SENTENZA N. 193
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 277, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna notificato il 27 febbraio 2006, depositato in cancelleria il 3 marzo 2006 ed iscritto al n. 39 del registro ricorsi 2006.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 17 aprile 2007 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nuovamente nell’udienza pubblica del 5 giugno 2007, rifissata in ragione della intervenuta modifica della composizione del collegio, il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi nuovamente nell’udienza pubblica del 5 giugno 2007, gli avvocati Giandomenico Falcon, Franco Mastragostino e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna, e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 27 febbraio 2006 e depositato il successivo 3 marzo 2006, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato in via principale numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), fra le quali anche il comma 277 dell’art.1.
2. – La ricorrente premette che il comma impugnato aggiunge un periodo a quanto già prevedeva il comma 174 dell’art.1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005) e cioè che in caso di disavanzo di gestione del servizio sanitario a livello regionale che persista nel quarto trimestre dell’anno, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la Regione ad adottare i provvedimenti necessari entro il trenta aprile dell’anno seguente. Qualora la Regione persista nella propria inerzia, il Presidente della Giunta regionale, in qualità di commissario ad acta, determina il disavanzo di gestione ed adotta i necessari provvedimenti per il ripianamento, ivi inclusi gli aumenti dell’addizionale Irpef e le maggiorazioni dell’aliquota Irap entro quanto previsto dalla normativa vigente. Tale previsione non viene ritenuta dalla ricorrente lesiva delle proprie attribuzioni, dal momento che essa affida al Presidente della Giunta l’adozione delle misure ivi descritte.
La norma impugnata stabilisce invece che «qualora i provvedimenti necessari per il ripianamento del disavanzo di gestione non vengano adottati dal commissario ad acta entro il 31 maggio, nella regione interessata, con riferimento all’anno di imposta 2006, si applicano comunque nella misura massima prevista dalla vigente normativa l’addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive; scaduto il termine del 31 maggio, i provvedimenti del commissario ad acta non possono avere ad oggetto l’addizionale e le maggiorazioni d’aliquota delle predette imposte ed i contribuenti liquidano e versano gli acconti d’imposta dovuti nel medesimo anno sulla base della misura massima dell’addizionale e delle maggiorazioni d’aliquota di tali imposte».
La ricorrente ritiene che tale previsione aggiuntiva rechi una norma di dettaglio ed autoapplicativa nella materia del coordinamento della finanza pubblica, ove l’art. 117, terzo comma, della Costituzione assegna allo Stato il solo compito di determinare i principi fondamentali.
Nel caso di specie, si sarebbe invece introdotto un meccanismo sanzionatorio «a carico dei contribuenti» della Regione, «che si vedranno imporre un’addizionale massima d’imposta, senza che il commissario ad acta possa più intervenire per rimediare, adottando, sia pure tardivamente, i provvedimenti necessari».
Con ciò si sarebbe altresì lesa l’«autonomia politica e la stessa dignità politica degli organi elettivi della Regione», tramite una misura oltretutto irragionevolmente rigida e non proporzionata all’obiettivo di garantire l’equilibrio economico-finanziario.
La Regione conclude denunciando l’illegittimità della norma impugnata «in toto in quanto non pone principi, ma regole autoapplicative»; «in subordine, in quanto determina una misura sanzionatoria anziché commisurata alle esigenze di riequilibrio, nonché in quanto non prevede che tale misura sanzionatoria venga meno ove il commissario ad acta adotti in seguito le misure necessarie».
3. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
L’Avvocatura eccepisce in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, poiché la ricorrente non avrebbe indicato alcun parametro costituzionale a sostegno della censura.
Nel merito, si rivendica la riconducibilità della norma impugnata al sistema tributario di competenza statale e si contesta che la riduzione del “margine di discrezionalità” del legislatore regionale abbia carattere sanzionatorio a carico degli organi elettivi della Regione.
4. – In prossimità dell’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria, argomentando che la norma impugnata costituirebbe «ragionevole applicazione (perché posta a valle di un percorso di accompagnamento risultato vano) dell’art. 120 della Costituzione».
Considerato in diritto
1. – La Regione Emilia-Romagna ha impugnato in via principale numerose disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), fra le quali anche il comma 277 dell’art. 1, che aggiunge un periodo finale al comma 174 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, legge finanziaria per il 2005.
Il presente giudizio ha per oggetto esclusivamente l’impugnazione proposta avverso tale comma, dovendosi riservare a separata trattazione la decisione concernente le ulteriori norme impugnate con il medesimo ricorso.
2. – L’art. 1, comma 277, della legge n. 266 del 2005 prevede che alla mancata adozione, entro il 31 maggio dell’anno 2006, dei provvedimenti previsti dall’art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004 ad opera del Presidente della Regione, in veste di commissario ad acta, per il ripianamento del disavanzo sanitario regionale, consegua la automatica maggiorazione dell’addizionale all’imposta su reddito delle persone fisiche e dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura massima prevista dalla legislazione vigente, ed il venir meno dei poteri in materia del commissario.
La ricorrente ritiene che tale previsione rechi una norma di dettaglio ed autoapplicativa nella materia del coordinamento della finanza pubblica, ove l’art. 117, terzo comma, della Costituzione (parametro evocato tramite il richiamo della materia) assegna allo Stato il solo compito di determinare i principi fondamentali.
Con ciò si sarebbe altresì lesa l’«autonomia politica e la stessa dignità politica degli organi elettivi della Regione», tramite una misura oltretutto irragionevolmente rigida e non proporzionata all’obiettivo di garantire l’equilibrio economico-finanziario.
La Regione conclude denunciando l’illegittimità della norma impugnata «in toto in quanto non pone principi, ma regole autoapplicative»; «in subordine, in quanto determina una misura sanzionatoria anziché commisurata alle esigenze di riequilibrio, nonché in quanto non prevede che tale misura sanzionatoria venga meno ove il commissario ad acta adotti in seguito le misure necessarie».
3. – L’interesse al ricorso permane, nonostante la norma impugnata non risulti aver avuto applicazione quanto alla Regione Emilia-Romagna, alla luce della previsione da ultimo recata dall’art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), che ha ribadito la vigenza del meccanismo contestato dalla ricorrente, e ne ha esteso l’applicazione anche agli anni di imposta successivi al 2006.
La proiezione temporale del meccanismo, originariamente configurato dal legislatore per il solo anno 2006, sulle annualità successive (e nuovamente richiamato, in ultimo, dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante «disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», convertito in legge 17 maggio 2007, n. 64) rivitalizza, in tale prospettiva, l’interesse della ricorrente alla decisione della questione, e consente di escludere che sia cessata la materia del contendere.
4. – In via preliminare, va decisa l’eccezione di inammissibilità proposta dall’Avvocatura dello Stato, in ragione della mancata enunciazione del parametro costituzionale su cui il ricorso si fonda.
Tale eccezione è infondata, con riguardo alla censura basata sul titolo di competenza che lo Stato avrebbe illegittimamente attivato tramite la norma impugnata, giacché il ricorso evoca espressamente a tale proposito la materia del “coordinamento della finanza pubblica”, sia pure senza nominare l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, ove essa è ripartita tra Stato e Regioni: è nondimeno evidente quale sia la sfera di competenza legislativa che la ricorrente ritiene lesa nel presente giudizio.
Viceversa, è inammissibile, a causa dell’omessa indicazione del parametro costituzionale di competenza asseritamente violato (sentenza n. 116 del 2006) l’ulteriore doglianza concernente la lesione “dell’autonomia politica e della stessa dignità politica degli organi elettivi della Regione, sottoposti a misure sanzionatorie che eccedono quanto è necessario e proporzionato al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica”: appare, infatti, evidente che non può nemmeno ipotizzarsi la compromissione da parte della legge statale dell’autonomia o persino della “dignità politica” della Regione e dei suoi organi elettivi che non si risolva nell’invasione delle competenze costituzionali regionali, che il ricorrente è tenuto ad enunciare espressamente quale fondamento della propria azione innanzi a questa Corte.
Il ricorso è pertanto ammissibile solo in riferimento all’affermata lesione del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, in materia di coordinamento della finanza pubblica.
5. – Nel merito, la questione non è fondata.
Nel caso oggetto del presente giudizio non viene in rilievo, infatti, la materia di tipo concorrente indicata dalla ricorrente, bensì la competenza esclusiva statale in materia di sistema tributario dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione. In attesa della doverosa attuazione dell’art. 119 della Costituzione (sentenza n. 37 del 2004) l’attribuzione alle Regioni, in tutto o in parte, del gettito di imposte statali, non ne altera la natura erariale (quanto all’addizionale IRPEF, sentenza n. 381 del 2004; quanto all’IRAP, sentenze n. 155 del 2006; n. 431 e n. 241 del 2004 e n. 296 del 2003), sicché compete allo Stato (e non alla Regione, se non nei limiti previsti dalla legge statale) la disciplina del tributo, se del caso mediante norme di dettaglio (sentenze n. 431 e n. 241 del 2004).
Per di più, nel caso di specie la variazione automatica in aumento delle aliquote dei due tributi statali (quali determinate dagli articoli 16 e 50, comma 3, della legge 15 dicembre 1997, n. 446, recante norme sulla «istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali», e successive modificazioni) va a vantaggio della finanza regionale, seppure a seguito dell’inerzia degli organi regionali competenti, e successivamente del Presidente della Regione nella qualità di commissario ad acta, nell’adottare i dovuti provvedimenti di riduzione del deficit.
Come questa Corte ha più volte affermato (per tutte, si vedano le sentenze n. 98 del 2007 e n. 36 del 2005), l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa. L’art. 4, comma 3, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria) ha recepito in particolare l’Accordo 8 agosto 2001 (Accordo tra Governo, Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano recante integrazioni e modifiche agli accordi sanciti il 3 agosto 2000 e il 22 marzo 2001 in materia sanitaria), sancendo l’obbligo delle Regioni di provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione accertati nel servizio sanitario a livello regionale, potendo peraltro esse a tal fine anche introdurre, in modo cumulativo od alternativo, apposite misure di compartecipazione alla spesa sanitaria da parte degli utenti, variazioni dell’aliquota dell’addizionale IRPEF o altre misure fiscali previste dalla legge, ed infine «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa la adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci».
In questo quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario, non potrebbe neppure essere accolta, anche qualora fosse ammissibile, l’ulteriore censura, secondo cui la disposizione impugnata sarebbe «irragionevolmente rigida», poiché quanto meno vi avrebbe dovuto essere prevista la possibilità di un “intervento «ancorché tardivo» del Presidente della Giunta regionale al fine di assicurare il necessario equilibrio finanziario”, tramite l’adeguamento delle aliquote in ragione delle effettive necessità di risanamento. La misura prevista dalla norma oggetto di ricorso sopraggiunge all’esito di una persistente inerzia degli organi regionali e, in seguito, del Presidente della Giunta quale commissario ad acta, che è indice della volontà di sottrarsi ad un’attività provvedimentale pur imposta dalle esigenze della finanza pubblica; da ciò la giustificazione del divieto legislativo di adottare, da parte di un organo già inadempiente, ulteriori misure correttive, rispetto al livello di imposizione fiscale raggiunto ex lege, astrattamente capaci sia di vanificare l’obiettivo di risanamento, ove inadeguate, sia di compromettere la certezza dei rapporti tributari, a seguito del compimento del termine del 31 maggio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunzie ogni decisione sulle ulteriori questioni sollevate con il ricorso in epigrafe,
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 277, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), sollevata in riferimento alla «autonomia politica» e alla «dignità politica degli organi elettivi della Regione», dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 277, della legge n. 266 del 2005 sollevata, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2007.