SENTENZA N. 251
ANNO
2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Ritenuto in
fatto
1. – Con separati ricorsi, il primo
notificato il 24 aprile 2006 e depositato il successivo 27 aprile (registro
ricorsi n. 56 del 2006), il secondo notificato il 13 giugno 2006 e depositato
il successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 73 del 2006),
1.1. – Quanto all’art. 101, comma 7, del
d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa regionale premette che la norma impugnata
«assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi derivanti dalle imprese
agricole», includendo in esse «anche quelle che svolgono attività di
trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli, purché tale attività,
inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo
produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata proveniente in misura prevalente
dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la
disponibilità».
Nel ricorso si evidenzia in particolare
che, a differenza di quanto previsto in precedenza dall’art. 28, comma 7,
lettera c), del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni
sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva
91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della
direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), il quale fissava un
«criterio certo», in quanto fondato su un «preciso rapporto minimo tra materia
prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da
produzioni altrui», la disposizione impugnata ne avrebbe introdotto uno
discrezionale, imperniato sul «concetto elastico di "misura prevalente”».
L’art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152
del 2006, pertanto, secondo la ricorrente, provocherebbe «una riduzione del
livello di tutela delle acque», contraddicendo i principi e i criteri direttivi
fissati dall’art. 1, comma 8, lettera a),
e dal successivo comma 9, lettera b),
della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il
coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e
misure di diretta applicazione), concernenti, rispettivamente, l’obiettivo del
«miglioramento della
qualità dell’ambiente, della protezione della salute umana, dell’utilizzazione
accorta e razionale delle risorse naturali», e quello di «pianificare,
programmare e attuare interventi diretti a garantire la tutela e il risanamento
dei corpi idrici superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi».
Sotto altro profilo, osserva sempre la
ricorrente, il medesimo articolo inciderebbe negativamente anche sulle funzioni
già attribuite alla Regione dalla legislazione di settore e dal d.lgs. 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59), e ciò, ancora una volta, in violazione del «preciso vincolo posto
dalla legge di delega».
1.2. – Con riguardo alla
asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.,
1.3. – Con riguardo all’art. 96 del
d.lgs. n. 152 del 2006,
In particolare, la ricorrente evidenzia
che il nuovo testo dispone che le domande relative sia alle grandi sia alle
piccole derivazioni siano trasmesse alle Autorità di bacino territorialmente
competenti le quali, entro il termine rispettivamente di novanta e di quaranta
giorni, «comunicano il proprio parere vincolante al competente Ufficio
istruttore in ordine alla compatibilità della utilizzazione
con le previsioni del Piano di tutela, ai fini del controllo sull’equilibrio
del bilancio idrico o idrologico, anche in attesa di approvazione del Piano
anzidetto», disponendo altresì che, «decorsi i predetti termini senza che sia
intervenuta alcuna pronuncia, il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio nomina un commissario ad acta che
provvede entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».
Nel ricorso si assume che «le competenze
della Regione Emilia-Romagna» risulterebbero «concretamente incise» da tale
disposizione, considerato che
Inoltre, osserva la ricorrente, la
previsione secondo la quale le nuove Autorità di bacino esprimono sulle grandi
derivazioni un parere vincolante in un termine che passa da quaranta a novanta
giorni e che, «in caso di mancata espressione del parere medesimo, non operi
più il silenzio assenso, ma si proceda alla nomina di un commissario ad acta» che
dispone di altri novanta giorni per esprimersi comporterebbe, altresì, una
«enorme dilatazione dei tempi, in […] contrasto con gli obiettivi di
semplificazione» stabiliti dall’art. 1, comma 9, lettera b), della legge n. 308 del 2004.
1.4. – Quanto osservato con riguardo al
comma 1 varrebbe, ad avviso della Regione Emilia-Romagna, anche «in relazione
agli altri commi dell’art. 96» del d.lgs. n. 152 del
Ciò posto, non sarebbe legittimo, ad
avviso della Regione, che lo «Stato emani in materia norme legislative che
entrano analiticamente nel dettaglio», sottoponendo «l’uso dei poteri normativi
che residuano alla Regione» a direttive delle quali non sarebbero indicate «né
l’autorità competente né le modalità di emanazione», e in una materia – quella
delle derivazioni d’acqua – che non risulterebbe «contemplata nell’oggetto
della delega».
Per queste ragioni, l’art. 96 si
porrebbe in contrasto, «nella sua interezza», con gli artt. 76, 117 e 118 Cost.
1.5. – Con riguardo alle disposizioni
degli artt. 104, commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152
del 2006, concernenti misure di tutela delle acque, la ricorrente osserva,
preliminarmente, che esse risulterebbero accomunate da una identica
illegittima impostazione dei rapporti tra autonomia legislativa e
amministrativa regionale e «direzione statale».
1.6. – In particolare, quanto al citato
art. 104, comma 3, esso attrarrebbe al «livello ministeriale
compiti di autorizzazione di scarichi risultanti dall’estrazione di
idrocarburi nelle unità del sottosuolo da cui sono stati estratti», laddove
l’art. 89, lettera i), del d.lgs. n.
112 del 1998 ne prevedeva l’attribuzione alle Regioni, con conseguente
violazione sia del «riparto di attribuzioni già fissato dal legislatore statale
antecedentemente alla riforma» operata con legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), sia
del «criterio direttivo» stabilito al comma 8 dell’art. 1 della legge n. 308
del 2004, nel quale sarebbe richiamato l’assetto delle competenze di cui al d.lgs.
n. 112 del 1998, prescrivendone la «inderogabilità».
1.7. – Per altro verso, il comma 4 dello
stesso art. 104, nella parte in cui prescrive che «l’autorità competente, dopo
indagine preventiva anche finalizzata alla verifica dell’assenza di sostanze estranee,
può autorizzare gli scarichi nella stessa falda delle acque utilizzate per il
lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi fanghi siano
costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali ed il loro scarico non
comporti danneggiamento alla falda acquifera» risulterebbe, ad avviso della
Regione Emilia-Romagna, in contrasto con l’art. 4, comma 3, della direttiva 17
dicembre 1979, n. 80/68/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la protezione
delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze
pericolose), che consentirebbe agli Stati membri di autorizzare gli scarichi
consistenti nella reiniezione nella stessa falda solo
«delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle acque di infiltrazione di
miniere o cave, o delle acque pompate nel corso di determinati lavori di
ingegneria civile», non anche delle acque utilizzate per il lavaggio e la
lavorazione degli inerti.
1.8. – Con riguardo all’art. 113, comma
1, del d.lgs. n. 152 del 2006, la ricorrente premette che esso assegna alle
Regioni i compiti di «disciplinare» e di «attuare»: a) le forme di controllo
degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie
separate; b) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque
meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate, siano
sottoposte a particolari prescrizioni.
Tuttavia, osserva la ricorrente,
l’esercizio delle predette funzioni risulta subordinato al «previo parere del
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio», realizzando in tal modo
una sottoposizione della Regione, anche nell’esercizio delle sue funzioni
normative, ad ingerenze esercitate dall’autorità amministrativa statale in
violazione dell’«assetto delle competenze posto dagli artt. 117 e 118 Cost.»,
nonché degli «stessi limiti prescritti dalla legge di delega».
1.9. – Del pari, ad avviso della Regione
Emilia-Romagna, anche l’art. 114, comma 1, nel disciplinare la restituzione
delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica, sottoporrebbe
l’autonomia normativa regionale al «previo parere» del suddetto Ministero,
risultando perciò affetta dai medesimi vizi di legittimità costituzionale
dedotti in relazione all’art. 113.
1.10. –
In ordine a detta istanza, questa Corte
si è già pronunciata con ordinanza di non luogo a provvedere n. 245 del 21
giugno 2006.
2. – Nei giudizi instaurati con i
ricorsi della Regione Emilia-Romagna non si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri a seguito della rinuncia all’intervento specificamente
deliberata dal Consiglio dei ministri nella riunione
del 9 giugno 2006.
3. – Con ricorso notificato l’8 giugno
2006 e depositato il successivo 10 giugno,
3.1. – Con un primo gruppo di censure,
la difesa regionale deduce la violazione del «riparto di competenze normative e
amministrative» fra Stato e Regioni, premettendo che dalla lettura dell’art. 73
del decreto legislativo impugnato, il quale individua gli obiettivi da
perseguire nella disciplina generale per la tutela delle acque superficiali,
marine e sotterranee, emergerebbe la riconducibilità della relativa disciplina
ad un insieme di titoli competenziali di diversa
natura, tra i quali si dovrebbe riconoscere la prevalenza a quello relativo al
«governo del territorio», pur non mancando i richiami a quelli relativi alla
«tutela dell’ambiente» e «della salute».
3.2. – In particolare, la difesa
regionale censura l’art. 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui «le
Regioni […] integrano i Piani di tutela di cui all’articolo 121 con i programmi
di misure» che sono «sottoposti per l’approvazione all’Autorità di bacino», la
quale ultima, «qualora le misure non risultino sufficienti a garantire il
raggiungimento degli obiettivi previsti», è chiamata a individuare le cause e
ad indicare «alle Regioni le modalità per il riesame dei programmi, invitandole
ad apportare le necessarie modifiche, fermo restando
il limite costituito dalle risorse disponibili».
Detta disposizione, ad avviso della
Regione, rivelerebbe «l’idea di un’autonomia regionale che viene collocata
"sotto tutela” da parte di un ente» – l’Autorità di bacino – «riconducibile,
nella composizione e nelle funzioni, alla sfera di diretta influenza dello
Stato», e ciò in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost.
3.3. – Con un secondo gruppo di censure,
3.4. – In primo luogo, dunque,
Osserva, al riguardo, la ricorrente che
la funzione concernente detta individuazione era già stata trasferita alle
Regioni dall’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999, «in piena coerenza»
con l’art. 80, comma 1, lettera n),
del d.lgs. n. 112 del 1998, che attribuiva allo Stato unicamente «la
definizione dei criteri generali per la elaborazione
dei piani regionali di risanamento delle acque».
Secondo la ricorrente, quindi, la
disposizione impugnata realizzerebbe «un’indebita riattrazione
allo Stato» della competenza in ordine alla individuazione
delle «ulteriori aree sensibili», la cui illegittimità non risulterebbe
superata dalla previsione del «previo parere (oltretutto non vincolante) in
sede di Conferenza Stato-Regioni».
3.5. – Con riferimento all’art. 101,
comma 7, lettera c), del d.lgs. n.
152 del 2006,
La difesa regionale osserva che, nella
normativa precedente, l’art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 1999 prevedeva una analoga
assimilazione, «fissando, però, un preciso rapporto minimo (due terzi) tra
materia prima derivante dalla propria produzione e materia prima derivante da
produzioni altrui». Con la disposizione impugnata, invece, secondo la
ricorrente, si sarebbe sostituito il criterio certo precedentemente individuato
con «un concetto […] elastico quale è quello della "misura prevalente”», che
potrebbe «prestarsi ad una certa (anche marcata) discrezionalità applicativa»,
idonea a determinare livelli di tutela meno rigorosi delle acque del corpo
recettore.
Sulla base di queste argomentazioni,
3.6. – Quanto all’art. 113 del d.lgs. n.
152 del
Ad avviso della ricorrente, detta
innovazione determinerebbe sia un «arretramento» della autonomia
delle Regioni – collocandole «in una posizione di subalternità, nell’azione di
governo del territorio, rispetto alle determinazioni di organi statali» – in
violazione dei precetti contenuti nelle legge di delega, sia un condizionamento
dell’«attività legislativa delle Regioni», in contrasto con il disposto
dell’art. 117, terzo comma, Cost.
3.7. – Sulla base delle medesime
argomentazioni svolte con riferimento all’art. 113, comma 1,
La difesa regionale rileva che «una
previsione sostanzialmente identica era contenuta nell’art. 40, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 1999, nel quale, però, difettava un qualunque riferimento
alla necessità di acquisire il parere del Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio». Si sarebbe, pertanto, «nuovamente in presenza
dell’introduzione di una forma di anomala "tutela” di un organo statale nei
confronti dell’ente regionale, in stridente dissonanza con le prescrizioni
della legge di delega, ma soprattutto con il quadro costituzionale successivo
alla riforma del titolo V della parte II della Costituzione».
3.8. –
4 – Con ricorso notificato il 12-21
giugno 2006 e depositato il successivo 14 giugno (registro ricorsi n. 69 del
2006),
4.1. –
Ad avviso della Regione Toscana,
l’ambito di intervento della norma, pur se astrattamente riconducibile alla «materia ambiente», risulterebbe tuttavia suscettibile
di interventi legislativi regionali, in considerazione della naturale incidenza
di tale funzione sulle politiche del territorio e sulla tutela della salute,
rientranti nella competenza legislativa concorrente regionale.
Conseguentemente, secondo la ricorrente, l’art. 91, commi 2 e 6, del d.lgs. n.
152 del 2006, «nella parte in cui non prevede che il processo codecisionale sia garantito attraverso un’intesa fra Stato
e Regioni», limitandosi a prescrivere un mero obbligo di sentire
4.2. – Passando alle censure concernenti
gli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006,
Ad avviso della difesa regionale, le
norme richiamate non chiarirebbero la natura del «parere» statale, cosicché,
ove si dovesse riconoscere allo stesso una natura obbligatoria e vincolante,
«esso si tradurrebbe in un’indebita ingerenza dello Stato nelle determinazioni
regionali finalizzate alla cura di interessi che
Osserva, al riguardo, la ricorrente che
«la subordinazione della potestà legislativa o regolamentare regionale ad atti
statali di natura amministrativa» non troverebbe riconoscimento in alcuna
disposizione costituzionale, risultando, al contrario, «inibita in radice alla
fonte secondaria statale la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà
legislativa» regionale.
Le medesime argomentazioni, ad avviso
della ricorrente, varrebbero anche per il comma 1 dell’art. 114, nel quale l’attività legislativa regionale risulterebbe
indirizzata, oltre che a dettare una disciplina «nell’ambito del "governo del
territorio” (uso delle risorse idriche) e nella materia della "tutela
ambientale”, anche a tutelare interessi più propriamente attinenti alla materia
dell’"agricoltura”», materia, quest’ultima, demandata alla competenza
legislativa residuale delle Regioni.
Pertanto, secondo
4.3. – La difesa regionale deduce,
altresì, l’illegittimità costituzionale dell’art. 116 del d.lgs. n. 152 del
2006 per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio della leale
collaborazione.
La ricorrente premette che la
disposizione stabilisce l’iter
procedurale per l’adozione dei «programmi di misura» e «delle misure
supplementari» definite dall’allegato 11 alla parte terza del d.lgs. n. 152 del
2006.
In base a tale previsione, rileva la
ricorrente, «i programmi di misura sono predisposti
dalle Regioni e sottoposti per l’approvazione all’Autorità di bacino (statale).
Qualora l’Autorità ritenga le misure previste non sufficienti a garantire il
raggiungimento degli obiettivi previsti, ne individua le cause e indica alle
Regioni le modalità per il riesame, invitandole ad apportare le necessarie
modifiche».
Ad avviso della ricorrente, la procedura
in esame, pur prevedendo un coinvolgimento dei livelli di governo regionali,
chiamati a predisporre i programmi di misura e le misure supplementari, di fatto attribuirebbe allo Stato, attraverso l’Autorità di
bacino, l’approvazione finale dei programmi e delle misure medesime,
realizzando in tal modo un’attrazione statale di funzioni amministrative in
forza di «meccanismi unilaterali di soluzione dei conflitti», anziché di «modelli
concertativi aderenti al principio di leale collaborazione».
Pertanto, secondo
5. – Si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
5.1. – In particolare la difesa erariale
osserva, quanto alle censure rivolte nei confronti dell’art. 91, commi 2 e 6,
che «il procedimento di individuazione è procedura di
accertamento e non implica (o non dovrebbe implicare) valutazioni di
discrezionalità amministrativa. Il sentire
5.2. – Quanto alle censure concernenti
gli artt. 113, comma 1, e 114 comma 1, ad avviso della difesa erariale, il
parere non sarebbe vincolante o lo sarebbe «come tutti gli altri pareri che
debbono essere superati da una motivazione stringente». Le disposizioni
impugnate si limiterebbero, infatti, «a porre un principio di cautela in
settori» (come quelli della disciplina delle acque meteoriche e del recupero
delle acque utilizzate per la produzione di elettricità) nei quali, «in
rapporto all’importanza degli interessi in gioco, anche di valenza nazionale,
ed alla complessità delle soluzioni in astratto adottabili, le potestà
regionali debbono essere utilizzate tenendo conto dell’opinione di un organismo
centrale».
5.3. – Quanto all’art. 116, l’Avvocatura
generale dello Stato osserva che «la sottoposizione dei programmi di misure,
soprattutto laddove implicano interventi modificativi dello stato di un corso
d’acqua, all’autorità di distretto non è ragionevolmente contestabile». Si
tratterebbe, semmai, «di una doglianza "derivata” dalla precedente
(contrastata) contestazione della composizione delle autorità di distretto,
quasi a voler mantenere da parte della Regione Toscana in ogni settore una
sorta di autoreferenzialità nell’ambito della regione stessa».
6. – Con ricorso notificato il 12-27
giugno 2006 e depositato il successivo 15 giugno (registro ricorsi n. 70 del
2006),
6.1. – La difesa regionale premette che,
con riferimento alla sezione II della parte III riguardante la tutela delle
acque dall’inquinamento «anche sotto l’aspetto degli strumenti pianificatori e
gestionali», sarebbe evidente l’interrelazione esistente fra le materie «tutela
dell’ambiente» e «governo del territorio» e di gestione dei vari settori di
«attività antropiche» di competenza concorrente e residuale della Regione. Ciò
nondimeno, osserva la ricorrente, detto settore di disciplina sarebbe stato
oggetto di «significative innovazioni», non giustificate da esigenze di
coordinamento ed «anzi apportatrici di elementi di contraddizione […] ed
improntate ad un accentramento dei compiti […] nella sede ministeriale», così
determinando una «compressione del ruolo delle Regioni e delle autonomie
locali».
6.2. – In particolare, i motivi di
censura sopra evidenziati andrebbero rivolti, in primo luogo, nei confronti
dell’art. 91, commi 2 e 6, nel quale «vengono individuate nuove competenze
ministeriali, per il cui esercizio viene genericamente sentita
6.3. – In secondo luogo, l’art. 96 del
d.lgs. n. 152 del 2006, secondo
6.4. – In terzo luogo,
6.5. – Gli artt. 113, comma 1, e 114,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 risulterebbero, del pari, illegittimi in
quanto «la potestà normativa regionale sulla disciplina delle acque meteoriche
di dilavamento e sulla disciplina di restituzione delle acque» verrebbe
«inopinatamente subordinata e condizionata ad attività amministrativa
ministeriale "previo parere del Ministero dell’ambiente”».
6.6. – Quanto agli artt. 116 e 121,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa regionale deduce che, nella
parte in cui, rispettivamente, sottopongono «all’approvazione dell’Autorità di
bacino il programma di misure integrativo del piano di tutela di cui all’art.
121» e prevedono che le «Regioni trasmettano il piano di tutela al Ministro
dell’ambiente "per le verifiche di competenza”», evidenzierebbero «una logica
di subordinazione delle potestà regionali di pianificazione e programmazione
[…] alla supervisione ed […] al controllo di organismi ed organi statali», in
contrasto sia con il riparto costituzionale delle competenze sia con il quadro
complessivo delle rispettive attribuzioni amministrative scaturite dal d.lgs.
n. 112 del 1998.
7. – Con atto depositato in data 6
luglio 2006, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato,
riservandosi di depositare successive memorie illustrative.
Preliminarmente, a confutazione della
tesi di fondo prospettata dalla Regione Piemonte, la difesa erariale osserva
che il «cosiddetto carattere trasversale della materia ambientale, se legittima
la possibilità delle Regioni di provvedere attraverso la propria legislazione
esclusiva o concorrente (governo del territorio, agricoltura, sanità, edilizia
etc.) su temi che hanno riflessi sulla materia ambientale», non costituirebbe
per contro «limite alla competenza esclusiva dello Stato a stabilire regole
omogenee nel territorio nazionale per procedimenti e competenze che attengono
specificamente alla tutela dell’ambiente ed alla salvaguardia del territorio».
In particolare, ad avviso della difesa
erariale, la legislazione statale, pur potendo tener conto delle
«incidenze dirette ed indirette delle proprie leggi sugli assetti normativi ed
organizzativi delle Regioni», non risulterebbe tuttavia «condizionata ad una
intesa forte, oltretutto di difficile perseguibilità in sede di redazione di
testi normativi di notevole complessità ed impatto».
8. – Con ricorso notificato il 13 giugno
2006 e depositato il successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 72 del 2006),
8.1. – La ricorrente premette che l’art.
95, rubricato «Pianificazione del
bilancio idrico», al comma 5 stabilisce che, «per le finalità di cui ai
commi l e 2, le Autorità concedenti effettuano il censimento di tutte le
utilizzazioni in atto nel medesimo corpo idrico sulla base dei criteri adottati
dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio con proprio decreto,
previa intesa con
Ad avviso della Regione Umbria, la
materia della «tutela quantitativa della risorsa idrica e della pianificazione
dell’utilizzazione di essa» rientrerebbe nella competenza regionale, come
dimostrerebbe lo stesso d.lgs. n. 152 del 2006 il quale attribuisce alle
Regioni il compito di elaborare il Piano di tutela delle acque (art. 121, commi
2 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006).
La norma impugnata, dunque, introducendo
la necessità di non meglio precisati «criteri» che devono essere prefissati con
decreto ministeriale – e così modificando la disciplina dettata dall’art. 22,
comma 6, d.lgs. n. 152 del 1999, che già consentiva alle Autorità concedenti di
limitare le utilizzazioni idriche –, da un lato, paralizzerebbe l’applicabilità
della norma «fino all’adozione dei criteri in questione», dall’altro, lederebbe
le competenze regionali, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118
Cost.
Inoltre, prosegue la ricorrente, poiché
non si comprenderebbe «l’utilità» dei menzionati criteri ministeriali, l’art.
95, comma 5, prima parte, violerebbe altresì l’art. 76 Cost., in relazione ai
principi di «economicità» e di «semplificazione» rispettivamente fissati agli
artt. 1, comma 9, e 1, comma 9, lettera b),
della legge n. 308 del 2004. Detta violazione dell’art. 76 Cost. si
tradurrebbe, ad avviso della ricorrente, «in lesione delle competenze
regionali, dato che la previsione dei criteri ministeriali costituisce un
vincolo per l’attività amministrativa regionale», interferendo, pertanto, con
«l’autonomia normativa della Regione».
8.2. – Quanto all’art. 96 del d.lgs. n.
152 del 2006, concernente il procedimento per il rilascio delle concessioni di
acqua pubblica,
8.3. – Anche con riguardo all’art. 101,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006,
9. – Con ricorso notificato il 13 giugno
2006 e depositato il successivo 16 giugno,
9.1. – Quanto all’art. 91, comma 1,
lettera d), che dichiara «aree
sensibili» le aree costiere «dell’Adriatico-Nord occidentale dalla foce
dell’Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i corsi d’acqua ad
essi afferenti per un tratto di
Inoltre, posto che, ad avviso della
ricorrente, la previsione impugnata sottrarrebbe parte dei corsi d’acqua alla
categoria delle «aree sensibili», essa si porrebbe in contrasto anche con
«l’art. 1, comma 8, lettere a), b) e f),
della legge n. 308 del 2004».
9.2. – Quanto al comma 2 del medesimo
art. 91, il quale affida al Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio, sentita
Sulla base di queste considerazioni, la
norma impugnata, secondo
Inoltre, qualora si ritenessero
infondate le suddette censure svolte nei confronti dell’art. 91, comma 2,
9.3. – Quanto all’art. 96 del d.lgs. n.
152 del 2006, la difesa della Regione Liguria prospetta questioni di
legittimità costituzionale identiche a quelle sollevate dalle Regioni
Emilia-Romagna e Umbria, riportate supra, rispettivamente, ai paragrafi n. 1.3., n. 1.4. e n. 8.2.
9.4. – Quanto agli artt. 113, comma 1, e
114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006 la difesa della Regione Liguria
propone questioni identiche a quelle sollevate dalla Regione Emila-Romagna e riportate supra ai paragrafi n. 1.8. e n.
1.9.
10. – Con ricorso notificato il 12
giugno 2006 e depositato il successivo 17 giugno (registro ricorsi n. 75 del
2006),
10.1. –
11. – Con ricorso notificato il 13
giugno 2006 e depositato il successivo 20 giugno (registro ricorsi n. 76 del
2006),
11.1. – L’art. 91 del d.lgs. n. 152 del 2006 – concernente, come si è detto, il potere del
Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio, sentita
Al riguardo, la ricorrente segnala di
aver già provveduto alla individuazione delle aree
sensibili, emanando la legge regionale 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro
sulle aree protette), proprio al fine di garantire e di promuovere la
conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio naturale ed
ambientale.
Conseguentemente, disciplinando
«funzioni rientranti nelle materie attribuite alle Regioni dall’art. 117, terzo
comma, Cost., ovvero» del «governo del territorio» e della «valorizzazione dei
beni ambientali», la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto «con il
riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni», nonché «con i principi generali
e di adeguatezza» sanciti dagli artt. 5 e 118 Cost., ed indicati dalla legge di
delega n. 308 del 2004.
11.2. – Quanto all’art. 101 del d.lgs.
n. 152 del 2006, la difesa regionale rileva che, al comma 7, esso assimila alle acque reflue domestiche
anche quelle provenienti da imprese zootecniche ed agricole, che potrebbero
essere notevolmente inquinanti e dannose per l’ambiente. Il successivo art.
104, inoltre, osserva ancora la ricorrente, pone il divieto di scarico diretto
nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, introducendo però una serie di
importanti deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal Ministro
dell’ambiente, anche senza richiedere il consenso o il parere regionale.
Conseguentemente, il combinato disposto
degli artt. 101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006 introdurrebbe un
«potere autorizzatorio esclusivo del Ministro, da esercitarsi in relazione a
qualsiasi ipotesi di scarico diretto di acque reflue», nonostante che, ad
avviso della Regione Puglia, un tale «potere di controllo» non potrebbe non
fondarsi in ambito regionale.
Alla luce di tali considerazioni, le
disposizioni impugnate risulterebbero anch’esse lesive, in primo luogo, dell’«assetto di competenze garantito dell’art. 117
Cost.», in quanto non terrebbero conto «del potere normativo regionale in
materia di "governo del territorio” e di "tutela della salute”», che potrebbe
estendersi fino a giustificare misure più rigorose di quelle previste a livello
statale, anche in considerazione della peculiarità territoriali di ogni singola
Regione.
In secondo luogo, posto che le
disposizioni in questione ridurrebbero le funzioni amministrative in precedenza
attribuite alle Regioni dalla legislazione statale di settore, esse
violerebbero i «principi generali di sussidiarietà e di valorizzazione del
ruolo delle autonomie locali».
12. – Con ricorso notificato il 13
giugno 2006 e depositato il successivo 21 giugno (registro ricorsi n. 78 del
2006),
12.1. – Con il primo motivo, la difesa
regionale deduce che l’art. 101, comma
7, del d.lgs. n. 152 del 2006 assimila alle acque reflue domestiche
gli scarichi derivanti
dalle imprese agricole, includendo
in queste ultime anche quelle che svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti
agricoli, purché tale attività,
inserita con carattere di normalità e complementarietà
funzionale nel ciclo produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività. di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità.
La «flessibilità» del criterio
introdotto dalla disposizione impugnata, secondo
Inoltre, la medesima disposizione
determinerebbe anche la violazione dell’«ulteriore criterio» posto dalla legge
n. 308 de 2004 «del rispetto delle attribuzioni già conferite alle Regioni,
giacché sin dalla legislazione di settore e dal decreto legislativo n. 112 del
1998 queste funzioni» sarebbero state loro «riconosciute».
13. – Con ricorso notificato il 13
giugno 2006 e depositato il successivo 21 giugno (registro ricorsi n. 79 del
2006),
13.1. – La difesa regionale rileva, in
primo luogo, che l’art. 91 del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce, al comma 2,
che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita
Conseguentemente, ad avviso della difesa
regionale, la previsione di un mero obbligo statale di «sentire»
Ciò, soggiunge
Ad avviso della Regione Marche, dunque,
la disposizione violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. «nella parte in cui non
prevede che il processo codecisionale sia garantito
attraverso un’intesa fra Stato e Regioni».
13.2. – Quanto agli artt. 113 e 114 del
d.lgs. n. 152 del 2006, la ricorrente lamenta che essi subordinano la potestà
normativa regionale in tema di «acque meteoriche di dilavamento e acque di
prima pioggia» nonché in tema di «restituzione delle acque utilizzate per la
produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di potabilizzazione»,
ad un previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Tali disposizioni, pertanto, prevedendo
la necessità di un parere statale obbligatorio «in grado quindi di limitare o,
più precisamente, subordinare lo svolgimento» dell’attività legislativa
regionale, violerebbero l’art. 117 Cost..
13.3. –
La procedura in questione, secondo la
ricorrente, pur prevedendo un coinvolgimento dei livelli regionali, che
predispongono i programmi, attribuirebbe di fatto le
determinazioni finali allo Stato, attraverso l’Autorità di bacino, cui è
demandata la approvazione dei programmi medesimi, con la conseguenza che il
modello procedimentale previsto non consentirebbe un confronto paritario fra i
vari interessi coinvolti, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del
principio della leale cooperazione.
14. – Con ricorso notificato il 13
giugno 2006 e depositato il successivo 23 giugno (registro ricorsi n. 80 del
2006),
14.1. – Ad avviso della ricorrente, la
disposizione, equiparando ai fini della disciplina e delle autorizzazioni degli
scarichi i reflui domestici a quelli derivanti dalle imprese agricole, in forza
di un criterio indeterminato – prevedendo che rientrino in tale disciplina gli
scarichi provenienti anche da imprese agricole che svolgono attività di
trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli, purché tale attività,
inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo
produttivo aziendale, riguardi materia prima lavorata prodotta in misura
prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni – rimetterebbe ad una
valutazione discrezionale della p.a. la inclusione, o
meno, di singole fattispecie nel campo applicativo della norma, diversamente da
quanto disposto in precedenza con l’art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 1999, il quale
fissava invece un criterio certo di distinzione.
Conseguentemente, ad avviso della difesa
regionale, la previsione censurata, autorizzando di fatto
i produttori ad osservare livelli di trattamento meno rigorosi rispetto al
passato, si porrebbe in contrasto sia con l’art. 1, comma 8, lettera a), della legge n. 304 del 2008, che pone l’obiettivo
di garantire «il miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione
della salute umana all’utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali», sia con il successivo comma 9, lettera b), concernente l’obiettivo di «pianificare, programmare ed attuare
interventi diretti a garantire la tutela ed il risanamento dei corpi idrici e
superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi».
15. – In tutti i giudizi, ad eccezione
di quello introdotto dalla Regione Calabria, è intervenuta l’Associazione
italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus, chiedendo che
In prossimità dell’udienza di
discussione, l’Associazione ha depositato memorie con le quali insiste nelle
conclusioni già rassegnate negli atti di intervento.
16. – Nel giudizio introdotto con il
ricorso della Regione Piemonte, hanno spiegato intervento ad opponendum
17. — Nell’imminenza dell’udienza
pubblica tutte le Regioni, ad eccezione del Piemonte, dell’Abruzzo e della
Basilicata, hanno depositato memorie ad integrazione delle motivazioni svolte
nei ricorsi a sostegno delle singole questioni di costituzionalità sollevate,
ponendo in evidenza, fra l’altro, gli effetti di alcune modifiche sopravvenute
nelle more del presente giudizio, riguardo ad alcune delle norme impugnate.
In particolare, le difese regionali
osservano che l’art. 101, comma 7, è stato modificato ad
opera dell’art. 2, comma 8, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori
disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
recante norme in materia ambientale), e che, tuttavia, tale ius superveniens, estendendo ulteriormente
la possibilità di assimilazione dei reflui domestici a quelli provenienti da
determinate categorie di imprese, avrebbe non solo confermato ma addirittura
aggravato le ragioni di censura svolte sulla formulazione originaria della
norma in questione.
Quanto alla ulteriore
modifica che ha investito l’art. 104, comma 3, ad opera dell’art. 7, comma 6,
del d.lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (Attuazione della direttiva 2006/118/CE,
relativa alla protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento e dal
deterioramento), il quale ha restituito alle Regione il potere di
autorizzazione dello scarico di acque risultanti dall’estrazione di idrocarburi
nelle unità del sottosuolo da cui sono stati estratti, le difese regionali
osservano di aver interesse comunque a che
Considerato in diritto
1. – Le Regioni Emilia-Romagna (con due
distinti ricorsi), Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo,
Puglia, Campania, Marche e Basilicata, hanno proposto in via principale, tra
l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 91, 95, 96, 101,
104, 113, 114 e 116 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), in riferimento agli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118,
119, 120 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione.
Le Regioni Puglia, Emilia-Romagna ed
Abruzzo hanno, altresì, chiesto la sospensione dell’efficacia, la prima, degli
artt. 91, 101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, la seconda e la
terza, del solo art. 101, comma 7, del medesimo decreto legislativo.
1.1. – In particolare, le ricorrenti
hanno prospettato le seguenti censure:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
l)
m)
2. – In ragione della loro connessione
oggettiva, i ricorsi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica
pronuncia.
3. – Riservate a separate decisioni le
ulteriori questioni di legittimità costituzionale sollevate con i medesimi
ricorsi, in via preliminare occorre premettere che questa Corte, con ordinanza
letta nell’udienza pubblica del 5 maggio 2009 e allegata alla presente sentenza,
ha dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio dell’Associazione italiana
per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus, della Biomasse Italia S.p.a.,
della Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET S.r.l.,
della Ital Green Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie
Tecnologie Ambiente S.p.a., in applicazione
dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui il giudizio
di costituzionalità in via principale si svolge «esclusivamente fra soggetti
titolari di potestà legislativa, fermi restando per i soggetti privi di tale
potestà i mezzi di tutela dello loro posizioni soggettive, anche
costituzionali, di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del
2008).
4. – Preliminarmente, devono essere
esaminati i profili di inammissibilità delle censure prospettate.
5. – In primo luogo, va dichiarata la inammissibilità delle questioni di legittimità sollevate
dalla Regione Piemonte nei confronti degli artt. 91, 96, 104, comma 3, 113,
comma 1, e 114, comma 1, 116 del d.lgs. n. 152 del
Tutte le
censure richiamate risultano affette
dal medesimo vizio di genericità, in quanto non sorrette da un’autonoma e
specifica motivazione in relazione a ciascuno dei numerosi parametri
costituzionali, di volta in volta, indistintamente invocati.
6. – Deve essere dichiarata la inammissibilità anche della questione di legittimità
costituzionale, sollevata dalla sola Regione Liguria, dell’art. 91, comma 1,
lettera d), del d.lgs. n. 152 del
Secondo la ricorrente, tale previsione,
da un lato, violerebbe la lettera a)
dell’allegato 2, della direttiva 21 maggio 1991, n. 91/271/CEE (Direttiva del
Consiglio concernente il trattamento delle acque reflue urbane), la quale non
prevede tale limite; dall’altro, si porrebbe in contrasto con i principi e i
criteri direttivi stabiliti dall’art. 1, comma 8, lettere a), b)
e f), della legge n. 308 del 2004, sottraendo parte dei corsi d’acqua
alla categoria delle cosiddette «aree sensibili».
Al riguardo, è sufficiente rilevare che
la norma è inidonea a produrre alcun tipo di effetto sul territorio della
Regione Liguria.
Conseguentemente tale censura è
inammissibile per difetto di interesse al ricorso.
7. – Del pari inammissibile, per
genericità della motivazione posta a fondamento dei prospettati profili di
illegittimità costituzionale, è la censura sollevata dalla Regione Liguria nei
confronti dell’art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 152 del
Infatti, la ricorrente si è limitata a
dedurre, in relazione a tale specifico parametro, che «non sussistono ragioni
di esercizio unitario che giustifichino la competenza statale».
Al riguardo va ribadito che, come
costantemente affermato da questa Corte, «nel giudizio di legittimità
costituzionale in via principale l’esigenza di una adeguata
motivazione dell’impugnazione si pone in termini anche più pregnanti che in
quello in via incidentale (ex plurimis: sentenze n. 428, n. 120 e n. 2 del 2008; n. 430 del 2007)»,
cosicché «la mancata esplicitazione delle argomentazioni, anche minime, atte a
suffragare la censura proposta è causa di inammissibilità della questione di
costituzionalità sollevata» (così sentenza n. 38 del
2007).
8. – Per lo stesso motivo deve essere
dichiarata la inammissibilità della censura sollevata
dalla medesima Regione Liguria nei confronti del successivo art.
9. – Anche le questioni di legittimità
costituzionale proposte dalle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria nei confronti
del medesimo art. 96, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
In entrambi i casi, infatti, le
ricorrenti non hanno fornito alcuna specificazione né in ordine al motivo della
dedotta illegittimità della lamentata «sovrapposizione» della disciplina
statale a quella regionale, né in ordine alle ragioni della ipotizzata
violazione del principio di sussidiarietà.
10. – Deve essere dichiarata
l’inammissibilità anche delle censure sollevate nei confronti dell’art. 101,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del
2006, dalle Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Umbria, Abruzzo, Campania,
Basilicata, in riferimento agli artt. 117, primo e terzo comma, e 76 Cost.,
quest’ultimo in relazione alla asserita violazione
degli obiettivi di «miglioramento della qualità dell’ambiente, della protezione
della salute umana, dell’utilizzazione accorta e razionale delle risorse
naturali», nonché di «pianificare, programmare e attuare interventi diretti a
garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali e sotterranei,
previa ricognizione degli stessi»; obiettivi fissati dall’art. 1, comma 8,
lettera a), e dalla lettera b) del successivo comma 9 della legge di
delega n. 308 del 2004.
In particolare, ad avviso delle
ricorrenti, l’art. 101, comma 7, del d.lgs.
n. 152 del 2006 – il quale assimila alle acque reflue domestiche gli scarichi
derivanti dalle imprese agricole, includendo in tale categoria anche quelle che
svolgono attività di trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,
purché tale attività riguardi materia prima lavorata proveniente in misura prevalente
dall’attività di coltivazione dei terreni – determinerebbe un peggioramento del
livello di protezione dell’ambiente, con particolare riguardo alle
caratteristiche di qualità delle acque del corpo recettore.
Ciò in violazione sia del riparto di
competenze fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost., sia dell’art. 76
Cost. per contrasto – oltre che con gli «obiettivi di qualità» stabiliti a
livello comunitario – con i menzionati principi e i criteri direttivi della
legge di delega n. 308 del 2004.
Al riguardo, va osservato che, con
riferimento all’art. 117 Cost., le ricorrenti si sono limitate a dedurre in
maniera assertiva la lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, senza
alcuna specifica individuazione delle medesime.
Con riferimento all’art. 76 Cost., le
singole censure si fondano su una pretesa riduzione delle proprie attribuzioni
derivante dall’ipotizzato carattere peggiorativo, per la tutela dei corpi
idrici recettori, della misura introdotta con l’art.
101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 rispetto a quella precedentemente
contemplata dall’art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152
(Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva
91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della
direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento
provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), decreto da considerarsi
indirettamente richiamato dalla legge di delega n. 308 del 2004.
Tuttavia,
anche sotto questo aspetto, non risulta assolto l’onere di precisare
adeguatamente quali attribuzioni costituzionali delle Regioni, ad avviso delle
ricorrenti, risulterebbero lese dalla previsione censurata; ciò a prescindere
dall’interpretazione della norma di delega con riferimento al richiamo del
precedente decreto legislativo (sentenza n. 225 del
2009).
10.1. – Ad identiche conclusioni deve pervenirsi nei riguardi della censura
formulata dalla Regione Calabria in merito al medesimo art. 101, comma 7, per
contrasto, oltre che con gli artt. 117, terzo comma, e 76 Cost. (in relazione
ai quali valgono le medesime considerazioni appena svolte), anche con l’art.
117, primo comma, Cost.
11. – Risultano inammissibili anche le
censure prospettate dalla Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117
e 76 Cost. – quest’ultimo in relazione all’art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004 –, nei confronti dell’art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.
11.1. – La norma impugnata, in deroga al
divieto generale di «scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo»
stabilito al comma 1 della medesima disposizione, attrae al livello
ministeriale la possibilità di autorizzare «lo scarico di acque risultanti
dall’estrazione di idrocarburi nelle unità geologiche profonde da cui gli
stessi idrocarburi sono stati estratti, oppure in unità dotate delle stesse
caratteristiche, che contengano o abbiano contenuto idrocarburi, indicando le
modalità dello scarico».
Ad avviso della ricorrente, tale
previsione risulterebbe in contrasto con gli artt. 76 e 117 Cost., in quanto
determinerebbe una riduzione delle attribuzioni amministrative regionali, posto
che, in precedenza, ai sensi degli artt. 86-89 del d.lgs. n. 112 del 1998, il
potere di autorizzare tale tipo di scarico spettava alla Regione.
11.2. – Preliminarmente all’esame della
questione, va rilevato che, nelle more del presente giudizio, l’art. 104, comma
3, del d.lgs. n. 152 del 2006 è stato modificato ad opera
dell’art. 7, comma 6, del d.lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (Attuazione della
direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee
dall’inquinamento e dal deterioramento), il quale ha restituito alle Regioni il
potere di autorizzazione dello scarico di acque risultanti dall’estrazione di
idrocarburi nelle unità del sottosuolo in cui erano presenti.
Come correttamente osservato dalla
difesa regionale, nonostante la natura satisfattiva
del citato ius superveniens,
non è cessata la materia del contendere sulla questione, tenuto conto che, per
la natura di dettaglio della disposizione in esame, non può escludersi che,
limitatamente al periodo della sua vigenza, essa abbia avuto concreta
applicazione.
Pertanto, questa Corte si deve
pronunciare sulla formulazione dell’art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del
2006, antecedente alla citata modifica normativa e vigente al momento
dell’instaurazione del presente giudizio.
11.3. – Sebbene non sia intervenuta la
cessazione della materia del contendere per le ragioni innanzi precisate,
tuttavia deve ritenersi che la ricorrente non abbia interesse alla impugnazione, in quanto la norma, nella sua originaria
formulazione, ha assicurato il coinvolgimento regionale attraverso il
meccanismo dell’intesa, oltre che con il «con il Ministro delle attività
produttive», anche con le Regioni interessate.
Di qui la inammissibilità
della censura per difetto di interesse.
12. – Altrettanto inammissibile è la
questione sollevata dalla sola Regione Emilia-Romagna relativamente all’art.
104, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede la
possibilità di autorizzare «gli scarichi nella stessa falda delle acque
utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti, purché i relativi
fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali».
In particolare,
A prescindere dall’omessa indicazione
del parametro costituzionale che si ritiene violato, la censura è inammissibile
per l’indeterminatezza della motivazione, in quanto la ricorrente non ha
specificato quali attribuzioni regionali verrebbero lese in dipendenza della
violazione della suddetta disciplina comunitaria.
13. – Parimenti inammissibile è la
questione proposta dalla Regione Calabria nei confronti dell’art. 116 del
d.lgs. n. 152 del
14. – Ancora, va esclusa la ammissibilità della questione di legittimità costituzionale
sollevata dalla Regione Puglia nei confronti del combinato disposto degli artt.
101, comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del
La ricorrente, dunque, non si fa carico
di argomentare in ordine alle ragioni dell’asserito contrasto tra i contenuti
normativi delle disposizioni impugnate (in combinato disposto fra loro) e la affermata competenza legislativa regionale di dettare
livelli di tutela più elevati.
15. – A questo punto è possibile passare
ad esaminare i profili di merito delle rimanenti censure prospettate dalle
Regioni ricorrenti.
16. – Considerato che numerose tra le
questioni proposte, sollevate in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost.,
risultano argomentate sulla base della violazione dei principi e criteri
direttivi fissati dall’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, appare
opportuno, prima di esaminare i singoli profili di censura, precisarne la
portata ed il contenuto.
In particolare, il menzionato art. 1,
comma 8, della legge n. 308 del 2004 prevede, tra i criteri e principi
direttivi della delega, quello per il quale «i decreti legislativi di cui al
comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e
delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle
attribuzioni delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi
dell’articolo 117 della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e
le relative norme di attuazione delle regioni a statuto speciale e delle
province autonome di Trento e di Bolzano, e del principio di sussidiarietà».
16.1. – Al riguardo, va ribadito che
l’interpretazione della legge di delega di cui si tratta, tenuto conto della eterogeneità delle fonti cui essa fa riferimento, deve
basarsi sul «preminente rilievo» che, tra loro, va riconosciuto alle fonti
costituzionali, rispetto al quale il richiamo alle fonti ordinarie è da
intendersi «nel senso che esso è operante nella misura in cui le disposizioni
delle suddette fonti subcostituzionali siano coerenti
con il nuovo assetto del riparto delle competenze». In tale contesto assume
particolare importanza il riferimento, contenuto nella norma delegante, al
principio di sussidiarietà, utilizzando il quale può essere considerato
validamente operante il precedente riparto delle competenze in materia di
tutela dell’ambiente risultante tanto dalla legge n. 59 del 1997, quanto dal
d.lgs. n. 112 del 1998. Ciò comporta che la valutazione di conformità a
Costituzione delle nuove disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto di
impugnazione regionale, deve essere condotto, alla luce dell’insieme dei criteri
direttivi della delega legislativa (sentenze n. 225 e n. 232 del 2009).
16.2. – Dalle considerazioni che
precedono discende che non è sufficiente, al fine di ritenere illegittima una
disposizione del d.lgs. n. 152 del 2006 per contrasto con i principi enunciati
dall’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, la mera deduzione
dell’effetto riduttivo delle attribuzioni regionali della disciplina posta dal
d.lgs. n. 152 rispetto a quella contenuta nel d.lgs. n. 112 del 1998, ma è
necessario specificare in quale ambito il suddetto effetto si è prodotto.
17. – Devono essere dichiarate non
fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti
dell’art. 91, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, dalla Regione Calabria –
in riferimento agli artt. 117, 118 e 76 Cost. e al principio di leale
collaborazione –, dalla Regione Toscana – in riferimento agli artt. 117 e 118
Cost. e al principio di leale collaborazione –, dalla Regione Liguria (con
riguardo al solo comma 2) – in riferimento agli artt. 5 e 76 Cost. –, dalla
Regione Puglia (con riguardo al solo comma 2) – in riferimento agli artt. 5,
76, 117, terzo comma, e 118 Cost. –, nonché dalla
Regione Marche, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost.
La disposizione impugnata prevede che
spetta al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita
Le ricorrenti deducono, in primo luogo,
la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del principio di leale
collaborazione, in quanto, posto che dalla individuazione
delle aree territoriali – che richiedono una tutela particolare ed ulteriore –
qualificate «aree sensibili», discenderebbe un’incisione diretta sulle
politiche del governo del territorio (oltre che sulla materia della tutela
della salute), le relative funzioni dovrebbero essere rimesse ad un decreto
ministeriale da adottarsi non semplicemente «sentita»
In secondo luogo, per le ricorrenti, la
disposizione impugnata violerebbe altresì l’art. 76 Cost., per contrasto con i
principi e i criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004, poiché realizzerebbe un’indebita riattrazione
allo Stato della competenza concernente la individuazione
delle «ulteriori aree sensibili»; funzione già trasferita alle Regioni
dall’art. 18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 1999.
Ad avviso della Regione Liguria,
inoltre, detta allocazione in capo allo Stato «di funzioni amministrative già
decentrate a livello regionale» rappresenterebbe una «"marcia indietro” nel
processo autonomistico» in violazione anche dell’art. 5 Cost.
17.1. – A parte l’evidente inconferenza del richiamo all’art. 5 Cost., deve
osservarsi, con riferimento agli altri profili di illegittimità costituzionale
dedotti, che la disposizione censurata ha assegnato un ruolo primario alla
funzione statale di individuazione delle cosiddette «aree sensibili»,
precedentemente riconosciuta solo alle Regioni sulla base del sistema normativo
delineato dai decreti legislativi n. 112 del 1998 e n. 152 del 1999.
In particolare, l’art. 80, comma 1,
lettera n), del d.lgs. n. 112 del
1998 assegnava allo Stato compiti di «normazione generale e tecnica», nonché di «elaborazione
sistematica delle informazioni e dei dati conoscitivi raccolti dalle pubbliche
amministrazioni», mentre il successivo art. 81, comma 1, disponeva il
conferimento «alle Regioni e agli enti locali» di «tutte le funzioni
amministrative non espressamente indicate negli articoli che precedono».
Inoltre, l’art. 18 del d.lgs. n. 152 del
1999 assegnava alle Regioni il potere di identificazione delle aree sensibili,
prescrivendo che avvenisse, «sulla base dei criteri stabiliti nell’allegato 6» dello stesso decreto n.
152 del 1999 «e sentita l’Autorità di bacino».
17.2. – La scelta operata con il decreto
legislativo n. 152 del 2006 è stata, invece, quella di introdurre un duplice
potere di individuazione delle aree sensibili: quello statale, disciplinato ai
commi 2 e 6 della disposizione impugnata, e quello regionale, stabilito al
comma 4 del medesimo articolo, secondo il quale «le Regioni, sulla base dei
criteri di cui al comma 1 e sentita l’Autorità di bacino, entro un anno dalla
data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, e
successivamente ogni due anni, possono designare ulteriori aree sensibili
ovvero individuare all’interno delle aree indicate nel comma 2 i corpi idrici
che non costituiscono aree sensibili».
17.3. – Premesso che l’ambito di
intervento della norma censurata è ascrivibile alla materia dell’ambiente,
attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera s),
Cost., l’allocazione delle funzioni amministrative operata con la disposizione
impugnata risulta, invero, coerente anche con il principio di sussidiarietà.
Al riguardo, si rileva, infatti, che la
funzione di individuazione delle aree maggiormente esposte al rischio di
inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei,
dovendo, al contempo, tener conto anche delle peculiarità territoriali sulle
quali viene ad incidere.
Sotto entrambi i profili, la
disposizione impugnata offre una soluzione non costituzionalmente illegittima, posto che la citata funzione amministrativa statale di
individuazione (da esercitarsi previa acquisizione del parere della Conferenza
Stato-Regioni) si affianca a quella delle Regioni le quali, oltre a poter
designare a propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a quelle indicate
dallo Stato, possono altresì indicare, nell’ambito delle aree definite ai sensi
del comma 2, i corpi idrici che, secondo propria valutazione, non possono
rientrare in detta categoria.
Quanto al potere statale di «reidentificazione» delle aree medesime, disciplinato al
successivo comma 6, esso risulta connotato da una natura eminentemente
ricognitiva a cadenza periodica, che non comporta, pertanto, alcuna modifica
sostanziale dell’assetto allocativo delineato dai commi 2 e 4 che lo precedono.
18. – Deve essere respinta, altresì, la
censura sollevata, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla sola
Regione Umbria nei confronti dell’art. 95, comma 5, del d.lgs. n. 152 del
Secondo la ricorrente, la disposizione
censurata avrebbe modificato la disciplina dettata dall’art. 22, comma 6, del
d.lgs. n. 152 del 1999, che già consentiva alle medesime Autorità concedenti di
limitare le utilizzazioni idriche, così violando non solo le competenze regionali
(in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.), ma anche i principi di
«economicità» e «semplificazione» dettati dall’art. 1,
comma 9, lettera b), della legge n.
308 del
18.1. – In primo luogo, risulta erronea
la premessa posta a base dei profili di censura svolti con riferimento agli
artt. 117 e 118 Cost., secondo la quale la materia della «tutela quantitativa
della risorsa idrica e della pianificazione dell’utilizzazione di essa»
andrebbe ascritta ad una (non meglio precisata) competenza legislativa
concorrente regionale, dal momento che essa rientra senz’altro nella materia
«tutela dell’ambiente».
18.2. – In secondo luogo, anche a
prescindere dalla genericità del ricorso in ordine alla dedotta «lesione delle
competenze regionali» ad opera della disposizione
impugnata, deve osservarsi, in relazione alla asserita violazione dell’art. 76
Cost. – per contrasto con l’incipit
dell’art. 1, comma 9, nonché con la lettera b)
del medesimo comma 9, della legge n. 308 del 2004 –, che la disposizione
impugnata subordina l’adozione dei criteri ministeriali in questione ad una
«previa intesa» con
19. – Del pari non fondate sono le
censure sollevate nei confronti degli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006.
19.1. – La prima delle disposizioni
impugnate assegna alle Regioni i compiti di «disciplinare» e/o di «attuare»: a)
le «forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento
provenienti da reti fognarie separate»; b) «i casi in cui può essere richiesto
che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite
altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi
compresa l’eventuale autorizzazione». La seconda disposizione prevede che le
«Regioni, previo parere del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio, adottano apposita disciplina in materia di restituzione delle acque
utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in impianti di
potabilizzazione, nonché delle acque derivanti da sondaggi o perforazioni
diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di idrocarburi, al
fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di
qualità di cui al titolo II della parte terza del presente decreto».
Entrambe le previsioni violerebbero, per
le Regioni Emilia-Romagna e Liguria, gli artt. 76, 117 e 118 Cost.; per
Ad avviso delle ricorrenti, infatti,
tali previsioni, pur attribuendo alle Regioni la competenza a disciplinare le
forme di controllo degli scarichi in questione, subordinerebbero il relativo
procedimento normativo ad un «parere» del Ministro.
19.2. – Invero – nonostante la
formulazione ambigua delle norme in questione, nelle quali vengono
indistintamente accomunate funzioni normative e amministrative – non può essere
condivisa la tesi prospettata dalle ricorrenti e fatta oggetto delle censure, secondo
cui la competenza normativa attribuita alle Regioni risulterebbe, in entrambi i
casi, illegittimamente condizionata al previo parere del Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio.
Sulla base del canone
dell’interpretazione conforme a Costituzione, infatti, non solo non può essere
riconosciuta natura vincolante al parere in argomento, ma, soprattutto, esso
deve intendersi riferito alla sola funzione amministrativa e non già anche a
quella normativa.
19.3. – In considerazione della natura non
vincolante del parere, infine, deve escludersi che la norma censurata determini
alcuna sostanziale riduzione del potere amministrativo ad esso condizionato,
con conseguente infondatezza anche delle questioni proposte in relazione a
profili di illegittimità attinenti alla violazione degli artt. 118 e 76 Cost.
20. – Restano da esaminare le questioni
di legittimità costituzionale concernenti gli artt. 96, comma 1, e 116 del
d.lgs. n. 152 del 2006, tutte incentrate, prevalentemente, sul ruolo rivestito
dall’Autorità di bacino territorialmente competente nell’ambito dei
procedimenti amministrativi rispettivamente regolati dalle disposizioni
impugnate e sulla asserita illegittimità di esso in
riferimento sia all’art. 76 Cost. (per contrasto sia con gli obiettivi di
semplificazione posti dall’art. 1, comma 9, lettera b, della legge n. 308 del 2004, e con quelli di mantenimento delle
attribuzioni regionali già delegate dal d.lgs. n. 112 del 1998) sia, più in
generale, per violazione del riparto di competenze stabilito dall’art. 117
Cost., nonché dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Le questioni non sono fondate.
20.1. – In particolare, quanto al citato
art. 96, comma 1, le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Liguria lamentano che la
previsione determinerebbe un aggravio del procedimento di concessione di acqua
pubblica, perché subordina il rilascio della concessione al parere vincolante della Autorità di bacino (organo, oggi, di natura statale in
quanto privo di alcuna rappresentanza regionale), così menomando il potere già
spettante alle Regioni ai sensi degli artt. 86-89 del d.lgs. n. 112 del
20.2. – Sul punto, occorre richiamare
quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 232 del
2009, secondo cui «se è vero […]
che le competenze di tale nuovo organismo possono indirettamente avere
conseguenze su ambiti materiali di competenza concorrente (come il governo del
territorio), è anche vero che il coinvolgimento delle Regioni è assicurato» da
quanto previsto dall’art. 63 del d.lgs. n. 152 del
Inoltre, la redistribuzione delle
competenze amministrative operata dalla norma impugnata risulta coerente, per i
motivi già illustrati (supra,
paragrafo n. 16.1.), con l’attuazione dei criteri direttivi della legge di
delega n. 308 del 2004.
Non sussiste, pertanto, la denunziata
violazione dell’art. 76 Cost.
20.3. – Quanto all’art. 116 del d.lgs.
n. 152 del 2006, le Regioni Toscana e Marche lamentano che tale norma, pur
attribuendo loro la competenza a predisporre i «programmi di misure» – ossia di
quelle misure reputate necessarie per la tutela qualitativa e quantitativa del
sistema idrico –, subordinandone l’efficacia alla approvazione
alla Autorità di bacino medesima (non sufficientemente rappresentativa degli
interessi regionali), di fatto affiderebbe il vero potere decisionale in ordine
ad esse a detto organo, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione.
20.4. – Si osserva, al riguardo, che la
normativa impugnata consente, in effetti, allo Stato di concorrere, attraverso
il parere delle Autorità di bacino al quale
Tale previsione, nondimeno, per gli
stessi motivi evidenziati in relazione all’art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006 e
coerentemente con quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 232 del
2009, non risulta in contrasto né con i principi di sussidiarietà e di
leale collaborazione, né con il riparto di competenze fra Stato e Regioni.
Infatti, occorre considerare che i
programmi di misure di tutela dei corpi idrici integrano
i più ampi piani di tutela delle acque, ponendosi con essi in un rapporto di
stretto collegamento.
La previsione della sottoposizione di
detti programmi ad una approvazione da parte
dell’Autorità di bacino, dunque, risponde alla duplice necessità di demandare
ad un organo idoneo – per struttura e composizione – a valutare la coerenza del
quadro complessivo dell’attività di programmazione derivante dai concorrenti
strumenti di pianificazione in materia di tutela delle acque, nonché di
assicurare una adeguata partecipazione, al relativo procedimento di formazione,
delle Regioni nel cui territorio debbono essere attuate le misure di tutela in
questione.
21. – Deve dichiararsi, infine, non
luogo a provvedere sulle istanze di sospensione avanzate, rispettivamente,
dalla Regione Puglia, nei confronti degli artt. 91, 101, comma 7, e 104 del
d.lgs. n. 152 del 2006, e dalla Regione Abruzzo, nei confronti del solo art.
101, comma 7, del medesimo decreto legislativo, essendo stato deciso il merito
dei ricorsi.
Quanto alla istanza
di sospensione in via cautelare proposta dalla Regione Emilia-Romagna, questa
Corte si è già pronunciata con ordinanza di non luogo a provvedere n. 245 del
2006.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
riservata a separate pronunce la decisione sulle altre
questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale nei
confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale)
dalle Regioni Emilia-Romagna, Calabria, Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria,
Abruzzo, Puglia, Campania, Marche, Basilicata con i ricorsi indicati in
epigrafe;
1) dichiara
inammissibili gli interventi della Associazione
italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus (nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna,
Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e
Basilicata con i ricorsi indicati in epigrafe), della Biomasse Italia S.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche –
SICET S.r.l., della Ital Green Energy S.r.l e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente S.p.a. (nel giudizio promosso dalla Regione Piemonte con il
ricorso indicato in epigrafe);
2) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 91, commi 2 e 6, 96, 104,
comma 3, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del 2006,
proposte, in riferimento agli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost., nonché al principio di leale
collaborazione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in
epigrafe;
3) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 91, comma 1, lettera d), 91 comma 2, e 96, comma 1, del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118
Cost., dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 96, comma 1, 101, comma 7,
e 104, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli
artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 96, comma 1, e 101, comma
7, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e
118 Cost., dalla Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 101, comma 7, e 116 del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 114, 117, primo
e terzo comma, e 118 Cost., dalla Regione Calabria, con il ricorso indicato in
epigrafe;
7) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76 e 117 Cost., dalle Regioni
Umbria, Abruzzo e Campania, con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006, proposta, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Regione
Basilicata, con il ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 101, comma 7, e 104 del
d.lgs. n. 152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e
118 Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, comma 2, del d.lgs. n.
152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 5, 76, 117 e 118 Cost., dalle
Regioni Liguria e Puglia, con i ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 91, commi 2 e 6, del d.lgs.
n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. e al
principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana e Marche,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
12) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 95, comma 5, del d.lgs. n.
152 del 2006, proposta, in riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla
Regione Umbria, con il ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 96, comma 1, del d.lgs. n.
152 del 2006, proposte, in riferimento all’art. 76 Cost., dalle Regioni Umbria,
Emilia-Romagna e Liguria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
14) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 113, comma 1, e 114, comma
1, del d.lgs. n. 152 del 2006, proposte, in riferimento agli artt. 76, 117 e
118 Cost., dalle Regioni Emilia-Romagna, Liguria, Calabria, Toscana e Marche,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
15) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 116 del d.lgs. n. 152 del
2006, proposte, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost. e al principio di
leale collaborazione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio
2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio
2009.
Allegato:
ordinanza letta all’udienza del 5 maggio 2009
ORDINANZA
Considerato che il presente giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via
di azione, è configurato come svolgentesi
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, in quanto avente
ad oggetto questioni di competenza normativa, fermi restando, per i soggetti
privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche
costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente
anche di fronte a questa Corte in via incidentale (sentenze nn.
405 del 2008
e 469 del 2005).
per questi motivi
dichiara inammissibile
l'intervento spiegato nei giudizi indicati in epigrafe dalla Associazione
Italiana per il World Wide Fund for
Nature - ONLUS e da Biomasse Italia S.p.a., Società
Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l., Ital
Green Energy S.r.l. ed E.T.A. Energie Tecnologiche Ambiente S.p.a.
F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente