Sentenza n. 332 del 2006

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SENTENZA N. 332

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                     Giudice

- Francesco               AMIRANTE                 "

- Ugo                        DE SIERVO                 "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                      FINOCCHIARO           "

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                      MAZZELLA                 "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                    "

- Maria Rita              SAULLE                      "

- Giuseppe                TESAURO                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell’art. 4, commi 2, lettera c), 4 e 5, dell’art. 6, comma 4, e dell’art. 9, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale), promosso con ordinanza del 30 luglio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sul ricorso proposto dalla Lega italiana per l’abolizione della caccia (L.A.C.) ed altra contro la Regione Emilia-Romagna ed altri, iscritta al n. 1018 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l’avvocato Maria Chiara Lista per la Regione Emilia-Romagna.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, con ordinanza del 30 luglio 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell’art. 4, commi 2, lettera c), 4 e 5, dell’art. 6, comma 4, e dell’art. 9, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale).

Premette il rimettente che il giudizio a quo ha ad oggetto l’impugnazione di tre delibere emesse dalla Giunta provinciale di Bologna e dalla Giunta regionale dell’Emilia-Romagna in esecuzione della legge impugnata, di talché l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima determinerebbe la illegittimità derivata delle cennate delibere.

In punto di non manifesta infondatezza, il TAR rimettente, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale in materia di «tutela dell’ambiente» lo Stato nel dettare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale può anche incidere sulle competenze legislative regionali, rileva che tali standard – nei quali si devono ricomprendere sia l’elencazione delle specie cacciabili, sia la disciplina delle modalità della caccia – devono essere individuati, per quanto attiene alla salvaguardia della fauna selvatica, nel complesso delle disposizioni di cui alla legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

Alla luce di tali premesse, a parere del giudice a quo, la legge regionale impugnata contrasterebbe con i parametri costituzionali evocati, in quanto introdurrebbe per la fauna selvatica una disciplina dell’esercizio dell’attività venatoria difforme e peggiorativa rispetto a quella prevista dalla legge n. 157 del 1992.

In particolare, l’art. 1, comma 5, nella parte in cui autorizza, sulla base di specifiche direttive regionali, le aziende faunistico-venatorie alla caccia alla volpe, violerebbe il divieto di immissione e di abbattimento di fauna selvatica non di allevamento, comprendente quello della caccia alla volpe, previsto per le suddette aziende dall’art. 16, comma 1, lettera b), della legge n. 157 del 1992.

A parere del rimettente il successivo art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, nella parte in cui disciplinano il periodo e le modalità in cui è consentita la caccia di ungulati violerebbe gli artt. 18 e 21, comma 1, lettera m), della legge n. 157 del 1992. In particolare, la disposizione impugnata consentirebbe, diversamente dalle norme statali indicate, la caccia agli ungulati per un periodo superiore e su terreni coperti in tutto o in parte di neve.

Oggetto di apposita impugnazione è, altresì, l’art. 4, comma 2, lettera c), che, nel prevedere, dal 1° ottobre al 30 novembre, la fruizione di ulteriori due giornate a settimana per la caccia da appostamento alla fauna selvatica migratoria, secondo il rimettente, violerebbe l’art. 18, comma 6, della legge n. 157 del 1992 che consente alle regioni di derogare al numero di giornate di caccia settimanali ma solo a seguito di una preventiva «valutazione necessariamente congrua» dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) che, nel caso in esame, risulta carente.

A parere del giudice a quo anche l’art. 4, commi 4 e 5, e l’art. 6, comma 4, nella parte in cui fissano per la tortora e la beccaccia un limite di capi abbattibili giornalmente e nell’arco della stagione venatoria superiore a quello suggerito dall’INFS, si porrebbero in contrasto con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica indicata all’art. 1, comma 2, della legge nazionale citata.

Infine, l’art. 9, comma 5, nella parte in cui, con riguardo alla fauna selvatica migratoria, prevede che l’annotazione sul tesserino venatorio sia fatta al termine della giornata di caccia, anziché dopo ogni singolo abbattimento, introdurrebbe, a parere del rimettente, un sistema di annotazione inidoneo a consentire il perseguimento delle finalità proprie del tesserino medesimo, vanificando di fatto il controllo sugli abbattimenti compiuti, in violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 157 del 1992.

2.– Si è costituita la Regione Emilia-Romagna chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.

In via preliminare, la Regione rileva, quanto alle censure concernenti «i tempi e le modalità dei prelievi in selezione degli ungulati», la sopravvenuta modifica del quadro normativo operata dall’art. 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, che espressamente consente alle regioni, sulla base di adeguati piani di abbattimento selettivi, «di regolamentare il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge11 febbraio 1992, n. 157».

Nel merito, la Regione osserva che le norme impugnate, aventi ad oggetto il prelievo degli ungulati, non violano alcuno dei principi fissati dalla legge n. 157 del 1992 e, in particolare, il calendario venatorio da essa disciplinato.

La Regione rileva, infatti, che l’art. 3 impugnato prevede per gli ungulati una “caccia di selezione”, diversa dalla “caccia programmata” posta a fondamento del calendario venatorio di cui alla legge n. 157 del 1992. Tale diversa disciplina trova giustificazione, sempre a parere della  Regione, nel fatto che la specie degli ungulati, stante anche il suo costante aumento, non rientra tra quelle protette indicate nella suddetta legge statale. A sostegno di ciò, la Regione osserva che il decreto-legge n. 203 del 2005 ha previsto la possibilità di abbattimento di tali animali anche al di fuori dei periodi e degli orari fissati dalla legge n. 157 del 1992.

Quanto alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 4, comma 2, lettera c), e dell’art. 9, comma 5, la Regione evidenzia che tali disposizioni rappresenterebbero, diversamente da quanto sostenuto dal rimettente, applicazione equilibrata dei principi del calendario venatorio regionale da sempre praticati sulla base della tradizione venatoria locale, nonché esplicazione della potestà legislativa regionale in materia di organizzazione dell’esercizio venatorio.

Infine, anche l’ultima censura, concernente i carnieri giornalieri e stagionali ammessi per la tortora e la beccaccia, sarebbe infondata in quanto anche in tale caso ricorrerebbe una valutazione che, rispettosa delle tradizioni locali e della consistenza faunistica del territorio, sarebbe esercizio della competenza legislativa regionale in materia di caccia.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna dubita, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell’art. 4, commi 2, lettera c), 4 e 5, dell’art. 6, comma 4, e dell’art. 9, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione del calendario venatorio regionale).

Le norme impugnate, a parere del rimettente, sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali evocati e, in particolare, con la legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che fissa il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica valido per l’intero territorio nazionale e, pertanto, riservato alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis: sentenze n. 311 del 2003 e n. 536 del 2002).

2.– Il rimettente ha impugnato l’art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, nella parte in cui, da un lato, amplia il calendario venatorio previsto per gli ungulati dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992, e, dall’altro, ne consente la caccia anche su terreni coperti in tutto o in parte di neve, in violazione del divieto sancito all’art. 21, comma 1, lettera m), della legge n. 157 del 1992.

Con riferimento a tale questione va rilevato che – successivamente all’emanazione dell’ordinanza di rimessione – è intervenuto l’art. 11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il quale ha previsto che le regioni possono, sulla base di adeguati piani di abbattimento selettivi, regolare il prelievo di selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge n. 157 del 1992.

Stante l’innovazione legislativa, va disposta, in via preliminare, e limitatamente a tale questione, la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, affinché lo stesso valuti la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sulla base dello ius superveniens.

3.– In via preliminare, deve essere dichiarata, per le restanti norme impugnate, l’inammissibilità delle censure per contrasto con l’art. 97 della Costituzione e, in particolare, con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. Tali censure, infatti, risultano sommarie e meramente assertive, così contraddicendo l’esigenza di una adeguata motivazione a sostegno della impugnativa.

4.– La questione relativa all’art. 1, comma 5, non è fondata.

Tale norma viene impugnata nella parte in cui prevede che le aziende faunistico-venatorie ed agri-turistico venatorie provvedono ad abbattere gli ungulati «in base alle vigenti direttive regionali relative alla gestione delle Aziende medesime ed al vigente regolamento regionale concernente la gestione faunistico-venatoria».

A parere del rimettente la disposizione in esame, nell’autorizzare la caccia di fauna selvatica non di allevamento nelle aziende sopra indicate, si porrebbe in contrasto con l’art. 16, primo comma, lettera b), della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui prevede che nelle suddette aziende è possibile immettere ed abbattere la sola fauna selvatica di allevamento, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Orbene, poiché la norma impugnata si limita a rinviare, quanto alla definizione della disciplina della caccia all’interno delle aziende faunistico-venatorie, ad un regolamento e a direttive regionali, essa risulta priva di autonomo carattere precettivo e inidonea ad incidere sul riparto delle competenze legislative fissato dall’art. 117 della Costituzione.

5.– La questione relativa all’art. 4, comma 2, lettera c), non è fondata.

Il giudice a quo ritiene che tale disposizione violi l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nella parte in cui prevede, dal 1° ottobre al 30 novembre, ulteriori due giornate settimanali per la caccia alla fauna migratoria da appostamento, senza che tale concessione sia subordinata ad una valutazione necessariamente congrua del parere dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), richiesto dall’art. 18, comma 6, della legge n. 157 del 1992.

Tale censura si fonda su di un erroneo presupposto interpretativo.

L’art. 18 richiamato, infatti, al comma 5, stabilisce il limite di tre giornate di caccia settimanali prevedendo, al successivo comma 6, la possibilità per le regioni di derogare a tale limite nel periodo dal 1° ottobre al 30 novembre «sentito» l’INFS e tenuto conto delle consuetudini locali.

Risulta da ciò che, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, la norma statale evocata prevede una mera interlocuzione tra l’ente territoriale e l’INFS, senza che il parere da quest’ultimo espresso si possa considerare vincolante per la Regione ai fini dell’esercizio legittimo della deroga.

6.– La questione afferente all’art. 4, commi 4 e 5, e all’art. 6, comma 4, è manifestamente inammissibile.

Il rimettente dubita della legittimità costituzionale delle norme regionali cennate, nella parte in cui fissano, per determinate specie animali, un limite di capi abbattibili superiore a quello desumibile da un richiamato parere dell’INFS e dall’art. 1, comma 2, della legge n. 157 del 1992.

Quanto al denunciato contrasto con il parere dell’INFS, va rilevato che esso non indica in termini di certezza alcun limite quantitativo dei capi abbattibili, limitandosi a suggerire l’opportunità di una riduzione degli stessi.

Anche il richiamo fatto dal rimettente all’art. 1, comma 2, della legge n. 157 del 1992, è inconferente, in quanto questo prevede soltanto che «l’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole».

Risulta, quindi, che sia il parere che la norma sopra indicati enunciano esclusivamente principi di ordine generale, senza precisare il numero massimo dei capi abbattibili. Il rimettente ha omesso di indicare sotto quale profilo, in concreto, le norme impugnate violino i suddetti principi ed ha posto, pertanto, una questione del tutto immotivata sul requisito della manifesta infondatezza.

7.– La questione relativa all’art. 9, comma 5, non è fondata.

Il rimettente ritiene che la norma impugnata nel prevedere l’annotazione dei capi abbattuti sul tesserino venatorio al termine della giornata di caccia, anziché dopo ogni singolo abbattimento, non consentirebbe il controllo sugli abbattimenti compiuti, così violando gli artt. 7 e 10 della legge n. 157 del 1992 e, conseguentemente, l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

In proposito va rilevato che, quanto alla disciplina del tesserino di caccia, il legislatore statale si è limitato ad indicare all’art. 12, comma 12, della legge n. 157 del 1992, che «Ai fini dell’esercizio dell’attività venatoria è altresì necessario il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla regione di residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti al calendario regionale, nonché le forme di cui al comma 5 e gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita l'attività venatoria», senza dettare alcuna prescrizione sulle modalità dell’annotazione del capo abbattuto.

La norma regionale impugnata, pertanto, non si pone in contrasto con le norme statali richiamate dal rimettente, limitandosi a disciplinare aspetti strettamente attinenti all’attività venatoria, espressione della potestà legislativa residuale della regione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002, sollevate, in riferimento all’art 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna;

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 4, commi 2, lettera c), 4 e 5, dell’art. 6, comma 4, e dell’art. 9, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione del calendario venatorio), sollevate, in riferimento all’art. 97, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 4 e 5, e dell’art. 6, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002, sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, dell’art. 4, comma 2, lettera c), e dell’art. 9, comma 5, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002, sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2006.