assunti con contratti di formazione e lavoro, delle riduzioni di aliquota contributiva e della fiscalizzazione degli oneri sociali.
Al ricorso dell’INPS la società ha resistito con controricorso, fra l’altro eccependo l’illegittimità costituzionale della norma censurata.
La Corte rimettente ricorda anzitutto di avere affrontato numerose volte la questione della compatibilità fra contratto di formazione e lavoro e fiscalizzazione degli oneri sociali, risolvendola positivamente, sulla base dell’argomento della mancanza di un’espressa deroga legislativa, in particolare, considerando che la normativa relativa alla fiscalizzazione non esclude esplicitamente dal beneficio i lavoratori assunti con quella tipologia contrattuale.
La Corte rimettente - preso atto che la norma censurata contraddice l’orientamento da essa espresso e che non ne è possibile una diversa lettura - motiva la sollevata questione ricordando anzitutto gli argomenti con cui l’eccezione di illegittimità costituzionale è stata fatta valere dalla controricorrente, imperniati sul contrasto della norma censurata con l’art. 3 Cost. per il carattere innovativo della stessa, sulla disparità di trattamento che si sarebbe venuta a creare tra datori di lavoro cui il beneficio era stato accordato e datori di lavoro che lo rivendicano in giudizio e sulla lesione dell’affidamento.
Rileva, quindi, che, in base alla giurisprudenza costituzionale, il legislatore può emanare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative anche in presenza di un orientamento omogeneo della Corte di cassazione, purché la scelta interpretativa imposta rientri tra le varianti possibili del senso del testo interpretato e siano rispettati il principio di ragionevolezza ed eguaglianza, la tutela dell’affidamento e le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Secondo la rimettente, nel caso di specie verrebbe in rilievo l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, che non potrebbe essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti. Inoltre, la finalità di contrazione della spesa pubblica sottesa alla norma censurata non sarebbe sufficiente a giustificare la violazione degli indicati principi.
La rimettente rileva poi come la norma censurata sia intervenuta a distanza di oltre sedici anni dalla norma interpretata, quando ormai le disposizioni sulla fiscalizzazione degli oneri sociali non erano, in gran parte, più in vigore; possa determinare distorsioni della concorrenza fra datori di lavoro che abbiano già definito la vertenza contributiva con l’INPS prima della sua entrata in vigore e datori di lavoro che non l’abbiano definita; e leda l’affidamento del cittadino nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative esistenti in un dato periodo storico senza una ragionevole necessità.
Infine, la rimettente osserva che nel giudizio a quo l’INPS aveva richiesto ed ottenuto con il decreto ingiuntivo anche le sanzioni relative ai contributi omessi e che nel campo previdenziale non esiste una norma come l’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), che esclude l’irrogazione di sanzioni tutte le volte in cui la violazione dipenda da condizioni obiettive di incertezza sull’ambito della norma tributaria, ed anzi l’art. 116, commi 8, 10, 11 e 15, lettera a), della stessa legge n. 38 del 2000, di cui fa parte la norma impugnata, prevede, in ipotesi analoghe in campo previdenziale, solo una riduzione delle sanzioni civili.
5.1. – E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e si è costituito l’INPS. Le relative memorie sono di tenore identico rispetto a quelle depositate nel giudizio di cui all’ord. n. 642 del 2001.
5.2. - Si è costituita, altresì, la parte privata, depositando memoria.
Dopo avere ricordato la giurisprudenza della Corte sulla qualificazione di una norma come di interpretazione autentica, afferma che, dall’esame comparativo fra la norma interpretata e la norma interpretatrice impugnata, emergerebbe il carattere innovativo di quest’ultima, e rileva che non è contestabile il potere del legislatore di dettare norme retroattive, con il limite per il settore penale dell’art. 25 della Costituzione e comunque degli altri precetti costituzionali.
Sostiene che la disposizione censurata sarebbe lesiva del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., sia sotto il profilo della razionalità, sia sotto quello dell’affidamento del cittadino, mancando nella specie il presupposto giustificativo dell’esistenza di gravi anfibologie o interpretazioni contrastanti ed essendo, in conseguenza, priva di ogni giustificazione la retroattività della norma.
La violazione del principio di eguaglianza emergerebbe, in particolare, confrontando la posizione di coloro che, in applicazione dell’originario dettato normativo avevano ottenuto pronunce definitive di rigetto di pretese contributive dell’INPS analoghe a quelle oggetto del giudizio a quo e la posizione di coloro che, a causa del protrarsi dei giudizi, oppure del tardivo esercizio da parte dell’ente dei suoi diritti, si vedono gravati di una nuova e non prevedibile, all’epoca, obbligazione contributiva.
L’irrazionalità della norma censurata sarebbe evidenziata dalla scelta del legislatore di procedere all’interpretazione di una norma che era stata per lungo tempo interpretata in modo incontroverso, e di attribuire alla norma interpretata un significato nuovo. Con specifico riguardo alla lesione dell’affidamento del cittadino, osserva anche che la finalità di contrazione della spesa pubblica sottesa alla disposizione impugnata non sarebbe ragione sufficiente a salvare la norma.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze propongono la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), secondo cui l’art. 3, sesto comma, del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, <<si interpreta nel senso che ai contratti di formazione e lavoro non si applicano le disposizioni in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali>>.
I giudizi, concernendo la stessa disposizione, possono essere riuniti.
2. - Il contratto di formazione e lavoro è stato introdotto dal citato decreto-legge n. 726 del 1984 per i lavoratori di età compresa fra i 15 ed i 29 anni.
In particolare l’art. 3 - premesso al quinto comma che a tale contratto si applica la disciplina relativa al rapporto di lavoro subordinato, se non espressamente derogata - dispone al sesto comma che la quota di contribuzione a carico del datore di lavoro è dovuta nella misura fissa prevista per gli apprendisti dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25 (Disciplina dell’apprendistato). L’entità di questi contributi è stata poi (salve talune eccezioni) sganciata dalla misura stabilita per gli apprendisti e fissata in una frazione dell’importo normale (art. 5 del decreto-legge 30 maggio 1988, n. 173, convertito nella legge 26 luglio 1988, n. 291; art. 8, commi 1, 2 e 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, Disposizioni diverse per la attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993).
Sorto il problema se i datori di lavoro possano cumulare con il beneficio della misura ridotta della contribuzione anche quello della fiscalizzazione degli oneri sociali, la soluzione negativa - a lungo sostenuta in sede giudiziaria dall’INPS, con risultati prevalentemente sfavorevoli - è ora imposta dalla norma impugnata, che si autoqualifica di interpretazione autentica.
3. – Secondo i rimettenti, la norma viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per irragionevolezza (tutte le ordinanze), per lesione dell’affidamento del cittadino nella certezza dei rapporti giuridici (ordinanze nn. 642, 658 e 945) e per disparità di trattamento (ordinanza n. 945), nonché le attribuzioni del potere giudiziario di cui agli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione (ordinanze nn. 642 e 643).
La questione è infondata sotto ogni profilo.
4. - Tutte le ordinanze, nel denunciare la norma per irragionevolezza, partono dall’esame della sua natura e rilevano come la giurisprudenza non avesse dubbi sull’applicabilità del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali al contratto di formazione e lavoro.
Da questa premessa, le ordinanze nn. 642 e 658 deducono che la norma, pur definendosi interpretativa, è in realtà innovativa e retroattiva e perciò lede il principio di ragionevolezza; invece le ordinanze nn. 643, 665 e 945 non contestano che la norma sia interpretativa, ma la ritengono irragionevole perché eccede i limiti entro cui possono essere dettate norme di interpretazione autentica, come tali retroattive.
5. - Questa Corte ha più volte affermato che non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi - non è stato elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell'art. 25 della Costituzione. Quindi il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva - interpretative o innovative che siano - purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. E proprio sotto l'aspetto del controllo di ragionevolezza, può rilevare la c.d. funzione di interpretazione autentica che una norma sia chiamata a svolgere con efficacia retroattiva (fra le altre, sentenza n. 229 del 1999).
La Corte ha anche affermato che il legislatore può porre norme che precisino il significato di altre norme non solo ove sussistano situazioni di incertezza nell'applicazione del diritto o siano insorti contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di indirizzi omogenei, se la scelta imposta per vincolare il significato ascrivibile alla legge anteriore rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario: in tali casi, il problema da affrontare riguarda non la natura della legge, ma i limiti che incontra la sua portata retroattiva, alla luce del principio di ragionevolezza (sentenza n. 525 del 2000).
6. - Nella specie è ben vero che, prima della norma impugnata, la giurisprudenza riteneva applicabile al contratto di formazione e lavoro il beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali.
Ma è anche vero che l’INPS aveva sempre contestato questo orientamento, emanando circolari di opposto contenuto e inducendo incertezza fra i datori di lavoro, come dimostrano le fattispecie sottoposte ai rimettenti: esse si riferiscono sia ad azioni proposte contro l’INPS da datori di lavoro che, avendo calcolato i contributi senza tener conto della fiscalizzazione, chiedevano la restituzione di somme a loro avviso indebitamente versate, sia ad azioni proposte dall’INPS contro datori di lavoro per omissioni contributive derivanti dall’applicazione, ritenuta dall’Istituto illegittima, di quel beneficio.
Considerando la situazione non più tollerabile, il legislatore è intervenuto stabilendo che la disciplina del contratto di formazione e lavoro deve essere interpretata - secondo una delle possibili letture del testo originario – nel senso dell’inapplicabilità della fiscalizzazione. Il carattere retroattivo di tale intervento mira ad evitare il prolungamento dell’incertezza, per le rilevanti dimensioni del contenzioso in corso e la gravità dei suoi riflessi sulla spesa previdenziale.
Perciò deve escludersi che la norma sia irragionevole o leda valori e interessi costituzionalmente protetti.
7. - L’ordinanza n. 945 ritiene poi che la norma in esame provochi una disparità di trattamento fra datori di lavoro, alterando la concorrenza a favore di quelli che, prima della sua entrata in vigore, avessero già definito i loro rapporti con l’INPS.
Ma la sottrazione di taluni datori di lavoro agli effetti retroattivi della norma – derivante dalla definizione di quei rapporti, comunque avvenuta - è un dato di mero fatto, collegato al fluire del tempo e al comportamento degli interessati, che di per sé non lede il principio di eguaglianza (sentenze nn. 6 del 1994 e 311 del 1995).
8. – Secondo le ordinanze nn. 642, 658 e 945, la norma impugnata è irragionevole perché viola l’affidamento del cittadino nella certezza delle situazioni giuridiche.
La censura - estranea ai casi in cui i datori di lavoro abbiano calcolato i contributi senza avvalersi della fiscalizzazione, così mostrando di non nutrire su di essa alcun affidamento – si può riferire solo alle opposte fattispecie in cui sia l’INPS ad agire per omissioni contributive di datori di lavoro che della fiscalizzazione abbiano invece tenuto conto.
Tale affidamento si riferirebbe peraltro alla spettanza di un’agevolazione, la cui attribuzione postula valutazioni e scelte, ampiamente discrezionali, di politica legislativa; e comunque nella specie non è configurabile, per le ragioni prima indicate (retro, n. 6), una situazione in cui possa essere avanzata una pretesa di affidamento costituzionalmente tutelabile.
9. - L’ordinanza n. 945 argomenta infine che le violazioni di obblighi previdenziali dipendenti (come nel caso di specie) da obiettiva incertezza sull’ambito della norma impositiva sarebbero soggette ad un regime ingiustificatamente diverso da quello delle corrispondenti violazioni in materia tributaria: per queste infatti l’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente) esclude l’irrogazione di sanzioni, mentre per le prime l’art. 116, commi 8, 10, 11 e 15, lettera a), della stessa legge n. 388 del 2000, di cui fa parte la norma impugnata, prevede solo una riduzione delle sanzioni civili.
Ma – a parte ogni altra considerazione - le norme da cui il regime differenziato discenderebbe non sono state dalla rimettente specificamente censurate.
10. - Infondata è anche la censura formulata dalle ordinanze nn. 642 e 643, secondo cui la norma impugnata, intervenendo direttamente sui giudizi in corso relativi all’applicabilità della fiscalizzazione, lederebbe le attribuzioni del potere giudiziario, così violando gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione.
La Corte ha più volte affermato che l’intervento legislativo retroattivo, tanto con norma di interpretazione autentica quanto con norma innovativa, opera sul piano delle fonti, ossia della regula juris che il giudice deve applicare, e quindi non incide sulla potestà di giudicare e sull’ambito riservato alla funzione giurisdizionale (fra le altre, sentenze nn. 432 del 1997 e 229 del 1999).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), sollevata dal Tribunale di Trieste e dal Tribunale di Torino, rispettivamente con le ordinanze iscritte al n. 642 ed al n. 643 del registro ordinanze del 2001, in riferimento agli articoli 3, 101, 102 e 104 della Costituzione, e dal Tribunale di Gorizia, dal Tribunale di Torino e dalla Corte di cassazione, rispettivamente con le ordinanze iscritte al n. 658, al n. 665 ed al n. 945 del registro ordinanze del 2001, in riferimento al solo articolo 3 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Franco BILE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.