SENTENZA N. 24 ANNO 2007
Commento alla decisione di
Giovanni Di Cosimo
La leale collaborazione oltre il cerchio dei poteri pubblici
per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, commi 4 e 7, della legge della Regione Puglia 22 novembre 2005, n. 13 (Disciplina in materia di apprendistato professionalizzante), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23 gennaio 2006, depositato in cancelleria il 1° febbraio 2006 ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2006.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Valerio Speziale per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 23 gennaio 2006 e depositato il 1° febbraio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 2, comma 2, e 3, commi 4 e 7, della legge della Regione Puglia 22 novembre 2005, n. 13 (Disciplina in materia di apprendistato professionalizzante), in quanto contrastanti con i principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
Premette il ricorrente che questa Corte, con la sentenza n. 50 del 2005, ha osservato come la materia della formazione, lungi dall’essere di esclusiva spettanza regionale, possa riguardare il rapporto privatistico contrattuale (per quanto attiene alla formazione all’interno delle aziende) – di tal che la sua disciplina rientra nell’ordinamento civile – mentre spetta alle Regioni e alle Province autonome disciplinare la formazione esterna. Tuttavia, né l’uno né l’altro profilo appaiono separati nettamente tra di loro e da altri aspetti dell’istituto. Alla luce di tali interferenze, la Corte ha concluso nel senso che la commistione di competenze giustifica (e rende costituzionalmente legittima) l’apposizione di principi da parte del legislatore statale che, così operando, non ha illegittimamente inciso nelle competenze regionali e ha correttamente applicato il principio di leale collaborazione.
Viceversa, l’art. 2, comma 2, dell’impugnata legge regionale, prevedendo che, nell’ipotesi in cui entro un certo termine non sia raggiunta l’intesa tra i vari soggetti interessati in ordine alla definizione dei profili formativi, questi siano determinati dalla Giunta regionale, si porrebbe in contrasto con l’art. 49, comma 5, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30), che, nel dettare precisi principi e criteri direttivi, impone che la regolamentazione dei detti profili sia effettuata dalle Regioni «d’intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale». Ne consegue che il legislatore statale ha ritenuto fondamentale, per la determinazione dei profili formativi, il concorso di tutti i soggetti indicati, non ammettendo che la relativa intesa sia sostituita da un atto unilaterale della Regione, che invece potrebbe limitarsi – secondo quanto dispone la norma censurata – ad acquisire i pareri delle parti sociali (evidentemente divergenti, non avendo consentito il perfezionarsi dell’accordo), in tal modo declassandole ad organi meramente consultivi.
Anche l’art. 3, comma 4, prescrivendo che la formazione formale si svolga «prevalentemente all’esterno dell’azienda», risulterebbe costituzionalmente illegittimo sotto un duplice aspetto: esso contrasterebbe anzitutto – sempre sotto il profilo della competenza concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro – con il richiamato art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003, il cui comma 4, lettera a), fa riferimento alla formazione aziendale o extra-aziendale, senza porre alcuna precostituita gerarchia tra i due tipi di attività. Sotto un secondo aspetto, la disposizione censurata illegittimamente violerebbe la previsione che rimette alla contrattazione collettiva la determinazione delle «modalità di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende», in cui il richiamo alla normativa pattizia appare limitato dal vincolo di uno svolgimento prevalentemente esterno.
Infine, risulterebbe illegittimo (in quanto incidente in materia di competenza legislativa statale esclusiva, regolando le modalità della formazione interna) anche il comma 7 dello stesso art. 3, laddove prevede che «la formazione interna deve avere a oggetto, per un periodo minimo iniziale della durata di venti ore nel primo mese di svolgimento del rapporto, i metodi di organizzazione della produzione e i sistemi di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali». Infatti, la formazione all’interno dell’azienda è regolamentata pattiziamente e afferisce, pertanto, al regime contrattuale privatistico, sicché qualunque disposizione di carattere generale non può che rientrare nella materia di legislazione esclusiva prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione. Tale parametro sarebbe in conclusione violato dalle tre norme censurate.
1.2.— Si è costituita la Regione Puglia, che ha altresì depositato memoria nell’imminenza dell’udienza, preliminarmente eccependo l’inammissibilità delle censure concernenti gli artt. 2, comma 2, e 3, comma 4, posto che l’impossibilità di sollevare dinanzi alla Corte un giudizio di legittimità relativo ad un potenziale contrasto con gli interessi nazionali esclude che il Governo possa, in base all’art. 127 Cost., lamentare tout court la violazione dei principi fondamentali contenuti nella legge statale, la quale non configura un “eccesso di competenza”, ma soltanto il mancato rispetto di disposizioni che hanno la finalità di consentire il coordinamento tra due poteri legislativi autonomi e concorrenti (quello statale e quello regionale). Quindi, secondo la resistente, il Governo contesta il merito della legge regionale, ma non mette in discussione il potere della Regione di disciplinare con legge quella specifica materia: così, nel sostenere che la legge regionale – nella misura in cui non rende vincolanti le intese con le associazioni sindacali rappresentative dei contrapposti interessi e, in caso di mancato accordo, considera le opinioni sindacali come meri pareri – avrebbe violato un principio fondamentale (consistente nell’obbligatorio concorso di tutti i soggetti sindacali indicati nella regolamentazione dei profili formativi), non si denuncerebbe in alcun modo l’eccesso di competenza della Regione, bensì si sosterrebbe che essa, pur avendo esercitato il proprio potere legislativo negli ambiti di competenza attribuiti dall’art. 117 Cost., non avrebbe rispettato i principi fondamentali dettati dalla legislazione statale.
La Regione si sofferma, poi, sulle conclusioni della sentenza di questa Corte n. 50 del 2005, osservando che, se essa correttamente muove dall’idea che la formazione attiene sia al profilo causale del rapporto di lavoro (e quindi deve essere inclusa nella sfera di competenza dell’ordinamento civile), sia a quello della formazione professionale – appartenente, invece, alla potestà legislativa delle Regioni – tuttavia la concreta applicazione dei criteri di ripartizione tra le due forme di competenza legislativa dovrebbe essere diversamente individuata. Infatti, allorché l’art. 117 Cost. attribuisce agli enti territoriali il potere legislativo in materia di «formazione professionale», intende affidare alle Regioni una competenza generale su tutto ciò che riguarda gli aspetti formativi, senza necessità di distinguere tra formazione pubblica esterna e formazione privata aziendale. Quest’ultima, perciò, è sempre connessa ad un profilo di crescita e di qualificazione delle conoscenze del lavoratore, che è ricompreso nell’ambito della formazione propriamente detta, cui fa riferimento il testo costituzionale. Alla competenza legislativa statale residuerebbero quegli aspetti della formazione professionale che influenzano direttamente il contratto di lavoro nel suo profilo interno, mentre la determinazione del contenuto formativo, sia esterno sia interno – che rispecchia anche un interesse pubblicistico ad incrementare le competenze del lavoratore ed a favorirne la possibilità di occupazione, così attenendo al mercato del lavoro – non può che essere attribuita alla Regione.
Nel merito, tuttavia, la censura relativa all’art. 2, comma 1, risulterebbe non fondata, poiché dalla lettura del comma 5 dell’art. 49 del d.lgs. n. 276 del 2003 sarebbe possibile rilevare che l’intesa con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative non è espressamente inclusa tra i principi fondamentali che devono essere rispettati dagli enti territoriali. Del resto, la norma statale evocata prevede soltanto che vi sia l’intesa con le associazioni sindacali, ma non stabilisce che, in caso di mancanza di accordo, non si possano concretamente regolare i profili formativi dell’apprendistato. Se la disposizione dovesse essere interpretata nel senso voluto dal Governo, essa, secondo la resistente, sarebbe del tutto in contrasto con l’art. 117 della Costituzione. Infatti, subordinare la potestà legislativa delle Regioni all’intesa obbligatoria con le parti sociali, significherebbe condizionare il procedimento di formazione della legge regionale, oltre che attribuire alle associazioni sindacali un potenziale potere di veto che si tradurrebbe in un esproprio della potestà legislativa degli enti territoriali.
Quanto poi all’art. 3, comma 4, della legge regionale impugnata – secondo il quale la formazione formale deve essere svolta prevalentemente all’esterno dell’azienda – la resistente afferma che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, non esiste nessuna disposizione che vieti di attribuire prevalenza ad un contenuto formativo (in questo caso, quello esterno) piuttosto che ad un altro, in quanto la legge statale consente che la qualifica venga riconosciuta dopo la formazione interna od esterna, attribuendo alla Regione il potere di riconoscere soltanto la formazione aziendale o solo quella extra aziendale o anche entrambe e di far riferimento ad entrambi i tipi di attività formativa anche con riguardo alla determinazione delle centoventi ore di formazione di base. Tale scelta rispecchia un ulteriore criterio di efficienza formativa: sul mercato operano, infatti, una serie di imprese e soggetti accreditati che sono in grado di fornire una qualificazione professionale molto superiore a quella che potrebbe essere conseguita con la mera formazione interna. In questo caso, quindi, la formazione esterna garantisce un miglior controllo sull’effettivo svolgimento dell’attività di qualificazione professionale del lavoratore.
Tali argomenti consentirebbero di ritenere non fondata l’ulteriore censura sollevata dal Governo, nella parte in cui la norma condizionerebbe la contrattazione collettiva nel senso di privilegiare la formazione esterna: infatti, l’evocato art. 49, comma 5, lettera b), del d.lgs. n. 276 del 2003 non pone alcun limite che inibisca la prevalenza di un tipo di formazione sull’altra, ma si limita ad impedire che il contratto collettivo regoli la formazione solo interna od esterna, visto che invece tale potere regolativo deve essere esercitato in relazione ad entrambe le modalità di effettuazione della formazione (e tale interpretazione scaturisce dall’uso della congiunzione «e» contenuta in tale disposizione). La norma, in conclusione, non pone alcun vincolo diverso e non condiziona la possibilità per la Regione di attribuire alla contrattazione collettiva la facoltà di stabilire le modalità di erogazione e di articolazione della formazione svolta in prevalenza all’esterno ed in misura inferiore in azienda.
Con riferimento all’impugnativa del comma 7 dello stesso art. 3, la Regione osserva che le interferenze tra le materie nella disciplina dell’apprendistato messe in luce dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 50 del 2005 non consentono di affermare, come invece sostiene il ricorrente, che qualsiasi regolamentazione circa la materia della formazione interna costituirebbe un’illegittima invasione delle competenze legislative statali. Se la legge regionale può regolare aspetti riguardanti la formazione interna alle aziende, a maggior ragione può stabilire che essa debba riguardare il numero minimo di ore connesse ai «metodi di organizzazione della produzione e ai sistemi di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali». Non vi è dubbio, infatti, che in questo caso la formazione è strettamente connessa alla sicurezza del lavoro che è materia di competenza concorrente tra Stato e Regioni. In questo ambito, dunque, poiché la Regione Puglia ha esercitato una competenza legislativa in materia di sicurezza del lavoro e poiché la formazione è finalizzata a prevenire infortuni e malattie professionali, è indiscutibile che la disciplina legislativa regionale si muove in quell’ambito di “interferenze” sulle quali la Corte costituzionale si è già espressa, valorizzando le finalità di protezione dei lavoratori, posto che l’obbligo di impartire la formazione interna all’azienda in materia di sicurezza è giustificato dal «fatto notorio che gli infortuni sul lavoro hanno un picco preoccupante proprio nella fase iniziale dei rapporti di lavoro».
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, comma 2, e 3, commi 4 e 7, della legge della Regione Puglia 22 novembre 2005, n. 13 (Disciplina in materia di apprendistato professionalizzante).
Secondo il ricorrente, la prima delle disposizioni censurate, nello stabilire che, se l’intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro riguardo ai profili formativi dell’apprendistato professionalizzante non è raggiunta entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, la Giunta regionale provvede, acquisiti i pareri delle organizzazioni di cui al comma 1 – e cioè gli enti bilaterali e le suddette organizzazioni – finirebbe col sostituire all’intesa una mera attività consultiva delle organizzazioni delle parti sociali.
La disposizione sarebbe, quindi, in contrasto con i principi fondamentali (in materia di tutela e sicurezza del lavoro) e con la norma interposta di cui all’art. 49 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L. 14 febbraio 2003, n. 30), che prevede l’intesa.
Gli stessi parametri, ad avviso del ricorrente, sono violati anche dall’art. 3, comma 4, della stessa legge, il quale stabilisce che «la formazione formale da svolgersi durante il periodo di apprendistato deve essere svolta prevalentemente all’esterno dell’azienda e comunque secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva», perché stabilisce una gerarchia tra le diverse specie di formazione.
Infine, costituirebbe violazione delle competenze esclusive dello Stato in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.) la disposizione del comma 7 dello stesso art. 3, il quale regola in parte la formazione interna, stabilendo limiti minimi di orario riguardo ai contenuti che essa deve avere nella sua fase iniziale, secondo quanto prescritto dalla disposizione stessa.
2.— Sono fondate la prima e la terza delle questioni suddette, mentre non è fondata la seconda.
La disposizione di cui all’art. 2, comma 2, della legge regionale in scrutinio, nel prevedere che, se l’intesa non è raggiunta entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, provvede la Giunta regionale, attribuisce ad essa un ruolo preminente, incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata, quest’ultima, nel caso in esame, dalla paritaria codeterminazione dell’atto in difetto di indicazioni della prevalenza di una parte sull’altra (sentenze n. 27 del 2004, n. 308 del 2003 e n. 116 del 1994).
Né vale prospettare la necessità di un meccanismo idoneo a superare la situazione di stallo determinata dalla mancata intesa.
Per ovviare a siffatta esigenza e dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione – del quale la prescrizione dell’intesa, anche tra i soggetti indicati, costituisce pur sempre espressione – spetta al legislatore regionale stabilire, semmai, un sistema che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla manifestazione della volontà di ciascuna delle parti e, in ultima ipotesi, contenga previsioni le quali assicurino il raggiungimento del risultato, senza la prevalenza di una parte sull’altra (per esempio, mediante la indicazione di un soggetto terzo).
E’, invece, in contrasto con gli evocati parametri costituzionali la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra.
Parimenti fondata è la questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 7, della legge reg. Puglia n. 13 del 2005.
Infatti, questa Corte ha più volte affermato che la disciplina della formazione interna attiene all’ordinamento civile e che, pertanto, spetta allo Stato stabilire la relativa normativa.
E’ pur vero che in materia di apprendistato professionalizzante si è rilevata (anche) un’interferenza di materie riguardo alle quali esistono competenze legislative diverse, alla cui composizione provvedono, quando possibile, gli strumenti della leale collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una materia sull’altra, l’applicazione del criterio appunto di prevalenza. Nel caso in esame è in sede di definizione dei profili formativi – da raggiungere, come si è detto, mediante la corretta attuazione del regime dell’intesa – che la Regione può far valere i propri punti di vista e le proprie esigenze anche nella disciplina della formazione endo-aziendale, per la parte in cui questa riguardi materie attinenti alla tutela e sicurezza del lavoro, di competenza concorrente.
La disposizione in scrutinio contiene, invece, la diretta disciplina di una parte della formazione interna, costituente invasione della sfera di attribuzioni statali.
Non fondata, invece, è la questione riguardante la disposizione dell’art. 3, comma 4, prevedente la prevalenza della formazione esterna in tema di «formazione formale».
Si tratta di questione concernente una disposizione analoga ad altre, contenute in leggi di altre Regioni, già scrutinate e ritenute non illegittime con riguardo al sistema del riparto di competenze definito dall’art. 117 Cost. (v. sentenze n. 406 e n. 425 del 2006). Essa, infatti, non costituisce invasione della sfera di attribuzioni statali in materia di formazione interna.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 3, comma 7, della legge della Regione Puglia 22 novembre 2005 n. 13 (Disciplina in materia di apprendistato professionalizzante);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, della medesima legge regionale n. 13 del 2005, sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2007.