SENTENZA N. 121
ANNO 2010
Commento alla decisione di
Alessandro Venturi
per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE
SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 11 e 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’art. 18, comma 4-bis, lettera a), del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185 (Misure urgenti per
il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in
funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossi dalle Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Umbria, Toscana, Puglia, Campania, Valle
d’Aosta, Sicilia, Lazio e Toscana, con ricorsi notificati il 16, il 17 e il 20
ottobre 2008, ed il 23 marzo 2009, depositati in cancelleria il 22, il 24, il
27, il 28 ed il 29 ottobre 2008, il 5 novembre 2008 ed il 27 marzo 2009 e
rispettivamente iscritti ai nn. 67, 69, 70, 72, 73, 74, 78, 79, 84, 88 e 89 del
registro ricorsi 2008 ed al n. 23 del registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri, nonché l’atto di intervento della Regione Lazio nel
giudizio promosso dalla Regione Campania (reg. ric. n. 79 del 2008);
udito nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2010 il
Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi gli
avvocati Stefano Santarelli per
Ritenuto
in fatto
1. –
1.1. – In merito alla prima delle norme impugnate,
la ricorrente sottolinea come il legislatore statale, nel comma 1 dell’art. 11,
rivendichi la competenza ad approvare un piano nazionale di edilizia abitativa,
al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi
essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana.
La difesa regionale ritiene che il comma 2 del
richiamato art. 11 leda la propria competenza legislativa in materia di governo
del territorio (ex art. 117, terzo
comma, Cost.), in quanto esprime «dettagliatamente e con elencazione tassativi
requisiti soggettivi ed oggettivi dei beneficiari di tali interventi di
edilizia abitativa».
Il censurato comma 2 violerebbe anche l’art. 117,
quarto comma, Cost.; infatti, in relazione all’«aspetto assistenziale» della
normativa censurata, sarebbero lese le competenze regionali in materia di
politiche sociali dell’abitazione.
1.2. – Quanto all’art. 13 del d.l. n. 112 del 2008,
la ricorrente evidenzia come le norme di cui ai commi 1 e 2 di detto articolo
riproducano pressoché integralmente il contenuto dell’art. 1, commi 597, 598,
599 e 600, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2006), già dichiarati illegittimi con la sentenza n. 94 del
2007.
In particolare, la difesa regionale, dopo aver
illustrato il contenuto del comma 1 dell’art. 13, richiama le argomentazioni
utilizzate dalla Corte costituzionale per motivare la declaratoria di
illegittimità del comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005,
evidenziando come la norma oggetto dell’odierna impugnazione violi la
competenza legislativa residuale delle Regioni in materia di edilizia
residenziale pubblica, in quanto relativa alla disciplina della gestione degli
alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari (IACP),
comunque denominati. Si profilerebbe, pertanto, anche nel presente giudizio,
un’ingerenza dello Stato «nel terzo livello di normazione riguardante
l’edilizia residenziale pubblica», ricompreso nella potestà legislativa
residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Né la
previsione del raggiungimento di un accordo in sede di Conferenza unificata
farebbe venir meno la lesione delle competenze legislative regionali.
Infine, è impugnato il comma 3-bis dell’art. 13, sul rilievo che esso disporrebbe «in modo
dettagliato in ambito che spetta al legislatore regionale disciplinare nel modo
più aderente alle situazioni economico-sociali riscontrate localmente».
Da quanto sopra detto discenderebbe la violazione
dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost.
2. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
2.1. – In riferimento alle censure mosse all’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008, la difesa erariale eccepisce, in via preliminare,
l’inammissibilità del ricorso, in quanto la questione di legittimità
costituzionale non sarebbe definita nei suoi termini essenziali e non sarebbe
adeguatamente motivata. In particolare, non risulterebbe chiaro se
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva,
innanzitutto, come il piano nazionale di edilizia abitativa intenda realizzare
una strategia di azione complessiva volta a riconoscere il carattere strategico
per il Paese della riqualificazione urbana ed a coinvolgere, oltre alle risorse
pubbliche, quelle private, attraverso il ricorso a modelli di intervento
limitati, fino ad oggi, al settore delle opere pubbliche (project financing), oppure a strumenti finanziari immobiliari
innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia
residenziale, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale
(c.d. social housing).
La difesa erariale ricorda che, nella XV legislatura, è
stata adottata una serie di provvedimenti aventi la finalità di dare nuovo
impulso alle politiche a tutela del disagio abitativo: tra questi, la legge 8
febbraio 2007, n. 9 (Interventi per la
riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali), che ha
previsto la predisposizione, da parte delle Regioni, di un piano straordinario
pluriennale per l’edilizia sovvenzionata e agevolata da inviare ai Ministeri
delle infrastrutture, della solidarietà sociale e delle politiche della
famiglia. È stato anche previsto l’avvio di un programma nazionale di edilizia
residenziale pubblica da parte del Ministero delle infrastrutture, di concerto
con gli altri Ministeri sopra indicati e d’intesa con
In relazione all’art. 11, comma
2, il resistente rileva come sia stata ampliata la platea dei beneficiari
rispetto ai provvedimenti, d’urgenza ed ordinari, adottati negli ultimi anni
per contrastare il fenomeno del disagio abitativo. Sono stati inclusi, infatti,
gli immigrati regolari a basso reddito e gli studenti fuori sede, che, fino
all’entrata in vigore della norma impugnata, erano destinatari solo di
agevolazioni di carattere fiscale relativamente ai canoni di locazione. Sono
stati inseriti anche i «soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio»,
senza ulteriori distinzioni.
La difesa erariale conclude rilevando che l’art. 11, comma
2, del d.l. n. 112 del 2008, là dove individua i soggetti beneficiari del piano,
costituisce esercizio della competenza esclusiva statale in materia di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo
comma, lettera m, Cost.).
2.2. – Quanto alle censure mosse all’art. 13 del d.l. n.
112 del 2008, il resistente contesta l’assimilazione delle norme impugnate a
quelle dichiarate illegittime con la sentenza n. 94 del
2007.
Innanzitutto, il comma 1 dell’art. 13 non attribuirebbe
allo Stato alcuna potestà regolamentare allo scopo di semplificare le procedure
di alienazione degli immobili.
Non sarebbe, inoltre, previsto come obbligatorio l’accordo
in sede di Conferenza unificata; al riguardo, l’Avvocatura generale sottolinea
come la norma impugnata si limiti a conferire ai Ministri delle infrastrutture
e dei trasporti e per i rapporti con le Regioni la potestà di promuovere
accordi con le Regioni e con gli enti locali aventi ad oggetto la
semplificazione delle procedure suddette. Pertanto, i predetti accordi
sarebbero soltanto eventuali, poiché la loro conclusione dipenderebbe
esclusivamente dalla volontà della parte regionale e della componente
rappresentativa degli enti locali nell’ambito della Conferenza unificata.
Inoltre, anche quando si pervenisse ad un accordo, la semplificazione delle
procedure di alienazione degli immobili dovrebbe comunque essere disciplinata
da atti legislativi regionali.
Secondo il resistente, la norma di cui al comma 1 dell’art.
Il ricorso non sarebbe fondato neanche con riguardo al
comma 2 dell’art.
La censura mossa nei confronti del comma 3-bis dell’art.
La norma in esame, secondo l’Avvocatura dello Stato, si
limiterebbe ad indicare le finalità di intervento in modo generico (al
riguardo, sono richiamate le sentenze n. 151 e n. 453 del 2007
della Corte costituzionale), rinviando ad un successivo provvedimento la determinazione
delle modalità di impiego delle risorse finanziarie previste.
3. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE 8 maggio 2009,
n. 18/2009 (Parere espresso ai sensi
dell’art. 11 del decreto-legge n. 112/2008, sullo schema del piano nazionale per l'edilizia abitativa); e) d.P.C.m. 16 luglio 2009 (Piano nazionale di edilizia abitativa).
4. –
4.1. – Preliminarmente la ricorrente illustra il
contenuto dei commi impugnati dell’art. 11, sottolineando come la disciplina in
questione risulti «a volte imprecisa o oscura». In particolare, non sarebbe
chiaro quali siano i soggetti che concludono gli accordi di programma di cui al
comma 4, né il modo in cui si configuri un’attività regolativa «in sede di
attuazione dei programmi di cui al comma 4» (comma 8), né ancora le modalità di
attuazione dei suddetti programmi «con l’applicazione» dell’art. 81 del d.P.R.
24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione
della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) (comma 11).
In generale,
La difesa regionale ricostruisce, in sintesi, le
tappe più rilevanti dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di
edilizia residenziale pubblica, soffermandosi su alcune affermazioni contenute
nella sentenza
n. 94 del 2007 della Corte costituzionale. In particolare, la ricorrente
sottolinea come la suddetta pronunzia abbia individuato tre livelli normativi
sui quali si estende la materia in esame: il primo è riconducibile alla
determinazione dell’offerta minima di alloggi, di competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.; il secondo concerne la
programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica ed
afferisce alla competenza legislativa concorrente in tema di «governo del
territorio» (art. 117, terzo comma, Cost.); il terzo, infine, è relativo alla
gestione del patrimonio immobiliare di proprietà degli Istituti autonomi per le
case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti e rientra
nella competenza legislativa piena delle Regioni (ex art. 117, quarto comma, Cost.).
4.1.1. – Quanto alle singole norme oggetto di
censura, è impugnato il comma 1 dell’art. 11 del d.l. n. 112 del
Da quanto appena detto la ricorrente deduce che la
norma impugnata non sarebbe riconducibile alla competenza statale in tema di
livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo (ex art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), bensì alla programmazione degli interventi di edilizia
residenziale pubblica, che ricade nella competenza concorrente in materia di
governo del territorio.
4.1.2. – La difesa regionale impugna, inoltre, i
commi 3, 4, 5, 8 e 9 dell’art. 11, poiché non si limiterebbero a fissare
obiettivi ed indirizzi per la programmazione regionale di edilizia residenziale
pubblica ma conterrebbero «una disciplina completa e dettagliata della
tipologia di interventi (commi 3 e 5) e delle procedure di attuazione e
verifica del piano (commi 4, 8 e 9)». A tal proposito,
La ricorrente evidenzia come la disciplina contenuta
nei commi impugnati sia destinata ad essere integrata dagli accordi di
programma di cui al comma 4 dell’art. 11 e da quanto sarà stabilito «in sede di
attuazione» dei suddetti programmi (comma 8). Sarebbe così prevista «una
complessa procedura gestita dal centro», nella quale non residuerebbero spazi
per una disciplina regionale di svolgimento dei principi statali. Al riguardo,
sono richiamate alcune pronunzie della Corte costituzionale con le quali sono
state dichiarate illegittime norme legislative statali che non lasciavano alcun
margine di intervento al legislatore regionale in materie di competenza
concorrente.
Sulla base delle predette argomentazioni, la difesa
regionale ritiene che i commi 1 e 4 dell’art. 11 siano illegittimi anche per
violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., in quanto prevedrebbero poteri
amministrativi statali senza che sussistano esigenze unitarie idonee a
giustificarli.
Oggetto di specifiche censure è poi l’ultimo periodo
del comma 4 dell’art. 11, nel quale si stabilisce che, decorsi novanta giorni
senza che sia stata raggiunta l’intesa prevista nel medesimo comma, gli accordi
di programma possono essere comunque approvati. La norma in esame violerebbe il
principio di leale collaborazione, in quanto «la forte incidenza degli accordi
di programma su una materia di competenza regionale non può non richiedere
un’intesa (appunto) "forte”». La ricorrente ritiene pertanto che il comma 4 sia
incostituzionale anche nella denegata ipotesi in cui i poteri statali previsti
nei commi 1 e 4 dell’art. 11 siano considerati legittimi.
4.1.3. –
4.1.4. – È impugnato anche il comma 12 dell’art. 11,
che istituisce un fondo nello stato di previsione del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, nel quale confluiscono le risorse previste da
altre leggi.
4.2. – La ricorrente impugna, inoltre, l’art. 13,
commi 1, 2, 3-bis e 3-quater, del d.l. n. 112 del 2008.
4.2.1. – Preliminarmente,
La ricorrente si sofferma, altresì, sulle norme che
hanno conferito alle Regioni la competenza in relazione alla vendita degli
immobili degli IACP, richiamando gli artt. 93 e 94 del d.P.R. n. 616 del 1977,
gli artt. 31, 34 e 35 del r.d. 28 aprile 1938, n. 1165 (Approvazione del testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed
economica), e l’art. 8 del decreto-legge 6 settembre 1965, n. 1022 (Norme per l’incentivazione dell’attività
edilizia), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 1°
novembre 1965, n. 1179. Al riguardo, si precisa come sin dal 1977 siano
attribuite alle Regioni le competenze relative all’alienazione degli immobili
degli IACP.
La difesa regionale ricorda, poi, che la sentenza n. 94 del
2007 della Corte costituzionale ha ricondotto al terzo livello normativo,
rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., la gestione del patrimonio
immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP o degli
altri enti a questi sostituitisi. Inoltre, la sentenza n. 1115
del 1988 ha qualificato come enti regionali gli Istituti autonomi per le case
popolari.
Ancora,
Le differenze esistenti tra la normativa recata
dalla legge n. 266 del 2005 e quella contenuta nel d.l. n. 112 del 2008
sarebbero, peraltro, irrilevanti. In particolare, il comma 1 dell’art. 13 del
d.l. n. 112 del 2008 prevede che il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti ed il Ministro per i rapporti con le Regioni promuovano, in sede di
Conferenza unificata, la conclusione di accordi con Regioni ed enti locali, al
fine di semplificare le procedure di alienazione degli immobili degli IACP. Il
comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 prevedeva, invece, che la
semplificazione delle suddette procedure di alienazione avvenisse con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo tra Governo e
Regioni. Dunque, il comma 597 prevedeva che l’accordo intercorresse solo con le
Regioni (e non anche con gli enti locali) e che quest’ultimo venisse poi
recepito in un d.P.C.m.
Pertanto, le differenze esistenti tra i due testi
non sarebbero tali da escludere la possibilità di estendere le argomentazioni
sviluppate nella sentenza
n. 94 del 2007 anche all’odierno giudizio; infatti, il vero atto regolatore
della materia sarebbe sempre l’accordo, in quanto il d.P.C.m., previsto nel
comma 597, avrebbe avuto solo la funzione di recepire il contenuto dell’accordo
e di formalizzarlo in un atto normativo tipico. Ciò si tradurrebbe
nell’impossibilità di evocare, nell’odierno giudizio, il parametro di cui
all’art. 117, sesto comma, Cost., mancando un atto regolamentare statale che
intervenga in materia regionale.
Anche il disposto del comma 2 dell’art. 13 del d.l.
n. 112 del 2008 sarebbe sostanzialmente coincidente con quello del comma 598
dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005; le due disposizioni, infatti,
fisserebbero i medesimi criteri da osservare ai fini della conclusione degli
accordi di cui, rispettivamente, al comma 1 dell’art. 13 del d.l. n. 112 del
2008 ed al comma 597 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. Anzi, la difesa
regionale ritiene che la previsione del comma 2 dell’art. 13 sia «peggiorativa»
rispetto a quella del comma 598 dell’art.
In conclusione,
Ad escludere siffatta lesione delle competenze
regionali non varrebbe la previsione di accordi con le Regioni e gli enti locali,
da stipulare in sede di Conferenza unificata, in quanto tali accordi si
porrebbero «come improprio condizionamento della potestà legislativa regionale,
da parte di un organismo e di un atto non legittimati a produrre tale
condizionamento». Né l’asserita lesione verrebbe meno se si ritenesse che gli
accordi debbano intercorrere non con
Parimenti lesive delle competenze regionali
sarebbero le disposizioni impugnate se interpretate nel senso che l’accordo
debba essere stipulato direttamente tra uno o più ministri e singoli Comuni; in
tal caso risulterebbe «direttamente» violata la potestà legislativa della
Regione.
Infine, i commi 1 e 2 dell’art. 13 del d.l. n. 112
del 2008 violerebbero il giudicato costituzionale e quindi l’art. 136 Cost., in
quanto il legislatore statale avrebbe reiterato, in termini pressoché identici,
una disciplina già dichiarata illegittima con la sentenza n. 94 del
2007.
Oggetto di specifica censura è poi l’art. 13, comma
2, lettera c), del d.l. n. 112 del
2008, il quale prevede, fra i criteri di cui occorre tenere conto nella stipula
degli accordi di cui al comma 1, la «destinazione dei proventi delle
alienazioni alla realizzazione di interventi volti ad alleviare il disagio abitativo».
La ricorrente sostiene che la norma in questione ponga un vincolo di
destinazione all’uso delle risorse spettanti agli enti di gestione
dell’edilizia residenziale pubblica, «cioè ad enti para-regionali», limitando
per questo verso l’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni. È richiamata,
a tal proposito, la sentenza n. 169 del
2007, con la quale
Per le ragioni anzidette, la norma di cui alla
lettera c) del comma 2 dell’art. 13
violerebbe anche l’art. 119, primo comma, Cost.
4.2.2. –
Il comma 3-bis
rimette, poi, ad un decreto del Ministro della gioventù, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, il compito di disciplinare «le modalità
operative di funzionamento del Fondo».
La difesa regionale ritiene che la norma impugnata
abbia istituito un fondo settoriale nella materia delle politiche sociali, di
competenza regionale ex art. 117,
quarto comma, Cost., prevedendo un successivo atto ministeriale al fine di
dettare la relativa disciplina attuativa. Inoltre, la destinazione, in via
diretta, ai privati delle risorse ivi previste non varrebbe ad escludere la
lesività della norma censurata; la ricorrente richiama numerose pronunzie della
Corte costituzionale, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità dei
finanziamenti statali, in materie di competenza regionale, «seppur destinati a soggetti
privati». In particolare,
La ricorrente esclude che la previsione di cui al
comma 3-bis possa essere
"giustificata” invocando il principio di sussidiarietà, in quanto non
esisterebbero ragioni unitarie per la gestione accentrata del fondo e per la
regolazione delle «modalità operative di funzionamento» dello stesso. Parimenti
sarebbe da escludere che si tratti di «livelli essenziali delle prestazioni»
(dato che l’acquisto di una casa non è necessario per soddisfare il diritto
all’abitazione), in quanto la norma in oggetto si limiterebbe a prevedere una
spesa, senza, peraltro, porre requisiti di reddito per i beneficiari.
Sulle base delle argomentazioni sopra indicate,
La ricorrente chiede, pertanto, che
In subordine, la difesa regionale chiede che sia
dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione
del principio di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede l’intesa
con
4.2.3. – Da ultimo,
La ricorrente, muovendo dal presupposto che il fondo
sia destinato agli enti territoriali, ritiene che la norma impugnata preveda un
fondo settoriale a destinazione vincolata in materie rientranti, «almeno in
parte», nella competenza legislativa regionale piena (ex art. 117, quarto comma, Cost.), posto che lo «sviluppo economico
dei territori» riguarda, tra l’altro, l’industria, il commercio, l’artigianato,
l’agricoltura ed il turismo.
L’asserita incidenza del fondo su materie di
competenza regionale, determinerebbe l’illegittimità costituzionale del comma
3-quater per violazione del principio
di leale collaborazione, nella parte in cui non prevede un’intesa con
5. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l’infondatezza delle censure.
5.1. – In riferimento alle censure mosse all’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008, la difesa erariale sviluppa, in parte, argomentazioni
analoghe a quelle esposte nell’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla
Regione Piemonte con il ricorso n. 67 del 2008, alla cui sintesi pertanto si
rinvia.
Il resistente esamina preliminarmente il contenuto dei
commi impugnati, rilevando, in particolare, come il comma 3 dell’art. 11 sia
volto ad introdurre alcuni dei più nuovi strumenti di mercato finalizzati a
ridurre il disagio abitativo, tra i quali, la costituzione di riserve fondiarie
da destinare all’edilizia pubblica ed alla domanda sociale con il
coinvolgimento di tutti gli operatori proprietari di aree oggetto di futura
trasformazione, oppure la promozione di strumenti finanziari immobiliari
innovativi, quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale,
cosiddetto social housing.
L’Avvocatura generale sottolinea la varietà degli strumenti
previsti nel comma 3 e precisa che la scarsità di abitazioni ha provocato
l’innalzamento dei canoni di locazione, il cui ammontare ben difficilmente
consente alle categorie disagiate un accesso, seppure agevolato dal sostegno
pubblico, al mercato delle locazioni.
La difesa erariale si sofferma, tra l’altro, sul comma 9
dell’art. 11, ricordando che la legislazione in materia di infrastrutture
strategiche (contenuta nella parte II, titolo III, capo IV del decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 – Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione
delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) mira ad accelerare, snellire e
razionalizzare le procedure per la programmazione, il finanziamento e la
realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti
produttivi strategici e di preminente interesse nazionale.
Ad avviso del resistente, le norme di cui all’art. 11 si
collocano in un quadro normativo che è stato caratterizzato, negli ultimi anni,
da un’intensa attività di programmazione da parte dello Stato. Pertanto,
possono essere estese all’odierna questione le considerazioni che
L’Avvocatura generale rinviene, quindi, nella norma
costituzionale da ultimo indicata il fondamento della normativa impugnata, come
peraltro risulta dall’inciso di apertura del comma 1 dell’art. 11.
In relazione alle censure mosse nei confronti del comma 12
dell’art. 11, la difesa erariale individua il titolo di legittimazione nella
competenza statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo
comma, lettera e); nel caso di
specie, infatti, i finanziamenti previsti sarebbero «idonei "ad incidere
sull’equilibrio economico generale”, sussistendo tanto il requisito soggettivo
dell’"accessibilità a tutti gli operatori”, quanto quello oggettivo
dell’"impatto complessivo”».
5.2. – Quanto alle censure mosse all’art. 13, commi 1, 2 e
3-bis, del d.l. n. 112 del 2008, il
resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate nell’atto di
costituzione nel giudizio promosso con il ricorso n. 67 del 2008, sopra
riassunto.
5.2.1. – In merito alla questione di legittimità
costituzionale promossa nei confronti del comma 3-quater dell’art. 13, la difesa erariale ritiene che la norma
impugnata sia riconducibile all’ambito materiale della «tutela dell’ambiente»,
di competenza esclusiva del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. Pertanto,
anche tale censura è infondata.
6. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni siglato
il 5 marzo 2009; b) parere della
Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l. n.
112 del 2008; c) nuovo schema del
d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
7. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
In particolare, la difesa regionale rileva che il d.P.C.m.
16 luglio 2009 è stato adottato sulla base del mero parere della Conferenza
unificata e non d’intesa con la stessa. Al riguardo, la ricorrente sottolinea
che, successivamente alla presente impugnativa regionale, la previsione
dell’intesa di cui al comma 1 dell’art. 11 è stata sostituita con quella di un
parere. Quest’ultima, poi, è stata nuovamente modificata con la reintroduzione
dell’intesa ad opera della legge 9
aprile 2009, n. 33, che ha convertito in legge il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5 (Misure urgenti a sostegno dei settori
industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e
rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario).
Nonostante la legge da ultimo
citata abbia ripristinato, prima dell’adozione del d.P.C.m. 16 luglio 2009,
l’originario testo del comma 1 dell’art. 11 e quindi la previsione dell’intesa
in Conferenza unificata, quest’ultimo è stato adottato solo sulla base del
parere reso dalla Conferenza unificata il 12 marzo 2009.
In merito alla questione relativa
all’art. 13,
8. –
8.1. – Prima di descrivere le singole censure, la
difesa regionale richiama il contenuto della sentenza n. 94 del
2007 ed in particolare l’individuazione dei tre livelli normativi sui quali
si estende la materia dell’edilizia residenziale pubblica.
Sempre in via preliminare, la ricorrente descrive il
contenuto dei diversi commi dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008,
sottolineando come la normativa impugnata riguardi la programmazione degli
interventi di edilizia residenziale pubblica, che, secondo la giurisprudenza
costituzionale prima citata, rientra nell’ambito materiale del governo del
territorio (art. 117, terzo comma, Cost.).
Così individuata la materia di pertinenza, la difesa
regionale si duole del fatto che il legislatore statale non si sia limitato a
porre i principi fondamentali ma abbia rimesso ad un decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri l’intera programmazione degli interventi. D’altra parte,
l’autonomia legislativa regionale non sarebbe fatta salva dalla previsione
della necessaria intesa in sede di Conferenza unificata (art. 11, comma 1), il
cui contenuto sarebbe comunque condizionato dalle specifiche finalità indicate
nella norma impugnata.
Inoltre, la norma secondo cui il piano nazionale di
edilizia abitativa è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri risulterebbe lesiva dell’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto
rimette ad un atto regolamentare la disciplina di un settore che non rientra
nella competenza legislativa statale.
In subordine,
Siffatta violazione sarebbe ancor più grave con
specifico riguardo al comma 4 dell’art. 11, nella parte in cui si prevede che,
in caso di mancato raggiungimento dell’intesa in sede di Conferenza unificata entro
il termine di novanta giorni, gli accordi di programma siano comunque approvati
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. La norma in questione
attribuirebbe al Governo un ruolo preminente, incompatibile con il regime
dell’intesa, caratterizzata invece dalla «paritaria codeterminazione dell’atto»
(è richiamata la sentenza
n. 24 del 2007).
La ricorrente lamenta, inoltre, la violazione del
principio di autonomia finanziaria derivante dall’istituzione, nel comma 12
dell’art. 11, di un fondo destinato all’attuazione del piano nazionale di
edilizia abitativa. La difesa regionale ritiene che, con la norma in questione,
il legislatore statale abbia istituito un finanziamento a destinazione
vincolata in una materia di potestà legislativa concorrente, con la conseguente
violazione dell’art. 119 Cost. Né potrebbe sostenersi che si tratti di un
intervento speciale ai sensi dell’art. 119, quinto comma, Cost., dal momento
che il finanziamento di cui alla norma impugnata non presenta le
caratteristiche richieste dalla norma costituzionale appena citata.
Per le ragioni anzidette, la difesa regionale chiede
che
8.2. –
Quanto ai parametri costituzionali violati, la
difesa regionale riprende la ricostruzione operata nella citata sentenza n. 94 del
2007 ed evidenzia come anche l’odierno giudizio abbia ad oggetto norme che
disciplinano la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale
pubblica di proprietà degli IACP, ricadente nella competenza legislativa
residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.
In questo modo – precisa la ricorrente – la legge
statale avrebbe individuato non solo le scelte politiche di fondo, bensì gli
indirizzi e la stessa disciplina specifica che dovrà essere adottata in tema di
alienazione e di reinvestimento degli immobili degli IACP.
L’art. 13 violerebbe, inoltre, l’autonomia
finanziaria e patrimoniale delle Regioni, garantita dall’art. 119 Cost., in
quanto porrebbe vincoli alla disposizione del patrimonio immobiliare degli
IACP, che sono enti strumentali delle Regioni, ed all’utilizzo dei proventi che
derivano dall’alienazione del patrimonio stesso.
Lesiva dell’autonomia finanziaria di cui all’art.
119 Cost. sarebbe pure la norma di cui al comma 3-bis dell’art. 13, la quale avrebbe istituito un fondo speciale a
destinazione vincolata che incide su un ambito materiale nel quale lo Stato non
ha competenza legislativa esclusiva e che non è riconducibile alle «risorse
aggiuntive» di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.
9. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13, commi 1, 2 e 3-bis, il
resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di
costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra
riassunti.
In riferimento alla questione di legittimità costituzionale
promossa nei confronti del comma 3 dell’art. 13, l’Avvocatura generale
eccepisce l’inammissibilità della stessa, in quanto non si ravviserebbero nel
ricorso censure specifiche dirette contro tale norma.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata poiché il
comma 3, limitandosi a prevedere un possibile contenuto degli accordi, sarebbe
destinato ad operare solo se gli accordi fossero effettivamente raggiunti e nel
rispetto della potestà delle Regioni di accedere alla suddetta intermediazione.
10. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
11. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
12. –
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale
proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 69 del 2008, sopra
sintetizzato, al quale si rinvia per la descrizione delle censure.
13. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
14. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
15. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
16. –
La ricorrente prospetta le medesime questioni di legittimità costituzionale
proposte dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 69 del 2008, sopra
sintetizzato, al quale si rinvia per la descrizione delle censure.
17. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, deducendo l’infondatezza delle censure.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 13,
il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di
costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra
riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
18. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18
novembre 2009,
19. –
19.1. – La ricorrente riassume i punti qualificanti
della normativa recata dall’art. 11, evidenziando come essa intervenga nella
materia dell’edilizia residenziale pubblica, dei servizi sociali e del governo
del territorio, in ambiti, quindi, in cui le Regioni hanno rilevanti competenze
costituzionali ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost. La difesa regionale
ricorda, altresì, l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia
ed, in particolare, la sentenza n. 94 del
2007.
19.1.1. –
Sarebbero pertanto violate le competenze regionali
di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alle materie
dell’edilizia residenziale e del governo del territorio, e le attribuzioni
regionali in materia di assistenza sociale, sulle quali, come risulta dal comma
2 dell’art. 11, il piano è destinato ad incidere.
19.1.2. – Le suddette conclusioni non sono
contraddette, secondo la ricorrente, dal riferimento ai «livelli minimi
essenziali di fabbisogno abitativo», contenuto nell’art. 11, comma 1, del d.l.
n. 112 del 2008. Siffatto richiamo appare, invero, inconferente alla luce di
quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del
2007. Lo Stato, infatti, non si sarebbe limitato a determinare l’offerta
minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti
(attraverso la fissazione dei principi che valgono a garantire l’uniformità dei
criteri di assegnazione degli alloggi su tutto il territorio nazionale), ma
avrebbe disciplinato, «in modo puntuale, specifico, autoapplicativo», gli
strumenti da approvare per la costruzione degli immobili di edilizia residenziale
pubblica ed avrebbe dettato esaustivamente la procedura per l’adozione degli
interventi in parola.
Inoltre, le norme impugnate non presenterebbero «le
caratteristiche sostanziali e formali» proprie degli atti normativi di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, come enucleate dalla
giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 282 del 2002
e n. 88 del 2003).
L’art. 11, infatti, non determinerebbe alcuno standard di soddisfacimento del
fabbisogno abitativo e consentirebbe interventi ulteriori rispetto a quelli di
edilizia residenziale sociale solo «prioritariamente», ma non esclusivamente,
destinati alle categorie socialmente disagiate.
19.1.3. –
Al riguardo, la difesa regionale rileva come l’art.
11 (specialmente, i commi 4, 9 e 11) preveda che l’attuazione del piano
nazionale sia effettuata con accordi di programma, a loro volta attuati da
programmi integrati di promozione di edilizia residenziale e di
riqualificazione urbana, ovvero con le procedure delle opere strategiche
nazionali dettate dal d.lgs. n. 163 del 2006, che ha riprodotto le norme recate
dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega
al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici
ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive). I
programmi integrati di cui al comma 4 sono, infatti, dichiarati di interesse
strategico nazionale (comma 11).
La ricorrente evidenzia come, secondo la
giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 303 del 2003
e n. 6 del 2004),
una deroga al riparto operato dall’art. 117 Cost. possa essere giustificata
solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di
funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta
da irragionevolezza alla stregua di uno stretto scrutinio di costituzionalità e
sia oggetto di un accordo stipulato con
Nel presente giudizio,
In ogni caso, secondo la difesa regionale,
l’intervento legislativo statale non presenterebbe il carattere della
proporzionalità, richiesto dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto
«introduce nuovi strumenti di programmazione e realizzazione degli interventi
di edilizia, accentrati a livello nazionale, e quindi non è limitato a casi
circoscritti».
Inoltre, la sentenza n. 303 del
2003 ha subordinato la conformità a Costituzione delle norme contenute
nella legge sulle opere strategiche alla previsione di un’intesa fra lo Stato e
le Regioni interessate, dalla quale è condizionata l’operatività della
disciplina.
In definitiva, l’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008
non rispetta i principi enunciati dalla richiamata giurisprudenza
costituzionale in quanto il piano nazionale, avendo ad oggetto la costruzione
di abitazioni, presenta un «contenuto anche localizzativo» e può essere attuato
con le procedure proprie delle infrastrutture strategiche. A fronte di tali
previsioni, il comma 1 dell’art. 11 subordina l’approvazione del piano
nazionale all’intesa con
Il vulnus
delle competenze regionali sarebbe ancor più rilevante nel comma 4 dell’art.
11, secondo il quale si può prescindere dall’intesa con
La ricorrente sottolinea, al riguardo, come la norma
impugnata non rispetti i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 303 del
2003, secondo cui l’intesa con
In definitiva,
Il comma 4 dell’art. 11, anche alla luce di quanto
stabilito dal successivo comma 11, non soddisfa, secondo la difesa regionale, i
requisiti anzidetti in quanto ammette che si possa procedere pur in mancanza
dell’intesa.
19.1.4. – Infine, l’art. 11, comma 12, del d.l. n.
112 del 2008 violerebbe l’art. 119 Cost. Secondo la ricorrente, il fondo
statale, istituito dalla norma impugnata, assorbirebbe i finanziamenti previsti
per l’edilizia residenziale dalle precedenti normative, incidendo su una
materia (l’edilizia residenziale pubblica) che non è riservata alla competenza
esclusiva statale. La difesa regionale ritiene che non sia rinvenibile alcuna
giustificazione a sostegno della previsione, in tale materia, di riserve
finanziarie gestite a livello ministeriale, trattandosi di funzioni pubbliche
ordinarie delle Regioni e degli enti locali, per le quali lo Stato deve
assicurare l’integrale copertura finanziaria ex art. 119 Cost.
Per le ragioni anzidette, l’istituzione del fondo in
esame non sarebbe riconducibile a quanto statuito dall’art. 119, quinto comma,
Cost. Al riguardo,
Il comma 12 dell’art.
In subordine,
19.2. – La ricorrente impugna, inoltre, l’art. 13,
commi 1, 2 e 3-bis, del d.l. n. 112
del 2008.
19.2.1. – Preliminarmente, la difesa della Regione
evidenzia come i commi 1 e 2 dell’art. 13 regolino la materia dell’alienazione
degli immobili degli IACP in modo analogo a quanto previsto dai commi 597 e 598
dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. I commi da ultimo citati sono stati dichiarati
illegittimi dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del
2007, in quanto invasivi del «terzo livello di normazione riguardante l’edilizia
residenziale pubblica, sicuramente ricompreso nella potestà legislativa
residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.».
Secondo la ricorrente, il legislatore statale, con
le norme oggetto dell’odierno giudizio, avrebbe tentato di superare i rilievi
formulati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del
2007, rimettendo la definizione delle procedure semplificate per
l’alienazione degli immobili degli IACP, all’accordo tra i Ministeri
competenti, le Regioni e gli enti locali. In definitiva, la differenza tra la
normativa contenuta nella legge n. 266 del 2005 e quella recata dal d.l. n. 112
del 2008 risiederebbe nel fatto che la prima dettava i principi cui doveva
uniformarsi l’accordo tra Governo e Regioni, preliminare al d.P.C.m. che
avrebbe stabilito le norme semplificate per l’alienazione degli alloggi; la
seconda, invece, fissa i criteri (peraltro coincidenti con i principi dettati
dalla precedente disciplina) in base ai quali dovranno essere stipulati gli
accordi tra Stato, Regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione
delle normative per l’alienazione dei beni sopra indicati.
Pertanto, non è possibile vincolare l’esercizio
della stessa potestà legislativa regionale ad accordi tra il Ministro, le
Regioni e gli enti locali, perché in tal modo sarebbe violata l’autonomia
legislativa costituzionalmente garantita alle Regioni, che non può essere
condizionata da assensi esterni non previsti dalla Costituzione. Da ciò conseguirebbe
la dedotta violazione dell’art. 117 Cost.
D’altra parte, non verrebbero in rilievo esigenze di
sussidiarietà in grado di legittimare l’intervento statale, come peraltro
rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del
2007.
19.2.2. –
In particolare, la difesa regionale ricorda come la
materia dell’edilizia residenziale pubblica non sia riservata alla competenza
esclusiva statale; di conseguenza, nessuna giustificazione appare invocabile a
sostegno dell’istituzione in tale materia di riserve finanziarie disciplinate e
gestite a livello ministeriale, trattandosi di funzioni pubbliche ordinarie
delle Regioni e degli enti locali, per le quali lo Stato deve assicurare
l’integrale copertura finanziaria ex
art. 119 Cost.
20. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
21. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
22. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
23. –
23.1. – Prima di esporre le singole ragioni di
censura, la ricorrente illustra il contenuto dell’art. 11, sottolineando come
la disciplina in questione accentri in capo allo Stato i poteri e le funzioni
finalizzati alla localizzazione ed alla realizzazione degli interventi di
edilizia abitativa, prioritariamente (e dunque non esclusivamente) di carattere
sociale. Inoltre, tutte le somme che la normativa previgente aveva destinato
alle Regioni per la realizzazione di interventi di edilizia sociale sono
concentrate in un unico fondo, nel quale, secondo la difesa regionale,
sembrerebbero confluire anche le somme derivanti dall’alienazione di alloggi di
edilizia pubblica non appartenenti allo Stato (art. 11, comma 3, lettera b).
La difesa regionale ritiene che l’approvazione di
questi programmi incida direttamente sull’assetto urbanistico del territorio;
in ogni caso, il ricorso allo strumento dell’accordo di programma consente di
attribuire allo stesso efficacia di variante agli strumenti urbanistici locali
e sopracomunali. La natura derogatoria della pianificazione territoriale
sarebbe confermata dal comma 9 dell’art. 11, secondo cui l’attuazione del piano
nazionale di edilizia abitativa può essere perseguita con le modalità previste
dagli artt. 161 e seguenti del d.lgs. n. 163 del 2006, relativi alla
realizzazione delle opere strategiche.
23.1.1. – L’art. 11 è impugnato, innanzitutto, per
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
L’art. 11, infatti, non si limiterebbe a fissare i
criteri generali in materia di localizzazione o di assegnazione di alloggi
popolari, ma si risolverebbe «in un’attribuzione incondizionata al Governo del
potere di procedere alla localizzazione, esecuzione (mediante individuazione del
soggetto attuatore) e gestione degli interventi di edilizia residenziale
pubblica e sociale, utilizzando fondi (e competenze) di pertinenza regionale».
L’unica eccezione sarebbe rappresentata, secondo la
ricorrente, dal comma 7 dell’art. 11 che conterrebbe una norma di principio.
23.1.2. –
In particolare, la denunciata violazione deriverebbe
dall’individuazione, operata dal comma 1 dell’art. 11, del titolo che
legittimerebbe lo Stato a dettare la normativa impugnata («Al fine di garantire
su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno
abitativo per il pieno sviluppo della persona umana …»).
La ricorrente sottolinea come nessun comma dell’art.
11 rechi l’indicazione dei requisiti minimi per l’accesso al bene "casa” o dei
livelli minimi di tale servizio sociale; al contrario, la norma censurata si
limiterebbe a disciplinare gli «strumenti di attuazione del "Piano Casa” che si
risolvono nella attribuzione allo Stato del potere di procedere alla
approvazione diretta degli interventi di edilizia residenziale pubblica, anche
in mancanza di accordo regionale».
La difesa regionale, richiamando alcune pronunzie
della Corte costituzionale, conclude sul punto rilevando che «l’aspirazione a
raggiungere un "livello minimo” di prestazioni sociali, se consente allo Stato
di predeterminare generali standard quali/quantitativi da raggiungere da parte
della normazione regionale, non può, al contrario, consentire la gestione
diretta dei servizi necessari al raggiungimento di tali standard, peraltro,
nella specie neppure enunciati».
23.1.3. – L’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 è
impugnato anche per violazione dei principi di sussidiarietà ed adeguatezza, di
cui all’art. 118 Cost., e del principio di leale collaborazione.
In particolare,
Secondo la difesa regionale, la norma in questione
ridurrebbe il ruolo delle Regioni a «mero apporto consultivo, liberamente
disattendibile da parte dell’organo ministeriale, nonostante l’evidente impatto
che l’accordo medesimo produce sul territorio della Regione destinata ad
ospitare l’intervento costruttivo». Al riguardo,
In sostanza, a parere della ricorrente, l’accordo
tra Governo e soggetto attuatore dell’intervento costruttivo sarebbe «idoneo ad
obliterare totalmente ogni spazio di autonomia regionale», incidendo
direttamente sull’assetto urbanistico del territorio della Regione;
risulterebbe in tal modo violato il principio di leale collaborazione e l’art.
118 Cost.
Sono richiamate in proposito le sentenze n. 303 del 2003
e n. 383 del
2005, dal cui esame
Sarebbero inoltre violati i principi di
sussidiarietà, adeguatezza e leale collaborazione, poiché non sarebbe
rinvenibile alcuna esigenza unitaria che possa giustificare l’individuazione a
livello centrale dei programmi di edilizia residenziale da realizzare e della
relativa localizzazione. La difesa regionale ritiene, infatti, che il livello
decisionale centrale debba risolversi esclusivamente nella quantificazione
delle risorse da assegnare ai programmi di edilizia residenziale pubblica e
nella loro ripartizione alle Regioni in sede di Conferenza unificata.
23.1.4. – Un’ulteriore ragione di censura dell’art.
11 è prospettata dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 117, sesto comma,
Cost.
L’«assoluta indeterminatezza» delle norme dettate
dall’art. 11 comporterebbe la necessaria attuazione con una normativa di
dettaglio di rango secondario. Tuttavia, la materia incisa rientrerebbe fra
quelle di competenza legislativa concorrente, con la conseguenza che lo Stato
non potrebbe adottare norme regolamentari, in virtù di quanto disposto
dall’art. 117, sesto comma, Cost.
23.1.5. – L’art. 11, comma 12, è, infine, impugnato
per violazione degli artt. 119 e 117, quarto comma, Cost.
Secondo la ricorrente, l’incidenza della normativa
impugnata sulla competenza legislativa concorrente in materia di edilizia
residenziale pubblica rende illegittima la costituzione di un fondo con
finalità di finanziamento degli interventi definiti dall’art. 11, per
violazione dell’art. 119 Cost.
Da quanto appena detto discenderebbe la violazione
dell’art. 117, quarto comma, Cost., posto che la gestione degli alloggi di edilizia
popolare rientra nel «terzo livello normativo» in materia, rientrante nella
potestà legislativa residuale della Regione.
Infine, sarebbe ulteriormente violato l’art. 119
Cost., poiché lo Stato, in virtù della norma impugnata, utilizzerebbe per fini
propri somme di spettanza regionale.
23.2. –
23.2.1. – I commi 1, 2 e 3 dell’art. 13 sono
censurati per violazione dell’art. 117, quarto e sesto comma, Cost.
La difesa regionale rileva, in via preliminare, la
«pressoché assoluta identità» delle norme impugnate e di quelle dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del
2007. La sola differenza sarebbe rinvenibile nel fatto che, nella normativa
oggetto dell’odierno giudizio, gli accordi tra Stato e Regioni devono essere
stipulati in sede di Conferenza unificata e l’atto terminale del procedimento è
l’accordo e non un d.P.C.m. Dunque, mentre i commi 597 e 598 della legge n. 266
del 2005, dichiarati illegittimi con la citata sentenza n. 94 del
2007, dettavano i principi cui doveva uniformarsi l’accordo tra Governo e
Regioni, preliminare all’adozione del d.P.C.m. che avrebbe stabilito le norme
semplificate per l’alienazione degli alloggi, l’art. 13 del d.l. n. 112 del
2008 fissa i criteri in base ai quali dovranno essere stipulati gli accordi tra
Stato, Regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle
normative per l’alienazione dei beni in esame.
Anche il comma 3 dell’art. 13 si differenzierebbe
«ben poco» rispetto ai commi 599 e 600 della legge n. 266 del 2005, anch’essi
dichiarati illegittimi con la sentenza n. 94 del
2007. In particolare, secondo la ricorrente, il comma 3 dell’art. 13
disporrebbe, «in maniera più "secca”» rispetto alle norme della legge n. 266
del 2005, che la facoltà di cartolarizzare gli immobili può essere attribuita
alle amministrazioni locali, oltre a quelle regionali, «così reiterando
l’illegittima scelta statale di consentire anche ad enti sub-regionali di
effettuare scelte gestionali in contrasto con differenti indirizzi da parte
della Regione».
Pertanto,
In definitiva, la ricorrente asserisce
l’incostituzionalità delle norme impugnate per le ragioni già evidenziate nella
sentenza n. 94
del 2007.
23.2.2. – Oggetto di specifiche censure è, inoltre,
il comma 3-bis dell’art. 13,
impugnato per violazione dell’art. 119 Cost.
Anche in questo caso, secondo la difesa regionale,
si tratterebbe di un fondo gestito a livello centrale, incidente su ambiti
materiali di potestà legislativa concorrente o addirittura esclusiva regionale.
Al riguardo,
24. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13 il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
25. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del d.l.
n. 112 del 2008; c) nuovo schema del
d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
26. –
26.1. – Preliminarmente, la ricorrente sottolinea
come l’art. 11 impugnato si inquadri in un più ampio contesto normativo che
regola la materia dell’edilizia residenziale pubblica. Sono in proposito
richiamati: a) la legge n. 9 del
2007, con la quale è stato previsto un piano straordinario finalizzato ad
identificare il fabbisogno abitativo e sono stati fissati i principi generali
per la programmazione in materia e per la predisposizione, da parte delle
Regioni, dei singoli programmi regionali; b)
l’art. 21 del d.l. n. 159 del 2007, convertito
in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 222 del 2007; il citato
art.
Secondo
Sulla base di queste premesse, la ricorrente
sostiene che l’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 abbia accentrato nel Governo
nazionale le decisioni attinenti ad interventi in materie di competenza
regionale (edilizia residenziale pubblica, solidarietà sociale e governo del
territorio), «vanificando, peraltro, anche le decisioni programmatiche già
adottate e, in parte, avviate».
26.1.1. – In particolare, l’art. 11 violerebbe le
attribuzioni legislative e amministrative regionali in materia di assistenza e
politiche sociali e dell’abitazione, edilizia residenziale pubblica, lavori
pubblici di interesse regionale e locale e gestione del patrimonio immobiliare
di edilizia residenziale pubblica, previste dagli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 118 Cost.
La difesa regionale si sofferma, poi, sulle
differenze esistenti tra la normativa impugnata e quella oggetto del giudizio
di legittimità costituzionale definito con la sentenza n. 166 del
2008 nel senso della non fondatezza. La norma oggi impugnata, infatti, si
porrebbe «come regola ordinaria e stabile» di definizione dei rapporti
Stato-Regione nella materia in questione, prevedendo un «accentramento a
livello statale» che sottrae qualunque spazio di intervento ai piani regionali.
Proprio sulla scorta degli interventi legislativi
del 2007, sopra indicati, la ricorrente ritiene che la previsione di un piano
nazionale di edilizia abitativa (art. 11, comma 1), nonostante la necessità di
un’intesa con
26.1.2. – In particolare, sarebbe evidente
l’illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 11, là dove il legislatore
prevede che, decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta l’intesa per
l’approvazione degli accordi di programma, questi possono essere comunque
approvati.
26.1.3. – Le ragioni di censura individuate con
riferimento ai commi 1 e 4 dell’art. 11 varrebbero anche per i commi 2, 6, 8 e
9 del medesimo articolo, in quanto le norme in esame accentrerebbero nello
Stato la decisione, espropriando la competenza regionale.
26.1.4. – Oggetto di specifica impugnazione è il comma 3 dell’art. 11, il
quale limita l’oggetto del piano nazionale di edilizia abitativa esclusivamente
alla «costruzione di nuove abitazioni» ed alla «realizzazione di misure di
recupero del patrimonio abitativo esistente», vincolando in tal modo le Regioni
nella scelta delle tipologie di intervento più adatte al fabbisogno abitativo
regionale ed alle esigenze territoriali.
La ricorrente osserva, in proposito, come la stessa Regione Campania abbia
modulato il programma di finanziamenti previsto dalla legge n. 9 del
Per effetto della normativa oggi impugnata, invece, questa possibilità
verrebbe meno, con la conseguenza di una illegittima lesione della competenza
regionale in ordine alle politiche sociali ed abitative.
Secondo la difesa regionale, le novità introdotte dall’art. 11 del d.l. n.
112 del 2008 risulterebbero particolarmente lesive delle attribuzioni regionali
alla luce del fatto che il comma 12 dello stesso art. 11 fa confluire nel fondo
ivi istituito anche le risorse del precedente d.l. n. 159 del 2007, vanificando
pertanto le decisioni già adottate dalla Regione in merito.
Per le ragioni suesposte sarebbero illegittimi il comma 3, che limita gli
obiettivi della politica abitativa e la tipologia degli interventi, il comma 4,
che individua e limita ad un solo strumento negoziale la realizzazione dei
programmi di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana,
ed il comma 5, che precisa e quindi limita le modalità di attuazione degli
accordi di programma di cui al comma 4.
26.1.5. –
26.1.6. – È impugnato, da ultimo, il comma 12 dell’art. 11. La difesa
regionale premette che, con il d.l. n. 159 del 2007 e con il successivo decreto
del Ministro delle infrastrutture 18
dicembre 2007, è stato approvato un programma straordinario predisposto
dalle singole Regioni, ammettendo al finanziamento gli interventi da queste
ultime individuati. Gli enti territoriali interessati hanno dato avvio alle
procedure per l’attuazione del programma in questione; sono stati, pertanto,
assunti specifici impegni per la progettazione e per l’acquisto degli immobili,
ed, in alcuni casi, sono state definite le procedure di appalto per la rapida
realizzazione degli alloggi.
Queste considerazioni renderebbero evidente, a parere della Regione
Campania, l’illegittimità costituzionale del comma 12, il quale dispone che le
risorse già stanziate da altre leggi confluiscano nel fondo per l’attuazione
del piano nazionale di edilizia abitativa, senza prevedere alcun confronto con
le Regioni interessate. La norma impugnata stabilisce, inoltre, che «gli
eventuali provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni legislative
citate al primo periodo del presente comma, incompatibili con il presente
articolo, restano privi di effetti». Sono fatte salve soltanto le somme «già
iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate».
A ciò si aggiunga, sempre secondo la difesa regionale, che gran parte
degli interventi programmati individuano gli enti attuatori negli IACP,
trasformati in enti economici, ai quali dunque non è riferibile il sistema di
contabilità finanziaria pubblica. Ad avviso della ricorrente, questa circostanza
non consentirebbe di operare la deroga prevista dalla norma impugnata per le
somme «già iscritte nei bilanci degli enti destinatari e impegnate».
Sulla base delle anzidette considerazioni, la difesa regionale ritiene che
la norma impugnata sia illegittima per violazione dei seguenti parametri
costituzionali: a) del principio di
leale collaborazione, in quanto il programma abitativo previsto dalla normativa
del 2007, regolarmente concordato fra i diversi livelli di governo, è stato
travolto attraverso la sottrazione unilaterale dei finanziamenti già concessi
dallo Stato; b) degli artt. 118 e 119
Cost., poiché il censurato comma 12 incide in maniera grave sulla
pianificazione e sull’autonomia finanziaria della Regione; c) del principio di ragionevolezza, in quanto la norma impugnata
«contrasta con una scelta precedente (confermata dal legislatore statale) e,
nel delineare l’ambito dell’intervento a favore di categorie socialmente
deboli, contrasta con gli stessi principi ispiratori esplicitati nel comma 1».
26.2. –
26.2.1. – Quanto ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 13, la difesa regionale
riprende le argomentazioni utilizzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 94 del
2007 con la quale sono state dichiarate illegittime norme di analogo
contenuto. Al riguardo, la ricorrente sottolinea come la disciplina delle
procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli IACP rientri nella
competenza legislativa esclusiva delle Regioni (art. 117, quarto comma, Cost.).
Inoltre, ad avviso della Regione Campania, la previsione di un accordo in
sede di Conferenza unificata (art. 13, comma 1) determina l’assunzione di un
vincolo a carico della Regione, anche contro la sua volontà. Ciò rileverebbe,
in particolare, con riferimento al comma 3 dell’art.
26.2.2. – Anche il comma 3-ter
dell’art. 13 è impugnato per violazione della potestà legislativa residuale
delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.
26.2.3. – La ricorrente impugna, inoltre, il comma 3-bis dell’art.
26.2.4. – Infine, è censurato il comma 3-quater dell’art. 13, che istituisce presso il Ministero
dell’economia e delle finanze un fondo per la tutela dell’ambiente e per la
promozione del territorio. Secondo la difesa regionale, la norma in questione
interferirebbe con materie di competenza regionale (in particolare, «governo
del territorio»); di conseguenza, sarebbe illegittima la mancata previsione di
qualsiasi forma di partecipazione delle Regioni nelle determinazioni da
assumere in merito all’utilizzazione dei contributi. Per la ragione anzidetta
sarebbe violato anche il principio di leale collaborazione.
27. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13 il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
28. – In data 12 gennaio 2009,
29. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
30. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
31. –
31.1. – In via preliminare, la ricorrente sottolinea come la normativa
impugnata incida sulla materia dell’edilizia residenziale pubblica, già
trasferita alla Regione Valle d’Aosta dagli artt. 62 e 63 del d.P.R. 22
febbraio 1982, n. 182 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Valle d’Aosta per la estensione alla regione delle disposizioni del D.P.R. 24
luglio 1977, n. 616 e della normativa relativa agli enti soppressi con l’art.
1-bis del D.L. 18 agosto 1978, n.
481, convertito nella L. 21 ottobre 1978, n. 641), ed ora spettante alla
potestà legislativa piena della medesima Regione ai sensi dell’art. 117, quarto
comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
A tale riguardo, la difesa regionale richiama la sentenza n. 94 del
2007 della Corte costituzionale e sottolinea come i commi 1, 2 e 3
dell’art. 13 abbiano un contenuto analogo a quello delle norme dichiarate
illegittime con la citata pronunzia.
31.1.1. – In particolare, il comma 1 dell’art. 13 non conterrebbe una
disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica ma inciderebbe sulla gestione degli alloggi di proprietà
degli IACP (o di altri enti sostitutivi di questi), cioè di un patrimonio
immobiliare non appartenente allo Stato ma ad enti strumentali della Regione.
In tal modo, sarebbe lesa la competenza legislativa esclusiva della Regione
Valle d’Aosta in materia di edilizia residenziale pubblica, in violazione
dell’art. 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001.
Ad avviso della ricorrente, la previsione dell’accordo in sede di
Conferenza unificata non varrebbe ad assicurare il rispetto del principio di
leale collaborazione, in quanto quest’ultimo non può essere invocato nelle
ipotesi in cui si versi in un ambito materiale riservato esclusivamente alle
Regioni.
31.1.2. – A conclusioni analoghe la difesa regionale giunge con
riferimento al comma 2 dell’art.
In altre parole, ad avviso della Regione Valle d’Aosta, i criteri
individuati dalla norma impugnata non possono rientrare nella competenza
legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., né possono autorizzare «chiamate
in sussidiarietà», né, infine, sono assimilabili a scelte di natura
programmatoria degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica e quindi
riconducibili alla materia «governo del territorio» (art. 117, terzo comma,
Cost.).
La ricorrente ritiene, infatti, che i criteri di cui al comma 2
costituiscano limiti ed indirizzi per le scelte regionali in materia di
semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili, che finiscono
con il predeterminare il contenuto degli accordi previsti dal comma 1 dell’art.
13, e dunque investono pienamente la gestione del patrimonio immobiliare di
edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP o degli altri enti ad
essi assimilabili, rientrante nella competenza legislativa esclusiva della
Regione Valle d’Aosta.
31.1.3. – Infine, anche il comma 3 dell’art. 13 è ritenuto lesivo della
competenza legislativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica,
giacché interviene sulle possibili scelte gestionali della Regione in relazione
alla vendita degli alloggi e dunque su un ambito riservato al legislatore
regionale dall’art. 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001.
32. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 13 il
resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli atti di
costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008, sopra
riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
33. –
33.1. – La ricorrente impugna il comma 4 dell’art. 11, nella parte in cui
stabilisce che, decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta l’intesa
prevista per l’approvazione degli accordi di programma, questi possono essere
comunque approvati.
Al riguardo, la difesa regionale osserva come il riconoscimento allo Stato
del ruolo di promozione e coordinamento di interventi di edilizia residenziale
pubblica non possa sovrapporsi alle competenze delle Regioni, che sono chiamate
a formulare il proprio assenso al piano di edilizia residenziale pubblica.
In ordine al comma 8 dell’art. 11, la ricorrente ritiene che la
regolamentazione dell’assegnazione e dell’alienazione degli alloggi rientri
nella competenza regionale ai sensi dell’art. 117 Cost. ed, in particolare per
Parimenti illegittimo sarebbe il comma
33.2. – È impugnato anche l’art. 13, commi 1, 2 e 3, il quale, ad avviso
della ricorrente, sostanzialmente ripropone il contenuto delle norme dichiarate
illegittime dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del
2007.
Secondo
34. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
35. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
36. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
37. –
38. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle
censure.
Ad avviso del resistente, le questioni promosse nei
confronti dell’art. 11 sono inammissibili perché la ricorrente non avrebbe
esattamente individuato le norme impugnate e le motivazioni addotte sarebbero
generiche.
Quanto alle singole ragioni di impugnazione dell’art. 11 e
dell’art. 13, il resistente espone le medesime argomentazioni sviluppate negli
atti di costituzione nei giudizi promossi con i ricorsi n. 67 e n. 69 del 2008,
sopra riassunti, alla cui sintesi si rinvia.
39. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
40. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
41. –
La norma impugnata ha modificato l’art. 11, comma 1,
del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 133 del 2008, statuendo che
La difesa regionale evidenzia come la modifica così
operata sia rilevante poiché, mentre il parere può essere facilmente disatteso,
l’intesa richiede lo svolgimento di trattative finalizzate a pervenire ad una
determinazione condivisa e, quindi, assicura un effettivo rispetto delle
competenze regionali che si intrecciano con quelle statali. Al riguardo,
Ad avviso della ricorrente, già l’originario testo del comma 1 dell’art.
11 era «insufficiente a salvaguardare le competenze regionali», perché non
permetteva alle singole Regioni di esprimersi sul contenuto del piano,
richiedendo solo l’intesa con
Peraltro, anche nell’ipotesi in cui fossero ritenute sussistenti esigenze
di sussidiarietà, sarebbe necessaria la previsione dell’intesa.
In definitiva,
42. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che
Infatti, l’art. 7-quater, comma 12, lettera a), del decreto-legge 10 febbraio 2009,
n. 5 (Misure urgenti a sostegno
dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione
lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario), convertito
in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 aprile 2009,
n.
43. – In data 22 settembre 2009, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato copia dei seguenti documenti: a) accordo tra il Governo e le Regioni
siglato il 5 marzo 2009; b) parere
della Conferenza unificata reso il 12 marzo 2009, ai sensi dell’art. 11 del
d.l. n. 112 del 2008; c) nuovo schema
del d.P.C.m. di cui all’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; d) deliberazione CIPE n. 18/2009; e) d.P.C.m.
16 luglio 2009.
44. – In prossimità dell’udienza pubblica del 18 novembre
2009,
45. – Nell’udienza pubblica del 23 febbraio 2010, la
ricorrente ha chiesto che
Considerato
in diritto
1. – Le Regioni Piemonte (reg. ric. n. 67 del 2008),
Emilia-Romagna (reg. ric. n. 69 del 2008), Veneto (reg. ric. n. 70 del 2008),
Liguria (reg. ric. n. 72 del 2008), Toscana (reg. ric. n. 74 del 2008) e
Sicilia (reg. ric. n. 88 del 2008) hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione
della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n.
133, e tra queste degli artt. 11 e 13, per violazione degli artt. 117, 118, 119, 120 e 136 della Costituzione, dell’art.
14, lettera g), del r.d.lgs. 15
maggio 1946 n. 545 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana),
convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, del d.P.R. 30
luglio 1950, n. 878 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana
in materia di opere pubbliche) e del principio di leale collaborazione.
Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre
disposizioni contenute nel suddetto d.l. n. 112 del 2008, vengono in esame in
questa sede le questioni di legittimità costituzionale relative agli artt. 11 e
13.
Le Regioni Puglia (reg. ric. n. 78 del 2008),
Campania (reg. ric. n. 79 del 2008) e Lazio (reg. ric. n. 89 del 2008) hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale di entrambi gli artt. 11 e 13
del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 133 del 2008, per violazione degli artt. 2, 3, 14, 114, 117, 118 e 119 Cost., e dei principi di
ragionevolezza e di leale collaborazione.
Le Regioni Umbria (reg. ric. n. 73 del 2008) e Valle
d’Aosta (reg. ric. n. 84 del 2008) hanno promosso questioni di legittimità
costituzionale del solo art. 13 del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, per
violazione, rispettivamente, degli artt. 117, 119 e 136 Cost., e dell’art. 117
Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione).
Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre
disposizioni contenute nel d.l. n. 185 del 2008, vengono in esame in questa
sede le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 18, comma 4-bis, lettera a).
I giudizi, così separati e delimitati, in considerazione della loro
connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica
pronuncia.
2. – Preliminarmente, deve essere dichiarato
inammissibile il ricorso promosso dalla Regione Lazio avverso gli artt. 11 e 13
del d.l. n. 112 del 2008.
Il detto ricorso, notificato il 20 ottobre 2008, è
stato depositato il successivo 5 novembre e quindi oltre il termine di 10
giorni dalla notifica, previsto dall’art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale), che rinvia a quanto
stabilito dall’art. 31, comma 4, della medesima legge.
Alla stregua della consolidata giurisprudenza di
questa Corte, il termine per il deposito del ricorso deve intendersi stabilito
a pena di decadenza (sentenze n. 72 del 1981
e n. 191 del
1980; ordinanze n. 99 del 2000,
n. 126 del 1997,
n. 528 e n. 643 del 1988).
D’altra parte, la ricorrente non prospetta argomenti che inducano
3. – Deve essere inoltre ribadita l’inammissibilità,
già dichiarata con separata ordinanza nell’udienza pubblica del 23 febbraio
2010, dell’atto di intervento spiegato dalla Regione Lazio nel giudizio
promosso dalla Regione Campania.
Questa Corte ha più volte sottolineato (sentenze n. 172 del 1994
e n. 111 del
1975) che nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non è
ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare
della potestà legislativa il cui atto è oggetto di contestazione. D’altronde,
come si è detto,
4. – Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere in ordine alla questione promossa dalla
Regione Toscana con riferimento all’art. 18, comma 4-bis, lettera a), del d.l.
n. 185 del 2008 (reg. ric. n. 23 del 2009).
Al riguardo, deve essere rilevato che la norma in
questione, nel testo risultante a seguito della conversione del decreto in
legge, ha modificato l’art. 11, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, sostituendo
la previsione dell’intesa con
Il comma 12 dell’art. 7-quater,
appena citato, ha sostituito la parola «sentita» con le seguenti «d’intesa
con», ripristinando pertanto l’originaria previsione dell’intesa con
La medesima ricorrente, nell’udienza pubblica del 23
febbraio
Trova applicazione pertanto l’orientamento di questa Corte
secondo cui, nel giudizio in via principale, quando la parte ricorrente, pur
non rinunciando formalmente al ricorso, evidenzia il sopraggiunto venir meno
delle ragioni della controversia e la parte resistente non è costituita o non
si oppone, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenze nn. 246, 234 e 225 del 2009).
5. – Inoltre, deve essere dichiarata l’inammissibilità
delle questioni promosse dalle Regioni Emilia-Romagna e Liguria avverso i commi
3, 4, 5, 8 e 9 dell’art. 11, e dalla Regione Campania avverso i commi 2, 6, 8 e
9 del medesimo art. 11.
Le citate ricorrenti formulano una indistinta censura dei
detti commi senza specificare i profili di illegittimità costituzionale di ciascuna
norma. Il diverso contenuto delle disposizioni censurate rende inammissibile
un’unica impugnazione dei commi sopra indicati; d’altra parte, dalle
motivazioni addotte dalle ricorrenti non è possibile dedurre le ragioni di
incostituzionalità delle singole norme.
Deve essere, invece, esclusa l’inammissibilità delle
censure rivolte all’intero art. 11 del d.l. n. 112 del 2008; dalla parte motiva
dei relativi ricorsi si deduce come le censure, formalmente rivolte all’intero
art. 11, debbano intendersi riferite solo ad alcuni specifici commi.
Infine, la formulazione di questioni in larga parte
coincidenti, quanto all’oggetto ed ai parametri evocati, rende opportuno
l’esame congiunto delle stesse.
6. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, non sono
fondate.
6.1. – Lo Stato, prevedendo l’approvazione di un
piano nazionale di edilizia abitativa, ha inteso disciplinare in modo unitario
la programmazione in materia di edilizia residenziale pubblica avente interesse
a livello nazionale. Questa Corte ha già precisato che la materia dell’edilizia
residenziale pubblica, non espressamente contemplata dall’art. 117 Cost., «si
estende su tre livelli normativi»: «il primo riguarda la determinazione
dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno
abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella
competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
m), Cost. – si inserisce la
fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di
assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del
1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli
insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia
"governo del territorio”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come
precisato […] da questa Corte con la sentenza n. 451 del
2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117
Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale
pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli
altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione
regionale» (sentenza
n. 94 del 2007).
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la
previsione di un piano nazionale di edilizia abitativa si inserisce nel secondo
livello normativo, nel senso che lo Stato, con il suddetto piano, fissa i
principi generali che devono presiedere alla programmazione nazionale ed a
quelle regionali nel settore. Nello stabilire tali principi, lo Stato non fa
che esercitare le proprie attribuzioni in una materia di competenza
concorrente, come il «governo del territorio». L’attuazione
tecnico-amministrativa della norma oggetto di impugnazione è demandata allo
Stato, per quanto attiene ai profili nazionali uniformi, con la conseguenza che
la competenza amministrativa, limitatamente alle linee di programmazione di
livello nazionale, deve essere riconosciuta, in applicazione del principio di
sussidiarietà di cui al primo comma dell’art. 118 Cost., allo Stato medesimo.
D’altra parte, questa Corte ha già precisato che «la determinazione dei livelli
minimi di offerta abitativa per specifiche categorie di soggetti deboli non può
essere disgiunta dalla fissazione su scala nazionale degli interventi, allo
scopo di evitare squilibri e disparità nel godimento del diritto alla casa da
parte delle categorie sociali disagiate» (sentenza n. 166 del
2008).
6.2. – L’incidenza della necessità di esercizio
unitario – che opera sulla allocazione delle competenze amministrative nel
senso dell’accentramento di quelle attinenti alla predisposizione del piano
nazionale – richiede, perché sia legittimo l’uso della potestà legislativa
statale in merito al piano nazionale, che la stessa disciplina dello Stato
prescriva idonee procedure di leale collaborazione, secondo quanto sancito
dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 303 del
2003).
Al riguardo, si deve osservare che nel testo
originario dell’art. 11, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008 come convertito in
legge, era prevista l’intesa con
L’art. 18, comma 4-bis,
lettera a), del d.l. n.
185 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della
legge n. 2 del
Giova pure ricordare che il piano nazionale di edilizia
abitativa è stato approvato con d.P.C.m. 16 luglio 2009, sulla base del parere
favorevole, espresso il 12 marzo 2009 dalla Conferenza unificata.
Successivamente all’adozione del parere favorevole, ma prima dell’adozione del
d.P.C.m., è stata reintrodotta la previsione dell’intesa. Tale modifica ha
indotto
7. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
La disposizione citata elenca i destinatari degli
interventi da realizzare con il piano nazionale di edilizia abitativa, individuando
nelle fasce più svantaggiate della popolazione i soggetti beneficiari del piano
stesso: a) nuclei familiari a basso
reddito, anche monoparentali o monoreddito; b)
giovani coppie a basso reddito; c)
anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate; d) studenti fuori sede; e)
soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio; f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della
legge 8 febbraio 2007, n. 9 (Interventi
per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali);
g) immigrati regolari a basso
reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da
almeno cinque anni nella medesima Regione.
A tale proposito, si deve ricordare quanto questa
Corte ha precisato, ai fini della individuazione dei limiti, nella materia de qua, della competenza legislativa
esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: «La determinazione dei
livelli minimi di offerta abitativa per categorie di soggetti particolarmente
disagiate, da garantire su tutto il territorio nazionale, viene concretamente
realizzata attribuendo a tali soggetti una posizione preferenziale, che possa
assicurare agli stessi il soddisfacimento del diritto sociale alla casa
compatibilmente con la effettiva disponibilità di alloggi nei diversi
territori» (sentenza
n. 166 del 2008).
La norma censurata indica alcune categorie sociali,
cui è riconosciuta una posizione preferenziale rispetto a tutte le altre, in
considerazione del particolare stato di disagio economico in cui versano le
persone in esse comprese. Questa individuazione prioritaria rientra a pieno
titolo nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che deve
avere carattere soggettivo, oltre che oggettivo, giacché occorre sempre tener
presenti le differenti condizioni di reddito, che incidono in modo diretto
sulla fissazione del singolo "livello minimo”, da collegare alle concrete
situazioni dei soggetti beneficiari.
Nella prospettiva prima delineata, è immune dai vizi
denunciati l’uso, da parte della disposizione censurata, dell’avverbio
«prioritariamente», il quale non vale certo a legittimare interventi di
edilizia residenziale pubblica rivolti a categorie sociali munite di redditi
elevati. Tale avverbio, piuttosto, pone in rilievo che la legge statale, in
coerenza con la sua funzione di individuare i «livelli minimi», stabilisce un
ordine inderogabile di priorità, il quale non esclude la possibilità che le
Regioni, una volta soddisfatte le esigenze delle categorie deboli
specificamente elencate, possano, nell’ambito del proprio territorio,
individuare altre categorie meritevoli di sostegno, cui ritengono utile e necessario
fornire il supporto degli interventi pubblici in materia di edilizia
residenziale.
8. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate nei
limiti di seguito specificati.
La disposizione censurata prevede in generale una
tipologia di interventi, che dovranno essere realizzati «sulla base di criteri
oggettivi che tengano conto dell’effettivo bisogno abitativo presente nelle
diverse realtà territoriali». In particolare, sono previsti i seguenti
interventi: «a) costituzione di fondi
immobiliari destinati alla valorizzazione e all’incremento dell’offerta
abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari
innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati,
articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l’acquisizione
e la realizzazione di immobili per l’edilizia residenziale; b) incremento del patrimonio abitativo
di edilizia con le risorse anche derivanti dall’alienazione di alloggi di
edilizia pubblica in favore degli occupanti muniti di titolo legittimo, con le
modalità previste dall’articolo 13; c)
promozione da parte di privati di interventi anche ai sensi della parte II,
titolo III, Capo III del codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163; d) agevolazioni, anche amministrative,
in favore di cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli
interventi, potendosi anche prevedere termini di durata predeterminati per la
partecipazione di ciascun socio, in considerazione del carattere solo
transitorio dell’esigenza abitativa; e)
realizzazione di programmi integrati di promozione di edilizia residenziale
anche sociale».
Dalla natura degli interventi previsti è agevole
desumere che si tratta di principi generali, i quali devono essere osservati
sia nella redazione del piano nazionale, sia nella redazione di piani
regionali, in quanto tendenti a inserire l’incremento del patrimonio di
edilizia residenziale pubblica in un quadro di uniforme programmazione dell’uso
delle risorse disponibili. La norma impugnata attiene, dunque, alla materia
«governo del territorio»; di conseguenza, la formulazione dei suddetti principi
generali rientra nella competenza legislativa dello Stato. Non emerge dalle
prescrizioni finalistiche e strumentali prima riportate alcuna ingerenza nella
gestione del patrimonio immobiliare relativo all’edilizia residenziale
pubblica, che appartiene alla competenza legislativa residuale delle Regioni.
La stessa previsione di cui alla lettera b), particolarmente censurata dalle
ricorrenti, perché incidente sull’utilizzazione dei proventi derivanti
dall’alienazione degli alloggi, non prefigura un’interferenza dello Stato nella
gestione di tali immobili. Essa, piuttosto, imponendo la riutilizzazione di
tali risorse per l’incremento del patrimonio abitativo di edilizia
residenziale, fissa un principio generale, coerente con la finalità complessiva
del piano, costituita da una maggiore disponibilità di alloggi destinati alle
categorie sociali più disagiate. Non si dettano alle Regioni regole sul se,
come e quando procedere alle alienazioni di cui sopra, né si disciplinano le
connesse procedure amministrative, ma si pone soltanto il principio che i
proventi dell’alienazione di alloggi popolari siano reinvestiti nello stesso
settore.
Trattandosi di principi generali attinenti al
settore dell’edilizia residenziale pubblica, lo stesso carattere sociale del
piano nazionale previsto dalle norme censurate esclude che la potestà
legislativa concorrente dello Stato possa essere utilizzata per altre finalità,
non precisate e non preventivamente inquadrabili nel riparto di competenze tra
Stato e Regioni. Questo sviamento è reso invece possibile dalla parola «anche»,
contenuta nella lettera e)
del comma 3 dell’art. 11, che si pone come un corpo estraneo in un
complesso normativo statale, il quale trae la sua legittimità dal fine unitario
dell’incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Incremento
che, come già visto, si attua mediante la statuizione congiunta di livelli
essenziali dell’offerta abitativa e di principi generali volti a consentire
interventi concreti di attuazione degli stessi livelli essenziali. La
possibilità che, nel piano nazionale, trovino posto programmi integrati per
promuovere interventi di edilizia residenziale non aventi carattere sociale
entra in contraddizione con le premesse che legittimano l’intera costruzione.
Infatti, la potestà legislativa, che lo Stato esercita per assicurare il quadro
generale dell’edilizia abitativa, potrebbe essere indirizzata in favore di
soggetti non aventi i requisiti ritenuti dalla stessa legge statale essenziali
per beneficiare degli interventi. L’eventuale diversa destinazione dei programmi
dovrebbe essere valutata in un contesto differente, allo scopo di verificare a
quale titolo lo Stato detti tale norma. Questa indagine non è però possibile,
né conferente ai fini del presente giudizio, stante l’inserimento
extrasistematico della parola di cui sopra in un complesso di norme, tutte
orientate alla finalità generale dell’incremento dell’offerta abitativa per i
ceti economicamente deboli.
Per tali motivi, la norma di cui alla lettera e) del comma 3 dell’art. 11,
limitatamente alla parola «anche», premessa a «sociale», deve ritenersi
costituzionalmente illegittima, in quanto consente l’introduzione di finalità
diverse da quelle che presiedono all’intera normativa avente ad oggetto il
piano nazionale di edilizia residenziale pubblica.
9. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate nei
limiti di seguito precisati.
La disposizione censurata, nella parte in cui
prevede accordi di programma, approvati con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, previa delibera del CIPE, d’intesa con
A diversa conclusione si deve pervenire con
riferimento all’ultimo periodo del suddetto comma 4, che prevede: «Decorsi
novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta intesa, gli accordi di
programma possono essere comunque approvati».
Tale norma vanifica la previsione dell’intesa, in
quanto attribuisce ad una delle parti «un ruolo preminente, incompatibile con
il regime dell’intesa, caratterizzata […] dalla paritaria codeterminazione
dell’atto»; non è legittima infatti «la drastica previsione, in caso di mancata
intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce
all’espressione di un parere il ruolo dell’altra» (sentenza n. 24 del
2007). Il superamento delle eventuali situazioni di stallo deve essere
realizzato attraverso la previsione di idonee procedure perché possano aver
luogo «reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il
raggiungimento di un accordo» (sentenza n. 339 del
2005). Se queste cautele sono valide per tutti casi in cui sia prevista
un’intesa, esse acquistano una pregnanza particolare nel sistema dei rapporti
tra Stato e Regioni, in cui sono da integrare la potestà unificatrice del primo
e le autonomie costituzionalmente tutelate delle seconde.
Peraltro, l’art. 3, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 281
del 1997 contiene una norma di chiusura in quanto prevede che «3. Quando
un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta
giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l’oggetto è
posto all’ordine del giorno, il Consiglio dei Ministri provvede con deliberazione
motivata.
4. In caso di motivata urgenza il Consiglio dei Ministri può provvedere senza l’osservanza delle disposizioni del presente articolo. I provvedimenti adottati sono sottoposti all’esame della Conferenza Stato-regioni nei successivi quindici giorni. Il Consiglio dei Ministri è tenuto ad esaminare le osservazioni della Conferenza Stato-regioni ai fini di eventuali deliberazioni successive».
Per i motivi sopra esposti, l’ultimo periodo del
comma 4 dell’art. 11 del d.l. n. 112 del 2008 è costituzionalmente illegittimo
per violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.
10. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 5, del decreto-legge sopra citato non sono
fondate.
La norma censurata stabilisce che gli interventi di
cui al comma 4 sono attuati mediante: «a)
il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori degli
interventi di incremento del patrimonio abitativo; b) incrementi premiali di diritti edificatori finalizzati alla
dotazione di servizi, spazi pubblici e miglioramento della qualità urbana, nel
rispetto delle aree necessarie per le superfici minime di spazi pubblici o
riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto
del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444; c) provvedimenti mirati alla riduzione del prelievo fiscale di
pertinenza comunale o degli oneri di costruzione; d) la costituzione di fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a) con la possibilità di prevedere
altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese
di gestione degli immobili; e) la
cessione, in tutto o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per
la realizzazione anche di unità abitative di proprietà pubblica da destinare
alla locazione a canone agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in
favore delle categorie sociali svantaggiate di cui al comma 2».
Si tratta, anche in questo caso, di principi
fondamentali, attraverso i quali realizzare gli interventi edificatori previsti
dal piano nazionale di edilizia residenziale pubblica. Peraltro, alcune di
queste previsioni, relative al trasferimento ed alla cessione dei diritti
edificatori, incidono sulla materia «ordinamento civile», di competenza
esclusiva dello Stato.
Per quanto riguarda, in particolare, la previsione
di cui alla lettera c), censurata
dalle ricorrenti per violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali,
essa è immune dai vizi denunciati, in quanto si riferisce unicamente ai
prelievi fiscali previsti da leggi statali, dei quali lo Stato può disporre con
una norma a carattere generale, che mira alla loro riduzione in vista di un
fine, anch’esso indicato nella legge, di rilevanza sociale a favore delle
stesse popolazioni locali.
11. – L’art. 11, comma 8, del d.l. n. 112 del 2008 è
censurato in modo specifico dalla Regione siciliana, per violazione della
competenza legislativa esclusiva regionale in materia di «lavori pubblici,
eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale»,
di cui all’art. 14, lettera g), dello
Statuto speciale.
La censura deve ritenersi non fondata perché la
norma non riguarda opere pubbliche, ma contiene discipline complementari
rispetto a quelle di cui ai commi 1 e 4 dello stesso articolo. La disposizione
impugnata prevede infatti modalità e termini per la verifica periodica della
realizzazione del piano, e costituisce quindi un logico completamento dei
citati commi 1 e 4, che questa Corte ritiene immuni dai vizi denunciati.
12. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 9, del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate.
La norma censurata consente il ricorso, in
alternativa alle previsioni di cui al comma 4, alle modalità di approvazione
previste per le infrastrutture strategiche. In questo modo, il legislatore
intende garantire la speditezza delle procedure, a discapito però delle
competenze costituzionalmente tutelate delle Regioni. Difatti, il ricorso alle
modalità proprie delle infrastrutture strategiche è previsto in alternativa
agli accordi di programma, per la cui approvazione è richiesta l’intesa con
13. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
Tale norma è impugnata nella parte in cui prevede
che i programmi integrati, di cui al comma 4, sono dichiarati di interesse
strategico nazionale. La censura è priva di fondamento, in quanto la
dichiarazione di interesse strategico non può condurre alla conseguenza –
ritenuta illegittima da questa Corte per i motivi illustrati al paragrafo 12 –
della variazione delle procedure ed in particolare della eliminazione
dell’intesa con
14. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 11, comma 12, del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
La norma in oggetto istituisce un Fondo nello stato
di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel quale
confluiscono le risorse finanziarie già previste da altre leggi per sostenere
gli interventi in materia di edilizia residenziale pubblica. Sono escluse
soltanto le somme già iscritte nei bilanci degli enti destinatari ed impegnate.
Successivamente alla proposizione degli odierni
ricorsi, la norma è stata più volte modificata, con la previsione di ulteriori
somme, destinate a confluire in questo Fondo, e soprattutto con la prescrizione
dell’intesa con
In particolare, l’art. 1-ter del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158 (Misure urgenti per
contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali), convertito in
legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 18 dicembre 2008,
n.
L’art. 7-quater,
comma 12, lettera b), del d.l. n. 5
del 2009, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 33 del
Poiché lo Stato, come illustrato nei paragrafi
precedenti, ha titolo per intervenire nella materia dell’edilizia residenziale
pubblica, attraverso l’approvazione di un piano nazionale di edilizia
abitativa, deve escludersi che sia illegittima l’istituzione di un apposito
Fondo in materia, a prescindere dalla previsione di un’intesa.
Quanto alla confluenza nel Fondo suddetto delle
somme stanziate ma non iscritte nei bilanci e non impegnate, deve escludersi la
fondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale. In
proposito, si deve ricordare che questa Corte ha ritenuto, in tema di Fondi per
le aree sottoutilizzate, non illegittima una norma statale che disponeva la
revoca delle assegnazioni operate dal CIPE, nel limite delle risorse che non
erano state impegnate o programmate (sentenza n. 16 del
2010). Nel presente giudizio possono essere riprese le argomentazioni della
pronuncia da ultimo citata; infatti, anche la norma oggetto dell’odierna
questione dispone che le sole risorse non ancora iscritte nei bilanci e non
impegnate confluiscano nel Fondo. Queste somme, peraltro, non sono sottratte in
via permanente al circuito regionale, ma sono destinate ad essere nuovamente
programmate in base alle modalità (compresa l’intesa con
15. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 1, del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
La suddetta norma prevede che il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti e quello dei rapporti con le Regioni promuovano,
in sede di Conferenza unificata, la conclusione di accordi con Regioni ed enti
locali, aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione
degli immobili di proprietà degli IACP.
Le ricorrenti osservano che la norma in oggetto
presenta molte affinità con quella prevista nell’art. 1, comma 597, della legge
23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2006), dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 94 del
2007. Tuttavia, occorre rilevare che esiste una decisiva differenza tra la
disposizione oggi censurata e quella dichiarata costituzionalmente illegittima con
la citata sentenza. Infatti, quest’ultima norma prevedeva che la
semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili degli IACP
avvenisse con un d.P.C.m., mentre quella oggi impugnata stabilisce che i
Ministri per le infrastrutture e per i rapporti con le Regioni possano soltanto
promuovere la conclusione di accordi con le Regioni medesime e gli enti locali,
peraltro nella sede della Conferenza unificata.
Questa Corte ribadisce quanto statuito nella sentenza n. 94 del
2007, e cioè che la gestione del patrimonio immobiliare degli IACP rientra
nella competenza residuale delle Regioni, ma deve rilevare come la norma
censurata nel presente giudizio non attribuisca allo Stato alcuna possibilità
di ingerenza in tale gestione. La semplice attività promozionale, di mero
stimolo alla conclusione di accordi, liberamente stipulabili dalle Regioni,
rimane esterna all’attività gestionale vera e propria, e lascia intatte le
competenze regionali in merito. La norma è pertanto immune dalle censure di
legittimità costituzionale avanzate dalle ricorrenti.
16. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate.
La norma censurata ricalca in modo evidente quella
prevista nell’art. 1, comma 598, della legge n. 266 del 2005, dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 94 del
2007. Vengono, infatti, dettati dalla legge statale alcuni criteri, di cui
«si tiene conto» ai fini della conclusione degli accordi in materia di
semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà
degli IACP. Nel comma 1 dello stesso art. 13 il ruolo dello Stato, in una
materia di competenza residuale delle Regioni, è limitato alla semplice
promozione di accordi, mentre nel comma 2 si impone di tenere conto di alcuni
criteri. L’uso del presente indicativo implica, infatti, una doverosità
inconciliabile con la libertà incondizionata, di cui devono godere le Regioni
nel condurre le trattative per raggiungere gli accordi di cui sopra.
L’espressione ricordata – ancorché apparentemente più attenuata di quella
«devono consentire», utilizzata nella norma già dichiarata costituzionalmente
illegittima da questa Corte – contiene in sé un imperativo che una delle parti
dei possibili accordi detta alle altre, limitando così la loro sfera di
discrezionalità e pertanto menomando la pienezza della potestà legislativa
residuale delle Regioni ex art. 117,
quarto comma, Cost.
17. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate.
Questa norma prevede la facoltà per le
amministrazioni regionali e locali di stipulare convenzioni con società di
settore, per lo svolgimento delle attività strumentali alla vendita dei singoli
beni immobili. L’attribuzione alle Regioni di una specifica facoltà in una
materia che rientra nella loro competenza residuale implica un’intromissione dello
Stato in una sfera che non gli appartiene. Per contro, l’attribuzione della
medesima facoltà agli enti locali ha l’effetto di consentire a questi ultimi,
avvalendosi della legge statale, di scavalcare la competenza regionale, anche
nell’ipotesi che le singole Regioni, nella loro discrezionalità legislativa,
non ritengano di dare spazio, nel proprio territorio, alle convenzioni previste
dalla norma censurata. Pertanto, la norma in esame, analogamente ai commi 599 e
600 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, dichiarati illegittimi con la
citata sentenza
n. 94 del 2007, viola la potestà legislativa residuale delle Regioni in
materia di gestione degli immobili di proprietà degli IACP, ex art. 117, quarto comma, Cost.
18. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 3-bis,
del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
18.1. – Occorre preliminarmente rilevare che la
disposizione in oggetto è stata modificata, dopo la proposizione degli odierni
ricorsi, dall’art. 2, comma 39, lettere a)
e b), della legge 23 dicembre 2009,
n. 191 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010),
con effetto dal 1° gennaio 2010. La costante giurisprudenza di questa Corte ha
affermato che, in presenza del medesimo contenuto precettivo, le questioni di
legittimità costituzionale devono intendersi trasferite sul nuovo testo della
disposizione impugnata. Tale è il caso della norma modificativa di quella
censurata dalle odierne ricorrenti, con la conseguenza che le questioni stesse
si trasferiscono sulla disposizione tuttora in vigore (ex plurimis, di recente, sentenza n. 15 del
2010).
18.2. – La disposizione censurata, nel testo
attualmente in vigore, stabilisce: «Al fine di agevolare l’accesso al credito,
a partire dal 1° settembre 2008, è istituito, presso
Tale norma è stata censurata dalle ricorrenti per violazione
degli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., invocando la giurisprudenza di
questa Corte sulla illegittimità dell’istituzione di fondi a destinazione
vincolata in materie di competenza regionale.
Per giungere ad una corretta valutazione della legittimità
costituzionale della disposizione in oggetto, occorre esaminare la sua
peculiarità sia dal punto di vista della sistematica dei rapporti tra Stato e
Regioni, sia da quello del necessario bilanciamento tra principi costituzionali
che incidono nella disciplina de qua,
la quale indubbiamente rientra nei "servizi sociali”, materia non menzionata
nel secondo e nel terzo comma dell’art. 117 Cost. e pertanto da ritenersi
appartenente alla competenza legislativa residuale delle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 168 del 2009
e n. 50 del 2008).
Dal primo punto di vista, bisogna notare che la
norma censurata prevede, da una parte, l’intesa con
Posta la constatazione di cui sopra, si deve
osservare che l’erogazione del credito per l’acquisto della prima casa, da
parte di giovani coppie e di nuclei familiari monogenitoriali con figli minori,
con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, attiene strettamente alla fissazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali, di cui all’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.
Rispetto alla mera formulazione di una scala astratta di bisogni da soddisfare
e di priorità da osservare, la norma censurata aggiunge la creazione di un
Fondo destinato a fornire risorse, per dare concretezza alle pure indicazioni
normative di principio.
Si pone a questo punto il problema della già
segnalata, parziale compressione della sfera legislativa delle Regioni. Al
riguardo, si deve fermare l’attenzione sulla circostanza che si è in presenza
di potestà legislative, dello Stato e delle Regioni, entrambe di livello
primario, che trovano il loro fondamento, la prima, nella tutela uniforme dei
diritti fondamentali delle persone, e la seconda, nella salvaguardia delle
autonomie costituzionalmente sancite. Una equilibrata soluzione delle possibili
contraddizioni tra le due potestà legislative deve tenere conto dell’impossibilità
di far prevalere in modo assoluto il principio di tutela o quello
competenziale. Sarebbe ugualmente inaccettabile che lo Stato dovesse rinunciare
ad ogni politica concreta di protezione dei diritti sociali, limitandosi a
proclamare astratti livelli di tutela, disinteressandosi della realtà
effettiva, o che le Regioni vedessero sacrificata la loro potestà legislativa
piena, che sarebbe facilmente svuotata da leggi statali ispirate ad una logica
centralistica di tutela sociale.
La soluzione della difficoltà ora segnalata si trova
nell’art. 119 Cost., che prevede un sistema di finanza pubblica, in cui trovano
posto l’autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni, il necessario
coordinamento statale, gli interventi statali di perequazione senza vincoli di
destinazione e gli interventi speciali, di cui al quinto comma. È noto tuttavia
che la suddetta disposizione costituzionale non ha ricevuto sinora attuazione,
con la conseguenza che le Regioni non possiedono risorse sufficienti a
fronteggiare in modo adeguato il carico delle tutele che su di loro graverebbe,
se lo Stato si limitasse a fissare i livelli essenziali delle prestazioni,
senza alcuna previsione in ordine alla provvista dei mezzi finanziari. Del
resto, la fissazione da parte dello Stato dei livelli essenziali – se deve
avere un valore normativo reale senza ridursi a mera proclamazione – non è in
ogni caso priva di conseguenze sulla finanza regionale, giacché l’obbligo di
dare attuazione alle prescrizioni normative statali sui livelli minimi implica
la necessità che le singole Regioni provvedano a stanziare le somme necessarie,
traendo le risorse dai propri bilanci, subendo così le conseguenze di scelte
unilaterali dello Stato.
Le considerazioni sinora svolte inducono a ritenere
che, finché non sarà data attuazione al sistema previsto dall’art. 119 Cost.,
si debbano ricercare forme concrete di bilanciamento dei principi di autonomia
e di tutela dei diritti fondamentali di natura sociale, che comportino il
minimo sacrificio possibile dell’uno e dell’altro.
Nel momento presente, alla legge 5 maggio 2009, n.
42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione), che fissa i principi e criteri direttivi
per la realizzazione del cosiddetto federalismo fiscale, non sono ancora
seguiti i relativi decreti legislativi. D’altra parte, si avverte sempre più
pressante l’esigenza di fornire una tutela alle giovani coppie ed ai nuclei
familiari a basso reddito, che oggi incontrano enormi difficoltà ad acquisire
un alloggio in proprietà.
Lo strumento prescelto nella norma censurata per
porre in equilibrio le potestà legislative dello Stato e della Regione, fondate
su principi in astratto separati e coesistenti, in concreto potenzialmente
confliggenti, non è irragionevole, giacché impone una procedura di codecisione
nella gestione del Fondo e salvaguarda le politiche abitative regionali. Va
peraltro sottolineato che il bilanciamento effettuato dal legislatore è il
portato temporaneo della perdurante inattuazione dell’art. 119 Cost. e di
imperiose necessità sociali, indotte anche dalla attuale grave crisi economica
nazionale e internazionale, che questa Corte ha ritenuto essere giustificazioni
sufficienti, ma contingenti, per leggi statali di tutela di diritti sociali
limitative della competenza legislativa residuale delle Regioni nella materia
dei "servizi sociali” (sentenza n. 10 del
2010).
Per i motivi sopra esposti, la norma censurata si
sottrae ai vizi di legittimità costituzionale denunciati dalle ricorrenti.
19. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 3-ter,
del d.l. n. 112 del 2008 sono fondate.
La norma in oggetto prevede la cessione in proprietà
agli aventi diritto degli alloggi realizzati ai sensi della legge 9 agosto
1954, n. 640 (Provvedimenti per l’eliminazione delle abitazioni malsane). Tale
legge prevedeva la costruzione, a spese dello Stato, di alloggi per accogliere
le famiglie allocate in grotte, baracche, scantinati, edifici pubblici, locali
malsani e simili. Gli alloggi costruiti ai sensi della legge citata erano
trasferiti in gestione agli IACP, oggi enti strumentali delle Regioni. La
previsione, da parte di una legge statale, della cessione in proprietà di tali
immobili realizza pertanto una ingerenza nella gestione del patrimonio
immobiliare di edilizia residenziale pubblica, che appartiene alla competenza
residuale delle Regioni, secondo quanto chiarito da questa Corte nella sentenza n. 94 del
2007.
20. – Le questioni di legittimità costituzionale
concernenti l’art. 13, comma 3-quater,
del d.l. n. 112 del 2008 non sono fondate.
La norma citata istituisce presso il Ministero
dell’economia e delle finanze un Fondo per la tutela dell’ambiente e la
promozione dello sviluppo del territorio. A valere sulle risorse del Fondo sono
concessi contributi statali per interventi realizzati dagli enti destinatari,
nei rispettivi territori, per il risanamento ed il recupero dell’ambiente e lo
sviluppo economico dei territori stessi. Il tenore della disposizione fa
ritenere che la stessa faccia riferimento a misure specifiche destinate ad
incrementare uno sviluppo eco-compatibile in territori che necessitano di
interventi di risanamento. La finalità di tutela dell’ambiente si pone pertanto
come prevalente e rende legittimo, ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., l’esercizio della
potestà legislativa statale al riguardo.
per questi motivi
riuniti i giudizi e riservata a separate pronunce la decisione delle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Toscana e Sicilia con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma
3, lettera e), del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e
la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, limitatamente alla parola
«anche»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma
4, ultimo periodo, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, limitatamente
alle parole «Decorsi novanta giorni senza che sia stata raggiunta la predetta
intesa, gli accordi di programma possono essere comunque approvati»;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma
9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge n. 133 del 2008;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi
2, 3 e 3-ter, del d.l. n. 112 del
2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
n. 133 del 2008;
dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 1, 2, 5, 8, 11 e 12
del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 133 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 2,
14, 114, 117, 118, 119, 120 e 136 della Costituzione, all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche
al titolo V della parte seconda della Costituzione), all’art. 14,
lettera g), del r.d.lgs. 15 maggio
1946 n. 545 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito
dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, al d.P.R. 30 luglio 1950, n.
878 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di
opere pubbliche), ed ai principio di ragionevolezza e di leale collaborazione,
dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria, Umbria, Toscana,
Puglia, Campania, Valle d’Aosta e Sicilia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 1, 3-bis (come modificato dall’art. 2, comma
39, lettere a e b, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge finanziaria 2010») e 3-quater,
del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge n. 133 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 117,
118, 119 e 136 Cost., all’art. 14, lettera g),
del r.d.lgs. 15 maggio 1946 n. 545 (Approvazione dello statuto della Regione
siciliana), convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, al
d.P.R. 30 luglio 1950, n. 878 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione
siciliana in materia di opere pubbliche), ed al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto, Liguria,
Toscana, Puglia, Campania e Sicilia con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla
questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4-bis, lettera a), del decreto-legge 29 novembre
2008, n. 185 (Misure urgenti per
il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in
funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 28 gennaio 2009, n. 2, promossa, in riferimento agli
artt. 117 e 118 Cost. ed al principio di leale collaborazione, dalla Regione
Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile il
ricorso promosso dalla Regione Lazio avverso gli artt. 11 e 13 del d.l. n. 112
del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge n. 133 del 2008, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché
ai principi di ragionevolezza, proporzionalità e di leale collaborazione;
dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 11, commi 2, 3, 4, 5, 6, 8 e
9, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge n. 133 del 2008, promosse, in riferimento all’art. 117,
terzo e quarto comma, Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria e Campania
con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo
2010.
F.to:
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Allegato:
ordinanza letta
all’udienza del 23 febbraio 2010