SENTENZA N. 227
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 108, comma 1, 113, 115, commi 1, 2 e 3, 145, comma 11, punto c) e 151 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-27 dicembre 2010, depositato in cancelleria il 28 dicembre 2010 ed iscritto al n. 121 del registro ricorsi 2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2011 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 22-27 dicembre 2010 e depositato il 28 dicembre, ha proposto questione di legittimità costituzionale in via principale degli articoli 108, comma 1, 113, 115, commi 1, 2 e 3, 145, comma 11, punto c) e 151 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione; agli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); alle direttive 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici), 2001/42/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente) e 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati); agli artt. da 13 a 18 e 23, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), agli artt. 1, comma 7-bis, 7, 10, 12, 18, comma 4, e 19-bis, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e all’art. 2 della legge 6 febbraio 2006, n. 66 (Adesione della Repubblica italiana all’Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa – EURASIA).
1.1. – Il ricorrente censura in primo luogo l’art. 108, comma 1, della leg. reg. n. 17 del 2010, in relazione agli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto regionale; all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost. ed alle direttive 2001/42/CE del 27 giugno 2001 e 85/337/CEE del 27 giugno 1985 e successive modificazioni.
La norma censurata inserisce nella legge regionale 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), l’art. 5-ter, disponendo che le domande di concessioni idrauliche di piccola derivazione per la produzione di energia idroelettrica di potenza media installata fino a 500 Kw medi, non ricadenti in area SIC e in zone parco, «presentate antecedentemente al 31 dicembre 1995 e il cui procedimento di rilascio si sia concluso ovvero sia tuttora pendente, possono essere reiterate dai richiedenti senza che le stesse siano assoggettate alla procedura di VIA di cui alla presente legge», alle seguenti condizioni: «a) compatibilità con le previsioni dei vigenti strumenti urbanistici dei Comuni interessati; b) espletamento dell’attività istruttoria da parte dei competenti uffici regionali; c) mantenimento del minimo deflusso vitale di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006».
A giudizio del ricorrente tale previsione si porrebbe in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, che nell’allegato IV alla parte II del codice dell’ambiente, al punto 2, lettera m), prevede espressamente che devono essere sottoposti alla verifica di assoggettabilità anche i progetti relativi ad impianti di competenza regionale con potenza superiore a 100 KW. La previsione censurata, invece, integrerebbe un’arbitraria ed ingiustificata esclusione di tali opere dalla verifica di assoggettabilità, sottraendole al giudizio tecnico circa la sussistenza di significativi impatti ambientali di cui agli artt. da 13 a 18 del citato d.lgs., integrando quindi un’arbitraria diminuzione di tutela.
Non solo, ma tale disposizione violerebbe la normativa comunitaria ed in particolare l’art. 3, comma 2, lettera a), della direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE, e l’allegato II, punto 3 della direttiva 85/337/CEE e successive modificazioni, che imporrebbero di sottoporre a valutazione ambientale tutti i progetti del settore energetico, salvo quelli relativi a piccole aree, compresi gli impianti industriali per la produzione di energia elettrica.
1.2. – Viene, poi, censurato l’art. 113 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, in riferimento agli artt. 4, 5, 6 dello Statuto regionale, all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost. ed agli artt. 3, 4 e 5 della direttiva europea 2001/42/CE.
La norma impugnata, nel sostituire l’art. 10 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 del 1990, relativo alla presentazione del progetto e dello studio di impatto ambientale, non prevedrebbe più che al progetto proposto per la realizzazione di un’opera o di un intervento – da sottoporre a VIA ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge regionale medesima – sia allegato anche «l’elenco delle autorizzazioni intese, concessioni, licenze, pareri, n.o. ed assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento», come invece prescritto dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione anche agli obblighi di cui al precedente art. 12.
Tale disciplina comporterebbe un’arbitraria diminuzione di tutela, per impianti industriali di significativo impatto ambientale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che riserva allo Stato la tutela dell’ambiente, nonché con l’art. 117, primo comma, Cost. che impone il rispetto della normativa comunitaria, la quale, con la direttiva 2001/42/CE, demanda agli Stati l’obbligo di accertare preventivamente se i piani e progetti del settore energetico possano avere effetti significativi sull’ambiente (art. 3, commi 2 e 5; art. 4, comma 1; art. 5), prescrivendo all’uopo precisi «criteri per la determinazione dei possibili effetti significativi», che necessitano dunque di una conoscenza di quegli elementi, eliminati nella disposizione impugnata (all. II della direttiva).
1.3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, ancora, l’art. 115, commi 1, 2 e 3, della leg. reg. n. 17 del 2010, in relazione agli artt. 4, 5, 6 dello Statuto regionale; all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost. ed agli artt. 3, 4 e 5 della direttiva europea 2001/42/CE.
La norma, sostituendo l’art. 14 della citata leg. reg. n. 43 del 1990, relativo alla pubblicità del progetto e dello studio di impatto ambientale, dispone, fra l’altro, che le pubblicazioni sulla stampa imposte al soggetto proponente siano effettuate «entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 10, comma 2» e che il medesimo soggetto dia notizia dell’avvenuta pubblicazione alla struttura regionale competente e alle autorità interessate. Siffatta disciplina differirebbe da quanto prescritto dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale, diversamente dalla normativa impugnata, prevede che la pubblicazione degli avvisi-stampa avvenga contestualmente alla presentazione dell’istanza, cui deve essere allegata copia, e non successivamente entro 5 giorni, e che tutti i termini per l’informazione, la partecipazione, la valutazione e la decisione decorrano dalla data di presentazione e non invece da quella di pubblicazione. Una simile “discrasia temporale”, ritardando la partecipazione e decisione informata del procedimento, renderebbe meno efficiente la tutela dell’ambiente, in violazione dunque sia degli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto regionale, che non consentirebbero di discostarsi in peius dalla normativa statale ambientale, sia dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), Cost., sia con la più rigorosa normativa comunitaria, dettata dalla direttiva 2001/42/CE, ritardando una partecipazione e decisione informata da parte delle Amministrazioni e dei controinteressati.
1.4. – Il ricorrente assume, inoltre, che l’art. 145, comma 11, lettera c), della legge regionale in esame, aggiungendo all’art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l’esercizio dell’attività venatoria), l’art. 3-bis e disponendo con esso che «le annotazioni sul tesserino regionale di caccia relative ai capi abbattuti devono essere compilate al termine della giornata venatoria», non terrebbe conto della necessità di adeguare la normativa regionale alla legge n. 66 del 2006, finalizzata alla conservazione degli uccelli acquatici migratori.
Tale accordo, imporrebbe agli Stati contraenti una raccolta di informazioni sui carnieri effettuati, nel mentre la prevista annotazione al termine della giornata di caccia comprometterebbe la possibilità di realizzare forme di controllo efficaci da parte degli organi di vigilanza, in relazione a tutte le specie, anche quelle stanziali, per le quali esiste un contingentamento giornaliero stagionale.
La disposizione censurata violerebbe, quindi l’art. 4, primo comma, dello Statuto, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e gli artt. 18, comma 4, 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che prevedono l’indicazione nel calendario regionale «del numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria», da qualificare norme fondamentali delle riforme economico sociali, oltre che gli obblighi internazionali già citati, fra i quali la Convenzione di Berna, resa esecutiva in Italia con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, con allegati, adottata a Berna il 19 settembre 1979), e comunitari, di cui alle direttive 2009/147/CE del 30 novembre 2009 e 79/409/CEE del 2 aprile 1979 (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) ed alla Guida alla disciplina della caccia, redatta dalla Commissione europea nel 2004 e aggiornata nel 2008 (punto 2.4.16).
1.5. – Infine il ricorrente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 151 della leg. reg. n. 17 del 2010, in riferimento all’art. 4 dello Statuto regionale; all’art. 117, primo e secondo comma, Cost.; agli artt. 19 e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992 ed alla normativa comunitaria (art. 9 dir. n. 2009/147/CE e Guida alla disciplina della caccia della Commissione Europea).
La norma aggiunge, al comma 1-ter dell’articolo 11 della legge regionale 14 giugno 2007, n. 14 (Legge comunitaria 2006), la seguente disposizione: «L’Amministrazione regionale, in relazione alla salvaguardia di urgenti interessi unitari di carattere sovraprovinciale, può rilasciare direttamente i provvedimenti di deroga relativi a tali specie per le finalità di cui all’articolo 5, comma 1, lettere a), b), d) ed e), sentite le Province interessate che forniscono l’assistenza e la collaborazione necessarie».
Siffatta disciplina, escludendo l’obbligo di acquisire il preventivo parere dell’ISPRA, obbligatoriamente previsto dagli artt. 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, oltre che dall’art. 9, comma 2, lettera d), della direttiva n. 2009/147/CE (e della precedente n. 409/1979/CEE) avrebbe violato i limiti posti dall’art. 4, primo comma, dello Statuto alla competenza legislativa della Regione in materia di caccia, invadendo la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente, riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e la disciplina comunitaria, il cui rispetto è imposto dall’art. 117, primo comma, Cost.
2. – Si è costituita nel giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, con atto depositato il 4 febbraio 2011, eccependo per alcune censure l’inammissibilità e deducendo l’infondatezza di altre.
2.1. – Con riferimento all’art. 108, la resistente in primo luogo assume che la censura sarebbe inammissibile, in quanto la violazione degli artt. da 13 a 18 del codice dell’ambiente e delle direttive non risulterebbe indicata nella delibera del Consiglio dei ministri che ha deciso l’impugnazione.
Ulteriore motivo di inammissibilità deriverebbe, poi, dall’inconferenza del parametro evocato, dal momento che il ricorso richiama norme sulla verifica di assoggettabilità, laddove la disposizione censurata riguarderebbe la VIA.
Analogamente, il richiamo all’art. 3 della direttiva 2001/421CE non sarebbe pertinente, poiché essa sarebbe attinente alla VAS.
Nel merito, poi, la difesa regionale assume che la disciplina impugnata sarebbe coerente con il codice dell’ambiente di cui al citato d.lgs. n. 152 del 2006, sia quanto alla verifica di assoggettabilità, sia quanto alla VIA poiché le condizioni alle quali è subordinata la conclusione senza VIA di procedimenti risalenti nel tempo «assicurano la compatibilità ambientale dell’intervento, e danno luogo in sostanza ad una valutazione preventiva operata dallo stesso legislatore».
2.2. – Con riguardo all’art. 113, la censura sarebbe del tutto infondata per inidoneità delle norme statali invocate a fungere da parametro di legittimità. In base all’art. 7, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, sarebbero infatti le regioni a disciplinare «con proprie leggi e regolamenti... e) le regole procedurali per il rilascio dei provvedimenti di VIA ed AlA e dei pareri motivati in sede di VAS», esercitando la propria competenza nel rispetto dei principi fondamentali dettati.
A giudizio della resistente, invece, l’art. 23, comma 2, del citato codice sarebbe «una norma di dettaglio, auto applicativa» ed esso non potrebbe quindi «fungere da parametro interposto nel presente giudizio».
Nel merito, poi, la Regione ritiene che le censure mosse sarebbero il frutto di «una mera interpretazione», in quanto la mancata riproduzione della norma statale non implicherebbe affatto la volontà di escluderne l’applicazione, che dovrebbe invece ritenersi dovuta ove la disposizione esprimesse un principio vincolante nei confronti della Regione.
Inammissibili sarebbero, poi, le altre censure avanzate nel presente motivo, in quanto fondate su parametri non richiamati nella delibera del Consiglio dei ministri o su norme non pertinenti, quali l’art. 12 e l’allegato I del codice dell’ambiente e la direttiva 2001/42/CE, che riguardano la disciplina della VAS.
2.3. – Anche quanto all’art. 115, commi 1, 2 e 3, la Regione assume in primo luogo che la censura fondata sulla direttiva 2001/42/CE sarebbe inammissibile in quanto essa, oltre ad essere generica e non richiamata nella delibera del Consiglio dei ministri, riguarderebbe la VAS e non la VIA.
Nel merito, parimenti si sostiene che gli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, non costituirebbero espressione di un principio fondamentale invocabile quale parametro di legittimità. Il principio espresso dal legislatore statale consisterebbe piuttosto nella necessità di una «pubblicizzazione del progetto, per consentire la presentazione di osservazioni» e la legge regionale rispetterebbe un simile principio, differenziandosi da quella statale solo perché, in modo del tutto ragionevole, prevedrebbe una verifica di completezza della documentazione prima della pubblicazione, evitando adempimenti inutili, possibile fonte di confusione.
2.4. – Quanto all’art. 145, comma 1, lettera c), la resistente ne deduce l’inammissibilità, poiché il ricorrente non avrebbe indicato quale specifica disposizione dell’Accordo sarebbe violata.
Sarebbe poi del tutto arbitrario il richiamo a specifiche disposizioni della legge statale n. 157 del 1992 sulla caccia (art. 18, comma 4; art. 19, comma 2, e art. 19-bis, comma 3), in quanto tali norme non si occuperebbero affatto di disciplinare le modalità di compilazione del tesserino di caccia. Tale assunto sarebbe del resto confermato dalla sentenza di questa Corte n. 332 del 2006 che, in un caso analogo, definisce questi aspetti della materia, come «strettamente attinenti all’attività venatoria, espressione della potestà legislativa residuale della regione».
Inoltre, sarebbero del tutto inammissibili le censure relative a presunte violazioni di obblighi internazionali e comunitari in quanto prive di supporto argomentativo.
2.5. – Infine, la Regione Friuli-Venezia Giulia, con riferimento alla censura relativa all’art. 151 ed alla mancata previsione del preventivo parere dell’ISPRA, assume che essa sarebbe frutto di un equivoco. Il ricorrente, infatti, interpreterebbe tale norma come elusiva del prescritto parere, laddove sarebbe pacifico che anche nell’ipotesi di cui alla disposizione censurata troverebbe piena applicazione l’art. 6, comma 7, della medesima leg. reg. n. 14 del 2007 il quale – nel disciplinare la procedura di deroga – prevede che «l’Amministrazione regionale verifica l’esistenza delle condizioni generali per l’esercizio delle deroghe e rilascia i provvedimenti di deroga, previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS)».
La disposizione censurata non disciplinerebbe il procedimento, ma si limiterebbe piuttosto ad attribuire la competenza al livello regionale anziché a quello provinciale. Tale intervento, del resto, sarebbe stato stimolato da un’epidemia di rabbia che ha interessato il territorio regionale a partire dall’anno 2009, e sarebbe stato finalizzato ad evitare, come accaduto in passato, che plurimi provvedimenti di deroga adottati su base provinciale potessero generare «un imperfetto coordinamento dei tempi e modi di effettuazione dei prelievi in deroga fra le varie Province».
3. – In data 31 maggio 2011 l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, nella quale ha in primo luogo contestato le eccezioni di inammissibilità della difesa regionale, sostenendo che quanto affermato in via preliminare nel ricorso circa la competenza statale in materia di ambiente sarebbe in grado di elidere ogni dubbio al riguardo.
Sulle singole questioni sono, poi, sviluppate argomentazioni varie, che in larga parte ripercorrono il tenore del ricorso, sia quanto alla sottrazione dei rinnovi di piccola derivazione alla procedura di VIA, sia quanto alla documentazione da allegare alla presentazione del progetto ed alla pubblicazione degli avvisi stampa. Inoltre, la difesa dello Stato ribadisce che l’annotazione nel tesserino venatorio a fine giornata impedirebbe efficaci controlli sui capi abbattuti, consentendo al cacciatore di eludere gli obblighi imposti al riguardo. Da ultimo, quanto alla mancata previsione del parere dell’ISPRA per le deroghe alla disciplina del prelievo venatorio, l’Avvocatura osserva che la diversa interpretazione sostenuta dalla Regione necessiterebbe comunque dell’autorevole avallo della Corte.
Considerato in diritto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale degli articoli 108, comma 1, 113, 115, commi 1, 2 e 3, 145, comma 11, punto c) e 151 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia del 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010), per contrasto con l’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione; con gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con le direttive 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici, 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente e 85/337/CEE del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati; con gli artt. da 13 a 18 e 23, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con gli artt. 1, comma 7-bis, 7, 10, 12, 18, comma 4, e 19-bis, comma 2 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e l’art. 2 della legge 6 febbraio 2006, n. 66 (Adesione della Repubblica italiana all’Accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori dell’Africa – EURASIA).
2. – In via preliminare, rispetto all’esame nel merito delle singole censure, occorre ribadire la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la questione di legittimità costituzionale è inammissibile, allorché sia omesso qualsiasi accenno alla stessa nella delibera di impugnazione e nell’allegata relazione del Ministro per i rapporti con le Regioni, dovendo in questo caso «escludersi la volontà dello Stato ricorrente di promuoverle» (ex pluribus, sentenze n. 365 e n. 275 del 2007).
Nel caso in esame, dalla delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione all’impugnazione risulta evidente come i motivi di impugnazione relativi agli artt. 108, comma 1, 113; 115, commi 1, 2 e 3 e 151, della leg. reg. n. 17 del 21 ottobre 2010, siano diretti a denunziare esclusivamente il contrasto di tali disposizioni con leggi statali, senza alcun accenno a violazioni di norme comunitarie ovvero di parametri costituzionali riferibili a queste ultime.
Conseguentemente, devono essere dichiarate inammissibili le censure sollevate con riferimento a tali disposizioni e, in specie, con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. ed alle citate direttive europee n. 2001/42/CE e n. 85/337/CEE.
3. – Ciò posto, possono essere scrutinate le restanti censure, secondo l’ordine ad esse attribuito dal ricorrente.
4. – Il Presidente del Consiglio dei ministri assume, in primo luogo, che l’art. 108, comma 1 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, disponendo che le domande di concessioni idraulica di piccola derivazione per la produzione di energia idroelettrica di potenza media installata fino a 500 Kw medi, non ricadenti in area SIC e in zone parco, «presentate antecedentemente al 31 dicembre 1995 e il cui procedimento di rilascio si sia concluso ovvero sia tuttora pendente, possono essere reiterate dai richiedenti senza che le stesse siano assoggettate alla procedura di VIA di cui alla presente legge», violerebbe, fra l’altro, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia. Tale disciplina si porrebbe in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, che nell’allegato IV alla parte II, al punto 2, lettera m), prevede espressamente che devono essere sottoposti alla verifica di assoggettabilità i progetti relativi ad impianti di competenza regionale con potenza superiore a 100 KW, sottraendo tali opere al giudizio tecnico circa la sussistenza di significativi impatti ambientali di cui agli artt. da 13 a 18 del citato codice dell’ambiente.
4.1. – La questione non è fondata.
4.2. – La disposizione impugnata consente che le domande di concessione idraulica di piccola derivazione per la produzione di energia idroelettrica fino a 500 Kw, presentate antecedentemente al 31 dicembre 1995, possano, alle condizioni indicate, essere reiterate dai richiedenti senza che le stesse siano assoggettate alla procedura di VIA.
A giudizio del ricorrente, tuttavia, tale disciplina sarebbe in contrasto con gli artt. da 13 a 18 del d.lgs. n. 152 del 2006 e con il punto 2 dell’allegato IV alla parte II, i quali si riferiscono alla verifica di assoggettabilità e alla disciplina della VAS. Risulta evidente quindi come, sia nell’indicazione dei parametri, sia nella descrizione della disciplina statale, la difesa dello Stato si sia riferita al diverso procedimento della VAS e non a quello, che avrebbe potuto essere coinvolto, della VIA. Del resto, la VIA è istituto che si differenzia dalla VAS non solo normativamente, ma anche concettualmente, avendo ad oggetto, la prima, la valutazione degli impatti generati da opere specifiche, la seconda, gli effetti indotti sull’ambiente dall’attuazione delle previsioni contenute in determinati strumenti di pianificazione e programmazione. A conferma di tale conclusione, ovvero che la difesa dello Stato abbia inteso riferirsi proprio alla verifica di assoggettabilità a VAS, depone il fatto che pure la disciplina comunitaria indicata in ricorso (Direttiva 27 giugno 2001, n. 2001/42/CE), sia pure non evocata dalla delibera di impugnazione, riguarda anch’essa non la VIA, ma la VAS, essendo dedicata alla «valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente».
Pertanto è palese l’inconferenza delle norme statali evocate, con conseguente infondatezza delle censure.
5. – Riguardo all’art. 113 della legge regionale n. 17 del 2010, il ricorrente assume che tale norma, la quale sostituisce l’art. 10 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43 (Ordinamento nella Regione Friuli-Venezia Giulia della valutazione di impatto ambientale), relativo alla presentazione del progetto e dello studio di impatto ambientale, non prevedendo che al progetto proposto per la realizzazione di un’opera o di un intervento – da sottoporre a VIA ai sensi dell’art. 5, comma 2 della leg. reg. – sia allegato anche «l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, n.o. ed assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento», violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, ponendosi in contrasto con quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, che all’art. 23, comma 2, in relazione anche agli obblighi di cui al precedente art. 12, prevede che tale documentazione debba essere allegata.
5.1. – La questione è fondata.
5.2. – La disposizione in esame prevede che il soggetto proponente presenti alla struttura regionale competente in materia di VIA il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale redatto conformemente all’art. 11, senza tuttavia prevedere, come imposto dall’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, che all’istanza sia «altresì allegato l’elenco delle autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta e assensi comunque denominati, già acquisiti o da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento».
In proposito la Corte ha precisato più volte che la normativa sulla valutazione d’impatto ambientale attiene a procedure che accertano in concreto e preventivamente la «sostenibilità ambientale» e rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, sicchè, «seppure possono essere presenti ambiti materiali di spettanza regionale […] deve ritenersi prevalente, in ragione della precipua funzione cui assolve il procedimento in esame, il citato titolo di legittimazione statale» (sentenza n. 186 del 2010, n. 234 del 2009). Le Regioni sono dunque tenute, per un verso, a rispettare i livelli uniformi di tutela apprestati in materia; per l’altro, a mantenere la propria legislazione negli ambiti di competenza fissati dal c.d. codice dell’ambiente di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, nella specie, quanto al procedimento di VIA, con riferimento al citato art. 23, comma 2.
Conseguentemente la disposizione censurata risulta adottata in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e dello Statuto speciale, trattandosi della disciplina di un procedimento che incide sulla materia «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale, non compresa tra le materie specificamente enumerate dallo Statuto speciale come di competenza regionale.
6. – Il ricorrente deduce, altresì, che l’art. 115, commi 1, 2 e 3 della leg. reg. n. 17 del 2010, sostituendo l’art. 14 della leg. reg. n. 43 del 1990, relativo alla pubblicità del progetto e dello studio di impatto ambientale, disponendo, fra l’altro, che le pubblicazioni sulla stampa imposte al soggetto proponente siano effettuate «entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 10, comma 2» e che il medesimo soggetto dia notizia dell’avvenuta pubblicazione alla struttura regionale competente e alle autorità interessate, si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e gli artt. 4, 5 e 6 dello Statuto della Regione, disponendo difformemente da quanto prescritto dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede che la pubblicazione degli avvisi stampa avvenga contestualmente alla presentazione dell’istanza, alla quale deve essere allegata copia.
6.1. – La questione è fondata.
6.2. – La norma censurata dispone che il proponente del progetto e dello studio di impatto ambientale «entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione di cui all’articolo 10, comma 2, ….fa[ccia] pubblicare sul quotidiano locale maggiormente diffuso nell’ambito provinciale interessato, l’annuncio dell’avvenuta presentazione …»; dia «notizia dell’avvenuta pubblicazione ai sensi del comma 1 alla struttura regionale competente e alle autorità interessate » e che «contestualmente alla pubblicazione di cui al comma 1, la documentazione presentata [sia] messa a disposizione del pubblico, anche mediante pubblicazione nel sito web della Regione …, per un periodo di sessanta giorni, affinché chiunque ne possa prendere visione».
Una simile disciplina è difforme da quella stabilita dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale impone, invece, che all’istanza presentata sia allegata copia dell’avviso a mezzo stampa. Tale difformità, non determinando una miglior tutela ambientale, ed anzi ritardando la pubblica conoscenza del procedimento iniziato, è suscettibile di ritardare per ciò stesso la possibilità di partecipazione e decisione informata del procedimento medesimo e, quindi, di tutelare con minore efficacia il bene dell’ecosistema, a presidio del quale il legislatore statale, nell’ambito della propria competenza, ha dettato la menzionata disciplina.
7. – Viene poi sottoposto a giudizio di legittimità costituzionale l’art. 145, comma 11, lettera c), della più volte citata leg. reg. n. 17 del 2010, il quale dispone che le annotazioni sul tesserino regionale di caccia relative ai capi abbattuti debbano essere compilate «al termine della giornata venatoria». Secondo il ricorrente, detta disposizione, non consentendo i necessari controlli «durante l’azione di caccia», violerebbe l’art. 4, primo comma, dello Statuto e l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ponendosi in contrasto con gli artt. 18, comma 4, 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che prevedono l’indicazione nel calendario regionale «del numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria», i quali costituiscono norme fondamentali delle riforme economico sociali.
7.1. – Inoltre, siffatta norma violerebbe pure l’art. 117, primo comma, Cost., per difformità dalla legge n. 66 del 2006, con la quale la Repubblica italiana ha formalmente aderito all’accordo internazionale denominato AEWA (African-Eurasian Waterbird Agreement) finalizzato alla conservazione degli uccelli acquatici migratori, e gli obblighi internazionali, fra i quali quelli derivanti dalla Convenzione di Berna, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, con allegati, adottata a Berna il 19 settembre 1979), e comunitari, di cui alle direttive 2009/147/CE del 30 novembre 2009 e 79/409/CEE del 2 aprile 1979 (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) nonché la Guida alla disciplina della caccia, redatta dalla Commissione europea nel 2004 e aggiornata nel 2008 (punto 2.4.16).
7.2. – La questione non è fondata per quanto attiene al primo profilo.
7.3. – L’argomentazione sottesa alla censura, secondo cui tale disposizione contrasterebbe con l’obbligo di indicare il numero massimo dei capi da abbattere e con la necessità dei conseguenti controlli, non evidenzia una difformità della disciplina tale da integrare il vizio prospettato. Infatti, la necessità che a fine giornata il cacciatore debba indicare il numero di capi abbattuti non può essere ritenuta previsione che impedisca, da un lato, il rispetto del limite dei capi da abbattere, dall’altro, lo svolgimento di efficaci controlli. Va in proposito ricordato quanto affermato da questa Corte, con la sentenza n. 332 del 2006, che cioè il legislatore statale si è limitato ad indicare all’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992, la necessità, ai fini dell’esercizio dell’attività venatoria, del possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla Regione di residenza, nel quale sono indicate le specifiche norme inerenti al calendario regionale, nonché le forme e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l’attività venatoria, senza dettare alcuna prescrizione sulle modalità dell’annotazione del capo abbattuto. La norma regionale, pertanto, si limita «a disciplinare aspetti strettamente attinenti all’attività venatoria, espressione della potestà legislativa residuale della regione».
7.4. – La censura riferita all’art. 117, primo comma, Cost., è inammissibile.
Il ricorrente, infatti, si limita genericamente ad indicare una serie di fonti internazionali e comunitarie, senza specificare né le disposizioni che in particolare sarebbero violate, né in quale modo la necessità di efficaci controlli sul rispetto di esse sarebbe inficiata dalla disposizione impugnata. Pertanto, poiché «nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale l’esigenza di una adeguata motivazione dell’impugnazione si pone in termini anche più pregnanti che in quello in via incidentale» (ex plurimis: sentenza n. 88 del 2011), al difetto di una precisa indicazione delle norme internazionali che si assumono violate, consegue necessariamente una pronuncia di inammissibilità (sentenza n. 32 del 2011, nonché, sentenze n. 251 del 2009; n. 250 del 2009; n. 232 del 2009; n. 38 del 2007).
8. – Infine, il ricorrente ha censurato l’articolo 151 della legge regionale in esame, in quanto tale norma, disponendo che l’Amministrazione regionale, in relazione alla salvaguardia di urgenti interessi unitari di carattere sovraprovinciale, possa rilasciare direttamente i provvedimenti di deroga relativi a tali specie per le finalità di cui all’articolo 5, comma 1, lettere a), b), d) ed e), ed escludendo l’obbligo di acquisire il preventivo parere dell’ISPRA, violerebbe l’art. 4, primo comma, dello Statuto e l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., ponendosi in contrasto con gli artt. 19, comma 2, e 19-bis, comma 3, della legge n. 157 del 1992, che prevedono invece come obbligatorio siffatto parere.
8.1. – La questione non è fondata.
8.2. – Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma in questione, nel disciplinare il procedimento per il rilascio da parte dell’amministrazione regionale dei provvedimenti di deroga relativi alla cacciabilità di cinghiali, volpi e corvidi compresi nell’elenco di cui all’art. 3 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 luglio 1996, n. 24 (Norme in materia di specie cacciabili e periodi di attività venatoria ed ulteriori norme modificative ed integrative in materia venatoria e di pesca di mestiere), non prevedrebbe il necessario parere dell’ISPRA.
Tuttavia, la norma in questione, che modifica l’art. 11 della leg. reg. n. 14 del 2007, si limita a dettare le condizioni in base alle quali tali provvedimenti possono essere adottati non su base provinciale, ma su base regionale. Non può, infatti, ritenersi che la disposizione in esame sia sufficiente a sottrarre tale procedura al rispetto dell’art. 6, comma 7, pure contenuto nella legge regionale 14 del 2007, che – nel disciplinare la procedura di deroga – prevede che «l’Amministrazione regionale verifica l’esistenza delle condizioni generali per l’esercizio delle deroghe e rilascia i provvedimenti di deroga, previo parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS)» (oggi ISPRA).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 113 e dell’articolo 115, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 21 ottobre 2010, n. 17 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2010);
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 108, comma 1, 113; 115, commi 1, 2 e 3 e 151, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, proposte in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione ed alle direttive 2001/42/CE del 27 giugno 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente) e 85/337/CEE del 27 giugno 1985 (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 145, comma 11, lettera c), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, proposta in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione ed alla Convenzione di Berna, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503 (Ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa, con allegati, adottata a Berna il 19 settembre 1979), nonché alle direttive 2009/147/CE del 30 novembre 2009 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici) e 79/409/CEE del 2 aprile 1979 (Direttiva del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 145, comma 11, lettera c), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed all’art. 4, primo comma, dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia);
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 151, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 17 del 2010, sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed all’art. 4, primo comma, dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale n. 1 del 1963.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2011.
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