SENTENZA N. 28
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Sandro de Gotzen
(per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Gaetano SILVESTRI Giudice
- Sabino CASSESE "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
articoli 11, comma 4, 22, 23, commi 6, 7 e 10, 24, commi 2 e 3, 27, comma 1,
lettera b), 32, comma 2, 37, 45,
commi 1 e 3, e 50 della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2012) promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 27-28
marzo 2012, depositato presso la cancelleria il 30 marzo 2012 ed iscritto al n.
65 del registro ricorsi 2012.
Visto
l’atto di costituzione della
Regione Campania;
udito
nell’udienza pubblica del 15 gennaio
2013 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi
l’avvocato dello Stato Angelo
Venturini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino
Caravita di Toritto per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso depositato il 30 marzo
2012 ed iscritto al n. 65 del registro ricorsi 2012, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato numerose disposizioni della legge della
Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania – Legge
finanziaria regionale 2012).
1.1.– In primo luogo, il Presidente del
Consiglio impugna l’articolo 11, comma 4, per contrasto con gli artt. 117,
terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione. L’articolo dispone, tra
l’altro, la costituzione di un’apposita Commissione per il contrasto
dell’evasione e dell’elusione dei tributi erariali in materia fiscale e
contributiva. Il comma 4 censurato prevede, per quanto qui interessa, che detta
Commissione possa formulare proposte anche con riferimento all’«eventuale
riutilizzo di una quota del maggior gettito riferibile all’attività di recupero
fiscale per il finanziamento di programmi e interventi finalizzati al sostegno
dell’economia, alla promozione di nuova occupazione e di assistenza
socio-sanitaria in favore di soggetti a rischio di esclusione sociale» nel
contesto regionale. Tale riutilizzo viene escluso «dal complesso delle spese
finali determinate ai fini del rispetto della disciplina del Patto di stabilità
interno».
Secondo il ricorrente, la previsione che
tali somme, sul cui utilizzo la Commissione può effettuare proposte, siano
escluse dal complesso delle spese finali ai fini del Patto di stabilità
interno, comporterebbe innanzitutto un’asimmetria tra le voci di entrata e
quelle di spesa relative al Patto di stabilità, in quanto le entrate verrebbero
considerate relativamente al rispetto del Patto di stabilità, mentre non lo
sarebbero le relative spese.
Sussisterebbe, inoltre, un conflitto tra
la normativa censurata e la disciplina statale relativa al Patto di stabilità.
Tale contrasto si verificherebbe sia in riferimento agli enti locali, che, ai
sensi dell’art. 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2012), non potrebbero escludere alcuna voce di spesa in relazione al Patto di
stabilità, sia rispetto alle Regioni, poiché per queste ultime l’art. 32, comma
4, lettera i), della medesima legge
n. 183 del 2011 disporrebbe l’esclusione, ai fini del Patto di stabilità, delle
sole spese in conto capitale nei limiti delle somme effettivamente incassate
entro il 30 novembre grazie al recupero fiscale e purché iscritte a bilancio
separatamente. La norma censurata non prevedrebbe tali condizioni e dunque
sarebbe in contrasto anche con la disciplina del Patto di stabilità applicabile
ai bilanci regionali.
Di conseguenza, la disposizione
regionale, consentendo incondizionatamente di escludere dal computo delle spese
finali, da valutare con riferimento al Patto di stabilità, le spese finanziate
con il recupero fiscale, determinerebbe un aggravamento dei saldi finanziari e,
pertanto, si verificherebbe una violazione di norme di coordinamento della
finanza pubblica vincolanti per le Regioni e dunque degli artt. 117, terzo
comma, e 119, secondo comma, Cost.
1.2.– Vengono in secondo luogo censurati
gli artt. 22, 37 e 50 della legge impugnata, con riferimento all’art. 81,
quarto comma, Cost. L’art. 22 riguarda l’istituzione di una «società di scopo
per azioni, denominata Campania Ambiente e Servizi spa, per lo svolgimento di
funzioni in materia ambientale e di prevenzione, nonché di manutenzione del
patrimonio immobiliare della Regione, degli enti regionali e del servizio
sanitario regionale nonché in materia di servizi strumentali degli enti
predetti», con capitale sociale pari a 500.000 euro. L’art. 37 modifica l’art.
36 della legge regionale 18 novembre 2009, n. 14 (Testo unico della normativa
della Regione Campania in materia di lavoro e formazione professionale per la
promozione della qualità del lavoro), introducendo il comma 5-bis, con cui istituisce il «fondo per la
gestione delle crisi e dei processi di sviluppo», con un onere, per il 2012,
pari a 1 milione di euro. L’art. 50 istituisce infine il fondo di finanziamento
delle Università campane, autorizzando la spesa di 1 milione di euro.
Ciascuna di queste voci di spesa grava,
in tutto o in parte, sulla medesima unità previsionale di base 7.28.135, Fondo
di riserva per le spese impreviste: la spesa prevista dall’art. 22 vi grava
totalmente, quella derivante dall’art. 37 non è esattamente quantificata, in
quanto il fondo per la gestione di crisi è finanziato anche mediante le
«risorse liberate della programmazione 2000-2006», mentre il fondo di cui
all’art. 50 vi fa riferimento per 500.000 euro.
Poiché il Fondo per le spese impreviste
per il 2012 ammonta a 868.000 euro, le previsioni di spesa sopra menzionate
sarebbero parzialmente prive di copertura finanziaria e dunque contrasterebbero
con l’art. 81, quarto comma, Cost.
1.3.– È poi censurato l’art. 23, comma
6, della legge regionale indicata in epigrafe, per contrasto con l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost. Tale
articolo dispone che, in attuazione del principio di buon andamento
dell’attività amministrativa, il 50 per cento delle posizioni dirigenziali
prive di titolarità alla data del 1° gennaio 2010 siano soppresse e, a partire
dalla medesima data, il fondo per il finanziamento della retribuzione di
posizione e di risultato dell’area della dirigenza della Giunta sia ridotto di
un importo pari alla somma delle retribuzioni accessorie delle suddette
posizioni. Tale norma inciderebbe così su un fondo già costituito nel suo
ammontare e dotato di una destinazione di scopo, relativo al «trattamento
economico della dirigenza», come disciplinato dagli articoli 26, comma 3, 27,
comma 9, e 28, comma 2, del contratto collettivo nazionale del lavoro
dell’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni
del 23 dicembre 1999 (Contratto collettivo nazionale di lavoro per il
quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 relativo
all’area della dirigenza del comparto "Regioni – Autonomie locali”). L’art. 45,
comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche)
disporrebbe invece che il trattamento economico fondamentale sia definito dai
contratti collettivi e, in generale, dal Titolo II del predetto decreto,
attribuendo alla contrattazione collettiva il compito di disciplinare il
trattamento economico della dirigenza, in base all’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in materia di
«ordinamento civile». La normativa regionale censurata invaderebbe pertanto
quest’ultima competenza legislativa esclusiva statale.
Secondo il ricorrente, la Corte
costituzionale, con sentenza n. 339 del
2011, avrebbe confermato quest’orientamento. Del resto, anche l’Agenzia per
la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN) (parere n.
A1129) non riterrebbe che le amministrazioni regionali possano ridurre i
relativi stanziamenti di risorse in occasione della soppressione di funzioni di
qualifica dirigenziale. Pertanto, la norma censurata violerebbe l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., che
riserva la materia «ordinamento civile», cui la disposizione attingerebbe,
all’esclusiva competenza legislativa statale.
1.4.– Il Presidente del Consiglio dei
Ministri ha censurato l’art. 23, comma 7, della legge regionale indicata in
epigrafe, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. Tale disposizione
regionale prevede che il fondo per le risorse finanziarie destinate
all’incentivazione del personale del comparto per la Giunta regionale per il
triennio 2011-2013, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 9, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
sia pari a quello relativo all’anno 2010, comprensivo delle economie previste
dall’art. 17, comma 5, del vigente contratto collettivo nazionale del lavoro di
comparto.
La Regione, proprio per rispettare la
citata normativa statale in caso di cessazioni dal servizio, secondo il
ricorrente, dovrebbe ridurre il fondo in misura proporzionale alla riduzione
del personale di servizio. In particolare, l’art. 9, comma 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010
dispone che a partire dal 2011 e fino a tutto il 2013 l’ammontare delle risorse
destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo n. 165 del 2001, non possa superare il corrispondente
importo dell’anno 2010 e sia, comunque, automaticamente ridotto in misura
proporzionale alla riduzione del personale in servizio. Pertanto, la norma
oggetto di censura, omettendo di prevedere tale automatica riduzione del fondo
in corrispondenza alle riduzioni di personale, contravverrebbe all’art. 9,
commi 1 e 2-bis, del decreto n. 78
del 2010, traducendosi in una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
materia di coordinamento della finanza pubblica.
1.5.– È stato censurato altresì l’art.
23, comma 10, della legge regionale impugnata, per contrasto con gli artt. 3,
97 e 117, secondo comma, lettera l),
e terzo comma, Cost. L’art. 23, comma 10, nella formulazione oggetto
d’impugnazione, stabiliva infatti che il personale di cui all’art. 3, comma
112, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2008), in
posizione di comando ed in servizio alla data del 31 dicembre 2011 presso il
Commissariato di Governo, poteva essere immesso a domanda e nei limiti dei
posti in organico, nei ruoli della Giunta regionale campana. Il ricorrente ha
rilevato che l’art. 3 della legge n. 244 del 2007, evocato dalla legislazione
regionale, si applicava solo al personale dell’Istituto Poligrafico dello Stato
e delle Poste Italiane Spa in posizione di comando dal 2007: specificazione che
non si sarebbe ritrovata nella normativa censurata. La proroga del comando e,
quindi, la scadenza per disporre il relativo trasferimento di ruolo avrebbe del
resto riguardato il solo personale delle Poste in posizione di comando dal
2007, a seguito dall’art. 21, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216
(Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, mentre non sarebbe stata
più consentita per il personale dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
La norma regionale, non specificando che
la possibilità di inquadramento nel ruolo della Giunta era limitata al
personale delle Poste in posizione di comando dal 2007, avrebbe dunque violato
l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., che riserva alla competenza esclusiva statale la disciplina
dell’ordinamento civile e, quindi, dei rapporti di diritto privato regolabili
dai contratti collettivi. Inoltre, l’estensione di tale disposizione al
personale che non ne aveva titolo avrebbe comportato sia il rischio di
richieste emulative da parte di altri settori pubblici, sia la violazione dei
principi di uguaglianza, ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della
pubblica amministrazione di cui agli articoli 3 e 97 Cost., nonché del
principio di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost.
1.6.– L’art. 24, comma 2, oggetto di
censura, è ritenuto illegittimo per contrasto con gli articoli 3, 97 e 117,
terzo comma, Cost. La disposizione impugnata prevede che il personale, in posizione
di comando da almeno 24 mesi alla data d’entrata in vigore della legge
censurata e in servizio presso l’Agenzia regionale per la protezione ambientale
della Campania (ARPAC), transiti attraverso selezione pubblica nei ruoli
dell’Agenzia, senza ulteriori oneri a carico del bilancio regionale. La norma
non rispetterebbe l’art. 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010,
espressione della potestà legislativa statale in materia di coordinamento della
finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., il quale stabilisce
che gli enti possano assumere personale nel limite del 20 per cento della spesa
corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. La disposizione regionale,
configurando un inquadramento riservato a determinato personale in violazione
del principio costituzionale dell’accesso ai pubblici uffici attraverso
pubblico concorso, si porrebbe altresì in contrasto sia con l’art. 3 Cost.,
sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza, sia con l’art. 97
Cost., che impone il buon andamento e l’imparzialità della pubblica
amministrazione.
1.7.– Viene inoltre censurato l’art. 24,
comma 3, della legge regionale indicata in epigrafe, per violazione degli artt.
81, quarto comma, e 117, terzo comma, Cost. Questo articolo autorizza l’Agenzia
regionale per la protezione ambientale della Campania a utilizzare la
graduatoria esistente alla data del 31 dicembre 2009, riferentesi al concorso
bandito per il profilo professionale di dirigente ambientale, per far fronte
alle esigenze dell’attività di vigilanza e monitoraggio del territorio. Secondo
il ricorrente, con tale norma verrebbero aumentate le figure dirigenziali,
senza alcuna indicazione relativa alla copertura finanziaria e senz’alcun
richiamo all’attuale normativa vincolistica in materia di personale stabilita
dall’articolo 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010. Conseguentemente,
si verificherebbe una violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., in materia
di copertura finanziaria, e dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di
coordinamento finanziario.
1.8.– Il Presidente del Consiglio
impugna poi l’art. 27, comma 1, lettera b),
della legge regionale censurata, per contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettere e) e l), Cost. La norma impugnata modifica l’art. 44 della legge
regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori pubblici, dei servizi e
delle forniture in Campania), prevedendo che, qualora il contratto sia affidato
con il criterio dell’offerta economica più vantaggiosa, i bandi debbano
stabilire che, se i concorrenti conseguono il medesimo punteggio, siano
preferite le imprese che abbiano la propria sede legale ed operativa sul
territorio campano, o che svolgano almeno la metà della propria attività in
territorio campano o che impieghino almeno la metà dei lavoratori cittadini
residenti in Campania.
Tale norma si porrebbe in contrasto con
diverse disposizioni del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). In base all’art. 4, comma 3, di
quest’ultimo decreto legislativo sarebbero di competenza esclusiva dello Stato,
tra l’altro, la qualificazione e selezione dei concorrenti, le procedure di
affidamento e i criteri di aggiudicazione. Inoltre, mentre l’art. 2, comma 2,
del decreto legislativo imporrebbe il rispetto dei principi di parità, libertà
di concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, l’art. 83
stabilirebbe i criteri di valutazione nel caso di aggiudicazione con il sistema
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, facendo riferimento alla natura,
all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, senza che possano rilevare la
sede dell’impresa o la residenza dei propri dipendenti nel territorio regionale
in quanto tali. Tali aspetti, in base alla giurisprudenza costituzionale,
sarebbero riconducibili all’art. 117, secondo comma, lettere e) e f),
Cost., relative alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile, e
dunque esigerebbero un’uniforme disciplina su tutto il territorio nazionale,
configurandosi come vincolanti per i legislatori regionali. Si determinerebbe,
dunque, un’invasione delle competenze statali sia in materia di tutela della
concorrenza sia di ordinamento civile.
1.9.– Viene poi denunciata l’illegittimità
dell’art. 32, comma 2, della legge regionale menzionata in epigrafe, per
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione impugnata prevede che le norme del
regolamento regionale 9 aprile 2010, n. 10 (Disciplina della ricerca ed
utilizzazione delle acque minerali e termali, delle ricerche geotermiche e
delle acque di sorgente), che disciplinano il conferimento a terzi di
concessioni oggetto di cessazione, non si applica alle istanze di
riassegnazione delle concessioni dichiarate cessate, inoltrate prima
dell’entrata in vigore del regolamento. La norma, per espressa previsione,
sarebbe in continuità con l’art. 44, comma 18, della legge regionale 22 luglio
2009, n. 8 (Modifica alla legge regionale 29 luglio 2008, n. 8 – Disciplina
della ricerca ed utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse
geotermiche e delle acque di sorgente), secondo cui nelle more di adozione del
regolamento non possono essere rilasciate nuove concessioni, fatte salve le
riassegnazioni di quelle dichiarate cessate. Per tale ragione essa
comporterebbe un rinnovo automatico delle concessioni, in violazione della
normativa statale, la quale, in base al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale), prevedrebbe, a tutela dell’ambiente,
specifiche procedure per il conferimento delle concessioni oggetto di
cessazione. La norma regionale sottrarrebbe alla disciplina statale le ipotesi
di riassegnazione delle concessioni dichiarate cessate.
Più precisamente, la norma regionale non
terrebbe conto dei principi stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006
relativamente ai procedimenti di rilascio delle concessioni di derivazione di
acque pubbliche. L’art. 95, comma 4, del decreto disporrebbe infatti che ogni
derivazione di acqua sia regolata dall’Autorità concedente mediante la
previsione di rilasci, secondo criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio con apposito decreto, previa intesa con la
Conferenza Stato-Regioni. Il successivo articolo 97 del decreto dispone,
inoltre, che le concessioni di utilizzazione di acque minerali naturali e di
sorgente siano rilasciate tenendo conto delle esigenze di approvvigionamento e
distribuzione delle acque potabili e delle previsioni del Piano di tutela, previsto
all’art. 121.
La norma, inoltre, sottrarrebbe alla
vigente normativa in materia di valutazione d’impatto ambientale (VIA),
disciplinata dagli artt. 19 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006,
intere categorie di progetti, in violazione di quanto previsto dal decreto, che
codifica ipotesi interessate dalla norma regionale in esame per le quali è
richiesto il rispetto della disciplina in tema di VIA. In particolare,
andrebbero considerate le ipotesi di utilizzo non energetico di acque superficiali,
nei casi in cui la derivazione superi i mille litri al secondo, e di acque
sotterranee, ivi comprese quelle minerali e termali, nei casi in cui la
derivazione superi i cento litri al secondo, o i casi di derivazione di acque
superficiali ed opere connesse che prevedano derivazioni oltre i 200 litri al
secondo, nonché le trivellazioni finalizzate alla ricerca per derivazioni di
acque sotterranee superiori a 50 litri al secondo. Sarebbero escluse dunque
dalla VIA, al momento del rinnovo della concessione, quelle attività in
precedenza mai sottoposte a tale procedura, in quanto precedenti l’entrata in
vigore della normativa comunitaria. Sarebbe inoltre impossibile verificare, con
riferimento a concessioni già in precedenza sottoposte a VIA, se gli eventuali
mutamenti delle condizioni territoriali ed ambientali rendano necessario
subordinare l’eventuale rinnovo ad un aggiornamento della procedura in materia
di VIA.
Pertanto, la norma regionale detterebbe
una disciplina confliggente con la normativa vigente, presentando un profilo
d’illegittimità relativo all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in materia di tutela
ambientale e dell’ecosistema.
1.10.– Il ricorrente inoltre considera
l’art. 45, commi 1 e 3, della legge regionale indicata in epigrafe, per
contrasto con gli artt. 81, quarto comma, 117, terzo comma, e 120, secondo
comma, Cost.
Il ricorrente premette che la Regione ha
stipulato con lo Stato, in data 13 marzo 2007, ai sensi di quanto previsto
dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
finanziaria 2005), l’Accordo sul Piano di rientro dei disavanzi sanitari
2007-2009. Con l’approvazione di tale Accordo, la Regione si sarebbe impegnata ad
attuare il Piano e a rispettare la legislazione vigente, con riferimento a
quanto disposto dall’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria
2007). Successivamente, poiché la Regione avrebbe disatteso l’Accordo, nel
luglio 2009 lo Stato avrebbe esercitato poteri sostitutivi, secondo quanto
previsto dall’art. 4, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159
(Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e
l’equità sociale), convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n.
222, procedendo alla nomina del Presidente della Regione quale Commissario ad acta per la realizzazione del Piano
di rientro.
È stata concessa alle Regioni in
situazione di gestione commissariale, come la Regione Campania, la possibilità
di proseguire il Piano di rientro attraverso programmi operativi, precisandosi
all’art. 2, commi 80 e 95, della legge 23
dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge
finanziaria 2010), che gli interventi individuati dal Piano sono
vincolanti per la Regione, la quale sarebbe obbligata a rimuovere i
provvedimenti di ostacolo alla piena attuazione di quest’ultimo.
Ricevuto il mandato commissariale
conferito con la delibera del Consiglio dei ministri del 23 aprile 2010, il
Commissario ad acta per la Regione
Campania ha adottato il decreto n. 41 del 14 luglio 2010, avente ad oggetto
l’«Approvazione del nuovo Programma operativo per l’anno 2010». Nella riunione
del 26 ottobre 2010, il tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti ha
prospettato un forte disavanzo non coperto per l’anno 2010 a causa della non
completa attuazione del Programma operativo 2010, invitando il Commissario ad
approvare entro l’anno il Programma operativo 2011-2012, il che è avvenuto con
decreto regolamentare del 20 giugno 2011, n. 45.
Il risultato di gestione per l’anno 2010
ha nel frattempo registrato un disavanzo, il quale ha determinato, per la
Regione, l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dall’art. 1, comma
174, della legge n. 311 del 2004, ossia l’ulteriore incremento delle aliquote
fiscali dell’imposta regionale sulle attività produttive e dell’addizionale
regionale all’imposta sui redditi delle persone fisiche; inoltre, si è
verificato il blocco delle assunzioni del personale del servizio sanitario
regionale fino al 31 dicembre 2013 ed è stato applicato il divieto di
effettuare spese non obbligatorie per il medesimo periodo.
La Corte costituzionale, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe già pronunciata sui piani di rientro dal disavanzo
sanitario e di gestione commissariale. In particolare, avrebbe affermato che
l’art. 1, comma 796, lettera b),
della legge n. 296 del 2006 ha reso vincolanti, per le Regioni che li hanno
sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione necessari
per il perseguimento dell’equilibrio economico, compreso, nel caso della
Campania, l’Accordo tra lo Stato e la Regione. La Corte avrebbe inoltre
chiarito che l’operato del Commissario ad
acta sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi
regionali, al fine di garantire la tutela dell’unità economica della Repubblica
e i livelli essenziali delle prestazioni, per cui le funzioni amministrative
del Commissario ad acta dovrebbero
essere poste al riparo da ogni interferenza da parte delle istituzioni
regionali.
1.11.– Alla luce di tali premesse, la
legge in esame presenta due diversi profili d’illegittimità costituzionale. In
primo luogo, Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva l’illegittimità
costituzionale dell’art. 45, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2012, il
quale prescrive che la Regione e le Università, entro sei mesi dalla data di
entrata in vigore della legge impugnata e al fine di ristabilire l’equilibrio
economico delle Aziende ospedaliere universitarie, definiscano uno specifico
Piano di riorganizzazione, su base pluriennale, contemplando anche
provvedimenti in deroga alla programmazione vigente, relativi all’assetto
organizzativo, agli accorpamenti e all’integrazione di tali Aziende.
Tale disposizione, prevedendo deroghe
alla programmazione vigente in materia di assetti organizzativi, accorpamenti e
integrazione delle Aziende, si porrebbe in contrasto per due aspetti con il
mandato commissariale, che attribuisce tali compiti al Commissario ad acta in via esclusiva: in particolare
sussiste un conflitto con il punto 1, lettera i), del mandato commissariale di cui alla Delibera del Consiglio
dei ministri del 23 aprile 2010 (Verifica e ridefinizione dei protocolli
d’intesa con le Università pubbliche) e con il punto 9 del Programma operativo
della Campania 2011-2012 (Protocolli d’intesa con le Università degli studi),
che rinvia al decreto n. 49 del 2010 di riorganizzazione del sistema
ospedaliero regionale secondo criteri da applicarsi con protocolli anche alle
Aziende ospedaliere universitarie, e dei decreti commissariali nn. 60 e 61 del
2010 di approvazione dei protocolli già intervenuti con due Università.
Di conseguenza vi sarebbe una lesione
dei principi fondamentali relativi al contenimento della spesa pubblica
sanitaria di cui all’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191 del 2009, in
base ai quali, in costanza del Piano di rientro, alla Regione è preclusa
l’adozione di nuovi provvedimenti di ostacolo alla piena attuazione del Piano.
Sussisterebbe, pertanto, una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
relazione ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.
Inoltre, la medesima disposizione, intervenendo in materia di organizzazione
sanitaria durante la vigenza del Piano, interferirebbe con l’attuazione
predisposta attraverso gli atti commissariali, e dunque con l’art. 120, secondo
comma, Cost., nel quale trova fondamento il potere sostitutivo esercitato dal
Governo attraverso la nomina del Commissario ad acta.
1.12.– Sulle medesime basi viene
censurato l’art. 45, comma 3, della legge regionale indicata in epigrafe, ove
definisce i finanziamenti che la Regione garantisce in applicazione del Piano
di riorganizzazione per le Aziende ospedaliere universitarie, individuando
alcune fonti di finanziamento. Tali disposizioni non troverebbero riscontro nei
contenuti del Programma operativo 2011-2012, né sarebbero accompagnate da altri
provvedimenti che ne garantiscano la copertura finanziaria.
Anche in questo caso, dunque, il
ricorrente ravvisa un contrasto con l’art. 2, commi 80 e 95, della legge n. 191
del 2009, secondo cui, durante la vigenza del Piano di rientro, alla Regione è
preclusa l’adozione di provvedimenti che siano di ostacolo alla sua attuazione.
Conseguentemente, si verificherebbe una violazione dell’art. 117, terzo comma,
della Costituzione, per contrasto con i principi fondamentali della legislazione
in materia di coordinamento della finanza pubblica, nonché dell’art. 120,
secondo comma, Cost., per interferenza con le attribuzioni conferite al
Commissario ad acta. Verrebbe infine
violato l’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto l’articolo censurato
ometterebbe d’individuare la copertura finanziaria per gli oneri che introduce.
2.– Con atto depositato presso la
Cancelleria il 7 maggio 2012, si è costituita in giudizio la Regione Campania,
chiedendo che le censure vengano dichiarate inammissibili e infondate, e
riservandosi di argomentare ulteriormente.
3.– Con legge 15 giugno 2012, n. 14,
recante «Interpretazione autentica dell’articolo 23, comma 10 della legge
regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale 2012 e pluriennale 2012 – 2014 della Regione Campania – Legge
finanziaria regionale 2012) e dell’articolo 18, comma 2 della legge regionale 3
novembre 1994, n. 32 (Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive
modifiche ed integrazioni, riordino del servizio sanitario regionale)», la
Regione Campania ha successivamente specificato che la disposizione di cui
all’art. 23, comma 10, della legge regionale censurata, si applica soltanto al
personale delle Poste italiane di cui all’art. 21, comma 1, del decreto-legge
n. 216 del 2011, modificando, così, la disposizione impugnata in senso
satisfattivo delle doglianze del ricorrente.
Con atto depositato il 19 settembre
2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso
limitatamente all’art. 23, comma 10, della legge impugnata; tale rinuncia è
stata accettata dalla parte resistente con atto depositato presso la
cancelleria della Corte il 18 ottobre 2012.
4.– L’art. 23, comma 7, della legge
regionale indicata in epigrafe è stato sostituito dall’art. 1, lettera a), della legge della Regione Campania
10 maggio 2012, n. 11 (Modifiche legislative e disposizioni in materia di
consorzi di bonifica), il quale ha previsto che il fondo per l’incentivazione
delle politiche di sviluppo delle risorse umane sia ridotto proporzionalmente a
seguito delle cessazioni dal servizio, modificando la disposizione impugnata in
senso satisfattivo rispetto alla doglianza iniziale.
5.– Il Presidente del Consiglio ha,
quindi, presentato rinuncia al ricorso limitatamente all’art. 23, comma 7,
depositandola presso la cancelleria della Corte il 18 dicembre 2012.
La rinuncia è stata accettata dalla
Regione resistente con nota depositata il 10 gennaio 2013.
6.–
Con memoria depositata il 24 dicembre 2012, la resistente ha argomentato in
riferimento alle censure, sia sotto il profilo dell’inammissibilità sia sotto
quello del merito.
6.1.– Relativamente all’art. 11, comma
4, della legge regionale impugnata, che attribuisce alla Commissione di
contrasto all’evasione il compito di formulare proposte sulla destinazione del
recupero fiscale, escludendo le relative somme dal computo ai fini del patto di
stabilità interno, la Regione sostiene che la censura non considererebbe il
mero potere di proposta attribuito alla Commissione. Sarebbe la normativa
eventualmente approvata a disciplinare l’operatività dei meccanismi previsti
dalla norma qui censurata. Dunque, l’effettiva osservanza del Patto di
stabilità dovrebbe essere verificata con riferimento alle norme eventualmente
introdotte su proposta della Commissione. Da ciò deriverebbe l’infondatezza
della censura.
6.2.– Con riferimento alla censura degli
art. 22, 37 e 50, la Regione ritiene la ricostruzione del Presidente del
Consiglio destituita di fondamento. Infatti, in primo luogo, gli interventi
relativi a tali articoli risulterebbero solo parzialmente finanziati attraverso
le risorse presenti sull’unità previsionale di base 7.28.135: l’art. 37 prevede
una copertura anche attraverso le risorse liberate dalla programmazione
2000-2006, mentre il fondo previsto all’art. 50 viene finanziato anche
attraverso una riduzione del fondo di riserva per le spese obbligatorie.
Inoltre, secondo la resistente, la tesi
dell’Avvocatura sarebbe fondata sul presupposto che le risorse appostate
sull’unità previsionale dedicata alle spese impreviste siano insufficienti per
sostenere le spese derivanti dalle disposizioni regionali impugnate. Tuttavia,
la legge regionale Campania 27 gennaio 2012, n. 2 (Bilancio di previsione della
Regione Campania per l’anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio
2012-2014), all’art. 6, che contempla esattamente quel fondo che il Presidente
ritiene insufficiente, risulterebbe già comprensiva delle rimodulazioni degli
stanziamenti di bilancio originariamente previsti, rimodulazioni effettuate
anche per corrispondere alle previsioni censurate. Del resto, il medesimo
disegno di legge relativo al bilancio regionale 2012, approvato dalla Giunta
regionale della Campania con delibera 15 novembre 2012, n. 641, prevedeva
inizialmente l’appostamento sull’unità previsionale 7.28.135 di una cifra
complessiva di 8.000.000 di euro, sufficienti a coprire le spese previste nella
normativa censurata. In sede di approvazione della legge regionale di bilancio
2012, lo stanziamento sarebbe invece stato modificato dal Consiglio regionale
in base agli interventi di spesa programmati dalla legge regionale finanziaria
per il 2012. Ne sarebbe pertanto conseguita una riduzione delle risorse
dell’unità previsionale di base 7.28.135 che l’avrebbe portata a 868.000 euro,
al netto degli oneri previsti dalle disposizioni impugnate. Il ricorso dovrebbe
dunque ritenersi infondato anche su questo punto.
6.3.– Con riferimento alla censura
dell’art. 23, comma 6, la difesa regionale lamenta innanzitutto la assoluta
inconferenza della giurisprudenza costituzionale evocata dal Presidente del
Consiglio per argomentare sull’illegittimità della norma. Infatti, la norma
regionale dichiarata illegittima con la sentenza n. 339 del
2011 avrebbe avuto ad oggetto il trattamento economico dei dirigenti
regionali, laddove la norma dell’art. 23, comma 6, della legge regionale qui
censurata si limiterebbe a ridurre l’importo complessivamente appostato nel
fondo per il finanziamento della retribuzione della dirigenza della Giunta
regionale, in misura corrispondente alla riduzione dell’organico. Dunque, non
si verificherebbe alcuna modificazione rispetto al trattamento economico dei
dirigenti.
Il riferimento al parere ARAN n. A1129,
che non consentirebbe la riduzione delle risorse in occasione della
soppressione di funzioni e di posti di qualifica dirigenziale, sarebbe
ugualmente mal posto. Infatti, la medesima ARAN, nel successivo parere n.
A1196, avrebbe specificato che la norma che prescrive l’irriducibilità delle
risorse destinate al finanziamento della retribuzione di posizione e di
risultato dei dirigenti non si estende alle voci retributive di natura
variabile, nel tempo e nell’entità. L’Agenzia medesima avrebbe ritenuto,
infatti, che qualora vengano meno le posizioni dirigenziali cui tali voci si
legano, debbano venir meno anche le relative risorse, altrimenti queste ultime
mancherebbero di giustificazione.
Infine, il medesimo legislatore statale,
con la legge 30 luglio 2010, n. 122 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), all’art. 9, comma 2-bis, avrebbe disposto che dal 2011 fino
all’intero 2013 l’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio
del personale, anche dirigenziale, delle amministrazioni di cui all’art. 1,
comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 – tra cui rientrerebbe
pacificamente anche l’amministrazione regionale campana – non possa superare
l’importo corrispondente per il 2010 e sia comunque ridotto proporzionalmente
alla riduzione del personale in servizio. Dunque, la disposizione regionale censurata
configurerebbe una fattispecie analoga a quella considerata dal legislatore
statale, che effettua la riduzione delle risorse destinate alle retribuzioni
accessorie, qualora delle posizioni vengano soppresse. L’analogia tra la
normativa regionale censurata e quella statale confermerebbe l’infondatezza
della censura.
6.4.– Con riferimento alla censura
dell’art. 24, comma 2, della legge impugnata, riguardante il transito, mediante
selezione pubblica, del personale in posizione di comando da almeno ventiquattro
mesi presso l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania, la
resistente argomenta in punto sia di ammissibilità, sia di merito.
La resistente sostiene, infatti,
l’inammissibilità della censura poiché questa sarebbe priva di adeguato corredo
motivazionale, "idoneo a comprenderne in maniera plausibile le ragioni”. Il
ricorso si limiterebbe a dedurre "apoditticamente” la violazione dell’art. 14,
comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010, senza esplicitare in che termini
sussisterebbe tale violazione. Questo determinerebbe l’inammissibilità del
ricorso sul punto, poiché la Corte costituzionale si sarebbe espressa negando
chiaramente l’ammissibilità di questioni di legittimità dedotte senza percorsi
logici argomentativi capaci di ricondurle ai parametri di costituzionalità
evocati.
Venendo alle argomentazioni relative al
merito, la difesa regionale sostiene l’infondatezza del ricorso mettendo in
luce che il transito nei ruoli dell’Agenzia da parte del personale in posizione
di comando avverrebbe in ogni caso nel rispetto dei vincoli di legge in materia
di reclutamento, dunque in piena rispondenza alle normative che il ricorrente
riterrebbe invece violate.
Inoltre, quanto alle censure relative
alla competenza statale di coordinamento della finanza pubblica ex art. 117, terzo comma, Cost., la
disposizione regionale risulterebbe in linea con le indicazioni derivanti dalla
giurisprudenza costituzionale costante, che avrebbe specificato come le Regioni
siano autorizzate a modulare discrezionalmente le riduzioni delle singole voci
di spesa, fermo il vincolo complessivo imposto dal legislatore statale.
Con riferimento alle censure relative
agli artt. 3 e 97 Cost., che evidenzierebbero un illegittimo inquadramento del
personale in deroga al principio del pubblico concorso, proprio la Corte
costituzionale avrebbe riconosciuto la strumentalità di quest’ultimo rispetto
al canone di efficienza dell’amministrazione, consentendo di derogarvi in
presenza di particolari ragioni giustificatrici, come l’esigenza di consolidare
specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione.
In questo caso, tali ragioni sussisterebbero. Anche le censure su tale
disposizione regionale sarebbero, pertanto, infondate.
6.5.– Con riferimento alla censura
dell’art. 24, comma 3, relativa all’utilizzo da parte dell’Agenzia regionale
per l’Ambiente della Campania di una graduatoria preesistente al fine di
assumere personale di rango dirigenziale, la resistente lamenta innanzitutto il
suo carattere apodittico, che costituirebbe una ragione di inammissibilità.
Con riferimento al merito, la Regione
evidenzia che tale disposizione non creerebbe nuove posizioni dirigenziali
all’interno dell’Agenzia regionale per l’ambiente, ma accorderebbe soltanto a
quest’ultima la possibilità di fare riferimento alle esistenti graduatorie
concorsuali, laddove sia necessaria l’assunzione di nuove figure professionali
di dirigente ambientale. Tra l’altro, consentendo l’utilizzazione dei
nominativi presenti nelle graduatorie già formate, la norma regionale
eviterebbe nuove procedure concorsuali, con l’effetto di contenere le spese
relative.
Infine, le previsioni dell’art. 24,
comma 3, della legge regionale n. 1 del 2012 andrebbero lette in combinato con
il precedente comma 2, che, da un lato, vincola le nuove assunzioni al rispetto
dei vincoli di legge in materia di reclutamento del personale delle
amministrazioni pubbliche, mentre, dall’altro, precisa l’assenza di nuovi oneri
a carico del bilancio regionale. Per tali ragioni, anche le censure rivolte
contro tale disposizione sarebbero infondate.
6.6.– Rispetto alle censure relative
all’art. 27, comma 1, lettera b),
della legge impugnata, riferite alla previsione di una preferenza, in caso di
parità di punteggio all’interno di gare d’appalto, per i soggetti aventi un
grado di radicamento nel territorio regionale, la difesa argomenta ugualmente
per l’infondatezza.
In primo luogo, l’art. 83 del decreto
legislativo n. 163 del 2006 prevede propriamente che il bando di gara contempli
per ogni criterio di valutazione prescelto tra quelli elencati in maniera
esemplificativa i sub-criteri e sub-pesi o sub-punteggi necessari al fine di
consentire l’affidamento del contratto a concorso. Questo risponderebbe al
principio generale, espresso dalla costante giurisprudenza amministrativa,
secondo cui la predeterminazione dei sub-criteri già in sede di redazione del
bando ridurrebbe il grado di apprezzamento soggettivo da parte della
commissione giudicatrice e consentirebbe ai concorrenti di conoscere tutti gli
elementi rilevanti ai fini della preparazione dell’offerta. Proprio per tali
ragioni, la legislazione regionale avrebbe inserito un "sub-criterio
integrativo” operante solo nel caso di parità tra i concorrenti. Del resto, il
decreto legislativo n. 163 del 2006 non contemplerebbe alcuna previsione
relativa ai casi in cui le diverse offerte si collochino in una graduatoria in
posizione di parità.
Inoltre, la clausola di territorialità
sarebbe stata ritenuta pienamente compatibile con la tutela della concorrenza e
con il principio di buon andamento dell’amministrazione, da parte della
giurisprudenza amministrativa, la quale avrebbe ritenuto che dare rilievo alla
localizzazione della sede dell’impresa risponderebbe allo scopo di assicurare
il migliore svolgimento della prestazione contrattuale. Ne deriverebbe,
pertanto, anche in tal caso l’infondatezza dei motivi del ricorso.
6.7.– Con riferimento all’art. 32, comma
2, censurato, la Regione deduce innanzitutto l’inammissibilità della relativa
censura, sostenendo che la norma impugnata sarebbe priva di reale portata
innovativa, limitandosi ad offrire un’interpretazione autentica del disposto
dell’art. 44, comma 18, della legge regionale 29 luglio 2008, n. 8 (Disciplina
della ricerca delle acque minerali e termali, delle risorse geotermiche e delle
acque di sorgente). Di conseguenza, la censura erariale, in realtà, sarebbe
rivolta verso quest’ultima disposizione e sarebbe perciò intervenuta
tardivamente, oltre il termine di impugnazione ex art. 127 Cost.
Venendo alle argomentazioni in punto
d’infondatezza, la difesa regionale sostiene che dalla norma censurata non si
possa desumere alcuna riassegnazione automatica delle concessioni cessate, come
sostiene, invece, l’Avvocatura dello Stato. La norma, infatti, stabilirebbe
l’inapplicabilità delle prescrizioni del regolamento n. 10 del 2010 alle
istanze presentate prima della data di entrata in vigore di quest’ultimo. Non
vi sarebbe traccia, invece, di alcuna previsione derogatoria delle regole
procedimentali per il rilascio delle concessioni di utilizzo di acque. Alle
concessioni rilasciate prima dell’entrata in vigore del regolamento verrebbe
dunque applicata la disciplina statale vigente, anche in materia di valutazione
d’impatto ambientale, in base al principio tempus
regit actum. Del resto, la giurisprudenza amministrativa avrebbe
chiaramente statuito che la regola dell’irretroattività dell’azione
amministrativa è espressione tanto dell’esigenza di garantire la certezza dei
rapporti giuridici quanto del principio di legalità, che non consentirebbe al
potere regolamentare d’incidere unilateralmente e con effetto ex ante sulle situazioni soggettive del
privato. Di conseguenza, le censure relative a questa norma sarebbero
infondate.
6.8.– Con riguardo all’art. 45, commi 1
e 3, della legge regionale n. 1 del 2012, relativo alla riorganizzazione delle
Aziende ospedaliere universitarie, la difesa regionale nota innanzitutto che
tali disposizioni vincolerebbero espressamente la pianificazione al rispetto
delle competenze attribuite al Commissario ad
acta, nominato ai fini dell’attuazione del Piano di rientro dal deficit sanitario, escludendo ogni
possibilità d’interferenza dell’intervento regionale rispetto alle attribuzioni
commissariali relative al Piano di rientro medesimo.
In secondo luogo, la Regione evidenzia
che la disciplina censurata sarebbe in ogni caso pienamente in linea con gli
orientamenti della giurisprudenza costituzionale in materia, la quale avrebbe
chiaramente affermato l’illegittimità d’interventi effettuati dalle Regioni in
presenza di un Piano di rientro dal disavanzo sanitario, ma nei limiti in cui
detti interventi risultino tali da aggravare la situazione finanziaria della
sanità regionale. La giurisprudenza avrebbe in particolare escluso l’illegittimità
costituzionale di norme regionali se più rigorose rispetto alle disposizioni
del Piano di rientro. Nel caso ora portato di fronte alla Corte, le
disposizioni censurate prevedrebbero interventi volti a conseguire proprio lo
scopo del risanamento.
Infine, la difesa regionale specifica
che la Corte costituzionale avrebbe, con riferimento alle Aziende
ospedaliero-universitarie, stabilito che il risanamento non potrebbe
effettuarsi in violazione dell’autonomia universitaria prevista all’art. 33
Cost., e, dunque, che sarebbero in ogni caso necessari protocolli d’intesa tra
la Regione e le Università per perseguire gli scopi del Piano di rientro:
l’art. 45 censurato, prevedendo un Piano di riorganizzazione, rispetterebbe
pienamente le indicazioni derivanti dalla giurisprudenza costituzionale.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato presso la
cancelleria della Corte il 30 marzo 2012 ed iscritto al n. 65 del registro
ricorsi 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato numerose
disposizioni della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale
2012-2014 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2012).
1.1.– La prima doglianza si riferisce
all’articolo 11, comma 4, della legge regionale impugnata. Il comma censurato
prevede, tra l’altro, che la neoistituita Commissione per il contrasto
dell’evasione e dell’elusione dei tributi erariali in materia fiscale e
contributiva possa formulare proposte per l’impiego di una quota delle somme
derivanti dal recupero dell’evasione, per obiettivi determinati. Il riutilizzo
di tali somme, essendo, in base alla norma censurata, escluso dal complesso
delle spese finali determinate ai fini del rispetto della disciplina del Patto
di stabilità interno, violerebbe l’art. 117, terzo comma, e l’art. 119, secondo
comma, Cost. Infatti, la normativa statale sul Patto di stabilità interno, di
cui alla legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), all’art.
31 non prevedrebbe, per gli enti locali, alcuna possibilità di escludere somme
dal calcolo delle spese finali determinate ai fini del rispetto del Patto di
stabilità, mentre, all’art. 32, consentirebbe alle Regioni di escludere dal
Patto, per quanto riguarda il riutilizzo del gettito derivante dall’attività di
recupero fiscale, solo le somme effettivamente incassate al 30 novembre di ogni
anno, utilizzate per spese in conto capitale e acquisite in apposito capitolo
di bilancio: condizioni, queste, che non sarebbero precisate dalla normativa
regionale censurata.
1.2.– La seconda censura ha ad oggetto
gli artt. 22, 37 e 50 della legge regionale indicata in epigrafe, che sarebbero
privi di copertura finanziaria e perciò sarebbero contrari all’art. 81, quarto
comma, Cost. Precisamente, i tre articoli prevedrebbero spese, per complessivi
2.500.000 euro, gravanti per almeno un milione di euro sul fondo di riserva per
le spese impreviste, UPB 7.28.135, il quale ammonterebbe a 868.000 euro e
sarebbe, dunque, incapiente rispetto alle spese previste.
1.3.– La terza censura riguarda l’art.
23, comma 6, della legge regionale indicata in epigrafe. Tale comma prevede la
riduzione del 50 per cento delle posizioni dirigenziali prive di titolarità
alla data del 1° gennaio 2010 e aggiunge che, dalla medesima data, il fondo per
il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dell’area della
dirigenza della Giunta regionale è ridotto di un importo pari alla somma delle
retribuzioni accessorie delle posizioni soppresse. Il Presidente del Consiglio
ritiene che la norma incida su un fondo già predeterminato nell’ammontare e
dotato di una destinazione di scopo, in tal modo invadendo l’ambito del
trattamento economico della dirigenza, il quale, ai sensi dell’art. 45 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), è rimesso alla
contrattazione collettiva. Conseguentemente, la norma regionale violerebbe
l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in materia di ordinamento civile.
1.4.– La quarta doglianza si appunta
sull’art. 23, comma 7, della legge citata in epigrafe, il quale prevede che il
fondo per le risorse finanziarie destinate all’incentivazione del personale del
comparto della Giunta regionale, per il triennio 2011-2013, sia pari a quello
relativo all’anno 2010. A detta del ricorrente, la Regione avrebbe omesso di
prevedere la riduzione del fondo in misura proporzionale alla riduzione del
personale in servizio, come invece esigerebbe l’art. 9, commi 1 e 2-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010.
La norma regionale sarebbe pertanto in contrasto con la legislazione statale,
determinando la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento
alla competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica.
1.5.– Viene inoltre censurato l’art. 23,
comma 10, della legge regionale, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 117,
secondo comma, lettera l), e terzo
comma, Cost. Il comma 10 stabilisce, infatti, che il personale di cui all’art.
3, comma 112, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria
2008), in posizione di comando ed in servizio alla data del 31 dicembre 2011
presso il Commissariato di Governo, possa essere immesso, a domanda e nei
limiti dei posti in organico, nei ruoli della Giunta regionale della Campania.
Il ricorrente rileva innanzitutto che la proroga del comando e, quindi, la
scadenza per disporre il relativo trasferimento di ruolo riguarderebbe il solo
personale delle Poste in posizione di comando dal 2007, in base all’art. 21,
comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, nella
legge 24 febbraio 2012, n. 14, mentre non sarebbe più consentita per il
personale dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
La norma regionale, non specificando che
la possibilità di inquadramento nel ruolo della Giunta è limitata al personale
delle Poste in posizione di comando dal 2007, violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., che riserva
alla competenza esclusiva statale la disciplina dell’ordinamento civile e,
quindi, dei rapporti di diritto privato regolabili dai contratti collettivi.
Inoltre, l’estensione di tale disposizione al personale che non ne abbia titolo
comporterebbe sia il rischio di richieste emulative da parte di altri settori
pubblici, sia la violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza,
imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui agli artt.
3 e 97 della Costituzione, nonché dei principi statali di coordinamento della
finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
1.6.– La sesta doglianza riguarda l’art.
24, comma 2, della legge regionale indicata in epigrafe. Tale disposizione
prevede che il personale in posizione di comando da almeno 24 mesi presso
l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania (ARPAC)
transiti mediante selezione pubblica nei ruoli di quest’ultimo ente. Questa
norma contrasterebbe, secondo il ricorrente, innanzitutto con la norma statale
di cui all’art. 14, comma 9, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti
in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, che
consentirebbe assunzioni di personale nel limite del 20% della spesa
corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Contravvenendo al regime
vincolistico relativo alle assunzioni, la disposizione censurata violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento finanziario, cui
sarebbe riconducibile la disposizione statale evocata a parametro interposto.
Inoltre, la norma regionale
consentirebbe un inquadramento riservato al personale in posizione di comando,
violando l’obbligo costituzionale di accesso ai pubblici uffici attraverso
pubblico concorso. Risulterebbero, dunque, violati i principi di
ragionevolezza, uguaglianza, buon andamento e imparzialità della pubblica
amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
1.7.– L’art. 24, comma 3, della legge
regionale indicata in epigrafe è poi censurato, in quanto autorizza l’Agenzia
regionale per la protezione ambientale della Campania ad utilizzare la
graduatoria esistente alla data del 31 dicembre 2009 del concorso bandito per
il profilo professionale di dirigente ambientale, per far fronte all’attività
di vigilanza e monitoraggio del territorio. Anche in questo caso, l’art. 14,
comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010 viene evocato a parametro interposto,
poiché l’autorizzazione ad utilizzare la graduatoria non verrebbe circoscritta
in base alla normativa vincolistica in materia di assunzione del personale,
configurando in tal modo una violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
materia di coordinamento finanziario. Vi si aggiungerebbe un’ulteriore censura,
sulla base dell’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto l’autorizzazione alle
assunzioni non individuerebbe i relativi mezzi di copertura finanziaria.
1.8.– Viene inoltre censurato l’art. 27,
comma 1, lettera b), della legge
regionale indicata in epigrafe. La disposizione oggetto d’impugnazione modifica
l’art. 44 della legge regionale 27 febbraio 2007, n. 3 (Disciplina dei lavori
pubblici, dei servizi e delle forniture in Campania), prevedendo, nel caso in
cui il contratto sia affidato con il criterio dell’offerta economica più
vantaggiosa, che, se all’esito della valutazione alcuni tra i concorrenti
conseguono il medesimo punteggio, debbono essere «preferite le imprese che
hanno la propria sede legale ed operative sul territorio campano, ovvero che
svolgono almeno la metà della propria attività in territorio campano ovvero che
impiegano almeno la metà dei lavoratori cittadini residenti in Campania».
Secondo il ricorrente, in base all’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) sarebbero di
competenza legislativa esclusiva statale, tra l’altro, la qualificazione e la
selezione dei concorrenti, le procedure di affidamento, esclusi i profili di
organizzazione amministrativa, e i criteri di aggiudicazione. Gli artt. 2,
comma 2, e 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006 stabilirebbero i principi
di parità di trattamento, libertà di concorrenza e non discriminazione,
individuando altresì i criteri di valutazione dell’offerta. Tali aspetti, che
non darebbero rilievo alla sede dell’impresa o alla residenza dei dipendenti
nel territorio regionale, sarebbero riconducibili alla tutela della concorrenza
e all’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale, ex art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost.
1.9.– Viene poi censurato l’art. 32,
comma 2, della legge indicata in epigrafe. Tale comma esclude l’applicazione
delle disposizioni del regolamento regionale 9 aprile 2010, n. 10 (Disciplina
della ricerca ed utilizzazione delle acque minerali e termali, delle ricerche
geotermiche e delle acque di sorgente), che disciplinano il conferimento a
terzi di concessioni di derivazioni idriche cessate, la cui richiesta di
riassegnazione sia stata inoltrata prima dell’entrata in vigore di
quest’ultimo. La norma comporterebbe un rinnovo automatico delle concessioni in
violazione della normativa statale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale) e pertanto dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. Inoltre, la normativa
regionale sottrarrebbe le concessioni in tal modo riassegnate alla valutazione
d’impatto ambientale, disciplinata dal decreto legislativo n. 152 del 2006,
ugualmente contravvenendo alla normativa statale in materia e, pertanto, al
medesimo parametro.
1.10.– Il ricorrente, infine, censura
l’art. 45, commi 1 e 3, della legge regionale indicata in epigrafe, per
contrasto con gli artt. 81, quarto comma, 117, terzo comma, e 120, secondo
comma, Cost.
Premesso che la Regione ha stipulato con
lo Stato l’Accordo sul Piano di rientro dei disavanzi sanitari 2007-2009 e che
lo Stato ha esercitato poteri sostitutivi, secondo quanto previsto dall’art. 4,
comma 2, del decreto-legge 1 ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in
materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito,
con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, procedendo alla nomina
del Presidente della Regione quale Commissario ad acta per la realizzazione del Piano di rientro, il ricorrente
ritiene che le due disposizioni
presentino due diversi profili d’illegittimità costituzionale.
In primo luogo, l’art. 45, comma 1,
prevedendo che la Regione e le Università definiscano uno specifico Piano di
riorganizzazione e contemplando provvedimenti in deroga alla programmazione
vigente, relativi all’assetto organizzativo, agli accorpamenti e
all’integrazione di tali Aziende, si porrebbe in contrasto con il mandato
commissariale, che attribuisce tali compiti al Commissario ad acta in via esclusiva. La norma incorrerebbe pertanto nella
violazione dell’art. 117, terzo comma Cost., in relazione ai principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, e dell’art. 120, secondo
comma Cost., nel quale trova fondamento il potere sostitutivo esercitato dal
Governo attraverso la nomina del Commissario ad acta, che non ammetterebbe interferenze.
Sulle medesime basi viene impugnato
l’art. 45, comma 3, della legge indicata in epigrafe, che definisce i
finanziamenti che la Regione garantisce in applicazione del Piano di
riorganizzazione per le Aziende ospedaliere universitarie, individuando alcune
fonti di finanziamento. Il ricorrente ritiene tale disposizione in violazione
dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con i principi
fondamentali della legislazione in materia di coordinamento della finanza
pubblica, nonché dell’art. 120 Cost., per interferenza con le attribuzioni
conferite al Commissario ad acta.
Sarebbe inoltre violato l’art. 81, quarto comma, Cost., in quanto mancherebbe
l’individuazione della copertura finanziaria per gli oneri derivanti
dall’articolo censurato.
2.– Va, preliminarmente, dichiarata
l’estinzione del processo limitatamente alle censure relative all’art. 23,
commi 7 e 10, della legge regionale n. 1 del 2012.
Infatti, a seguito della modifica
apportata al testo impugnato con l’art. 1 della legge regionale Campania 15
giugno 2012, n. 14, recante «Interpretazione autentica dell’articolo 23, comma
10, della legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012 – 2014 della Regione Campania –
Legge finanziaria regionale 2012) e dell’articolo 18, comma 2 della legge
regionale 3 novembre 1994, n. 32 (Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
e successive modifiche ed integrazioni, riordino del servizio sanitario
regionale)», il Presidente del Consiglio dei Ministri ha rinunciato al ricorso
con atto depositato il 19 settembre 2012, con riferimento all’art. 23, comma
10. La Regione ha accettato tale rinuncia con atto depositato il 18 ottobre
2012.
Inoltre, l’art. 23, comma 7, della legge
indicata in epigrafe è stato modificato dall’art. 1 della legge regionale
Campania 10 maggio 2012, n. 11 (Modifiche legislative e disposizioni in materia
di consorzi di bonifica). A seguito di tale modifica, il Presidente del
Consiglio dei Ministri ha sul punto rinunciato al ricorso, con atto depositato
presso la cancelleria il 18 dicembre 2012. La rinuncia è stata accettata dalla
Regione con nota depositata il 10 gennaio 2013.
Ai sensi dell’art. 23 delle norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, la rinuncia al
ricorso, accettata dalle parti costituite, comporta l’estinzione del processo.
3.– Deve, poi, essere respinta
l’eccezione di inammissibilità delle censure relative all’art. 24, commi 2 e 3,
della legge regionale n. 1 del 2012.
Con riferimento a dette disposizioni, la
Regione resistente reputa il ricorso apodittico e del tutto privo di corredo
motivazionale. Deve ritenersi, invece, che il ricorso, con riguardo a entrambi
i commi censurati, individui con sufficiente chiarezza le ragioni della
doglianza, precisando le norme statali interposte con le quali le disposizioni
regionali si porrebbero in contrasto ed evocando specifici parametri
costituzionali.
4.– Parimenti, va respinta l’eccezione
di inammissibilità relativa all’impugnato art. 32, comma 2, della legge
regionale indicata in epigrafe.
La Regione, infatti, ritiene che la
disposizione impugnata si limiti a fornire una interpretazione autentica
dell’art. 44, comma 18, della legge della Regione Campania 29 luglio 2008, n. 8
(Disciplina della ricerca delle acque minerali e termali, delle risorse
geotermiche e delle acque di sorgente), con la conseguenza che la censura
erariale dovrebbe considerarsi rivolta verso quest’ultima disposizione e
sarebbe, perciò, intervenuta tardivamente, oltre il termine di impugnazione
stabilito dall’art. 127 Cost. Deve invece osservarsi che il censurato art. 32,
comma 2, della legge regionale n. 1 del 2012 ha un preciso ed autonomo effetto
normativo rispetto all’art. 44, comma 18, della legge regionale n. 8 del 2008.
Quest’ultima disposizione si limitava a prevedere eccezionalmente la
possibilità di riassegnare le concessioni di acque, dichiarate cessate, «nelle
more dell’adozione dei regolamenti» previsti dalla medesima legge regionale e,
dunque, rimuoveva temporaneamente, nel limitato caso della riassegnazione, il
generale divieto di rilasciare nuove concessioni, fino a che i regolamenti non
fossero stati emanati. Ciò significa che la portata normativa della
disposizione di cui all’art. 44, comma 8, legge regionale n. 8 del 2008 era di
consentire la riassegnazione delle concessioni cessate solo fino a quando i
regolamenti di attuazione fossero stati emanati, ciò che neppure poteva porre
un problema di applicazione e di effetti nel tempo di un regolamento non ancora
adottato. L’impugnato art. 32, comma 2, della legge regionale n. 1 del 2012
stabilisce, invece, l’inapplicabilità delle disposizioni concernenti il
conferimento a terzi di concessioni oggetto di cessazione, contenute nel
regolamento n. 10 del 2010, in riferimento alle domande di riassegnazione
inoltrate anteriormente all’entrata in vigore di detto regolamento, così da
rappresentare una norma transitoria che regola gli effetti nel tempo del regolamento
medesimo.
Tenuto conto dell’autonomia degli
effetti normativi collegati all’art. 32, comma 2, della legge regionale n. 1
del 2012, l’impugnazione non può dirsi proposta contro il citato art. 44, comma
18, della legge regionale n. 8 del 2008 e, pertanto, neppure può considerarsi
tardiva. Del resto, anche ove si volesse ritenere che la disposizione regionale
oggi impugnata costituisca interpretazione autentica della precedente, deve
rammentarsi che questa Corte (ex plurimis,
sentenza n. 309
del 2011) ha già considerato ammissibili questioni relative a disposizioni
regionali ritenute di interpretazione autentica di altre già vigenti. Infatti,
ove la disposizione di interpretazione autentica selezioni, tra i significati
attribuibili all’originaria disposizione, un significato espressivo di una
norma illegittima, così impedendo una interpretazione costituzionalmente
orientata dell’originaria disposizione, si evidenzia l’esigenza della sua
rimozione dall’ordinamento per la sua illegittimità.
5.– Nel merito, la questione relativa
all’art. 11, comma 4, della legge della Regione Campania n. 1 del 2012, è
fondata.
L’articolo impugnato autorizza la
Commissione da esso istituita a formulare proposte per l’impiego delle somme
recuperate all’evasione, prevedendo che tali spese non siano considerate ai
fini del computo relativo al Patto di stabilità, al cui rispetto è tenuto
l’intero sistema delle autonomie. Tale previsione contrasta con le norme
statali relative al Patto di stabilità, le quali, in base alla giurisprudenza
di questa Corte, sono espressione della competenza legislativa statale in
materia di coordinamento della finanza pubblica (ex multis, sentenza n. 155 del
2011). Infatti, la disciplina statale del Patto di stabilità, contenuta
nella legge n. 183 del 2011, non consente alle Regioni di sottrarre, ai fini
della determinazione dell’ammontare delle spese che devono essere contenute
entro un tetto massimo stabilito nella stessa legge, quelle finanziate con il
gettito derivante dal recupero dell’evasione, se non alla condizione che tali
uscite si riferiscano a spese in conto capitale, che il relativo ammontare sia
limitato a quanto effettivamente riscosso entro il 30 novembre di ogni anno e
che siano iscritte a bilancio separatamente (art. 32, comma 4, lettera i, della legge n. 183 del 2011). Al
contrario, la disposizione regionale impugnata non prevede alcuna delle condizioni
stabilite dal legislatore statale. Essa è, dunque, costituzionalmente
illegittima in quanto permette l’esclusione di spese «dal complesso delle spese
finali determinate ai fini del rispetto del Patto di stabilità» (art. 11, comma
4, ultimo periodo, legge regionale n. 1 del 2012), oltre i limiti fissati dal
legislatore statale all’art. 32, comma 4, lettera i), della legge n. 183 del 2011.
Inoltre, il testo censurato si presta ad
essere applicato anche nei confronti degli enti locali, verso i quali la legislazione
statale in tema di Patto di stabilità è ancor più rigorosa, dal momento che, in
relazione a detti enti, l’art. 31 della legge n. 183 del 2011 non consente di
sottrarre alcuna somma dal computo dei saldi relativi al rispetto del Patto di
stabilità, senza eccezioni. Anche sotto questo profilo, dunque, si configura
una ulteriore ragione di contrasto tra la normativa regionale impugnata e
quella statale, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
6.– Le censure relative agli artt. 22,
37 e 50 della legge regionale n. 1 del 2012 sono ugualmente fondate.
Come osserva il ricorrente, la legge
della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 2 (Bilancio di previsione della
Regione Campania per l’anno 2012 e bilancio pluriennale per il triennio
2012-2014) apposta all’unità previsionale di base 7.28.125 una somma pari a
868.000 euro, di gran lunga inferiore all’ammontare delle spese
complessivamente previste dalle tre disposizioni impugnate, le quali risultano,
perciò, prive di copertura finanziaria e dunque affette da illegittimità
costituzionale, per violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., il quale
esige, per costante giurisprudenza di questa Corte, che la copertura
finanziaria sia indicata in maniera "credibile” (ex multis, sentenze n. 214 e 115 del 2012).
Vi è poi da considerare che la
violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost. determinata dalle disposizioni impugnate
è persino più radicale. L’unità previsionale su cui vengono fatte gravare le
spese disposte dalle norme impugnate contiene, come la sua stessa intitolazione
rivela, un «fondo di riserva per le spese impreviste» per l’anno 2012.
Contrasta, dunque, con le regole di contabilità, stabilire che determinate
spese, inserite nel bilancio di previsione – e per ciò stesso "previste” –
siano fatte gravare su un fondo per spese "impreviste”, che è invece destinato
ad evenienze non preventivabili. La medesima legislazione della Regione
Campania relativa alla contabilità – legge 30 aprile 2002, n. 7 (Ordinamento
contabile Regione Campania articolo 34, comma 1, decreto legislativo 28 marzo
2000, n. 76) – prescrive, all’art. 28, l’esistenza di un fondo per le spese impreviste,
«finalizzato a far fronte alle spese aventi carattere di imprescindibilità e di
improrogabilità che non siano prevedibili all’atto di adozione della legge di
bilancio». Dunque, la finalità stessa del fondo esclude che vi si possano
appostare spese in fase di approvazione del bilancio di previsione.
7.– La questione relativa all’art. 23,
comma 6, non è fondata.
Con la disposizione in esame, il
legislatore regionale ha soppresso il cinquanta per cento delle posizioni
dirigenziali prive di titolare dal 1° gennaio 2010 e contestualmente ha
previsto la riduzione del fondo per il finanziamento della retribuzione di
posizione e di risultato dell’area della dirigenza, in misura corrispondente
alla somma delle retribuzioni accessorie delle posizioni soppresse.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, e diversamente dal caso deciso
da questa Corte con sentenza n. 339 del
2011, la disposizione impugnata non incide affatto sul trattamento
economico del personale, ma si limita ad adeguare il bilancio di previsione
alla mutata consistenza numerica del personale dirigenziale. Pertanto,
l’intervento del legislatore regionale, che si mostra perfettamente aderente a
quanto disposto dal legislatore statale, il quale aveva già previsto – con
l’art. 9, comma 2-bis, del
decreto-legge n. 78 del 2010, come convertito – la riduzione delle poste per il
trattamento accessorio in funzione della riduzione del personale in servizio,
non interferisce con la materia dell’"ordinamento civile”, di competenza
statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., né contravviene al vincolo di destinazione delle risorse
per le retribuzioni aggiuntive della dirigenza, di cui all’art. 28, comma 2,
del contratto collettivo nazionale di lavoro 23 dicembre 1999 per il personale
con qualifica dirigenziale dipendente dagli enti del comparto Regioni -
Autonomie Locali (Contratto collettivo nazionale di lavoro per il quadriennio
normativo 1998-2001 e per il biennio economico 1998-1999 relativo all’area
della dirigenza del comparto "Regioni - Autonomie locali”).
8.– La censura relativa all’art. 24,
comma 2, della legge regionale impugnata, è fondata, sotto entrambi i profili
d’illegittimità evocati dal ricorrente.
La disposizione stabilisce che il
personale in posizione di comando da almeno ventiquattro mesi alla data di
entrata in vigore della legge impugnata e in servizio presso l’Agenzia
regionale per la protezione ambientale della Campania (ARPAC) transiti,
mediante selezione pubblica, nei ruoli del suddetto ente, senza osservare le
prescrizioni contenute nell’art. 14, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2010,
che pone vincoli alle assunzioni di personale. Tali vincoli, per costante giurisprudenza
costituzionale (ex multis, sentenza n. 108 del
2011), in quanto principi fondamentali rientrano nella competenza statale
in materia di coordinamento della finanza pubblica, ex art. 117, terzo comma, Cost., e dispongono, per quanto qui
interessa, che si possa fare luogo ad assunzioni nel limite del venti per cento
della spesa corrispondente alle cessazioni dal servizio dell’anno precedente.
Tale quota non è in alcun modo prevista dalla disposizione impugnata, cosicché
quest’ultima potrebbe dar luogo all’assunzione nei ruoli dell’Agenzia di tutti
coloro che vi siano impiegati in posizione di comando, senza considerare i
vincoli posti dal legislatore statale in materia.
La norma censurata viola anche l’obbligo
del pubblico concorso quale strumento di selezione del personale da assumere,
in linea con il principio di uguaglianza e i canoni di imparzialità e di buon
andamento della pubblica amministrazione ex
artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui prevede che la stabilizzazione del
personale comandato avvenga tramite "selezione pubblica”. Come già questa Corte
ha avuto modo di chiarire, «il previo superamento di una qualsiasi "selezione
pubblica” è requisito troppo generico per autorizzare una successiva
stabilizzazione senza concorso, perché tale previsione non garantisce che la
previa selezione abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al
livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato
a svolgere» (sentenza
n. 127 del 2011). Anche sotto questo aspetto, dunque, la disposizione è
costituzionalmente illegittima.
9.– La censura relativa all’art. 24,
comma 3, della legge regionale impugnata, è fondata.
La norma autorizza l’Agenzia regionale
per la protezione ambientale della Campania ad utilizzare le graduatorie per il
profilo di dirigente ambientale, in essere al 31 dicembre 2009, per
l’assunzione di personale da preporre allo svolgimento di attività di vigilanza
e monitoraggio del territorio. La disposizione, dunque, consente di procedere
ad assunzioni di nuovo personale, attingendo a graduatorie esistenti, senza
tuttavia quantificare gli oneri che ne derivano e senza neppure individuare le
necessarie coperture finanziarie. Sotto questo aspetto la disposizione
contrasta con l’art. 81, quarto comma, Cost.
Inoltre – anche a prescindere da ogni
considerazione circa i dubbi sulla conformità del profilo professionale delle
graduatorie, che riguarda personale destinato a svolgere funzioni dirigenziali,
con quello del personale da assumere, che dovrebbe essere preposto a mansioni
di vigilanza e monitoraggio del territorio – l’autorizzazione, contenuta nella
disposizione impugnata, ad utilizzare le graduatorie esistenti ignora i vincoli
introdotti dal legislatore statale con l’art. 14, comma 9, del decreto-legge n.
78 del 2010, già richiamati poco sopra, la cui violazione si ripercuote
sull’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce allo Stato competenze
legislative in materia di principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica. Anche sotto questo profilo, dunque, la disposizione è viziata di
illegittimità costituzionale.
10.– La censura relativa all’art. 27,
comma 1, lettera b), della legge
della Regione Campania è fondata.
Tale norma introduce nella legislazione
regionale in materia di lavori pubblici la previsione che i bandi di gara
effettuati con il criterio dell’offerta più vantaggiosa debbano stabilire che,
nel caso in cui l’esito della valutazione dia luogo ad una parità di punteggio
tra più concorrenti, debbano essere preferite le imprese che sono
caratterizzate da un radicamento nel territorio campano. In particolare, la
preferenza dovrebbe essere accordata, tra i concorrenti che conseguono il
medesimo punteggio, alle imprese che abbiano la propria sede legale ed
operativa sul territorio campano, ovvero a quelle che svolgano almeno la metà
della propria attività in territorio campano o, ancora, a quelle che impieghino
almeno la metà dei lavoratori cittadini residenti in Campania.
Questa Corte ha ripetutamente chiarito –
ex multis, sentenze n. 411 del 2008
e n. 401 del
2007 – che la fase di aggiudicazione degli appalti attiene alla "tutela
della concorrenza” e, pertanto, spetta al legislatore statale, in via
esclusiva, disciplinare tanto le procedure di affidamento, quanto i criteri di
valutazione dell’offerta, confermando in questo senso quanto espressamente
stabilito dall’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006, ove si
afferma che le Regioni «non possono prevedere una disciplina diversa da quella
del presente codice in relazione [tra l’altro] ai criteri di aggiudicazione».
La necessità di assicurare «l’adozione
di uniformi procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente, idonee
a garantire, in particolare, il rispetto dei principi di parità di trattamento,
di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza» (sentenza n. 401 del
2007) esige che la disciplina delle procedure di gara, la regolamentazione
della qualificazione e della selezione dei concorrenti, le procedure di
affidamento e i criteri di aggiudicazione siano disciplinati dal legislatore
statale, essendo riconducibili alla tutela della concorrenza (ex multis sentenze n. 186 del 2010
e 283 del 2009).
Considerata nel suo contenuto, poi, la
normativa censurata esprime una preferenza per le imprese radicate in uno
specifico territorio e, dunque, anche sotto questo profilo è di ostacolo alla
concorrenza, la cui tutela esige piuttosto di allargare la platea degli
operatori economici (cosiddetta "concorrenza nel mercato”) e, in ogni caso, impone
la parità di trattamento di questi ultimi (cosiddetta "concorrenza per il
mercato”). La disposizione oggetto di censura, dunque, viola per molteplici
aspetti l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., relativo alla competenza statale in ordine alla tutela della
concorrenza.
11.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 32, comma 2, della legge regionale n. 1 del 2012 è
fondata.
La norma impugnata prevede, infatti, che
«le disposizioni di cui al regolamento regionale n. 10/2010 (Disciplina della
ricerca ed utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse
geotermiche e delle acque di sorgente), che disciplinano il conferimento a
terzi di concessioni oggetto di cessazione, non si applicano alle istanze di
riassegnazione delle concessioni dichiarate cessate, inoltrate antecedentemente
all’entrata in vigore del predetto regolamento, in conformità al disposto
dell’articolo 44, comma 18, della legge regionale n. 8/2008, secondo cui nelle
more dell’adozione dei regolamenti previsti dalla presente legge, non possono
essere rilasciate nuove concessioni, fatte salve le riassegnazioni di quelle
dichiarate cessate».
Orbene, l’uso del termine
"riassegnazione”, congiunto all’esclusione dell’applicazione del regolamento –
il quale, nel disciplinare le procedure di attuazione in materia di acque
minerali e termali, stabilisce, tra l’altro, le regole per la scelta del
concessionario e prevede le modalità con le quali nel procedimento
amministrativo devono essere acquisiti i pareri sulla garanzia del minimo
deflusso idrico e la valutazione di impatto ambientale – induce a ritenere che,
con la disposizione impugnata, si sia inteso consentire una proroga delle
concessioni giunte al termine, senza l’espletamento delle procedure previste
per la scelta del concessionario e neppure di quelle relative alla
compatibilità ambientale.
Deve, quindi, ritenersi, diversamente da
quanto opinato dalla difesa regionale, che l’art. 32, comma 2, della legge
regionale n. 1 del 2012 consenta l’automatica riassegnazione delle concessioni
cessate, senza assicurare che siano effettuate, tra l’altro, la valutazione
della garanzia del minimo deflusso vitale del corpo idrico ex art. 95, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e la
valutazione di impatto ambientale (VIA).
La garanzia del minimo deflusso vitale
del corpo idrico, in quanto volta ad evitare l’esaurimento della fonte, deve
ritenersi concernere la "conservazione” del bene acqua e non il mero utilizzo
della stessa, con la conseguenza che la relativa disciplina deve considerarsi
attratta nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.,
relativa alla tutela dell’ambiente. Sul punto va richiamata la giurisprudenza
di questa Corte (sentenza
n. 1 del 2010), secondo cui il riparto delle competenze tra Stato e Regioni
in materia di acque dipende dalla «distinzione tra uso delle acque minerali e
termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse
acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117,
comma secondo, lettera s), della
Costituzione. Si tratta di un evidente concorso di competenze sullo stesso bene
(le acque minerali e termali), competenze che riguardano, per quanto attiene
alle Regioni, l’utilizzazione del bene e, per quanto attiene allo Stato, la
tutela o conservazione del bene stesso (sentenze n. 225 del 2009
e n. 105 del
2008)».
In ordine poi alla valutazione d’impatto
ambientale, la Corte (ex plurimis, sentenza n. 227 del
2011), ha ricordato di aver «precisato più volte che la normativa sulla
valutazione d’impatto ambientale attiene a procedure che accertano in concreto
e preventivamente la "sostenibilità ambientale” e rientrano nella materia della
tutela dell’ambiente, sicché, "seppure possono essere presenti ambiti materiali
di spettanza regionale […] deve ritenersi prevalente, in ragione della precipua
funzione cui assolve il procedimento in esame, il citato titolo di
legittimazione statale” (sentenza n. 186 del
2010, n. 234
del 2009)».
Sulla base delle precedenti
considerazioni deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 32, comma 2, della legge regionale n. 1 del 2012, per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto lesivo della competenza legislativa esclusiva statale in
materia di tutela dell’ambiente.
12.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 45, commi 1 e 3, della legge regionale impugnata sono
fondate.
Le disposizioni censurate prevedono,
rispettivamente, uno specifico Piano di riorganizzazione su base pluriennale
che, con provvedimenti anche in deroga alla programmazione vigente, disciplini
l’assetto, gli accorpamenti e l’integrazione di Aziende ospedaliere
universitarie (comma 1), nonché la definizione di finanziamenti che la Regione
garantisce per l’attuazione del predetto Piano di riorganizzazione per le
Aziende ospedaliere universitarie (comma 3).
Deve osservarsi, peraltro, che la
Regione Campania ha stipulato un accordo per l’attuazione del Piano di rientro
dal disavanzo sanitario e, in assenza della corretta attuazione del Piano
predetto, lo Stato ha già nominato un Commissario ad acta, al quale ha attribuito in esclusiva i relativi compiti di
attuazione.
Le previsioni regionali contestate, di
cui all’art. 45, commi 1 e 3, della legge regionale n. 1 del 2012,
interferiscono con il punto 1, lettera i),
del mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del
23 aprile 2010, in relazione all’attuazione del Programma operativo della
Regione Campania 2011-2012 (con particolare riferimento al suo punto 9) e
perciò violano l’art. 120, secondo comma, Cost.
Non può condividersi la tesi della
difesa regionale, la quale ha dedotto sul punto che la violazione delle
disposizioni costituzionali predette si realizzerebbe solo qualora le norme
regionali determinassero un aggravamento del disavanzo sanitario, aggiungendo che
un simile aggravamento sarebbe da escludersi nel caso di specie, in
considerazione del fatto che la previsione impugnata (ex art. 45, comma 1, della legge regionale n. 1 del 2012) si
prefigge il «fine di ristabilire l’equilibrio economico delle Aziende
ospedaliere universitarie». Infatti, le sentenze citate dalla resistente per
sostenere tale principio riguardano in realtà casi del tutto inconferenti, come
quello di una legge regionale contenente un divieto di consulenze esterne (sentenza n. 100 del
2010), oppure casi in cui si era comunque verificato anche un aggravamento
del disavanzo sanitario e dove, quindi, non era affrontata la questione se
fosse possibile ritenere la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.
anche in assenza di simile aggravamento del disavanzo (sentenza n. 131 del
2012). Piuttosto, in ordine alla questione ora posta all’esame della Corte,
assume rilievo la giurisprudenza costituzionale secondo cui «l’operato del
commissario ad acta, incaricato
dell’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente
concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una
persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti
ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica. È,
dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del
potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la
tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è
quello alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni
amministrative del Commissario, ovviamente fino all’esaurimento dei suoi
compiti di attuazione del Piano di rientro, devono essere poste al riparo da
ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio
di fare di esso l’unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento
della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale» (sentenza n. 78 del
2011).
Quindi, la semplice interferenza da
parte del legislatore regionale con le funzioni del Commissario ad acta, come definite nel mandato
commissariale, determina di per sé la violazione dell’art. 120, secondo comma,
Cost., laddove, come nella specie, il Commissario sia l’organo esclusivo
incaricato dell’attuazione del Piano di rientro (ex plurimis, sentenza n. 2 del
2010).
Deve, infatti, ritenersi priva di reale
significato normativo una generica clausola di salvaguardia delle competenze
commissariali, quale quella contenuta nell’art. 45, comma 1, della legge
regionale n. 1 del 2012, che è contraddetta proprio dalle specifiche e precise
disposizioni che la seguono. Una simile clausola di salvaguardia deve ritenersi
del tutto inidonea a porre al riparo la disposizione censurata dal vizio di
illegittimità costituzionale denunciato, che consegue, come detto, alla
semplice interferenza da parte del legislatore regionale con l’attività del
Commissario ad acta e si determina,
comunque, proprio per effetto della previsione della riorganizzazione, da parte
della Regione in accordo con le Università, delle Aziende ospedaliere
universitarie e per effetto della ridefinizione dei relativi finanziamenti,
previste rispettivamente dal comma 1 e dal comma 3 dell’art. 45, legge
regionale n. 1 del 2012.
La circostanza, poi, che il Commissario ad acta debba garantire l’autonomia
universitaria e procedere, quindi, all’attuazione del suo mandato mediante
protocolli d’intesa con le Università (sentenze n. 91 del 2012
e n. 68 del 2011)
non legittima certo il legislatore regionale ad interferire con il mandato
commissariale medesimo, in contrasto con l’art. 120, secondo comma, Cost.
Deve quindi dichiararsi l’illegittimità
costituzionale, ex art. 120, secondo
comma, Cost., dell’art. 45, commi 1 e 3, della legge regionale n. 1 del 2012.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi
di censura.
1)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 4, della legge
della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania –
Legge finanziaria 2012);
2)
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 22, 37 e 50 della
legge della Regione Campania n. 1 del 2012;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 2, della legge della
Regione Campania n. 1 del 2012;
4)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 24, comma 3, della
legge della Regione Campania n. 1 del 2012;
5)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 27, comma 1, lettera b), della legge della Regione Campania
n. 1 del 2012;
6)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 2, della
legge della Regione Campania n. 1 del 2012;
7)
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 45, commi 1 e 3,
della legge della Regione Campania n. 1 del 2012;
8)
dichiara l’estinzione del processo relativamente alle questioni di
legittimità costituzionale dell’articolo 23, commi 7 e 10, della legge della
Regione Campania n. 1 del 2012, promosse dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con riferimento agli articoli 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione,
con il ricorso indicato in epigrafe;
9)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 23, comma 6, della legge della Regione Campania n. 1 del 2012,
promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento
all’articolo 117, secondo comma, lettera l),
della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25
febbraio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2013.