ORDINANZA N. 99
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, in relazione agli artt. 1, 2, lettere a e b, 4, comma 1, e 6-bis del decreto legge 29 settembre 1997 , n. 328 (Disposizioni tributarie urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1997, n. 410, promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 28 dicembre 1997, depositato in Cancelleria il 9 gennaio 1998 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 1998.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con ricorso notificato il 29 dicembre 1997 e depositato il 9 gennaio 1998 (Reg. ric. n. 7 del 1998), la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 36 dello statuto speciale e con le relative norme di attuazione in materia finanziaria, di cui all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dell’art. 7, in relazione agli articoli 1, 2, comma 1, lettere a e b, 4, comma 1, e 6-bis del decreto legge 29 settembre 1997, n. 328 (Disposizioni tributarie urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1997, n. 410;
che l’art. 7 del provvedimento impugnato dispone che le entrate derivanti dal medesimo decreto legge siano riservate all’erario per finalità di risanamento del bilancio statale, e demanda ad un decreto del Ministro delle finanze, emanato di concerto con il Ministro del tesoro, la definizione, ove necessaria, delle modalità per l’attuazione dello stesso articolo;
che l’art. 1 opera un globale riordino delle aliquote dell’IVA, dal quale deriverebbero incrementi di entrata, che sarebbero riservati allo Stato, mentre deriverebbe per la Regione, secondo la ricorrente, un decremento del gettito IVA a seguito di alcune riduzioni di aliquota;
che altre entrate, riservate allo Stato, deriverebbero dall’art. 2, comma 1, lettera a, in tema di territorialità dell’IVA a proposito delle cessioni di contratti di sportivi professionisti; dall’art. 2, comma 1, lettera b, in tema di esenzione dall’IVA delle prestazioni di trasporto urbano; dall’art. 4, comma, 1, in tema di aumento della percentuale applicata per il calcolo delle plusvalenze sulle cessioni di partecipazioni; dall'art. 6-bis, che dispone una sanatoria in ordine alla applicazione di sanzioni e interessi relativi a debiti per IVA e imposte sul reddito nei confronti delle imprese soggette a procedure concorsuali;
che, ad avviso della ricorrente, non trattandosi, in queste ipotesi, né di nuovi tributi, né della elevazione di aliquote di tributi preesistenti, le relative entrate non sarebbero “nuove” nel senso richiesto dall’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 perché sia consentita la riserva delle stesse all’erario;
che le norme impugnate non stabilirebbero alcun criterio per la selezione dei proventi nuovi rispetto a ciò che nuovo non è, ma si limiterebbero a rinviare ad un decreto interministeriale, in tal modo impedendo il controllo sul corretto esercizio della deroga al principio della devoluzione alla Regione delle entrate tributarie riscosse nel suo territorio, e facendo venir meno la prevedibilità delle decisioni che saranno adottate dagli organi ministeriali;
che, inoltre, sarebbe violato il principio di leale cooperazione, per non essere stata prevista dalle norme impugnate alcuna forma di partecipazione e consultazione della Regione nella determinazione dei maggiori proventi derivanti dagli interventi in questione;
che con successiva memoria del 4 maggio 1998 la ricorrente, dato atto che il ricorso è stato depositato con un giorno di ritardo rispetto al termine di dieci giorni dalla notificazione, stabilito dall’art. 31, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, applicabile alla specie in forza dell’art. 32, terzo comma, della stessa legge, sostiene che detto termine dovrebbe considerarsi ordinatorio in base all’art. 152 cod. proc. civ. - secondo cui i termini sono ordinatori salvo che la legge li dichiari espressamente perentori – e chiede alla Corte di sollevare di fronte a se stessa questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei predetti artt. 32, terzo comma, e 31, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, stante la brevità del termine di dieci giorni, anche in rapporto al diverso termine di venti giorni dalla notificazione stabilito dagli artt. 26, secondo comma, e 27, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte, per il deposito dei ricorsi per conflitto di attribuzioni;
che con memoria del 1° febbraio 2000 la ricorrente, insistendo in dette conclusioni, sostiene che la non perentorietà del termine in questione dovrebbe desumersi dalla considerazione che - non operando, in materia, il rinvio alle norme di procedura innanzi al Consiglio di Stato, di cui all’art. 22 della legge n. 87 del 1953, in presenza della disciplina specifica contenuta negli artt. 31 e 32 della stessa legge - non sarebbe applicabile l’art. 36 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, che commina la decadenza nel caso di inosservanza del termine per il deposito del ricorso, mentre la legge n. 87 del 1953 non riproduce tale previsione; tanto più che la Corte non si è mai posta il problema della applicabilità ai giudizi costituzionali dell’art. 38, secondo comma, dello stesso t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato, che prevede la possibilità di proroga di detto termine: il che, nella specie, sarebbe giustificato dal fatto che fra la notifica del ricorso e il deposito dello stesso si sono succeduti tre giorni festivi, che avrebbero causato un ritardo nella restituzione dell’originale del ricorso notificato;
che si è costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che il ricorso, notificato il 29 dicembre 1997, è stato depositato il 9 gennaio 1998, e dunque oltre il termine di dieci giorni dalla notificazione, prescritto dall’art. 31, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, applicabile ai ricorsi della Regione avverso atti legislativi statali ai sensi dell’art. 32, terzo comma, della stessa legge;
che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, tale termine deve intendersi come stabilito a pena di decadenza (sentenze n. 191 del 1980, n. 72 del 1981; ordinanze n. 528 e n. 643 del 1988, n. 126 del 1997);
che la ricorrente non adduce argomenti che inducano la Corte a modificare tale orientamento, considerando, in particolare, che il deposito è adempimento necessario per consentire la procedibilità del ricorso, e che pertanto, se si escludesse la decadenza per la mancata osservanza del relativo termine, le controversie fra lo Stato e le Regioni, una volta notificato il ricorso, finirebbero per poter essere “instaurate sine die” (sentenze n. 191 del 1980, n. 72 del 1981);
che non sussistono valide ragioni per dare ingresso alla questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 32, terzo comma, e 31, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, che, in via subordinata, la Regione ricorrente chiede a questa Corte di sollevare innanzi a sé;
che, infatti, in primo luogo, il termine di dieci giorni per il deposito del ricorso non è così breve da renderne impossibile o troppo difficile il rispetto, e dunque la norma che lo prevede non è in contrasto con la garanzia del diritto di difesa;
che nemmeno, in secondo luogo, può ritenersi in contrasto con il principio di eguaglianza la previsione legislativa del termine di dieci giorni, raffrontato con il termine di venti giorni dalla notificazione stabilito per il deposito dei ricorsi per conflitto di attribuzioni fra Stato e Regione dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte: si tratta infatti di due diversi tipi di giudizi, aventi ad oggetto, rispettivamente, questioni di legittimità costituzionale di atti legislativi, e conflitti originati da atti non legislativi o da altri comportamenti che si assumano lesivi della sfera di attribuzioni della parte ricorrente, onde non sussiste un’esigenza di assoluta uniformità della relativa disciplina processuale, mentre possono bene ammettersi diverse scelte normative, non irragionevoli, in relazione alla valutazione degli interessi e delle esigenze di cui detta disciplina tiene conto;
che pertanto la predetta questione di legittimità costituzionale risulta manifestamente infondata;
che la questione proposta con il ricorso, depositato fuori termine, deve essere quindi dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, e 34, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del decreto legge 29 settembre 1997, n. 328 (Disposizioni tributarie urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1997, n. 410, in relazione agli articoli 1, 2, comma 1, lettere a e b, 4, comma 1, e 6-bis dello stesso decreto, sollevata, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale della Regione Siciliana e alle relative norme di attuazione in materia finanziaria, di cui all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, dalla Regione Siciliana con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2000.
Francesco GUIZZI, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria il 13 aprile 2000.