Sentenza n. 777 del 1988

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SENTENZA N.777

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) come modificato con legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promosso con ordinanza emessa l'8 luglio 1987 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra LANINI Ginetta e il Ministero della Difesa ed altro, iscritta al n. 732 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52/1a ss dell'anno 1987.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1988 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Considerato in diritto

 

1.-Secondo l'Avvocatura dello Stato, poiché nella specie l'ex coniuge defunto godeva di una pensione a carico dello Stato, la spettanza al coniuge divorziato superstite del trattamento di riversibilità previsto dall'art. 9, secondo comma, della legge n. 898 del 1970, nel testo novellato dall'art. 13 della legge n. 74 del 1987, sarebbe materia di giurisdizione della Corte dei Conti; pertanto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze dovrebbe essere dichiarata inammissibile per l'irrilevanza della stessa, che emergerebbe dal difetto di giurisdizione del giudice a quo.

L'eccezione va respinta, sia perché oggetto del giudizio principale non sono i requisiti del diritto a pensione del dante causa e/o l'ammontare di essa, bensì il diritto alla pensione di riversibilità del coniuge divorziato che non godeva già di assegno divorzile, onde non pare contestabile l'appartenenza della controversia alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria; sia, comunque, perché il preteso difetto di giurisdizione non ha il carattere di evidenza, in ragione del quale soltanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 346 del 1987, ord. n. 100 del 1988), potrebbe essere esclusa la rilevanza dell'incidente di costituzionalità.

2. Nel merito la questione non é fondata.

Il giudice a quo ha ravvisato una violazione dell'art. 3 Cost. assumendo come dato di comparazione il trattamento dell'ex del coniuge non titolare di assegno divorzile in base al testo precedente della norma in esame, così come interpretato dalla giurisprudenza consolidata della Cassazione, senza valutare adeguatamente la radicale modificazione della natura e dei presupposti dell'attribuzione patrimoniale al divorziato portata dalla novella del 1987.

La norma anteriore (formulata dalla legge n. 436 del 1978) prevedeva che, <se l'obbligato alla somministrazione dell'assegno periodico di cui all'art. 5 muore senza lasciare un coniuge superstite, la pensione e gli altri assegni che spetterebbero a questo possono essere attribuiti dal tribunale, in tutto o in parte, al coniuge divorziato>. Tale attribuzione era intesa dalla Cassazione <come diritto non già alla pensione di riversibilità, ma come diritto autonomo, di natura non previdenziale, che partecipa della natura propria dell'assegno di divorzio>, come tale non necessariamente legato ai presupposti tipici del trattamento di riversibilità. Perciò questa giurisprudenza riteneva che, ove fosse sopravvenuto uno stato di bisogno, l'attribuzione potesse essere chiesta anche dall'ex coniuge che non fosse già beneficiario di assegno di divorzio in forza della sentenza di scioglimento del matrimonio o di una sentenza successiva pronunziata contro il de cuius: opinione avallata in linea esegetica, non senza qualche forzatura, sia interpretando la qualifica di <obbligato alla somministrazione dell'assegno> nel senso di <soggetto obbligato in astratto e non necessariamente in concreto e per il passato>, sia argomentando a contrario dall'art. 9 bis, primo comma, che invece subordina il diritto a un assegno alimentare a carico degli eredi alla condizione che sia stato riconosciuto all'ex coniuge il diritto all'assegno di divorzio.

Il nuovo testo dell'art. 9, secondo comma, introdotto dalla legge n. 74 del 1987, ha trasformato l'assegno di mantenimento all'ex coniuge superstite in un vero e proprio diritto alla pensione di riversibilità, dilatando l'ultrattività, sul piano dei rapporti patrimoniali, del matrimonio sciolto per divorzio. Ne consegue che l'attribuzione patrimoniale al divorziato, da un lato, ha acquistato carattere di automaticità e non é più subordinata alla condizione di uno stato di bisogno effettivo, mentre prima era rimessa nell'an e nel quantum alla discrezionalità del tribunale, ma, dall'altro lato, viene assoggettata alla condizione della pregressa fruizione indiretta, mediante l'assegno di divorzio, della pensione di cui l'ex coniuge defunto era titolare in base a un rapporto sorto anteriormente alla sentenza di divorzio.

Da tale condizione non si può prescindere, posto che carattere essenziale del trattamento di riversibilità é quello di <realizzare una garanzia di continuità del sostentamento al superstite> (cfr. Corte cost. n. 7 del 1980 e n. 286 del 1987), così che si impone indefettibilmente il requisito della vivenza a carico.

3.-Non si può dire che la nuova disciplina rappresenti un arretramento rispetto a quella precedente, come sostiene il giudice a quo, ripetendo una critica minoritaria già avanzata al Senato nel corso del dibattito assembleare sul disegno di legge che ha promosso la riforma del 1987. Essa costituisce un nuovo istituto, essenzialmente diverso, che il legislatore ha prescelto allo scopo di eliminare le occasioni di litigiosità di cui la norma abrogata si era dimostrata gravida. Questa norma, pertanto, e l'interpretazione che la giurisprudenza ne aveva dato non possono essere assunte come termine di comparazione per valutare la giustificatezza della diversità di trattamento dell'ex coniuge superstite a seconda che sia o no titolare dell'assegno di divorzio.

La valutazione deve procedere con riferimento esclusivo alla configurazione del trattamento di riversibilità come prosecuzione della funzione di sostentamento del superstite in precedenza indirettamente adempiuta dalla pensione goduta dal dante causa, e quindi con riguardo ai requisiti che a tale configurazione sono connaturati. Alla stregua di questo dato di comparazione, l'esclusione del diritto alla pensione di riversibilità, quando l'ex coniuge superstite non sia <titolare di assegno ai sensi dell'art. 5>, ha un fondamento razionale che la mette al riparo da censure dal punto di vista del principio di eguaglianza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 1° dicembre 1970 n. 898 (<Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio>), modificato dall'art. 13 della legge 6 marzo 1987 n. 74 (<Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio>), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/06/88.

 

Francesco SAJA - Luigi MENGONI

 

Depositata in cancelleria il 07/07/88.