SENTENZA N. 275
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4 e 9, della legge della Regione Sardegna 24 febbraio 2006, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – legge finanziaria 2006), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 28 aprile 2006, depositato in cancelleria il 2 maggio 2006 ed iscritto al n. 57 del registro ricorsi 2006.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Graziano Campus e Paolo Carrozza per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
Con ricorso depositato il 2 maggio 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 4 e 9 dell’art. 1 della legge regionale sarda 24 febbraio 2006, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2006), con riferimento, rispettivamente, agli artt. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 119, sesto comma, della Costituzione e 11 dello statuto speciale per la Regione Sardegna da un lato ed agli artt. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e terzo comma, ultimo periodo, 119, secondo e sesto comma, della Costituzione e 7 dello statuto speciale per la Regione Sardegna, dall’altro.
Riferisce il ricorrente che l’art. 1, comma 4, della legge regionale impugnata prevede che al «disavanzo di amministrazione a tutto il 31 dicembre 2005» sia data copertura «mediante ricorso all'indebitamento per euro 1.316.598.000», con oneri valutati in euro 76.139.000 per ciascuno degli anni dal 2007 al 2035. Questa disposizione, secondo il ricorrente, contrasterebbe palesemente, oltre che con gli articoli sopra citati, anche con la giurisprudenza di questa Corte, contenuta nella sentenza n. 425 del 2004.
Secondo l’Avvocatura, infatti, la copertura del menzionato «disavanzo di amministrazione» non può di certo essere considerata un investimento ai sensi dell’art. 119, sesto comma, Cost. e dell’ancora più rigoroso art. 11 dello statuto speciale. Tanto determinerebbe l’incompatibilità della norma impugnata anche con l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost.
Quanto all’art. 1, comma 9, l’Avvocatura prende le mosse dall’art. 1, comma 138 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, il quale dispone che per il 2006 i «principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica», determinati nei commi successivi, devono essere osservati (anche) dalle province e dai comuni con popolazione «fino a 5000 abitanti». I principi relativi al complesso delle spese in conto capitale, prosegue l’Avvocatura, sono recati dai commi 139 (secondo periodo), 141 e 143 della predetta legge n. 266 del 2005; nonché, per gli enti locali siti in regioni a statuto speciale, dal successivo comma 148 (escluso il primo periodo). Il predetto comma 143 – che recita «a netto delle» – elenca le tipologie di spese che devono essere sottratte dal calcolo del limite massimo di spesa per gli enti locali.
Ebbene, secondo l’Avvocatura, l’art. 1, comma 9 in esame, nel prevedere «sottraendi» aggiuntivi e, comunque, sensibilmente diversi da quelli indicati nel comma 143 citato, altererebbe il dato assunto a base del calcolo e quindi il limite massimo delle possibilità di spesa e di indebitamento, che risulterebbe non coerente con quanto consentito dagli anzidetti principi fondamentali. Sarebbe dunque palese la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e terzo comma, ultimo periodo, nonché dell'art. 119, secondo e sesto comma, Cost., e dell’art. 7 dello statuto speciale per la Sardegna, anche perché la finanza locale è materia non elencata negli artt. 3, 4 e 5 del menzionato statuto speciale, e certamente diversa dalla materia «ordinamento degli enti locali» attribuita alla competenza legislativa della Regione.
Con atto depositato in data 25 maggio 2006 si è costituita la Regione autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente, ed ha eccepito l’inammissibilità delle questioni sollevate in relazione ai due commi impugnati, con riferimento al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), per difetto di autorizzazione da parte del Governo in sede di delibera del Consiglio dei ministri del 27 aprile 2006.
Le censure governative sarebbero inoltre infondate. Sulla prima censura la Regione Sardegna riferisce che ogni anno la legge finanziaria regionale autorizza la contrazione di uno o più mutui per garantire il perseguimento del pareggio del bilancio di previsione, e ciò nel rispetto della normativa regionale vigente e del sesto comma dell'art. 119 Cost. e dell’art. 11 dello statuto speciale per la Sardegna. La legge finanziaria regionale, inoltre, provvede con le stesse modalità – per il tramite dell’autorizzazione alla contrazione di uno o più mutui – a dare copertura al disavanzo di amministrazione dell’anno precedente mediante ricorso all’indebitamento, ma sempre per spese di investimento.
Sulla seconda censura (riferita al comma terzo, ultimo periodo, dell’art. 117, Cost., all’art. 119, secondo comma, della Costituzione, e all'articolo 7 dello statuto speciale per la Sardegna, anche con riferimento alle norme interposte di cui alla legge 23 dicembre 2005, n. 266 - legge finanziaria statale 2006), la Regione deduce che l’art. 1, comma 9, non avrebbe efficacia “sostitutiva” delle tipologie sottraibili dalla spesa 2004 al fine di determinare il tetto di spesa 2006 – 2008, ma “aggiuntiva”. Di conseguenza, la previsione di cui all’art. 1, comma 9, della legge regionale n. 1 del 2006 censurata avrebbe effetti per così dire “peggiorativi” per i Comuni sardi. Nessun danno, dunque, potrebbe derivarne ai principi generali di stabilità finanziaria.
Nella memoria depositata in data 22 maggio 2007 il Presidente del Consiglio ha insistito per l’accoglimento del ricorso, deducendone l’ammissibilità e la fondatezza.
Con memoria depositata il 6 giugno 2007 la Regione Sardegna ha sviluppato e illustrato ulteriormente le proprie precedenti argomentazioni difensive, chiedendo tuttavia in via preliminare la dichiarazione di cessazione della materia del contendere per entrambe le questioni sollevate dallo Stato. La Regione, infatti, deduce che la successiva legge regionale 23 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale delle Regioni - legge finanziaria 2007), ha introdotto per l’anno in corso norme immuni dalle censure di costituzionalità sollevate dallo Stato ed attesta che nell’anno 2006 le norme impugnate non hanno mai avuto applicazione.
Considerato in diritto
Con ricorso depositato il 2 maggio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dei commi 4 e 9 dell’art. 1 della legge della Regione Sardegna 24 febbraio 2006, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2006), con riferimento rispettivamente agli artt. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 119, sesto comma, della Costituzione e 11 dello statuto speciale per la Regione Sardegna ed agli artt. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e terzo comma, ultimo periodo, 119, secondo e sesto comma, della Costituzione e 7 dello statuto speciale per la Regione Sardegna.
Preliminarmente, deve rilevarsi che la questione relativa al comma 4 dell’art. 1 con riferimento al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e la questione relativa al comma 9, con riferimento agli artt. 117, comma secondo, lettere a) ed e), e 119, sesto comma, Cost., sono state sollevate nonostante la mancanza, nella delibera di autorizzazione del Consiglio dei ministri del 27 aprile 2006, di ogni riferimento a tali parametri. Dette questioni, pertanto, in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla Regione resistente, devono essere dichiarate inammissibili, dato che deve escludersi la volontà dello Stato ricorrente di promuoverle.
Nel merito, il comma 4 dell’art. 1 della legge regionale impugnata prevede che la copertura del «disavanzo di amministrazione» a tutto il 31 dicembre 2005 avvenga mediante ricorso all’indebitamento. L’Avvocatura deduce che tale norma violi palesemente l’art. 119, sesto comma, della Costituzione e l’art. 11 dello statuto speciale per la Sardegna perché, in contrasto con il principio della cosiddetta golden rule, in base al quale Regioni ed enti locali possono contrarre mutui solo per far fronte a spese di investimento, essa dispone la copertura mediante indebitamento del disavanzo di amministrazione maturato fino al 31 dicembre 2005, utilizzando un concetto, quello di disavanzo, che, in mancanza di specificazioni, non può in alcun modo essere considerato una spesa di investimento.
Deve peraltro rilevarsi che con l’art. 1, comma 3, della legge regionale 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2007), la Regione Sardegna ha emanato una disposizione destinata ad aver effetto nell’esercizio finanziario in corso. In tale disposizione, analogamente a quanto avviene nella disposizione censurata, inserita nella precedente finanziaria, si prevede che l’Amministrazione regionale provveda a dare copertura al disavanzo di amministrazione a tutto il 31 dicembre, mediante rinnovo, anche per quota parte, delle autorizzazioni alla contrazione dei mutui o prestiti obbligazionari medesimi; ma, diversamente da quanto previsto nella norma censurata, precisa che tale disavanzo sia esclusivamente quello derivante dalla mancata contrazione dei mutui già autorizzati. La Regione inoltre ha attestato, con propria dichiarazione, sottoscritta dal direttore del Servizio bilancio e dal direttore del servizio credito, che nel corso dell’esercizio finanziario 2006, cui la stessa unicamente si riferisce, non si è provveduto alla contrazione effettiva, anche per quote parti, dei mutui ivi autorizzati. Lo Stato non ha dunque alcun residuo interesse a coltivare il ricorso avente ad oggetto il comma 4 dell’art. 1, in relazione al quale deve dunque essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Lo Stato impugna altresì il comma 9 dello stesso articolo 1 della medesima legge regionale sarda. Tale norma stabilisce, per gli enti locali operanti nella Regione Sardegna, un diverso sistema di calcolo del tetto massimo delle spese in conto capitale, che secondo lo Stato risulterebbe non coerente rispetto a quanto disposto dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006). Secondo il Presidente del Consiglio, l’art. 1, comma 9, censurato, nel disciplinare autonomamente due categorie di spese deducibili, prevederebbe un sistema alternativo di calcolo, introducendo delle categorie di spese da dedurre dal calcolo del tetto massimo non previste dalla citata legge statale. Il ricorrente deduce che tale norma violerebbe da un lato gli artt. 117, terzo comma, ultimo periodo, e 119, secondo comma, della Costituzione e, dall’altro, l’art. 7 dello Statuto speciale della Regione Sardegna.
La questione non è fondata.
E’ incontroverso che le categorie di spese, contenute nella legge regionale, destinate ad abbattere il tetto massimo delle spese sostenibili dagli enti locali, abbiano carattere aggiuntivo e non sostitutivo rispetto all’elencazione contenuta nella disposizione di legge statale invocata come parametro. L’effetto pratico della disposizione censurata è dunque quello di contenere ulteriormente la finanza locale, con effetti per così dire “peggiorativi” per i Comuni sardi rispetto agli altri enti locali italiani. Né può dirsi che qualsiasi interferenza regionale nella determinazione del tetto massimo di crescita della spesa pubblica sarebbe lesiva della prerogativa statale di determinare, in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, tale tetto, perché la competenza statale concorrente in materia di finanza pubblica regionale e locale, sancita dall’art. 119, secondo comma, Cost. e, per la Regione sarda, dall’art. 7 dello statuto speciale, se legittima la possibilità di stabilire dei limiti massimi, non si traduce anche in una preclusione alle Regioni di adottare norme che, nell’ambito di tali limiti di crescita, siano finalizzate ad attuare gli stessi obiettivi di contenimento. In altri termini, l’introduzione da parte dello Stato di un limite complessivo alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali e comunitari (si vedano le sentenze n. 390 del 2004, n. 37 del 2004, n. 36 del 2004, n. 4 del 2004, n. 376 del 2003), è certamente legittima ma non può comportare che lo Stato entri nelle scelte finanziarie, del tutto discrezionali, delle Regioni, ad esempio stabilendo vincoli che hanno ad oggetto singole voci di spesa. Nei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica (si veda in tal senso la sentenza n. 417 del 2005) non possono rientrare, cioè, limiti al potere discrezionale delle Regioni di decidere come utilizzare le somme a loro disposizione, per quali tipologie di spese e di investimenti. Questo potere di scelta, in ultima analisi, include anche quello di decidere se avvalersi in tutto o in parte delle disponibilità concesse e di ritoccare al ribasso i limiti massimi, non spendendo, o spendendo meno, rispetto al tetto stabilito da parte dello Stato.
Tale principio, per quanto attiene alle Regioni a statuto speciale, esplica la sua efficacia anche nella materia della finanza locale, la quale, per la Regione sarda, è devoluta alla competenza legislativa esclusiva della Regione in forza dell’art. 3, lettera b), del relativo statuto speciale. In ossequio a siffatta attribuzione di competenza, l’art. 1, comma 148, della legge statale n. 266 del 2005, stabilisce il metodo da seguire per la determinazione del tetto massimo delle spese degli enti locali, siti nel territorio delle Regioni a statuto speciale, attribuendo esplicitamente alle Regioni il compito di determinare in concreto e unilateralmente, entro il 31 marzo di ogni anno, il tetto massimo. Conseguentemente, in base alla stessa legge statale invocata, deve ritenersi consentito alle Regioni di porre limiti ulteriori alla spesa pubblica degli enti locali, anche attraverso la previsione di un tetto massimo più basso di quello nazionale.
La questione sollevata con riferimento all’art. 1, comma 9, non è dunque fondata.
Per questi motivi
la corte costituzionale
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Sardegna 24 febbraio 2006, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione - legge finanziaria 2006), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), della Costituzione e dell’art. 1, comma 9, della medesima legge, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettere a) ed e), e 119, sesto comma, della Costituzione, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe;
dichiara cessata la materia del contendere quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Sardegna n. 1 del 2006, in riferimento all’art. 119, sesto comma, della Costituzione e all’art. 11 dello statuto speciale per la Sardegna, sollevata dal Presidente del Consiglio con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 9, della legge della Regione Sardegna n. 1 del 2006, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, ultimo periodo, e 119, secondo comma, della Costituzione e all’art. 7 dello statuto speciale per la Regione Sardegna, sollevata, con il ricorso in epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei ministri.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007.