Sentenza n. 98

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SENTENZA N. 98

ANNO 1997

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) come modificato dall'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promosso con ordinanza emessa il 28 marzo 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sui ricorsi riuniti proposti dal Comune di Arzergrande ed altri contro la Regione Veneto ed altre iscritta al n. 737 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1996.

  Visti gli atti di costituzione del Comune di Arzergrande, del Comune di Campodarsego, del Comune di Venezia e dell'Azienda ULSS n. 14 della Regione Veneto nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica dell'11 febbraio 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

  uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per i Comuni di Arzergrande e di Campodarsego, Maria Maddalena Morino per il Comune di Venezia, Luigi Manzi per l'Azienda ULSS n. 14 della Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. -- Nel corso di più giudizi riuniti - promossi da alcuni Comuni per l'annullamento di talune delibere della Giunta regionale del Veneto, con le quali erano stati trasferiti alle Unità sanitarie locali, oltrechè i beni divenuti comunali, con vincolo di destinazione alle USL, a seguito della soppressione degli enti mutualistici ed ospedalieri, anche i beni mobili e immobili, già di proprietà comunale, privi del medesimo vincolo ma di fatto utilizzati a fini di igiene pubblica e di sanità - il Tribunale amministrativo regionale del Veneto con ordinanza del 28 marzo 1996 ha sollevato, in riferimento agli artt. 32 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), "nella parte in cui non prevedono - previa conferenza di servizi, da attivarsi a cura della Regione - una disciplina di trasferimento alle Unità sanitarie locali dei beni già di proprietà comunale ed utilizzati a fini di igiene pubblica e di sanità ancor prima dell'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1978, n. 833".

  Il giudice rimettente ricorda che, dall'art. 10 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 sul servizio sanitario nazionale, la unità sanitaria locale veniva indicata quale "modulo organizzatorio" di funzioni attribuite ai Comuni, in cui confluivano presidî, uffici e servizi di varie amministrazioni disciolte (enti ospedalieri, casse ed enti mutualistici, consorzi sanitari) o non più di pertinenza degli enti originari (servizi di assistenza psichiatrica svolti dalle province), e che, non potendosi configurare una capacità patrimoniale propria di detto "modulo", in quanto privo di soggettività giuridica, era stato previsto il trasferimento al patrimonio dei Comuni, con vincolo di destinazione alle stesse unità sanitarie locali, dei beni mobili, immobili e delle attrezzature: a) prevalentemente destinati ai servizi sanitari ed appartenenti agli enti mutualistici, casse mutue e gestioni sanitarie soppresse (art. 65, primo comma, della legge n. 833 del 1978); b) appartenenti alle province o a consorzi di enti locali e destinati ai servizi igienico-sanitari (art. 66, primo comma, lettera a) della legge n. 833); c) nonchè di quelli degli enti ospedalieri, degli ospedali psichiatrici e neuropsichiatrici e dei centri di igiene mentale, dipendenti dalle province o dai consorzi delle stesse o dalle IPAB, e di quelli degli istituti di prevenzione e cura e dei presidî sanitari extraospedalieri dipendenti dalle province o da consorzi di enti locali (art. 66, primo comma, lettera b)). Nessun "trasferimento", invece, veniva all'epoca prefigurato per i beni originariamente di proprietà comunale e adibiti ai servizi igienico-sanitari.

  Successivamente la legge 23 ottobre 1992, n. 421, nel conferire al Governo la delega per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, ha previsto (art. 1, direttiva d), che siano fissati "i principi organizzativi delle USL come aziende infraregionali con personalità giuridica, articolate secondo i principi della legge 8 giugno 1990, n. 142", e, in ottemperanza a tale direttiva, l'USL é stata definita, in un primo tempo (decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 - art. 3, comma 1), come "azienda" che "si configura come ente strumentale della Regione, dotato di personalità giuridica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica", e poi, per effetto delle modifiche introdotte dall'art. 4 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, sempre come "azienda", ma non più ente strumentale della Regione, ferme per il resto la personalità giuridica pubblica e le diverse specie di autonomia (amministrativa, contabile, ecc.).

  Nell'ordinanza si afferma che, nonostante che in questo nuovo contesto legislativo non sussistano ostacoli affinchè il nuovo ente sia dotato di un proprio patrimonio ed anzi il termine di "azienda" sembri avvalorare la considerazione delle esigenze "patrimoniali" intese come prima garanzia della effettività delle prestazioni sanitarie, la direttiva p) dell'art. 1 della legge delega n. 421 - nel prevedere il trasferimento, in favore delle neo-istituite aziende sanitarie, limitato ai soli beni delle cessate amministrazioni ospedaliere e mutualistiche, già trasferiti al patrimonio comunale con vincolo di destinazione alle USL - non avrebbe considerato la sorte dei beni comunali che, prima della legge n. 833 del 1978, erano già destinati a servizi sanitari e di igiene, e che proprio in ragione di ciò non erano stati assoggettati alla disciplina vincolistica in favore delle USL, disposta dall'art. 66 della legge n. 833 del 1978.

  Parimenti sarebbe avvenuto per effetto della norma delegata (art. 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, come sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo n. 517 del 1993), la quale peraltro avrebbe anche ecceduto dai limiti della direttiva della delega, perchè non si é limitata a circoscrivere il trasferimento ai beni dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici contemplati dall'art. 65, primo comma, della legge n. 833 del 1978, ma lo ha esteso a tutti i beni facenti parte del patrimonio comunale con vincolo di destinazione alle USL.

  Pur con tale estensione, l'assetto della materia che ne é derivato non sarebbe, ad avviso del giudice rimettente, conforme al dettato costituzionale, perchè non consentirebbe l'effettiva costituzione dell'"azienda" e cioé del complesso di beni atto a garantire l'effettiva autonomia patrimoniale del nuovo ente. Sarebbe perciò violato l'art. 97 Cost., che prescrive il buon andamento dell'azione amministrativa, perchè si priverebbe il nuovo soggetto del diritto di proprietà su alcuni dei beni che comunque erano assoggettati a uno specifico vincolo di destinazione a garanzia dell'effettività delle prestazioni sanitarie e quindi della tutela della salute, che, a sua volta, l'art. 32 della Costituzione considera un "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".

  Ne deriverebbe l'illegittimità della "mancata previsione, nell'ambito della norma delegante - e, quindi, nella sua attuale formulazione, anche della norma delegata - di una disciplina relativa al trasferimento dei beni di proprietà comunale, non resi oggetto di vincolo di destinazione a favore delle USL ai sensi dell'art. 65 o dell'art. 66 della legge n. 833 del 1978, in quanto già utilizzati dal Comune stesso a fini di sanità e di igiene pubblica nell'assetto ordinamentale antecedente a tale legge di riforma". E poichè l'accertamento dell'effettiva utilizzazione a quei fini deve avvenire caso per caso, nell'ordinanza di rimessione si sostiene che la invocata disciplina di trasferimento dovrebbe informarsi al criterio di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni, secondo il modello collaudato della conferenza dei servizi, ideato per contemperare i diversi interessi pubblici coinvolti e disciplinato dall'art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La norma di delega e la norma delegata, pertanto, dovrebbero prefigurare un procedimento nel quale la Regione, previa conferenza di servizi indetta con l'USL e i Comuni interessati, determini i beni del patrimonio comunale che devono essere trasferiti alla USL e quelli che invece rimangono di proprietà delle amministrazioni comunali.

  Quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo la ritiene "indubitabile, trattandosi delle norme in base alle quali é stato ... disposto il contestato trasferimento in proprietà".

  2. -- Si sono costituiti dinanzi a questa Corte i Comuni, ricorrenti nei giudizi principali, per sostenere l'infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, nonchè l'Azienda USL n. 14 di Chioggia per aderire invece alle motivazioni dell'ordinanza di rimessione. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, per contrastare l'accoglimento delle questioni, riservandosi di illustrare i motivi di inammissibilità o di infondatezza delle dedotte censure.

  3. -- In prossimità dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria, nella quale illustra la inammissibilità, sotto più profili, delle proposte questioni di legittimità costituzionale.

  In primo luogo, il Tribunale amministrativo regionale sarebbe, nei giudizi a quibus, privo di giurisdizione, dal momento che i provvedimenti regionali in quella sede impugnati non avrebbero efficacia costitutiva, ma semplicemente dichiarativa o ricognitiva di un trasferimento di beni avvenuto ope legis, sicchè la posizione soggettiva degli enti interessati sarebbe di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario e non di quello amministrativo a conoscere delle relative controversie.

  In secondo luogo, nei giudizi principali i Comuni hanno chiesto al Tribunale amministrativo regionale l'annullamento delle delibere regionali che, in difformità dalla legge, hanno compreso nel trasferimento alle USL anche i beni che erano di proprietà comunale prima della riforma sanitaria e non erano stati assoggettati al vincolo di destinazione alle USL. La domanda quindi tende ad ottenere l'accertamento circa l'esclusione di tali beni dal disposto dell'art. 6 del decreto legislativo n. 517 del 1993. In subordine, gli stessi Comuni, in caso di ritenuta inclusione di quei beni nella previsione legislativa, hanno eccepito l'illegittimità costituzionale del menzionato art. 6 per violazione degli artt. 76 e 42 della Costituzione.

  Il Tribunale amministrativo regionale avrebbe invece rovesciato il thema decidendum e la posizione processuale delle parti, perchè l'oggetto del giudizio non sarebbe più la declaratoria dell'illegittimità delle delibere regionali perchè non conformi alla legge, "ma la declaratoria della legittimità delle stesse perchè conformi ad una regola non presente nella legge, anzi che sarebbe tacitamente esclusa dalla stessa, regola che dovrebbe risultare dopo la declaratoria di incostituzionalità di detta esclusione". Ma il Tribunale amministrativo regionale non potrebbe emettere una sentenza di tale contenuto, perchè violerebbe l'art. 112 cod. proc. civ. Ne deriva l'irrilevanza della questione, per l'inutilità della pronunzia richiesta a questa Corte.

  In terzo luogo, l'inammissibilità delle questioni deriverebbe dal fatto che, per il Tribunale amministrativo regionale, al vuoto legislativo conseguente alla pronuncia di incostituzionalità dovrebbe ovviarsi con un procedimento con il quale, previa conferenza di servizi con le USL e i Comuni interessati, la Regione determini i beni del patrimonio comunale da trasferire alle USL e quelli da mantenere in proprietà dei Comuni stessi. Ma in tal modo si invaderebbe la sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, in ordine alle scelte possibili per soddisfare le evidenziate esigenze pubbliche.

  Nel merito, la difesa dello Stato sostiene la infondatezza delle questioni, offrendo delle norme impugnate una interpretazione sistematica in grado di superare i denunciati dubbi di legittimità costituzionale. L'art. 6 del decreto legislativo n. 517 del 1993, nell'indicare quale oggetto del trasferimento "tutti i beni, compresi quelli da reddito, e le attrezzature che ... fanno parte del patrimonio dei Comuni o delle Province con vincolo di destinazione alle USL", si riferisce anche ai beni dei Comuni affidati in gestione alle USL ai sensi del terzo comma dell'art. 66 della legge n. 833 del 1978. Poichè, infatti, le USL erano all'epoca le strutture operative del Comune, non v'era bisogno dell'imposizione di un vincolo specifico di destinazione nel momento in cui venivano loro affidati beni di proprietà del Comune e già destinati a compiti di igiene e sanità.

  Mentre, quindi, per i beni di provenienza esterna (casse mutue, ospedali, ecc. ...) era necessario, per evitare la confusione con altri beni del Comune, l'esplicito vincolo di destinazione alle funzioni sanitarie e quindi alle USL che esercitavano, da allora in avanti, quelle funzioni, per i beni già di proprietà comunale un espresso vincolo di destinazione non appariva necessario, in quanto di fatto già attribuito dai Comuni attraverso l'affidamento alle medesime USL della gestione di quei beni.

  In questo senso il riferimento al "vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali", contenuto nella norma delegata pur se non richiesto da nessuna disposizione della legge delega, deve intendersi come effettiva destinazione di tutti quei beni, in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo, alle esigenze del Servizio sanitario nazionale.

  Nè sarebbe giustificabile altra interpretazione, diretta a distinguere i beni da trasferire in ragione della loro diversa provenienza, perchè ciò contrasterebbe anche con il principio desumibile dall'art. 5 del decreto legislativo n. 502 del 1992 che é quello di dotare le nuove "aziende-persone giuridiche" del patrimonio e dei mezzi necessari per l'assolvimento delle funzioni pubbliche ad esse attribuite.

  4.-- Anche alcuni dei Comuni, costituiti nel presente giudizio, hanno presentato memorie per sostenere l'inammissibilità o, comunque, l'infondatezza delle censure sollevate dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto.

  4.1. -- In particolare il Comune di Campodarsego ha evidenziato che, contrariamente a quanto afferma l'ordinanza, la norma di delega posta dall'art. 1, lettera p), della legge n. 421 del 1992, al di là del suo dettato testuale, é certamente riferita a tutti i beni di cui agli artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978, comprendendo, quindi, "tutti quei beni formalmente 'intestati' ai Comuni, ma con vincolo di destinazione alle USL, in quanto provenienti da quei soggetti (in primis, enti ospedalieri e mutualistici) che in precedenza gestivano i servizi sanitari". Quindi, correttamente l'art. 5 del decreto legislativo n. 502 del 1992, come rileva anche il giudice a quo, ha previsto il trasferimento dei soli beni già sottoposti a vincolo di destinazione alle USL (ai sensi dei citati artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978), mentre non ha ricompreso i beni, pure utilizzati a fini igienico-sanitari, che erano già di proprietà comunale prima dell'entrata in vigore della legge n. 833 del 1978; beni che "possono anche essere stati affidati alla gestione delle USL ai sensi dell'art. 66, terzo comma, della legge n. 833 e dell'art. 37, secondo comma, della legge regionale 25 ottobre 1979, n. 78". Non sussiste, quindi, eccesso di delega: sia la norma di delega sia quella delegata prevedono il trasferimento alle nuove USL di tutti e soli i beni in precedenza trasferiti ai Comuni ex artt. 65 e 66 della legge n. 833; al contrario, vi sarebbe eccesso di delega se la norma delegata fosse intesa nel senso del trasferimento anche dei beni comunali non vincolati, ma utilizzati per generiche finalità igienico-sanitarie.

  Piuttosto é da rilevare che le censure formulate nell'ordinanza di rimessione attengono al merito, e non alla legittimità costituzionale, delle norme in esame, "non essendo dato di capire per quale ragione le norme sul trasferimento dei beni, solo perchè ne escludono una porzione (invero assai limitata), dovrebbero essere pregiudizievoli per la 'qualità totale' dell'azione amministrativa e per 'l'effettività della stessa tutela della salute'". Oltre che inammissibile, la questione sarebbe anche infondata, non essendovi ragione per ritenere che la sufficienza delle risorse patrimoniali delle nuove USL debba coincidere con il necessario trasferimento ad esse della totalità dei beni comunali utilizzati, magari solo transitoriamente, a fini igienico-sanitari, ma mai assoggettati a vincolo di destinazione. Al contrario, se il legislatore avesse disposto il trasferimento anche di questi beni, sarebbe incorso nella violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza, nonchè dell'autonomia, anche patrimoniale, dei Comuni (artt. 3, 97, 5 e 128 Cost.), penalizzando proprio quegli enti che, spontaneamente, avessero destinato propri beni al servizio delle esigenze igienico-sanitarie della collettività.

  Quanto a taluni aspetti procedimentali, si osserva che la disciplina dell'art. 5 del d.lgs. n. 502 del 1992 non impone affatto un "rigido automatismo" nel trasferimento dei beni alle USL, non discendendo dalla legge alcun effetto traslativo della proprietà dei beni stessi: i provvedimenti della Regione hanno quindi natura costitutiva, incidendo autoritativamente sul diritto di proprietà dei Comuni. Essi, pertanto, devono essere impugnati solo di fronte al giudice amministrativo: da ciò la rilevanza della questione.

  Nella memoria si sostiene, infine, che la opportunità di un'intesa tra le amministrazioni interessate, delineata dal giudice a quo, mentre non verrebbe in rilievo per i beni non vincolati, il cui trasferimento dovrebbe essere radicalmente escluso, si porrebbe invece proprio per il trasferimento di beni già vincolati ex artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978, in relazione ai quali la sollevata questione dovrebbe essere accolta.

  4.2. -- Il Comune di Venezia, nella sua memoria, ha rilevato che l'azienda USL, per definirsi tale, non deve essere proprietaria di tutti i beni che utilizza a fini sanitari, ben potendo disporre, agli stessi fini, di immobili di proprietà comunale. D'altra parte, la categoria degli immobili comunali a destinazione sanitaria, dei quali si controverte, non é stata "dimenticata" dal legislatore, che, all'art. 66, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, ne aveva previsto l'affidamento della gestione alle USL: gestione, destinata a durare fintantochè duri l'uso, per cui l'azienda sanitaria può continuare la gestione di tali beni. Gli immobili in contestazione non sono mai stati assoggettati ad uno specifico vincolo di destinazione e, se lo fossero stati, le USL "dovrebbero versare all'ente proprietario il corrispettivo per l'acquisto della proprietà di detti immobili", mentre, in caso contrario, si tratterebbero di una forma di esproprio senza indennizzo.

  4.3.-- Infine il Comune di Arzergrande ha informato che la USL n. 14 del Veneto, a favore della quale era stato disposto il trasferimento di un singolo locale delle scuole elementari del Comune, ha assunto formale impegno, con nota allegata alla memoria, di non vantare alcun diritto su tale immobile, chiedendo di poter procedere alla stipulazione di un atto di transazione.

Considerato in diritto

  1. -- Il Tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita della legittimità costituzionale dell'art. 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), "nella parte in cui non prevedono - previa conferenza dei servizi, da attivarsi a cura della Regione - una disciplina di trasferimento alle unità sanitarie locali dei beni già di proprietà comunale e utilizzati a fini di igiene pubblica e di sanità, prima dell'entrata in vigore della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale)".

  Ad avviso del giudice rimettente, da tale mancata disciplina, in vista del trasferimento dei beni suddetti al patrimonio delle unità sanitarie locali, deriva la violazione degli artt. 32 e 97 della Costituzione, in quanto essa pregiudicherebbe negativamente la tutela della salute e il buon andamento della pubblica amministrazione, l'una e l'altro dipendendo dalla dotazione patrimoniale di cui le unità sanitarie stesse possano disporre.

  2. -- La difesa del Governo eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione per un triplice ordine di ragioni.

  Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, in primo luogo, il giudice rimettente sarebbe privo di giurisdizione nella causa che ha dato origine al presente giudizio costituzionale. La posizione soggettiva fatta valere dai ricorrenti davanti al Tribunale amministrativo sarebbe infatti di diritto soggettivo, stante l'asserita natura meramente dichiarativa o ricognitiva di un diritto, e non discrezionale, dell'atto impugnato con il quale il presidente della Regione, a norma dell'art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 502 del 1992, identifica i beni destinati a essere trasferiti al patrimonio delle unità sanitarie locali. Tuttavia, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 263 del 1994, 164 del 1993, 439 del 1991, 283 e 102 del 1990, 777 del 1988, 346 del 1987, e ordinanze nn. 348 del 1995 e 274 del 1991), la verifica in proposito spetterebbe eventualmente a istanze diverse da quella rappresentata dal giudizio incidentale di legittimità costituzionale, nel quale la carenza di giurisdizione é rilevabile esclusivamente quando appaia manifesta, tale cioé da non ammettere discussione: ciò che non é, nel caso in esame.

  In secondo luogo, il giudice rimettente, con la proposta questione incidentale di costituzionalità, avrebbe rovesciato il thema decidendum del giudizio innanzi a sè pendente. I Comuni ricorrenti chiedevano l'annullamento del provvedimento regionale in quanto contrario alla normativa vigente, avendo compreso tra i beni oggetto di trasferimento anche quelli in contestazione. Il Tribunale amministrativo regionale, con la prospettata questione di legittimità costituzionale, avrebbe operato in modo di ottenere un mutamento del quadro normativo, idoneo a respingere i ricorsi. In disparte la considerazione che non é del tutto pacifico che il giudice rimettente sollevi la questione al fine di emettere una pronuncia sfavorevole ai ricorrenti, tuttavia - come ribadito di recente nella sentenza n. 117 del 1996 - é da osservare che le questioni incidentali di legittimità costituzionale sono ammissibili non soltanto quando siano preordinate all'accoglimento della pretesa fatta valere innanzi al giudice rimettente. Il "senso" degli ipotetici effetti che potrebbero derivare per le parti in causa da una pronuncia sulla costituzionalità della legge é totalmente ininfluente sull'ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, ammissibilità che dipende invece dall'applicabilità della norma impugnata nel processo d'origine e quindi dalla capacità della decisione della Corte di determinare effetti sul giudizio principale.

  Infine, la pronuncia auspicata dal Tribunale rimettente avrebbe un contenuto additivo tale da assumere i caratteri di una vera e propria innovazione legislativa, estranea all'ambito dei poteri propri del giudice delle leggi. Questo rilievo, tuttavia, avendo riguardo, nel caso in esame, a un esito dello scrutinio di costituzionalità eventuale, non impedisce che la questione sia trattata nel merito.

  3. -- La questione é infondata.

  3.1. -- La legge 23 dicembre 1978, n. 833, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, aveva istituito le unità sanitarie locali quali strutture organizzative di funzioni comunali, prive di personalità giuridica e quindi di patrimonio proprio (artt. 10 e 13 della legge suddetta). In tali unità sanitarie sono venute a confluire le funzioni in materia di igiene e sanità precedentemente svolte da una serie di amministrazioni, alcune delle quali disciolte dalla legge (enti ospedalieri, casse ed enti mutualistici, consorzi sanitari), altre (come le Province) private delle loro precedenti funzioni in materia. I beni mobili e immobili e le attrezzature di tali soggetti, non potendo essere intestati alle unità sanitarie locali, data la loro configurazione giuridica dell'epoca, sono stati trasferiti al patrimonio dei Comuni, con vincolo di destinazione alle unità sanitarie medesime (artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978). Poichè poi anche i Comuni esercitavano funzioni in materia igienico-sanitaria e dunque esistevano beni destinati all'esercizio di queste già ricompresi nel patrimonio comunale, il terzo comma dell'art. 66 ne ha previsto l'affidamento alla gestione delle unità sanitarie locali.

  In questo duplice modo - il vincolo di destinazione e l'affidamento in gestione - le unità sanitarie venivano a disporre, per le loro finalità istituzionali, di beni patrimoniali intestati ai Comuni, titolari delle funzioni.

  Con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (art. 1, lettera d) e con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (art. 3, comma 1), le unità sanitarie locali sono venute a differenziarsi giuridicamente dall'organizzazione dei Comuni, essendo state configurate come aziende dotate di personalità giuridica pubblica, nonchè di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. A tale nuova definizione seguiva la necessità della costituzione di un patrimonio di cui esse assumessero la titolarità.

  A questo fine, gli impugnati articoli 1, lettera p) della legge n. 421 e 5 del decreto legislativo n. 502 del 1992 (quest'ultimo nel testo vigente a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 517 del 1993) hanno previsto il trasferimento alle aziende - il primo - del patrimonio mobiliare e immobiliare, già di proprietà dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici, che alla data di entrata in vigore della legge facesse parte del patrimonio dei Comuni e - il secondo - di tutti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito, e le attrezzature che, alla data di entrata in vigore del decreto, fossero compresi nel patrimonio dei Comuni e delle Province con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali. Le disposizioni richiamate lasciano, invece, fuori dal trasferimento i beni di cui all'art. 66, terzo comma, della legge n. 833 del 1978, beni appartenenti al patrimonio comunale anteriormente alla legge istitutiva delle unità sanitarie locali e a queste affidati in "gestione" dai Comuni.

  3.2. -- L'anzidetto mancato trasferimento da un patrimonio all'altro dei beni da ultimo indicati é considerato dal giudice rimettente lesivo degli articoli 97 e 32 della Costituzione. Ma già a prima vista appare che tra i contenuti dei parametri invocati (il buon andamento della pubblica amministrazione e il diritto alla salute) e il contenuto delle norme impugnate (la consistenza del patrimonio delle unità sanitarie) esiste un'incolmabile distanza che impedisce di trarre dai primi conseguenze dirette e costituzionalmente necessarie rispetto al secondo. Per quanto molto i principi della Costituzione siano in grado di esprimere per mezzo dell'interpretazione, in nessun modo si potrebbe dire che la dotazione patrimoniale di un ente pubblico sia già implicitamente contenuta nella Costituzione e possa dunque essere determinata interpretativamente.

  I dubbi di costituzionalità sulla normativa impugnata non hanno dunque ragion d'essere, tanto più se si considera che, secondo giurisprudenza, il sopra menzionato art. 66, terzo comma, della legge n. 833 del 1978 é tuttora vigente. Cosicchè, allo stato, l'alternativa che il giudice rimettente implicitamente pone non é tra l'appartenenza dei beni contestati al patrimonio delle unità sanitarie e l'impossibilità di utilizzazione da parte delle stesse per i loro fini istituzionali. L'alternativa sarebbe infatti solo quella tra l'ascrizione dei beni contestati a uno o all'altro patrimonio, ferma restandone la gestione da parte delle unità sanitarie affidatarie.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, lettera p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e dell'art. 5, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento agli articoli 97 e 32 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Veneto, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 1997.

Renato GRANATA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 18 aprile 1997