ORDINANZA N. 32
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Fabriano con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice di pace di Alessandria con ordinanza del 18 novembre 2009, dal Giudice di pace di Città della Pieve con ordinanza del 9 dicembre 2009, dal Giudice di pace di Ivrea con ordinanza del 23 dicembre 2009 e dal Giudice di pace di Casale Monferrato con ordinanza del 17 dicembre 2009 rispettivamente iscritte ai nn. 77, 111, 113, 138 e 139 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12, 16, 17 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che, con ordinanza in data 18 novembre 2009 (r. o. n. 77 del 2010), il Giudice di pace di Fabriano ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 25 e 117, primo comma, della Costituzione questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario accusato del nuovo reato di cui all’art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 in quanto «si tratteneva nel territorio dello Stato italiano in violazione» delle disposizioni di cui al citato decreto;
che, a parere del rimettente, la condotta dell’imputato, così come contestata nel capo di imputazione, configurerebbe la seconda ipotesi di cui all’art. 10-bis del decreto citato, integrandone tutti gli elementi, vale a dire il trattenersi illegalmente nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998, precisamente dell’art. 5 che prevede la necessità del permesso di soggiorno o di altro titolo legalmente rilasciato;
che, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la norma censurata violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., essendo una norma incriminatrice del tutto priva di ratio giustificatrice, non potendo questa essere ricercata nella «valutazione di pericolosità sociale delle condotte penalmente perseguite che si risolvono in un “modo di essere”, in una condizione della persona: quella di migrante irregolare»;
che, inoltre, l’irragionevolezza discenderebbe anche dalla finalità della norma diretta all’allontanamento dello straniero clandestino dal territorio nazionale, finalità già conseguibile tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa;
che un ulteriore profilo di irragionevolezza risiederebbe nel fatto che la norma è destinata a restare priva di effetti concreti nei confronti della stragrande maggioranza degli immigrati irregolari in quanto la pena pecuniaria sarebbe inesigibile in concreto avendo come destinatarie persone nullatenenti;
che il rimettente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 2000 a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo»;
che sarebbe leso anche l’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale;
che, infine, secondo il Giudice di pace di Fabriano, la norma in esame violerebbe anche gli artt. 10 e 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi affermati in materia di immigrazione nel diritto internazionale generalmente riconosciuto, tra i quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 e la convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158 (Ratifica ed esecuzione delle convenzioni numeri 92, 133 e 143 dell’Organizzazione internazionale del lavoro);
che si avrebbe anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. per il contrasto della nuova fattispecie incriminatrice con le norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti, adottato il 15 novembre 2000;
che il Giudice di pace di Alessandria, con ordinanza del 18 novembre 2009 (r. o. n. 111 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3 e 25, secondo comma, Cost.;
che il giudice a quo premette in fatto di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del nuovo reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato di cui all’art.10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998;
che la norma incriminatrice sarebbe, anzitutto, in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevolezza della scelta legislativa di criminalizzare l’ingresso e la permanenza dei clandestini nello Stato italiano, in quanto l’obiettivo con essa perseguito – espellere lo straniero illegittimamente presente nel territorio dello Stato – sarebbe già conseguibile con la procedura di espulsione amministrativa, avente il medesimo ambito applicativo ai sensi dell’art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che l’irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe anche sotto il profilo sanzionatorio caratterizzato, nel suo complesso, dalla comminatoria di una pena pecuniaria priva di ogni efficacia deterrente nei confronti di soggetti di regola impossidenti quali gli stranieri clandestini, dal divieto di applicazione della sospensione condizionale della pena e dalla facoltà concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione più grave, quale l’espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni;
che l’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche sotto un altro specifico profilo, concernente la irragionevole disparità di trattamento tra la nuova fattispecie e quella di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 286 del 1998, che prevede la punibilità dello straniero inottemperante all’ordine di allontanamento del questore solo quando lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito e «senza giustificato motivo»;
che, ritiene il rimettente, a causa del mancato richiamo al giustificato motivo potrebbe accadere che il venir meno, per un qualunque motivo, del permesso di soggiorno, integri automaticamente l’ipotesi di reato, senza alcuna possibilità, per l’interessato, di addurre una qualche giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare;
che, secondo il Giudice di pace di Alessandria, sarebbero violati anche gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., in quanto la norma censurata darebbe vita ad una fattispecie penale discriminatoria, volta a colpire non già un condotta, ma una condizione personale e sociale – il mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato – arbitrariamente considerata come indice di pericolosità sociale;
che, in tal senso, dovrebbero valere le considerazioni espresse nella sentenza di questa Corte n. 78 del 2007, in tema di applicabilità delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, laddove si è detto che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per sé non è univocamente sintomatica [...] di una particolare pericolosità sociale»;
che, infine, il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato contrasterebbe anche con l’art. 2 Cost. perché, sanzionando penalmente anche la mera presenza clandestina, si metterebbe lo straniero nell’impossibilità di regolarizzare, sussistendone i presupposti, la propria posizione in modo tale che, a titolo esemplificativo, il figlio di genitori stranieri irregolari potrebbe essere condannato ad essere privato della propria identità e della cittadinanza;
che, conclude il rimettente, la questione sollevata è sicuramente rilevante, essendo l’imputato chiamato a rispondere del reato di «ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato» ai sensi dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, come introdotto dalla legge citata;
che il Giudice di pace di Città della Pieve, con ordinanza del 9 dicembre 2009 (r. o. n. 113 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3, 10 e 25, secondo comma, Cost.;
che, anche in questo caso, il rimettente premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del nuovo reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
che, a parere del giudicante, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, trattandosi di norma incriminatrice priva di fondamento razionale, in quanto l’obiettivo con essa perseguito – espellere lo straniero illegittimamente presente nel territorio dello Stato – sarebbe già conseguibile con la procedura di espulsione amministrativa, avente il medesimo ambito applicativo;
che, inoltre, risulterebbero violati gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., perché si tratterebbe di una fattispecie penale discriminatoria, volta a colpire, non già una condotta, ma una condizione personale e sociale – il mancato possesso di un titolo abilitativo all’ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato – arbitrariamente considerata come indice di pericolosità sociale;
che nell’ordinanza di rimessione è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007, nella parte in cui si afferma che «il mancato possesso del titolo abilitativo alla permanenza nello Stato, da parte dello straniero non può considerarsi reato, in quanto non è di per sé idoneo a produrre una particolare pericolosità sociale; la mera condizione di clandestino non può considerarsi idonea a porre seriamente in pericolo la sicurezza pubblica»;
che, secondo il rimettente, la punizione di comportamenti innocui sotto il profilo dell’offensività sarebbe in contrasto con il principio cosiddetto del doppio binario, in base al quale le misure di sicurezza sono destinate a contrastare i soggetti socialmente pericolosi, mentre l’inflizione di una pena corrisponde ad una serie di finalità non indirizzate alla prevenzione generale e speciale;
che, dunque, l’ingresso o la permanenza illegale del singolo straniero non rappresenterebbero, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sarebbero espressione di una condizione individuale – quella di migrante – che trova tutela in numerose convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito, donde pure la violazione dell’art. 10 Cost.;
che il Giudice di pace di Città della Pieve ritiene che la norma censurata contrasti con l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto la sanzione si estenderebbe a condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge medesima;
che, infine, sarebbe violato l’art. 2 Cost. che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo quali, in particolare, il diritto alla propria identità personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita, e l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza per la irrazionalità del trattamento sanzionatorio da essa complessivamente prefigurato, caratterizzato dal divieto di poter utilizzare l’istituto dell’oblazione di cui all’art. 162 del codice penale, nonché per la irragionevole disparità di trattamento rispetto all’ipotesi criminosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, connessa alla mancata previsione della «scriminante» del «giustificato motivo»;
che, quanto alla rilevanza, il rimettente si limita ad osservare che la questione di legittimità costituzionale sollevata si pone come una vera e propria questione pregiudiziale, un antecedente logico-giuridico necessario per la decisione della causa;
che il Giudice di pace di Ivrea, con ordinanza del 23 dicembre 2009 (r. o. n. 138 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3, 25 e 97 Cost.;
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
che l’art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, sarebbe in netto contrasto con i principi fondamentali della Costituzione ed, in particolare, con il principio della solidarietà politica, economica e sociale, oltre che con il principio dell’uguaglianza, perché colpevolizza coloro i quali, nella loro condizione di stranieri privi di autorizzazione ad entrare nel territorio dello Stato o a permanervi, fuggono dai loro paesi di origine per le precarie condizioni economiche e cercano nel nostro Paese l’affermazione della loro personalità;
che la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, trattandosi di norma incriminatrice priva di fondamento razionale, in quanto l’obiettivo con essa perseguito – espellere lo straniero illegittimamente presente nel territorio dello Stato – sarebbe già conseguibile con la procedura di espulsione amministrativa avente il medesimo ambito applicativo;
che ulteriore profilo di irragionevolezza dovrebbe ricavarsi dalla irrazionalità del trattamento sanzionatorio, caratterizzato dalla comminatoria di una pena pecuniaria priva di ogni efficacia deterrente nei confronti di soggetti di regola impossidenti, quali gli stranieri clandestini;
che, inoltre, la fattispecie incriminatrice sarebbe priva di fondamento giustificativo perché il bene giuridico della tranquillità e della sicurezza pubblica, che il legislatore intende tutelare, non può essere offeso o messo in pericolo dalla semplice condizione di straniero clandestino e, pertanto, la norma oggetto di censura si tradurrebbe nell’incriminazione della mera condizione soggettiva di migrante privo dell’autorizzazione a soggiornare, mancando un fatto oggettivo di pericolosità sociale;
che in tal senso dovrebbero valere le considerazioni espresse nella sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007, in tema di applicabilità delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, ove si è detto che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che, di per sé non è univocamente sintomatica [...] di una particolare pericolosità sociale»;
che il rimettente lamenta anche la disparità di trattamento in relazione all’ipotesi di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 2000, a causa della mancata previsione della esclusione della colpevolezza in caso di «giustificato motivo» per un reato contravvenzionale che certamente si caratterizza per una minore gravità;
che, da ultimo, è ipotizzata anche la violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., in quanto la previsione di due distinti procedimenti – amministrativo e penale – diretti allo stesso fine (l’espulsione dello straniero) influirebbe negativamente sulla ragionevole durata dei processi, oltre a provocare un aumento di costi e di «incombenti»;
che il Giudice di pace di Casale Monferrato, con ordinanza del 17 dicembre 2009 (r. o. n. 139 del 2010), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 per violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e 117, primo comma, Cost.;
che il giudice a quo premette, in fatto, di dover giudicare un cittadino straniero extracomunitario imputato del reato di ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato;
che l’art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 ha introdotto una fattispecie incriminatrice di natura contravvenzionale che prevede due tipi di condotta illecita: l’ingresso sul territorio dello Stato in violazione delle norme del «testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» e il soggiorno sul territorio italiano in violazione delle medesime norme e dell’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio);
che il rimettente precisa che le due ipotesi di reato sono in rapporto di alternatività tra di loro e che, pertanto, non sarebbe rilevante, nel caso di specie, la modalità dell’ingresso dello straniero nel territorio, ingresso avvenuto, in ogni caso, anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009;
che la norma censurata si porrebbe in primo luogo in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., perché la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato non rappresenterebbe di per sé un fatto lesivo di beni meritevoli di tutela penale ma solo espressione di una condizione individuale;
che sarebbero, altresì, violati gli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., in relazione ai principi di inesigibilità della condotta, di tassatività e determinatezza della fattispecie penale, della irragionevole disparità di trattamento e del principio di irretroattività della norma penale;
che non sarebbe sufficientemente descritta la condotta omissiva incriminata e che, in particolare, non sarebbe possibile individuare il termine alla cui scadenza il “trattenersi” in condizione di irregolarità (amministrativa) nel territorio dello Stato acquisti (anche) rilevanza penale;
che, a tal proposito, il rimettente richiama le argomentazioni svolte da questa Corte con la sentenza n. 34 del 1995, ove si è detto che «il comando d’agire, per essere conforme alla chiarezza imposta dal principio di legalità, deve riferirsi a situazioni tipiche ben profilate e di significato pregnante, tali cioè da evocare immediatamente il problema dell’attivarsi in un certo modo per la salvaguardia di riconoscibili interessi, e da costituire perciò, ad un tempo, il fondamento del carattere offensivo dell’omissione, e un solido punto di riferimento per il giudizio sulla colpevolezza dell’omittente»;
che la norma censurata sanzionerebbe anche condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge medesima, in violazione del principio di irretroattività della norma penale;
che il rimettente lamenta anche la violazione dell’art. 3 Cost. per la irragionevole disparità di trattamento rispetto all’ipotesi criminosa di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, connessa alla mancata previsione della «scriminante» del «giustificato motivo»;
che mentre l’art. 14, comma 5-ter, sopra citato consente all’irregolare che non ha ottemperato all’ordine di allontanamento di addurre giustificazioni in termini di impossibilità a provvedervi, per difficoltà oggettive o soggettive, tale facoltà non è prevista per l’irregolare per il quale non sia già stato emesso il provvedimento di espulsione;
che, a parere del rimettente, non sarebbe né comprensibile né ragionevole il diverso trattamento delle due fattispecie, entrambe omissive ed anzi tali da realizzare in concreto una stessa condotta di illecito amministrativo;
che il Giudice di Pace di Casal Monferrato, avanza ulteriori dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis per contrasto con l’art. 3 Cost., in ragione dell’esclusione della applicabilità dell’oblazione di cui all’art. 162 cod. pen.;
che non sarebbe possibile cogliere il fondamento giustificativo della opzione legislativa, se non attribuendo alla stessa lo scopo di favorire ad ogni costo l’applicazione della sanzione sostitutiva, che l’istituto dell’oblazione vedrebbe ridimensionato;
che la norma oggetto di censura si porrebbe in contrasto anche con l’art. 27, secondo e terzo comma, Cost., per la finalizzazione della pena a fini diversi da quelli rieducativi, in quanto la previsione della pena pecuniaria sembrerebbe assolutamente priva di qualsiasi efficacia preventiva, essendo destinata a rimanere ineseguita e insuscettibile di esecuzione forzata per la condizione di estrema indigenza degli immigrati irregolari;
che, inoltre, nell’ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei confronti dello straniero di cui si accerti la condizione di soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di espulsione da eseguirsi a cura del questore, e l’altro giudiziario, nelle forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. del 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468);
che tale duplicazione, in sede penale, della procedura esistente in via amministrativa, violerebbe il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.;
che la nuova fattispecie si porrebbe in contrasto gli artt. 2 e 3, primo e secondo comma, Cost., venendo a colpire tramite l’istituto del concorso di persone nel reato tutte le condotte che, anche se animate da mero spirito solidaristico, si risolvano in un aiuto all’ingresso o al trattenimento dello straniero «clandestino» nel territorio dello Stato, così impedendo l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale nei confronti di persone in condizioni di indigenza;
che, infine, la configurazione come reato del soggiorno non regolare dello straniero nel territorio dello Stato contrasterebbe con i principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali, tra le quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la convenzione OIL n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti, ratificata con legge n. 158 del 1981, comportando la violazione degli artt. 10 e 117, primo comma, Cost.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto soltanto nei giudizi promossi con ordinanze iscritte al r. o. n. 77 e n. 111 del 2010, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza e sulla violazione dei parametri costituzionali invocati o, comunque, infondate.
Considerato che le ordinanze di rimessione, indicate in epigrafe, sollevano questioni identiche o analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione;
che i giudici a quibus dubitano, in riferimento a plurimi parametri, della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato, lo straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato;
che le questioni di costituzionalità sollevate con le ordinanze di rimessione n. 111, n. 113, n. 138 e n. 139 sono manifestamente inammissibili per carenze, in punto di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza, tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni;
che le ordinanze n. 111, n. 113 e n. 139, provenienti rispettivamente dai Giudice di pace di Alessandria, Città della Pieve e Casal Monferrato, si limitano, quanto alla descrizione della fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si procede per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, così che la declaratoria di incostituzionalità della norma comporterebbe l’assoluzione dell’imputato;
che, in mancanza di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta che ha dato origine all’imputazione, resta inibita per questa Corte la necessaria verifica circa l’influenza della questione di legittimità sulla decisione richiesta al rimettente;
che anche l’ordinanza del Giudice di pace di Ivrea presenta il medesimo difetto di descrizione della fattispecie perché il rimettente, pur riportando il capo d’imputazione, non aggiunge nulla quanto alla descrizione del fatto;
che lo stesso capo d’imputazione è formulato in modo alternativo, senza sciogliere il dubbio in ordine a quale delle due diverse ipotesi di reato, ingresso illegale o indebito trattenimento, sia stata posta in essere dall’imputato e, pertanto, anche in questo caso manca ogni concreta indicazione sulla vicenda oggetto di giudizio e sulla sua effettiva riconducibilità al paradigma punitivo considerato;
che l’ordinanza n. 77 del 2010 del Giudice di pace di Fabriano è sufficientemente motivata quanto alla descrizione della fattispecie;
che, tuttavia, le censure ivi proposte sono inammissibili o manifestamente infondate;
che, in particolare, è manifestamente infondata la prima censura, relativa alla violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., motivata sull’assunto che l’incriminazione è del tutto priva di ratio giustificatrice, giacché l’obiettivo dell’allontanamento dello straniero clandestino dal territorio nazionale ad essa sotteso è già conseguibile tramite l’istituto dell’espulsione amministrativa, mentre la comminatoria della pena pecuniaria risulterebbe puramente «teorica», avendo come destinatarie persone nullatenenti e prive, in genere, di «sicura domiciliazione»;
che, infatti, la Corte ha già avuto modo di affermare come «il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice [sia], in realtà, agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero» (sentenza n. 250 del 2010);
che, in tale occasione, si è evidenziato che le condotte integranti il reato di cui si discute, costituendo nel contempo violazioni della disciplina sull’ingresso e il soggiorno dello straniero nello Stato, sono anche sanzionate, in via amministrativa, con l’espulsione disposta dal prefetto ai sensi dell’art. 13, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, se è vero che si riscontra una sovrapposizione della disciplina penale a quella amministrativa, è altrettanto vero che, alla luce della complessiva configurazione della norma in esame, il legislatore mostra di considerare l’applicazione della sanzione penale come un esito “subordinato” rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale dello straniero ivi illegalmente presente;
che tale subordinazione trova la sua ratio precipuamente «nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio» (con riferimento alla previsione dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, ordinanze n. 143 e n. 142 del 2006), tanto più avvertibile quando il fatto penalmente rilevante si sostanzi nella mera violazione della disciplina sull’ingresso e la permanenza nel territorio stesso;
che «ciò non consente di ritenere che il procedimento penale per il reato in esame sia destinato, a priori, a rappresentare un mero “duplicato” del procedimento amministrativo di espulsione (di norma, per giunta, più celere): e ciò, a tacer d’altro, per la ragione che – come l’esperienza attesta – in un largo numero di casi non è possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all’esecuzione dei provvedimenti espulsivi» (sentenza n. 250 del 2010);
che la scelta di prevedere una pena di tipo pecuniario con una minore capacità dissuasiva attiene ad una valutazione di politica criminale e giudiziaria rientrante nella discrezionalità del legislatore non sindacabile da questa Corte;
che, in ogni caso, è opportuno evidenziare come l’assoggettamento a sanzioni pecuniarie dei fatti di immigrazione irregolare sia tutt’altro che ignoto all’esperienza comparatistica; ad esempio pene pecuniarie, alternative o congiunte alla pena detentiva, sono previste dalle legislazioni tedesca, francese e del Regno Unito, mentre la legge spagnola contempla, per il soggiorno irregolare, la sola sanzione amministrativa pecuniaria;
che è manifestamente inammissibile la questione sollevata dal Giudice di pace di Fabriano in riferimento alla violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. in ragione della facoltà del giudice di sostituire, nel caso di condanna, la pena pecuniaria comminata per il reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 con la misura dell’espulsione;
che la facoltà di sostituzione denunciata non deriva dalla disposizione impugnata, ma da norme distinte, non coinvolte nello scrutinio di costituzionalità: in specie, dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui – a seguito della modifica operata dalla legge n. 94 del 2009 – estende l’applicabilità dell’espulsione come sanzione sostitutiva alla contravvenzione di cui all’art. 10-bis del medesimo decreto legislativo; nonché dalla disposizione correlata dell’art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), in forza della quale – diversamente da quanto stabilito dal precedente art. 62 con riferimento alle sanzioni sostitutive previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – «nei casi stabiliti dalla legge, il giudice di pace applica la misura sostitutiva di cui all’art. 16 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286»;
che altrettanto manifestamente inammissibile è la censura dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 prospettata in riferimento all’art. 3 Cost. per il divieto, asseritamente del tutto ingiustificato, della possibilità di usufruire della sospensione condizionale della pena;
che la preclusione della sospensione condizionale non scaturisce, infatti, neppure essa dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, quanto piuttosto dalla nuova lettera s-bis) dell’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000, che attribuisce la competenza per il reato in esame al giudice di pace, rendendo così operante il disposto dell’art. 60 del medesimo decreto legislativo: norme non sottoposte a scrutinio;
che, inoltre, manca ogni motivazione in ordine alla rilevanza della questione in quanto non si afferma che, nel caso di specie, l’imputato potrebbe fruire della sospensione condizionale alla luce delle generali regole codicistiche;
che è manifestamente infondata la questione sollevata dal Giudice di pace di Fabriano, in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost., perché la norma darebbe vita ad una fattispecie penale discriminatoria volta a colpire non già un condotta, ma una condizione personale;
che, anche in questo caso, la Corte ha già evidenziato come oggetto dell’incriminazione della contravvenzione di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato» introdotta dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, non sia un «modo di essere» della persona, ma uno specifico comportamento trasgressivo di norme vigenti, come si ricava dal testo stesso della norma che fa riferimento alle condotte di «fare ingresso» e «trattenersi» nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del testo unico sull’immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui all’art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68 (Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio), (sentenza n. 250 del 2010);
che, pertanto, al contrario di quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, la norma oggetto di censura incrimina due diverse condotte: la prima attiva e istantanea, consistente nel varcare illegalmente i confini nazionali, e la seconda a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è di tipo omissivo e si concretizza nell’omettere di lasciare il territorio nazionale pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza;
che è manifestamente infondata la questione sollevata in riferimento alla violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale di cui all’art. 2 Cost.;
che la Corte, con la più volte citata sentenza n. 250 del 2010, ha già ritenuto infondata tale questione affermando che «le ragioni della solidarietà umana non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri» (ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001): e ciò nella cornice di un «quadro normativo […] che vede regolati in modo diverso – anche a livello costituzionale (art. 10, terzo comma, Cost.) – l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”» (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 302 e n. 80 del 2004);
che, in materia, il legislatore fruisce di ampia discrezionalità nel porre limiti all’accesso degli stranieri nel territorio dello Stato, all’esito di un bilanciamento dei valori che vengono in rilievo: discrezionalità il cui esercizio è sindacabile da questa Corte solo nel caso in cui le scelte operate si palesino manifestamente irragionevoli (ex plurimis, sentenze n. 148 del 2008, n. 361 del 2007, n. 224 e n. 206 del 2006) e che si estende, secondo quanto in precedenza osservato, anche al versante della selezione degli strumenti repressivi degli illeciti perpetrati;
che le ragioni della solidarietà trovano espressione – oltre che nella vigente disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento e del ricongiungimento familiare – nell’applicabilità, allo straniero irregolare, della normativa sul soccorso al rifugiato e la protezione internazionale, di cui al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede la sospensione del procedimento penale per il reato in esame nel caso di presentazione della relativa domanda e nell’ipotesi di suo accoglimento;
che è manifestamente inammissibile la questione sollevata in riferimento agli artt. 10 e 117, primo comma, Cost., in quanto la configurazione come reato del soggiorno non regolare dello straniero nel territorio dello Stato contrasterebbe con i principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali, tra le quali la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e la convenzione OIL n. 143 del 1975 sui lavoratori migranti ratificata con legge n. 158 del 1981;
che il richiamo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali operato dal rimettente è del tutto generico mentre le uniche norme internazionali specificamente citate sono del tutto inconferenti rispetto all’obbligo che il rimettente vorrebbe individuare;
che, infine, è manifestamente inammissibile la questione relativa alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per l’asserito contrasto dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 con le norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5 e 16 del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico illecito di migranti adottato il 15 novembre 2000;
che, infatti, a prescindere da ogni valutazione di merito circa l’infondatezza della censura, il rimettente non riferisce alcuna circostanza utile a far ritenere che l’imputato sia stato fatto oggetto delle condotte di cui all’art. 6 della convenzione, né che sia accusato di una delle condotte cui fa riferimento il protocollo medesimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara manifestamente inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, e 25, secondo comma, 27, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Fabriano, dal Giudice di pace di Alessandria, dal Giudice di pace di Città della Pieve, dal Giudice di pace di Ivrea e dal Giudice di pace di Casal Monferrato, con le ordinanze indicate in epigrafe.
2) dichiara manifestamente infondate le restanti questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 25, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Fabriano con l’ordinanza indicata in epigrafe;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2011.