SENTENZA N. 78
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 31, commi 2, 3 e 8 lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22 febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 29 aprile – 7 maggio 2010, depositato in cancelleria il 6 maggio 2010 ed iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2010.
Udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
udito l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso del 29 aprile 2010, depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 6 maggio (ric. n. 73 del 2010), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 31, commi 2, 3 e 8, lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22 febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12), per violazione dell’articolo 120 della Costituzione.
1.1.— Il ricorrente premette che la Regione Molise rientra tra quelle Regioni che «hanno sottoscritto l’accordo con lo Stato per il rientro dai deficit sanitari», ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), nel testo modificato dall’art. 4 del decreto-legge 14 marzo 2003, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Sottolinea, inoltre, che tale accordo – la cui attuazione costituisce condizione per la rinnovata attribuzione del finanziamento statale – comporta, tra l’altro, l’impegno da parte delle Regioni interessate a procedere ad una ricognizione delle cause dei disavanzi e ad elaborare un programma operativo di riorganizzazione, riqualificazione o di potenziamento del servizio sanitario regionale, nella prospettiva di individuare gli interventi necessari al perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.
Analogamente, l’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) ha istituito un fondo transitorio, da ripartirsi tra le Regioni interessate, subordinando l’accesso anche a tali ulteriori risorse alla sottoscrizione di un apposito accordo, nuovamente comprensivo di un piano di rientro dai disavanzi, il cui azzeramento era previsto entro l’anno 2010. La medesima norma conferisce, poi, al Ministero della salute, di concerto con quello dell’economia e finanze, un’attività di affiancamento delle Regioni, per la verifica ed il monitoraggio dei singoli piani di rientro.
Qualora, poi, nell’ambito del procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli piani, sottolinea ancora la difesa statale, risulti la mancata attuazione, da parte di taluna delle Regioni interessate, degli adempimenti posti a loro carico, è previsto che il Presidente del Consiglio dei ministri – ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222 – diffidi la Regione ad adottare, entro quindici giorni, tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi del piano. In caso di persistente inadempimento regionale, ovvero di verificata inidoneità od insufficienza degli atti ed azioni posti in essere, il Consiglio dei ministri nomina un commissario ad acta, per l’intero periodo di vigenza del piano di rientro, con facoltà – tra l’altro – di proporre alla Regione la sostituzione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali ovvero delle aziende ospedaliere.
Orbene, non avendo realizzato la Regione Molise gli obiettivi previsti dal piano di rientro, il Presidente del Consiglio dei ministri, in base alle citate disposizioni legislative, ha nominato il Presidente della Regione commissario ad acta per la realizzazione del piano stesso.
1.2.— È in tale contesto, dunque, che si inserisce la legge regionale n. 8 del 2010, che ha previsto l’adozione di una serie di misure di natura programmatica, economica, finanziaria e patrimoniale al fine di individuare gli obiettivi da assegnare al servizio sanitario regionale, le fonti di finanziamento delle aziende sanitarie regionali, le modalità di ripartizione di tali risorse, il controllo sulla gestione delle aziende sanitarie regionali per assicurare efficacia ed efficienza nella acquisizione e nella gestione delle risorse.
In particolare, gli artt. 31, 32 e 33 attribuiscono alla Giunta regionale il controllo regionale, il visto regionale e l’attività di controllo regionale in materia amministrativo-contabile.
Tuttavia, atteso l’intervenuto commissariamento della Regione Molise, risulterebbero costituzionalmente illegittime le previsioni legislative secondo cui: è la Giunta ad esercitare il controllo su tutti gli atti del Direttore generale dell’Azienda sanitaria della Regione Molise (art. 31, comma 2); gli atti adottati dalla Giunta nell’esercizio della funzione di vigilanza non sono soggetti a controllo (art. 31, comma 3); la Giunta può deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura della perdita d’esercizio (art. 31, comma 8, lettera c).
Difatti, osserva il ricorrente, il citato art. 31, comma 2, «tende a realizzare una funzione di controllo sugli atti del Direttore generale, in punto di bilancio, riequilibrio della situazione economica e gestione delle risorse», nell’ottica dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario. Nondimeno, nella specie, sulla base della disciplina legislativa impugnata, tale finalità è «destinata a realizzarsi solo attraverso l’opera degli organi ordinari della Regione, senza alcun riferimento alle competenze e funzioni del commissario, in assenza del necessario raccordo istituzionale imposto dal principio di leale collaborazione» e, pertanto, in violazione dell’art. 120 Cost.
Alla stessa censura si esporrebbe il successivo comma 3 del medesimo art. 31, posto che «la previsione della assenza di controllo sugli atti adottati dalla Giunta regionale ai sensi del precedente comma 2» si tradurrebbe «ancora una volta in una violazione del principio di leale collaborazione, esautorando di fatto il commissario ad acta di un’ampia sfera di poteri, primo fra tutti il controllo sugli atti del Direttore generale, con implicito disconoscimento dello stesso potere sostitutivo».
Infine, il comma 8 dello stesso articolo – secondo cui la Giunta può deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura della perdita d’esercizio – violerebbe l’art. 4, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, ovvero la norma che attribuisce al commissario ad acta la facoltà, nell’esercizio dei suoi poteri, di disporre la sospensione dei Direttori generali.
Anche nel caso in esame la disciplina recata dalla norma impugnata si tradurrebbe nella negazione della facoltà spettante al commissario di proporre alla Regione la sostituzione del Direttore generale, e dunque in “un disconoscimento” di quel potere di sostituzione degli organi regionali preordinato alla tutela di interessi essenziali unitariamente facenti capo allo Stato ed esercitati dal Governo con la nomina del predetto commissario (è richiamata la sentenza n. 2 del 2010 di questa Corte). Difatti, «in forza di quanto disposto dal citato art. 4, comma 2, rientra tra le facoltà del commissario ad acta – dopo la modifica apportata al testo di tale norma dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154 (Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 dicembre 2008, n. 189 – il potere non già soltanto di proporre alla Regione la sostituzione dei Direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, bensì quello di motivatamente disporre la sospensione dalle funzioni dei Direttori generali, facoltà che implica, evidentemente, anche quella della loro sostituzione, trattandosi di assicurare, con tale misura, la continuità nello svolgimento di incarichi che – per il loro carattere apicale – non tollerano alcuna vacatio» (così la già citata sentenza n. 2 del 2010, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la proroga automatica dei Direttori generali delle aziende sanitarie locali disposta da una norma contenuta in una legge della Regione Lazio).
Analogamente, violerebbero le prerogative del commissario ad acta (e, pertanto, l’art. 120 Cost.) anche gli artt. 32 e 33 della legge regionale impugnata.
Ed invero, il primo di tali articoli stabilisce che gli atti del Direttore generale, adottati in punto di bilancio e di riequilibrio della situazione economica, siano soggetti al solo visto di congruità della Giunta regionale. Si è in presenza, pertanto, di atti di natura economico-finanziaria e di programmazione – osserva il ricorrente – «diretti ad inserirsi nell’ambito di una politica regionale di ripianamento dei disavanzi», alla quale è «completamente estranea la previsione della partecipazione del commissario ad acta, essendo lasciati alla integrale realizzazione degli organi ordinari della Regione».
Del pari, l’art. 33 riserva alla Regione l’attività di controllo e vigilanza sugli atti di programmazione aziendale dell’Azienda sanitaria regionale, sia sotto il profilo economico di bilancio, sia sotto quello gestionale di analisi e verifica dei risultati raggiunti, con eguale menomazione delle attribuzioni del commissario ad acta.
Di qui, in conclusione, il contrasto di tutte le norme impugnate con l’art. 120 Cost., giacché «la scelta di riservare esclusivamente agli organi ordinari della Regione la modifica delle “disposizioni finanziarie, di bilancio e contabili”, pur quando esse presentino profili di interferenza con l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, si risolve in un obiettivo svuotamento dei poteri del commissario ad acta, e dunque in una violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.» (così, la già citata sentenza n. 2 del 2010).
2.— Non si è costituita in giudizio la Regione Molise.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale degli articoli 31, commi 2, 3 e 8, lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22 febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12), per violazione dell’articolo 120 della Costituzione.
1.1.— Premette in punto di fatto il ricorrente che il Presidente della Regione Molise è stato nominato commissario ad acta per il rientro dal deficit nel settore sanitario, giacché il Molise è una di quelle Regioni che – dopo aver sottoscritto gli accordi diretti alla riduzione del disavanzo, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005) – hanno disatteso l’impegno ad adottare tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi del piano di rientro, giustificando, con tale inerzia, l’esercizio del potere sostitutivo statale previsto dall’art. 4 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29 novembre 2007, n. 222.
1.2.— Ciò posto, il Presidente del Consiglio dei ministri assume che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate si risolverebbe in un obiettivo svuotamento dei poteri del commissario ad acta, e dunque in una violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.
In particolare, le norme suddette dispongono che: è la Giunta ad esercitare il controllo su tutti gli atti del Direttore generale dell’Azienda sanitaria regionale (art. 31, comma 2); gli atti adottati dalla Giunta nell’esercizio della funzione di vigilanza non sono soggetti a controllo (art. 31, comma 3); la Giunta può deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura della perdita d’esercizio (art. 31, comma 8, lettera c).
In tal modo, osserva il ricorrente, il citato art. 31, comma 2, «tende a realizzare una funzione di controllo sugli atti del Direttore generale, in punto bilancio, riequilibrio della situazione economica e gestione delle risorse», nell’ottica dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario; nondimeno, tale finalità è «destinata a realizzarsi solo attraverso l’opera degli organi ordinari della Regione, senza alcun riferimento alle competenze e funzioni del commissario, in assenza del necessario raccordo istituzionale imposto dal principio di leale collaborazione» e, pertanto, in violazione dell’art. 120 Cost.
Alla stessa censura si esporrebbe il successivo comma 3 del medesimo art. 31, posto che «la previsione della assenza di controllo sugli atti adottati dalla Giunta regionale ai sensi del precedente comma 2» si tradurrebbe «ancora una volta in una violazione del principio di leale collaborazione, esautorando di fatto il commissario ad acta da un’ampia sfera di poteri, primo fra tutti il controllo sugli atti del Direttore generale, con implicito disconoscimento dello stesso potere sostitutivo».
Infine, il comma 8 dello stesso articolo – secondo cui la Giunta può deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura della perdita d’esercizio – violerebbe l’art. 4, comma 2, del citato decreto-legge n. 159 del 2007, ovvero la norma che attribuisce al commissario ad acta la facoltà, nell’esercizio dei suoi poteri, di disporre la sospensione del Direttore generale.
In particolare, la disciplina recata dalla disposizione impugnata si tradurrebbe nella negazione della facoltà spettante al commissario di proporre alla Regione la sostituzione del Direttore generale, e dunque in “un disconoscimento” di quel potere di sostituzione degli organi regionali preordinato alla tutela di interessi essenziali unitariamente facenti capo allo Stato ed esercitati dal Governo con la nomina del predetto commissario (è richiamata, al riguardo, la sentenza n. 2 del 2010).
Analogamente, violerebbero le prerogative del commissario ad acta (e, pertanto, l’art. 120 Cost.) anche gli artt. 32 e 33 della legge regionale della Regione Molise n. 8 del 2010.
Ed invero, il primo di tali articoli stabilisce che gli atti del Direttore generale, adottati in punto di bilanci e di riequilibrio della situazione economica, sono soggetti al solo visto di congruità della Giunta regionale. Si è in presenza, pertanto, di atti di natura economico-finanziaria e di programmazione – osserva il ricorrente – «diretti ad inserirsi nell’ambito di una politica regionale di ripianamento dei disavanzi», alla quale è «completamente estranea la previsione della partecipazione del commissario ad acta, essendo lasciati alla integrale realizzazione degli organi ordinari della Regione».
Del pari, l’art. 33 riserverebbe alla Regione l’attività di controllo e vigilanza sugli atti di programmazione aziendale dell’Azienda sanitaria regionale, sia sotto il profilo economico di bilancio, sia sotto quello gestionale di analisi e verifica dei risultati raggiunti, con eguale menomazione delle attribuzioni del commissario ad acta.
2.— La questione è fondata.
3.— In via preliminare, occorre precisare che nel presente giudizio di costituzionalità non viene in rilievo l’esercizio di poteri normativi da parte del commissario ad acta, bensì l’interferenza, sui poteri dallo stesso esercitati sul piano amministrativo, di talune scelte compiute dal legislatore regionale molisano con la legge n. 8 del 2010.
Resta, pertanto, estraneo all’odierno thema decidendum il problema esaminato dalla recente sentenza n. 361 del 2010, con la quale questa Corte ha affermato che la disciplina contenuta nel secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere interpretata come implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo legislativo ad un soggetto che sia stato nominato commissario del Governo.
4.— Nel caso ora in esame, si tratta soltanto di stabilire se ricorrano le condizioni per estendere all’odierna questione la ratio decidendi della citata sentenza n. 2 del 2010.
4.1.— Sul punto, occorre rammentare che tale pronuncia ha dichiarato costituzionalmente illegittima una normativa legislativa della Regione Lazio che si caratterizzava per riservare esclusivamente agli organi ordinari della Regione la modifica delle disposizioni finanziarie, di bilancio e contabili, pur quando esse presentino profili di interferenza con l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario; ciò che, secondo questa Corte, costituiva «un obiettivo svuotamento dei poteri del commissario ad acta», e si traduceva dunque in una violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost. Analogamente, la scelta del legislatore regionale del Lazio di disporre la proroga dei Direttori generali, nonché dei Direttori sanitari e amministrativi è stata ritenuta in contrasto con il potere del commissario non già soltanto di proporre alla Regione la sostituzione dei Direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, bensì di motivatamente disporne la sospensione dalle funzioni, facoltà che implica, evidentemente, anche quella della loro sostituzione (sentenza n. 2 del 2010).
4.2.— Tanto premesso, sebbene nel caso oggi in esame – diversamente da quanto avvenuto in quello deciso dalla citata sentenza n. 2 del 2010 – non sia ravvisabile un diretto contrasto con i poteri del commissario, ricorre comunque una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.
Giova, infatti, rammentare – come già ha sottolineato in passato questa Corte, sin dalla sentenza n. 193 del 2007 – che l’operato del commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti – malgrado il carattere vincolante (art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007») dell’accordo concluso dal Presidente della Regione – ad un’attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica.
È, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual è quello alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del commissario, ovviamente fino all’esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che possa essere evocato il rischio di fare di esso l’unico soggetto cui spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza sanitaria in ambito regionale.
Da ciò consegue che devono essere dichiarate costituzionalmente illegittime le disposizioni contenute nell’art. 31, commi 2, 3 e 8, lettera c), e negli artt. 32 e 33 della legge regionale impugnata, nella parte in cui non escludono dall’ambito della loro operatività le funzioni e le attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 31, commi 2, 3 e 8, lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22 febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12), nella parte in cui non escludono dall’ambito della loro operatività le funzioni e le attività del commissario ad acta nominato dal Governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2011.