Sentenza n. 20 del 2010

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SENTENZA N. 20

ANNO 2010

 

Commento alla decisione di

 

Matteo Timiani

Comunicazione elettronica: dalla Corte (e dalle Regioni) ci si poteva aspettare di più

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

- Ugo                             DE SIERVO                                      Giudice

- Paolo                           MADDALENA                                       "

- Alfio                            FINOCCHIARO                                     "

- Franco                         GALLO                                                    "

- Luigi                            MAZZELLA                                            "

- Gaetano                       SILVESTRI                                             "

- Sabino                         CASSESE                                                "

- Maria Rita                   SAULLE                                                  "

- Giuseppe                     TESAURO                                               "

- Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

- Giuseppe                     FRIGO                                                     "

- Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

- Paolo                           GROSSI                                                  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 14, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), promossi dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna con ricorsi notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ed il 24 ottobre 2008 ed iscritti ai nn. 69 e 74 del registro ricorsi 2008.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Luigi Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Lucia Bora per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il 22 ottobre successivo e iscritto al n. 69 del registro ricorsi del 2008, la Regione Emilia-Romagna ha promosso questioni di legittimità costituzionale relative a numerose disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008, e, tra queste, dell’art. 2, comma 14.

2. – Premette la ricorrente che nell’art. 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 sono previste diverse disposizioni volte nel loro complesso a favorire la diffusione della c.d. «banda larga», attraverso l’installazione di reti ed impianti in fibra ottica; fra queste il comma 14 dell’art. 2 prevede che «i soggetti pubblici non possono opporsi alla installazione nella loro proprietà di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ad eccezione del caso che si tratti di beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle province e dei comuni e che tale attività possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio. L’occupazione e l’utilizzo del suolo pubblico per i fini di cui alla presente norma non necessitano di autonomo titolo abilitativo».

La Regione ricorrente lamenta, anzitutto, la mancata inclusione delle Regioni tra gli enti il cui patrimonio indisponibile è presidiato dalla citata clausola di salvaguardia. Pur ipotizzando che la denunciata omissione potrebbe essere il frutto di una «svista del legislatore», la ricorrente contesta la violazione dell’art. 119, ultimo comma, della Costituzione: il rinvio, contenuto in questa disposizione, ad una legge dello Stato per la disciplina del patrimonio delle autonomie territoriali, non può essere interpretato nel senso di abilitare la fonte statale a prevedere compressioni di tali patrimoni senza il necessario bilanciamento degli interessi in gioco. Inoltre, la legge statale non è legittimata a consentire sacrifici degli interessi regionali che non siano proporzionati rispetto alle finalità perseguite o a precludere l’adozione di soluzioni che consentano di ugualmente garantire la finalità di sviluppo delle comunicazioni elettroniche.

La Regione Emilia-Romagna denuncia, per le medesime ragioni suesposte, la violazione dell’art. 118 della Costituzione.

Per la ricorrente, poi, la mancata inclusione del patrimonio indisponibile delle Regioni nella clausola di salvaguardia in oggetto determinerebbe a carico delle medesime un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a quello riservato alle altre autonomie territoriali, con conseguente violazione dell’art. 3 della Costituzione.

Per la ricorrente l’inosservanza degli artt. 118 e 119 della Costituzione sussisterebbe anche in relazione ad interventi infrastrutturali su aree del patrimonio disponibile. Anche con riferimento a quest’ultima ipotesi non sarebbe legittima «la astratta precostituzione per legge di una generica ed apodittica affermazione di prevalenza – sempre e comunque – dell’interesse dello sviluppo della banda larga rispetto alle legittime pretese delle Regioni titolari di beni interessati da tale sviluppo».

Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta la violazione dell’autonomia patrimoniale e finanziaria della Regione, garantita dall’art. 119 della Costituzione, «oltre che del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3» della Costituzione, giacché l’art. 2, comma 14, non contempla alcun compenso o canone per l’utilizzo di suolo pubblico. L’impugnata disposizione irragionevolmente assoggetterebbe gli enti pubblici ad un trattamento deteriore rispetto a quello garantito ai soggetti privati, a favore dei quali è comunque assicurata almeno un’indennità, nel caso in cui le installazioni siano tali da «impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione», come si ricaverebbe a contrario dall’art. 91, commi 3 e 5, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), espressamente richiamato dall’impugnata disposizione.

3. – Con atto depositato il 10 novembre 2008, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Il resistente richiama, in via preliminare, la sentenza n. 336 del 2005 con la quale questa Corte ha dichiarato inammissibili, in relazione agli artt. 117 e 118 della Costituzione, e infondate, in relazione all’art. 119 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 90 e 91 del decreto legislativo n. 259 del 2003.

Inoltre, per la parte resistente la questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna sarebbe «generica ed astratta», in quanto non specificherebbe gli interessi ed i «servizi concreti» da tutelare, atteso che «la regione è organismo di programmazione e gestisce i propri servizi attraverso le province e gli enti locali».

Infine – sostiene la difesa erariale – la questione sarebbe semmai superabile «in via interpretativa».

4. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008, depositato il 24 ottobre successivo e iscritto al n. 74 del registro ricorsi del 2008, la Regione Toscana ha promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008, e, tra queste, dell’art. 2, comma 14.

5. – Per la ricorrente, non avrebbe alcuna giustificazione la mancata inclusione anche dei beni del patrimonio indisponibile regionale tra quelli che possono legittimare, in quanto funzionali a scopi e utilizzi pubblici, l’opposizione alla installazione di reti ed impianti interrati, ove tale attività possa recare turbativa al pubblico servizio.

La contestata omissione – precisa la difesa regionale – appare idonea ad ostacolare l’esercizio delle funzioni regionali cui i suddetti beni sono strumentali e a ledere il corretto utilizzo di tali beni, con conseguente violazione degli artt. 117 e 119, ultimo comma, della Costituzione.

6. – Con atto depositato il 10 novembre 2008, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa erariale ripropone le medesime argomentazioni addotte, al riguardo, nell’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso iscritto al n. 69 del registro ricorsi del 2008.

7. – Con memoria depositata il 9 novembre 2009, la Regione Toscana ha ulteriormente argomentato in ordine alla asserita incostituzionalità dell’impugnato art. 2, comma 14.

All’obiezione del resistente secondo cui la sollevata questione sarebbe generica ed astratta, non avendo il ricorso specificato gli interessi ed i servizi che la Regione avrebbe inteso tutelare, malgrado la sua natura di ente di programmazione che gestisce i servizi attraverso gli enti locali, la difesa regionale replica che la denunciata disposizione si riferisce alla titolarità della proprietà del bene e non già alla competenza all’esercizio del servizio. Ne consegue l’irrilevanza dell’attribuzione agli enti locali della gestione di servizi che implicano l’utilizzazione di beni appartenenti al patrimonio indisponibile regionale.

Pertanto sarebbe violato l’art. 117 della Costituzione, in quanto i predetti beni sono strumentali all’esercizio delle funzioni che la Regione ha disciplinato con proprie leggi, nell’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali.

La difesa regionale ribadisce, inoltre, la violazione dell’art. 119, ultimo comma, della Costituzione, in quanto l’impugnata disposizione non terrebbe conto della disponibilità patrimoniale che l’evocata norma costituzionale garantisce alle Regioni.

Ove la mancata inclusione del patrimonio indisponibile nella clausola di salvaguardia in questione fosse ascrivibile ad una «mera dimenticanza del legislatore», secondo la parte ricorrente sarebbe sufficiente la pronuncia di una sentenza interpretativa.

8. – Con memoria depositata il 18 novembre 2009, la Regione Emilia-Romagna contesta l’eccezione, prospettata dalla parte resistente, circa la natura generica ed astratta della questione di costituzionalità relativa alla mancata considerazione, da parte dell’impugnata disposizione, del patrimonio indisponibile delle Regioni. La Regione ha, invero, argomentato la pretesa violazione degli articoli 3, 118 e 119 della Costituzione, «e pare chiaro che la libertà di installazione di reti di comunicazione nelle proprietà regionali produce una lesione concreta dell’autonomia regionale».

Nel merito, la difesa regionale sostiene che l’impugnata disposizione avrebbe inteso soltanto richiamare la formula usata nell’art. 826, secondo comma, codice civile, la quale mira ad includere nel patrimonio indisponibile tutti i beni destinati ad un fine pubblico, e non solo quelli utilizzati ai fini della erogazione di un servizio pubblico. A questo proposito, è richiamato l’art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario), che contempla anche beni non destinati alla erogazione di un pubblico servizio.

La ricorrente contesta, altresì, la tesi basata sulla pretesa qualificazione della Regione quale ente di programmazione, in quanto incompatibile con l’assetto delle attribuzioni amministrative configurato dall’attuale art. 118 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, nell’ambito dei ricorsi n. 69 del 2008 e n. 74 del 2008, che impugnano una pluralità di disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, censurano, tra queste, l’art. 2, comma 14.

Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge n. 112 del 2008, vengono in esame in questa sede le questioni di costituzionalità relative all’art. 2, comma 14.

Tre sono le censure avanzate dalla Regione Emilia-Romagna.

In primo luogo, l’impugnata disposizione, non includendo anche le Regioni tra gli enti che possono opporsi alla installazione di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ove tale istallazione coinvolga beni facenti parte del loro patrimonio indisponibile, violerebbe gli artt. 118 e 119 Cost., dal momento che impedirebbe l’esercizio delle funzioni di spettanza regionale relative a tali beni, compromettendo anche l’autonomia finanziaria della ricorrente, e l’art. 3 Cost., dal momento che riserverebbe alle Regioni un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto a quello garantito alle altre autonomie territoriali.

In secondo luogo, la disposizione censurata, non includendo nella clausola di salvaguardia anche il patrimonio disponibile delle Regioni, violerebbe gli artt. 118 e 119 Cost., perché non sarebbe accettabile «la astratta precostituzione per legge di una generica ed apodittica affermazione di prevalenza – sempre e comunque – dell’interesse dello sviluppo della banda larga rispetto alle legittime pretese delle Regioni titolari di beni interessati da tale sviluppo».

In terzo luogo, la medesima disposizione, denunciata in riferimento agli artt. 3 e 119 Cost., assoggetterebbe in modo irragionevole gli enti pubblici ad un trattamento deteriore rispetto a quello garantito ai soggetti privati, a favore dei quali sarebbe comunque assicurata un’indennità, nel caso in cui le installazioni siano tali da «impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione», come si ricaverebbe a contrario dall’art. 91, commi 3 e 5, del decreto legislativo n. 259 del 2003, espressamente richiamato dalla stessa disposizione impugnata.

Dal canto suo, la Regione Toscana censura l’art. 2, comma 14, poiché ritiene che la mancata inclusione delle Regioni tra gli enti che possono opporsi alla installazione di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica ove si tratti di beni facenti parte del loro patrimonio indisponibile, vìoli gli artt. 117 e 119, ultimo comma, Cost., in quanto ostacolerebbe l’esercizio delle funzioni regionali cui i suddetti beni sono strumentali e pregiudicherebbe il loro corretto utilizzo.

2. – In considerazione dell’identità della disposizione censurata e della analogia dei profili di illegittimità costituzionale fatti valere, i ricorsi possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

3. – In via preliminare vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

Irrilevante è il richiamo della sentenza n. 336 del 2005, che dichiarò «inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 90 e 91 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 in riferimento agli articoli 117 e 118» della Costituzione. In quel giudizio infatti questa Corte constatò la «mancanza di argomenti minimi idonei ad individuare le motivazioni dell’asserita incostituzionalità». Nell’odierno giudizio, invece, le ricorrenti adeguatamente motivano in ordine ai diversi profili di censura prospettati nei rispettivi ricorsi, con particolare attenzione alla denunciata disparità di trattamento a danno del patrimonio indisponibile delle Regioni.

Parimenti deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità secondo cui la questione sarebbe «generica ed astratta» poiché il ricorso non specificherebbe «quali interessi e servizi concreti si intendono tutelare (la regione è organismo di programmazione e gestisce i propri servizi attraverso le province e gli enti locali)». Anche volendosi prescindere dal fatto che la configurazione della Regione come ente essenzialmente di programmazione poteva evincersi dal previgente art. 118 della Costituzione, ora profondamente mutato, e che comunque detta configurazione era affidata alle scelte in materia dei legislatori regionali, appare evidente che la ricorrente intende tutelare il fascio delle funzioni amministrative che abbiano per oggetto i beni del patrimonio regionale (art. 118 Cost.), e che, difendendo quest’ultimo, si ponga con sufficiente chiarezza una questione valutabile alla luce anche dell’art. 119 Cost..

4. – La questione relativa alla mancata inclusione nella disposizione censurata del patrimonio indisponibile delle Regioni è fondata in riferimento al principio di uguaglianza e al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in danno di tale patrimonio indisponibile.

Infatti, la legislazione statale di trasferimento delle funzioni e degli apparati dallo Stato alle Regioni, ad autonomia sia ordinaria, sia speciale, in attuazione dell’art. 119 Cost. (quinto comma per il testo originario e sesto comma per quello vigente) e delle corrispondenti disposizioni degli Statuti speciali, ha provveduto – tra l’altro – a trasferire dallo Stato alle Regioni i beni demaniali e patrimoniali corrispondenti ai trasferimenti delle funzioni amministrative ad essi relative, così indirettamente integrando la risalente disciplina sulla titolarità dei beni demaniali e patrimoniali che è contenuta nel Capo II del Titolo I del Libro Terzo del codice civile.

In particolare, quanto alle Regioni ad autonomia ordinaria, il quinto comma dell’art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a statuto ordinario) ha trasferito al patrimonio indisponibile di queste Regioni tutta una serie rilevante di beni immobili che in precedenza appartenevano al patrimonio indisponibile dello Stato. In seguito, dapprima il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), e, successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) hanno previsto che si procedesse ad ulteriori trasferimenti di beni dallo Stato alle Regioni.

Al tempo stesso, la legislazione in materia di patrimonio degli enti pubblici in linea di principio non ne distingue il regime giuridico a seconda dei diversi enti pubblici che ne siano titolari, come confermato dallo stesso art. 91 del decreto legislativo n. 259 del 2003 (richiamato nella disposizione censurata) che considera come spazi di attraversamento dei fili o dei cavi delle reti di comunicazione elettronica, le «proprietà pubbliche o private», senza attribuire rilievo all’identità del soggetto pubblico proprietario (così analogamente anche l’art. 88, comma 8, del medesimo Codice per le comunicazioni elettroniche).

La giurisprudenza di questa Corte in più occasioni ha scrutinato la legislazione sulle Regioni e gli enti locali sulla base del principio di eguaglianza e ha riconosciuto la compatibilità costituzionale di discipline differenziate solo sulla base di uno scrutinio di ragionevolezza delle norme che introducono differenziazioni, ove queste ultime non discendano direttamente dalla distinta posizione che Regioni ed enti autonomi assumono nel disegno costituzionale (per tutte, si vedano le sentenze n. 355 del 1994; n. 276 del 1991; n. 243 del 1974).

Nel caso in esame, il comma 14 dell’art. 2 del decreto-legge n. 112 del 2008, attraverso una elencazione parziale dei soggetti titolari di beni riconducibili alla categoria del patrimonio indisponibile, esclude le Regioni dai «soggetti pubblici» che possono opporsi alla installazione nella loro proprietà «di reti e di impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica» ove ciò avvenga con riguardo ai beni appartenenti al loro patrimonio indisponibile e «tale attività possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio» che vi si svolge.

Questo trattamento differenziato si rivela in stridente contrasto con la natura stessa del patrimonio indisponibile, il cui trasferimento dallo Stato è stato originato dalla necessità di assicurare alle Regioni la effettiva possibilità di esercitare le loro funzioni (sentenze n. 219 e n. 79 del 1972).

Dalla lettura della impugnata disposizione si evince una evidente discrasia tra i titolari del potere di opposizione ed i titolari dei beni interessati dalle installazioni in oggetto. Da questa disciplina non sono desumibili elementi testuali e sistematici per escludere che l’espressione «soggetti pubblici», nella sua tangibile latitudine semantica, sia tale da ricomprendere anche le Regioni. Tant’è vero che l’altro elemento idoneo a legittimare il predetto rifiuto – la concreta turbativa al «pubblico servizio» – è tale da abbracciare altresì le attività, così qualificabili, poste in essere dall’amministrazione regionale.

Una simile differenzazione è irragionevole dal momento che la ratio sottesa alla impugnata disposizione è quella di contemperare le esigenze di diffusione degli impianti di fibra ottica con gli interessi al cui soddisfacimento sono preordinati i servizi erogati da tutti i soggetti pubblici, ivi comprese le Regioni: servizi rispetto ai quali i beni del patrimonio indisponibile assolvono ad una indefettibile funzione strumentale.

Questa irragionevole disparità di trattamento non può essere sanata in via interpretativa, data la struttura linguistica del comma 14 dell’art. 2 del decreto-legge n. 112 del 2008. Essa, pertanto, determina l’incostituzionalità della disposizione censurata nella parte in cui non include il patrimonio indisponibile delle Regioni tra i beni la cui titolarità possa legittimare i «soggetti pubblici» ad opporsi alle installazioni ivi previste.

Restano assorbite le ulteriori censure.

5. – Non fondata è, invece, la censura relativa alla mancata inclusione nella clausola di salvaguardia di cui al comma 14 dell’art. 2 del decreto-legge n. 112 del 2008 del patrimonio disponibile delle Regioni, sollevata sotto il profilo che non sarebbe legittima, per violazione degli artt. 118 e 119 Cost., «la astratta precostituzione per legge di una generica ed apodittica affermazione di prevalenza – sempre e comunque – dell’interesse dello sviluppo della banda larga rispetto alle legittime pretese delle Regioni titolari di beni interessati da tale sviluppo».

Una volta ristabilita l’eguaglianza di trattamento fra tutti i soggetti pubblici titolari di patrimoni indisponibili nella surrichiamata clausola di salvaguardia, l’individuazione circoscritta a questa tipologia di beni e, dunque, non estesa ad altri, come i beni del patrimonio disponibile degli enti pubblici, in genere non destinati a pubblici servizi (sentenza n. 138 del 1981), rientra nell’esercizio non manifestamente irragionevole della discrezionalità del legislatore. E ciò tanto più in un settore nel quale è evidente l’interesse collettivo alla sollecita realizzazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica (sentenza n. 336 del 2005).

6. – Del pari non fondata è la censura relativa alla mancata previsione nell’art. 2, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, di compensi o canoni per l’utilizzo di suolo pubblico a favore dei soggetti pubblici, i quali verserebbero in una condizione irragionevolmente deteriore rispetto ai soggetti privati. Secondo la Regione Emilia-Romagna, a questi ultimi sarebbe, comunque, assicurata almeno un’indennità, nel caso in cui le installazioni siano tali da «impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione», come si ricaverebbe a contrario dall’art. 91, commi 3 e 5, del decreto legislativo n. 259 del 2003, espressamente richiamato dall’impugnata disposizione. Da ciò deriverebbe la violazione non solo «del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3», ma anche dell’autonomia patrimoniale e finanziaria della Regione, garantita dall’art. 119 della Costituzione.

La questione muove da un erroneo presupposto interpretativo.

La disposizione impugnata non preclude infatti alla Regione di invocare, ove ne sussistano i presupposti, la previsione di cui all’art. 92 del decreto legislativo n. 259 del 2003, che, in ordine alle «servitù occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, cavi ed impianti connessi alle opere considerate dall’articolo 90, sul suolo, nel sottosuolo o sull’area soprastante», ammette l’indennizzabilità del sacrifico sofferto.

Invero, il comma 3 dell’art. 92 citato rimette all’autorità competente la determinazione della «indennità dovuta ai sensi dell’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327». Il successivo comma 8 stabilisce che «il proprietario che ha ricevuto una indennità per la servitù impostagli, nel momento in cui ottiene di essere liberato dalla medesima, è tenuto al rimborso della somma ricevuta, detratto l’equo compenso per l’onere già subito».

Richiamando i soli artt. 90 e 91 del codice delle comunicazioni elettroniche, l’impugnata disposizione non può, quindi, essere interpretata nel senso di escludere l’applicabilità del succitato art. 92, a condizione, come è ovvio, che siano integrati tutti i presupposti che questa disposizione prevede a tal fine.

Pertanto, la posizione della Regione e dei soggetti privati è, contrariamente all’avviso della ricorrente, identica sotto il profilo che qui viene in rilievo, potendo l’una e gli altri invocare l’indennità solo in caso di costituzione di una servitù, e non già in presenza di una limitazione legale della proprietà.

La censura, che la ricorrente ha posto sotto l’esclusivo profilo della irragionevole disparità di trattamento tra Regione e parti private, con conseguente pregiudizio del patrimonio regionale, è pertanto, entro tali termini, non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i ricorsi e riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale poste dai medesimi;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 14, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nella parte in cui non include i beni facenti parte del patrimonio indisponibile delle Regioni tra i beni la cui titolarità legittima l’opposizione alla installazione di reti e impianti interrati di comunicazione elettronica in fibra ottica, ove tale attività possa arrecare concreta turbativa al pubblico servizio;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui non include i beni facenti parte del patrimonio disponibile delle Regioni tra i beni la cui titolarità legittima l’opposizione alla installazione di reti e impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica, promossa, in riferimento agli artt. 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 14, del decreto-legge n. 112 del 2008, nella parte in cui non prevede alcuna indennità per l’utilizzo di suolo pubblico appartenente al patrimonio disponibile delle Regioni per l’installazione di reti ed impianti di comunicazione elettronica in fibra ottica, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 gennaio 2010.