SENTENZA N. 116
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Lazio, Emilia- Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto, Toscana e Valle d'Aosta notificati il 25, 30, e 31 agosto 1993, depositati in cancelleria il 3, 11, 14, 15 e 19 settembre 1993, per conflitti di attribuzione sorti a seguito del d.P.R. 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria) ed iscritti ai nn. 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 del registro conflitti 1993.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi gli Avvocati Giandomenico Falcon, per la Regione Emilia-Romagna, Valerio Onida, per le Regioni Liguria, Lombardia, Toscana e Veneto, Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta, Achille Chiappetti per la Regione Lazio e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Le Regioni a statuto ordinario Lazio, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana e la Regione a statuto speciale Valle d'Aosta hanno proposto distinti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria), lamentando la lesione delle competenze in materie ad esse costituzionalmente assegnate (artt. 117 e 118 della Costituzione e artt. 2, 3 e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta) e della propria autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione), nonchè per violazione degli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125 della Costituzione.
Sebbene i ricorsi siano distinti, le ricorrenti propongono profili di lesività delle proprie attribuzioni in larga parte coincidenti.
Tutte le ricorrenti premettono che l'atto impugnato è stato emanato sulla base dell'art. 6, primo comma, del decreto- legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, articolo il quale prevede che il Governo, entro il 30 novembre 1992, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1° gennaio 1993 e, ove l'intesa non intervenga, lo stesso Governo è autorizzato a provvedere direttamente entro il 15 dicembre 1992. Non essendosi realizzata l'intesa, l'atto impugnato è stato emanato ed ha fissato sei distinti livelli di assistenza, i cui parametri di finanziamento, peraltro, non sono stati ammessi al visto della Corte dei conti. Questi, pertanto, non sono indicati nel testo del decreto impugnato, mentre viene riportato nello stesso testo, seppure riprodotto in carattere corsivo, il parametro di finanziamento capitario globale lordo.
Sotto un primo profilo, le Regioni Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana sostengono che l'atto contestato sia stato adottato sulla base di una disposizione di legge, cioé l'art.6 del decreto-legge n. 384 del 1992, non più in vigore, essendo stato pubblicato quell'atto dopo che era intervenuto il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, che, all'art.1, affida al piano sanitario nazionale il compito di determinare i livelli uniformi di assistenza sanitaria.
Un secondo profilo di lesività è individuato dalla Regione Emilia-Romagna nella asserita retroattività dell'atto impugnato, dovuta al fatto che questo fa iniziare a circa sei mesi prima della sua pubblicazione la decorrenza dei previsti livelli di spesa delle prestazioni sanitarie, in conseguenza della quale risulterebbe menomata l'effettiva capacità delle regioni di programmare la propria spesa sanitaria.
Un ulteriore motivo di censura è proposto dal le Regioni Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana, in relazione al fatto che l'atto impugnato non indica le ragioni della mancata intesa fra il Governo e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, in assenza delle quali, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il dovere di perseguire l'intesa risulterebbe totalmente vanificato.
Un quarto profilo di lesività è individuato dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana nella circostanza che l'atto contestato avrebbe un contenuto diverso da quello configurato nell'art. 6, primo comma, del decreto-legge n. 384 del 1992, e per ciò stesso sarebbe privo di qualsiasi base legislativa, considerato che, anzichè indicare ciò che al cittadino deve essere comunque garantito in tema di prestazioni sanitarie quantificandone i costi relativi, si limiterebbe a elencare obiettivi generici, fissando un tetto capitario globale presumibilmente limitato soltanto dai vincoli di bilancio.
Infine, tutte le ricorrenti prospettano la lesione delle proprie competenze in conseguenza della determinazione dei parametri capitari di finanziamento. In particolare, i motivi di doglianza consistono tanto nel rilievo che non siano stati determinati i parametri capitari parziali, quanto nella circostanza che il parametro capitario globale non sia ricollegabile alle prestazioni imposte a causa della mancata indicazione degli standards organizzativi utilizzati per la sua determinazione. In altri termini, il parametro di finanziamento capitario globale non sarebbe altro che un livello di spesa garantito dal "fondo sanitario nazionale" e determinato attraverso una mera operazione di divisione fra l'ammontare del "fondo" e il numero dei cittadini beneficiari, mentre le norme di legge sul le quali l'atto impugnato è basato sembrano supporre che si dovessero determinare le prestazioni da assicurare ai cittadini calcolando il costo di tali prestazioni, salvo poi a ridurle in caso di insufficienza delle risorse finanziarie disponibili.
2.- Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che i ricorsi siano dichiarati in parte inammissibili e, comunque, non fondati.
Sul primo dei profili prima ricordati, l'Avvocatura dello Stato rileva che esso sarebbe palesemente non fondato, dal momento che l'atto impugnato è stato emanato prima del decreto legislativo n. 502 del 1992.
Riguardo alla pretesa retroattività dell'atto impugnato, la parte resistente osserva che questa non ha alcun fondamento, poichè, a suo avviso, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'atto contestato avrebbe una funzione meramente notiziale.
A proposito dell'emanazione dell'atto impugnato in mancanza della preventivata intesa fra il Governo e la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato e le regioni, l'Avvocatura dello Stato, ricordando che la predetta conferenza è un organo amministrativo statale di carattere collegiale, afferma che l'espressione "d'intesa con" dovrebbe essere interpretata come se configurasse un mero onere di informazione, finalizzato a ricercare, all'interno di quell'organo, la cooperazione delle regioni.
Circa la asserita difformità dell'atto impugnato rispetto alla disposizione legislativa che lo prevede, l'Avvocatura dello Stato osserva che, se non inammissibile per la mancata invasività di tale preteso vizio, la censura appare infondata, per il fatto che il decreto contestato conterrebbe, per ciascuno dei livelli di assistenza previsti, l'indicazione dei relativi obiettivi e l'indicazione analitica delle attività e delle prestazioni.
Infine, quanto ai profili concernenti i parametri capitari di finanziamento, l'Avvocatura dello Stato sostiene che la mancata determinazione di questi ultimi non produrrebbe alcuna lesione dell'autonomia regionale, la quale, anzi, risulterebbe accresciuta dalla determinazione del solo parametro globale.
3.- In prossimità dell'udienza hanno depositato memorie le Regioni Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto, Toscana e Valle d'Aosta, sviluppando ulteriormente gli argomenti esposti nei ricorsi a sostegno dell'accoglimento di questi ultimi e confermando le proprie posizioni anche con repliche alle critiche formulate dall'Avvocatura dello Stato.
In particolare, le Regioni Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana fanno presente che la Corte dei conti non ha vistato la determinazione delle quote capitarie, nè quella relativa al parametro globale. Questo rilievo, secondo le ricorrenti, confermerebbe la fondatezza dei ricorsi e della richiesta di annullamento dell'atto impugnato, essendo stati pubblicati, quest'ultimo, con la menzione dell'avvenuta registrazione e, l'allegato, con l'indicazione del parametro globale.
4.- Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato memorie in relazione ai ricorsi delle Regioni Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana, insistendo sulle proprie richieste. In particolare, relativamente alla mancata indicazione nell'atto impugnato dei motivi che hanno indotto il Governo ad emanarlo pur in mancanza dell'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra Stato e regioni, l'Avvocatura dello Stato, nel depositare i verbali delle corrispondenti sedute, afferma che da questi emergerebbe che il mancato raggiungimento dell'intesa sarebbe dovuto al timore delle regioni di non riuscire, a consuntivo, a fronteggiare finanziariamente i costi dell'assistenza sanitaria.
In ogni caso, la stessa parte resistente osserva che, a parte il rilievo che la predetta Conferenza esprime anche le indicazioni del Governo, non v'è alcuna norma costituzionale che prevede l'onere per lo Stato della motivazione contestuale in caso di mancata intesa con le regioni e che, comunque, una volta che vi sia stato un ampio dialogo, non si vede cosa potrebbe aggiungere l'inserimento formale nel testo della motivazione.
L'Avvocatura rileva, infine, che, essendo nel frattempo intercorsa l'intesa fra lo Stato e le regioni sul piano sanitario nazionale, il quale fissa i nuovi livelli di assistenza e le nuove quote capitarie, la Corte dovrebbe adottare una pronunzia di cessazione della materia del contendere.
Considerato in diritto
1.- Con distinti ricorsi le Regioni ad autonomia comune Lazio, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana, nonchè la Regione ad autonomia differenziata Valle d'Aosta, hanno proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria), denunziando la lesione delle competenze legislative ed amministrative loro assegnate dalla Costituzione (artt. 117 e 118) o dallo Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta (artt. 2, 3 e 4) e della propria autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione; art. 29 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta), oltrechè la violazione dei principi stabiliti negli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125 della Costituzione.
Poichè i ricorsi sollevano profili attinenti a lesioni delle proprie competenze aventi contenuto identico o analogo, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2.- I ricorsi vanno accolti.
L'art. 6 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, dispone che, entro il 30 novembre 1992, il Governo, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1 gennaio 1993 e che, ove la predetta intesa non intervenga, lo stesso Governo provvede direttamente entro il 15 dicembre 1992.
La previsione dell'intesa fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) in tema di definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria è indubbiamente giustificata, poichè, per quanto tale definizione risponda all'interesse nazionale di assicurare le condizioni minime per la tutela su tutto il territorio statale della salute dei cittadini (art.32 della Costituzione), tuttavia essa interferisce sia con le competenze regionali in materia di assistenza sanitaria e ospedaliera (artt.117 e 118 della Costituzione, per le regioni a statuto ordinario; art.3, lettera l e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta), sia con l'autonomia finanziaria delle regioni, pur soggetta al coordinamento con la finanza statale, essendo posti i predetti livelli a carico del "fondo sanitario nazionale" (art. 119 della Costituzione).
Nel regolare siffatto strumento di cooperazione fra lo Stato e le Regioni, il legislatore nazionale, sulla base dell'esperienza negativa occorsa nell'attuazione dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (in relazione alla quale la mancata intesa fra lo Stato e le regioni ha impedito che si addivenisse a qualsiasi determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria), ha previsto, nel ricordato art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992, un meccanismo sostitutivo nell'ipotesi di non raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra Stato e regioni (e province autonome). Tale meccanismo consiste nel fatto che, superato un certo termine entro il quale l'intesa non è stata raggiunta, il Governo può direttamente provvedere definendo esso stesso i livelli uniformi di assistenza sanitaria.
3.- Interventi del genere in sostituzione della mancata intesa sono stati esaminati in passato da questa Corte, che li ha giudicati non contrari a Costituzione a condizione che il Governo, nell'adottare il provvedimento sul quale non è intercorsa l'intesa nel termine, fornisca un'adeguata motivazione, volta a manifestare, in relazione agli argomenti addotti dalla parte regionale a sostegno del rifiuto dell'accordo, le ragioni d'interesse nazionale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente (v., da ultimo, sent. n. 204 del 1993).
Contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura dello Stato, in tali casi l'obbligo di motivazione non deve essere necessariamente previsto in una previa norma di legge, come pure talvolta accade (v. art. 1, primo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517). Infatti, nella sentenza appena citata, questa Corte ha già precisato che il predetto obbligo deve ritenersi "connaturato al principio stesso di "leale cooperazione" cui deve ispirarsi il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e Regioni". Di modo che, considerato che in base a tale principio il confronto rivolto al raggiungimento dell'intesa deve essere caratterizzato da un atteggiamento delle parti ispirato alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui (v. sent. n. 379 del 1992), l'ipotetica previsione del potere di una delle parti di provvedere in assenza dell'intesa, senza dover addurre motivo alcuno sulle ragioni del mancato accordo e sulla superiore esigenza di provvedere unilateralmente, si risolverebbe in una violazione o in una elusione del principio di leale cooperazione, in conseguenza dell'irragionevole preferenza accordata alla parte che, dopo una certa data, potrà decidere, oltrechè non tenendo conto delle posizioni della controparte, al di fuori di qualsiasi possibilità di controllo sulla "lealtà" del comportamento tenuto.
Del resto, l'obbligo di motivazione da parte del Governo, allorchè provvede direttamente dopo che è fallito il confronto per pervenire a un'intesa con le regioni, è il requisito minimo in grado di legittimare la decisione unilaterale dello stesso Governo in una materia connotata dalla stretta connessione delle competenze statali con quelle delle regioni. In proposito non è senza significato ricordare che, negli ordinamenti stranieri comparabili con quello italiano, in ipotesi come quelle oggetto dei presenti giudizi, al rischio di paralisi decisionale, conseguente alla mancata intesa fra lo Stato e gli enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita, si pone rimedio deferendo la decisione a un collegio arbitrale o a un organo statale in posizione più elevata ovvero assegnando la decisione al medesimo organo statale interessato al raggiungimento dell'intesa, che tuttavia è chiamato a decidere secondo un procedimento più aggravato rispetto a quello ordinario (ad esempio, con un obbligo di sentire il parere di un organo terzo).
4.- Come anche riconoscono concordemente tutte le parti del presente giudizio, il decreto impugnato è stato adottato in mancanza del raggiungimento dell'intesa prevista dall'art.6 del decreto-legge n. 384 del 1992. Sulla base dei principi precedentemente ricordati, il Governo avrebbe dovuto provvedere direttamente adducendo, nel contempo, i motivi della mancata intesa e le ragioni d'interesse nazionale che l'hanno determinato a decidere unilateralmente. Ma, poichè non v'è traccia alcuna di tale motivazione nell'atto impugnato, quest'ultimo dev'essere annullato, dal momento che lede tanto le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni ricorrenti in materia di assistenza sanitaria, quanto l'autonomia finanziaria garantita alle medesime.
Nè tale conclusione può essere contraddetta dalle argomentazioni addotte dall'Avvocatura dello Stato nelle proprie memorie difensive.
Innanzitutto, non si può sostenere che l'intesa comporta un semplice onere di informazione da parte dello Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle regioni, una volta che questa Corte ha più volte chiarito che l'intesa "è una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione è giuridicamente imputata e quello la cui volontà deve concorrere alla decisione stessa" (v. sent. n. 337 del 1989, nonchè sentt. nn. 21 del 1991, 220 del 1990 e 747 del 1988).
In secondo luogo, non può condividersi l'opinione che la sede nella quale, a norma dell'art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992, deve essere per seguita l'intesa - cioé la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province di Trento e di Bolzano - debba essere configurata come un organo statale o, quantomeno, un organo che esprime anche le indicazioni dello Stato. Per quel che qui rileva, la Conferenza disciplinata dall'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, lungi dall'essere un organo appartenente all'apparato statale o a quello delle regioni (e delle pro vince autonome) e deputato a manifestare gli orientamenti dell'uno e/o delle altre, è la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica fra lo Stato e le regioni (e province autonome), prevista dal predetto art. 12 al fine di favorire il raccordo e la collaborazione fra l'uno e le altre. In quanto tale, la Conferenza è un'istituzione operante nell'ambito della comunità nazionale come strumento per l'attuazione della cooperazione fra lo Stato e le regioni (e le province autonome).
Infine, nessun rilievo può accordarsi, ai fini della decisione dei presenti giudizi, alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1994 dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un "Atto di intesa fra Stato e Regioni per la definizione del piano sanitario nazionale relativo al triennio 1994-1996" contenente anche la determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria, per il semplice fatto che tale atto, peraltro concernente una fase preliminare rispetto alla definitiva approvazione del Piano con decreto presidenziale, si riferisce ad anni successivi al 1993 e, pertanto, riguarda un periodo diverso da quello coinvolto nei conflitti di attribuzione esaminati in questi giudizi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi dichiara che non spetta allo Stato, senza addurre adeguata motivazione, provvedere direttamente a definire i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1 gennaio 1993, ove non sia intervenuta l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e, conseguentemente, annulla il decreto del Presidente della Repubblica 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 31/03/94.