SENTENZA N. 223
ANNO 2007
Fabio Corvaja
Abrogazione di legge regionale a mezzo di regolamento statale e conflitto di attribuzioni
(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del T.A.R. Veneto 19 agosto 2005, n. 3200, promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 10 ottobre 2005 e il 26 febbraio 2007, depositato in cancelleria il 18 ottobre 2005 ed il 1° marzo 2007 ed iscritto al n. 28 del registro conflitti tra enti 2005.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l’avvocato Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Con ricorso notificato il 10 ottobre 2005 e depositato il successivo 18 ottobre, la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza del T.A.R. Veneto 19 agosto 2005, n. 3200, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
1.1. – Con la citata sentenza il T.A.R. Veneto ha deliberato in merito ad un ricorso proposto dalla Hesperia s.r.l. contro il Comune di Vazzola e la Regione Veneto per l’annullamento della variante parziale n. 2 del P.R.G. del medesimo Comune, adottata con delibera consiliare n. 1 del 30 gennaio 2003 ed approvata con modifiche d’ufficio mediante delibera della Giunta regionale n. 1656 del 26 maggio 2004.
La ricorrente ricostruisce, in via preliminare, le vicende che hanno originato il giudizio amministrativo, evidenziando come la Hesperia s.r.l. sia proprietaria, nel Comune di Vazzola, di un’area ricadente in zona industriale di espansione. Tale area, per la quale i precedenti proprietari avevano presentato un piano di lottizzazione, è attraversata da una linea elettrica ed è vincolata alla relativa fascia di rispetto.
A seguito dell’entrata in vigore della legge regionale Veneto 30 giugno 1993, n. 27 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti), il Comune di Vazzola, con l’approvazione della variante n. 2 del P.R.G., ha introdotto una norma (art. 53-bis) con cui determina nello strumento urbanistico i limiti di rispetto e di tutela degli elettrodotti, adeguandosi alla normativa regionale.
La società ricorrente, rilevato che i valori della fascia di rispetto così determinati sono in contrasto con il d.P.C.m. 8 luglio 2003 [Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti], ha promosso ricorso dinanzi al T.A.R. Veneto, lamentando la violazione dell’art. 4 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) e dell’art. 4 del d.P.C.m. 8 luglio 2003, ed eccependo, in subordine, l’illegittimità costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993 per violazione degli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost.
1.2. – Con la sentenza 19 agosto 2005, n. 3200 – oggetto dell’odierno conflitto – il T.A.R. Veneto ha accolto il ricorso, confermando l’orientamento già assunto con la propria sentenza n. 1735 del 2005, secondo cui «in seguito alla sopravvenienza della normativa statale di principio in materia di protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici (legge n. 36 del 2001) e della disciplina applicativa (d.P.C.m. 8 luglio 2003) avente valore su tutto il territorio nazionale, le norme regionali precedentemente in vigore, che fissano valori diversi e superiori, incompatibili con quelli introdotti dalla legge quadro, devono ritenersi abrogate ai sensi dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953».
In particolare, il T.A.R. osserva che la disposizione di cui all’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali) continua ad essere applicabile anche nel nuovo assetto costituzionale, in quanto non risulta abrogata dalla legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), non avendo quest’ultima introdotto «alcuna innovazione sostanziale nel rapporto tra le leggi regionali e le norme statali di principio».
Pertanto, aggiunge il giudice amministrativo, «in caso di sopravvenienza di norme di principio in materia di legislazione concorrente il giudice può dichiarare, ove sia in grado di riconoscere ed affermare l’incompatibilità delle norme preesistenti con i nuovi principi, l’abrogazione delle prime, senza necessità di sollevare la questione di costituzionalità, la quale avrebbe peraltro, nella specie, esito scontato».
1.3. – La Regione Veneto ritiene che, affermando l’abrogazione della legge n. 27 del 1993, il T.A.R. abbia operato «uno sconfinamento assoluto dalla giurisdizione, in violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.» e, pertanto, abbia leso l’autonomia regionale.
Secondo l’odierna ricorrente, il giudice amministrativo avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 27 del 1993, piuttosto che accogliere il ricorso, non applicando la normativa in parola. La Regione aggiunge che «nel quadro dei principi del nostro sistema costituzionale risulta assolutamente paradossale che un Tribunale amministrativo regionale possa dichiarare abrogata una legge regionale in vigore a seguito dell’emanazione di un d.P.C.m., atto di natura regolamentare, per quanto attuativo della legge quadro della materia».
Peraltro, ricorda la ricorrente, la disposizione di cui all’art. 10 della legge n. 62 del 1953 è sempre stata interpretata dalla Corte costituzione nel senso che solo la diretta incompatibilità delle norme regionali con i sopravvenuti principi fondamentali della legge statale può determinare l’abrogazione delle prime ad opera dei secondi.
Inoltre, l’obbligo per le Regioni – sancito nell’art. 4, comma 5, della legge n. 36 del 2001 – di adeguare la propria legislazione ai limiti di esposizione, ai valori di attenzione e agli obiettivi di qualità previsti dai decreti di cui al comma 2 dello stesso art. 4, «esclude che l’antinomia creatasi tra fonti possa risolversi con l’implicita abrogazione della legislazione regionale».
1.4. – La Regione ricorrente, in ogni caso, contesta che l’art. 10 della legge n. 62 del 1953 sia ancora in vigore. La disposizione in parola, richiamata dal T.A.R. Veneto per giustificare l’abrogazione della legge regionale n. 27 del 1993, stabilisce che «Le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali di cui al primo comma dell’articolo precedente abrogano le norme regionali che siano in contrasto con esse».
La Regione Veneto, dopo aver sottolineato che il citato art. 10 della legge n. 62 fa discendere l’abrogazione della normativa regionale unicamente dall’entrata in vigore di disposizioni di rango legislativo e non già regolamentare, osserva che tale norma «appare certo in diretto contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo V della nostra Costituzione a seguito delle modifiche operate con la legge costituzionale n. 3 del 2001 e con la normativa ordinaria di adeguamento».
In particolare la ricorrente, richiamando le sentenze n. 282 del 2002 e nn. 201 e 353 del 2003 della Corte costituzionale, sottolinea come la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione abbia accentuato la distinzione fra la competenza regionale a legiferare nelle materie di potestà concorrente e la competenza statale a determinare i principi fondamentali della disciplina.
La Regione ricorda, inoltre, che la legge n. 131 del 2003 non ha riprodotto il testo dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, né vi ha fatto rinvio in alcuna delle sue disposizioni. Anzi, quando la stessa legge n. 131 ha voluto stabilire limiti all’applicazione della normativa regionale a seguito dell’entrata in vigore della competente legislazione statale, lo ha fatto esplicitamente, come nella seconda parte del comma 2 dell’art. 1, relativo alle materie appartenenti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Per queste ragioni, la ricorrente ritiene che l’art. 10 della legge n. 62 del 1953 debba ritenersi abrogato «a seguito dell’introduzione del nuovo testo del Titolo V della Costituzione o, a tutto concedere, a partire dall’entrata in vigore della legge 5 giugno 2003, n. 131, che ha ridisciplinato la materia». Da quanto detto discenderebbe che il T.A.R. Veneto «non aveva il potere di ritenere abrogata la normativa regionale» e che, pertanto, «avrebbe al limite solo potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale».
La Regione conclude chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato, e nel caso specifico al T.A.R. Veneto, ritenere implicitamente abrogata la legge regionale n. 27 del 1993, e, di conseguenza, annullare la sentenza 19 agosto 2005, n. 3200, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 Cost.
In subordine, qualora non si dovesse ritenere abrogato l’art. 10 della legge n. 62 del 1953, la difesa regionale chiede che la Corte sollevi avanti a se stessa questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 10 della legge n. 62 del 1953 per contrasto con gli artt. 5, 114 e 117 Cost.
2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
2.1. – La difesa erariale ricorda, preliminarmente, che, a seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, si è prodotta una innovazione «solo quantitativa e non qualitativa» nel riparto di competenze tra Stato e Regioni.
Aggiunge, poi, che i rapporti tra norme statali e norme regionali dello stesso livello si risolvono in termini di abrogazione, a condizione che «la norma abrogante intervenga nella sfera legislativa riservata alla sua fonte». A parere del resistente, l’art. 10 della legge n. 62 del 1953 non avrebbe fatto altro che «confermare in forma espressa questo principio, che si trova già enunciato nell’art. 15 delle preleggi».
Nel caso di specie, l’Avvocatura ritiene inconferente il richiamo all’art. 117 Cost., in quanto la legge regionale non avrebbe potuto violare un principio fondamentale che non operava al momento della sua entrata in vigore; la soluzione, pertanto, andrebbe «trovata in chiave di abrogazione». Non potrebbe essere utilmente richiamato, d’altra parte, quanto affermato dalla Corte costituzionale sin dalla sua prima sentenza a proposito del rapporto tra leggi preesistenti e norma costituzionale successiva. Nel caso oggetto del presente giudizio, infatti, i termini della questione sono entrambi leggi ordinarie e, dunque, il T.A.R., «nel decidere quale delle due fosse in vigore ha solo esercitato il potere giurisdizionale, di cui era investito».
Peraltro, aggiunge il resistente, il T.A.R. «non ha disapplicato le norme regionali, in quanto in contrasto con la Costituzione […], ma le ha ritenute abrogate e l’accertamento dell’effetto abrogativo di norme successive rientra sicuramente nelle attribuzioni dell’autorità giurisdizionale».
2.2. – La difesa erariale eccepisce l’inammissibilità del ricorso perché reputa inconferenti tutti i parametri costituzionali evocati dalla Regione. Al riguardo si osserva che la sentenza del T.A.R. Veneto, per ledere una attribuzione regionale, avrebbe dovuto «andare al di là non della sua giurisdizione, ma della giurisdizione in assoluto, mentre, come si è visto, si è mantenuta nei limiti della giurisdizione amministrativa».
L’Avvocatura dello Stato rileva inoltre che, in virtù del principio dispositivo, la decisione del giudice amministrativo doveva intervenire solo sui motivi di ricorso; pertanto, poiché nel caso specifico quest’ultimo era fondato sull’avvenuta abrogazione della norma regionale e la parte interessata non aveva chiesto che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale, il giudice non era tenuto a proporla d’ufficio.
Il resistente aggiunge che, comunque, la sentenza del T.A.R. Veneto «non comporta la perdita di efficacia definitiva e generale della legge regionale, che come atto legislativo mantiene integra la sua struttura»; pertanto, in un altro giudizio, il giudice investito «potrà dichiarare la norma regionale tuttora in vigore o, sul presupposto del suo vigore, sottoporla alla verifica di costituzionalità da parte di codesta Corte».
In merito all’art. 10 della legge n. 62 del 1953, la difesa erariale osserva che si tratta di «una legge ordinaria che non può produrre effetti in un rapporto integralmente disciplinato dalla Costituzione. In ogni caso, la norma è destinata ad operare attraverso la valutazione dei singoli giudici, vale a dire attraverso lo strumento del giudicato». Il giudice di secondo grado, infatti, potrebbe non ritenere abrogata la norma regionale o decidere di sollevare la questione di costituzionalità. Per queste ragioni l’Avvocatura dello Stato ritiene inammissibile il conflitto.
2.3. – In subordine, la difesa statale contesta la fondatezza del conflitto.
A tal fine osserva che, se fosse accolto il ricorso, si produrrebbero delle conclusioni inaccettabili. Il conflitto di attribuzioni potrebbe, infatti, essere sollevato anche quando la questione di costituzionalità fosse dichiarata manifestamente infondata dal giudice di merito, trasformando così la Corte costituzionale in «una sorta di giudice di seconda istanza» che opera «su richiesta di un terzo estraneo al giudizio».
Secondo l’Avvocatura, quanto detto rende ancor più evidente come «non possa radicarsi un conflitto di attribuzioni su di una sentenza intervenuta in un giudizio in cui i poteri decisori del giudice sono limitati dalla domanda o dai motivi del ricorso». Ragionando diversamente, il conflitto si trasformerebbe in un improprio strumento di sindacato e di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale.
3. – La Regione Veneto, nelle date del 1° e del 27 marzo 2007, ha depositato copie dell’atto introduttivo e della sentenza impugnata, notificate al Presidente del T.A.R. Veneto ai sensi dell’art. 27, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
4. – In prossimità della data fissata per l’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste per l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, dopo aver ribadito l’inconferenza dei parametri di cui agli artt. 5, 101, 114 e 134 Cost., osserva che «rilevante in linea di principio è solo l’art. 117 Cost. che, peraltro, in concreto non risulta applicabile». A questo riguardo, si sottolinea come l’art. 117 Cost. possa essere evocato come parametro solo se la competenza legislativa della Regione è violata da una legge statale. Al contrario, nel caso di specie si discute di un atto di esercizio della funzione giurisdizionale; pertanto, la sentenza, «in quanto destinata a produrre effetti solo tra le parti e nei limiti della materia del contendere, come definita dalle domande e dalle eccezioni da esse proposte, non può incidere in nessun modo sulla potestà normativa dei soggetti che hanno emanato le norme applicate, tanto meno quando quelle norme hanno forma legislativa».
In definitiva, la difesa erariale ritiene che l’obiettivo della Regione, con il ricorso in esame, sia quello di «porre rimedio ad errori di giudizio di diritto sostanziale o processuale, eludendo i mezzi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni».
5. – Nella memoria depositata in prossimità dell’udienza la Regione Veneto deduce, anzitutto, l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità avanzata dalla difesa erariale, in quanto il ricorso non sarebbe diretto a censurare la commissione di errores in iudicando – come sostenuto dal resistente – ma «lo sconfinamento assoluto dalla giurisdizione operato dal Tribunale amministrativo regionale». La ricorrente non contesta «la possibilità in astratto» da parte di un giudice di ritenere abrogata una disposizione di legge, ma ne contesta «la possibilità in concreto, in relazione cioè al particolare rapporto tra fonti statali e regionali e al loro succedersi nel tempo nella fattispecie in oggetto».
A parere della difesa regionale, altrettanto infondata sarebbe l’affermazione dell’Avvocatura generale secondo cui la Regione denuncerebbe impropriamente la lesione dell’art. 117 Cost., non venendo in contestazione la potestà legislativa regionale. A questo proposito, la ricorrente rileva che il conflitto di attribuzione tra lo Stato e le Regioni avente ad oggetto gli atti giurisdizionali è solo formalmente un conflitto tra enti, trattandosi sostanzialmente di un conflitto tra poteri, in particolare tra il legislativo e il giudiziario.
La Regione conclude ribadendo quanto già affermato nell’atto introduttivo del conflitto in merito sia all’avvenuta abrogazione dell’art. 10 della legge n. 62 del 1953, sia all’impossibilità di risolvere in termini di abrogazione il contrasto tra una legge regionale e la sopravvenuta legge statale contenente nuovi principi fondamentali.
Considerato in diritto1. – Con ricorso notificato il 10 ottobre 2005 e depositato il successivo 18 ottobre, la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla sentenza del T.A.R. Veneto 19 agosto 2005, n. 3200, per violazione degli artt. 5, 101, 114, 117 e 134 della Costituzione.
2. – Il ricorso è inammissibile.
2.1. – La Regione ricorrente lamenta che il Tribunale amministrativo regionale del Veneto abbia dichiarato l’abrogazione della legge regionale 30 giugno 1993 n. 27 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti) per effetto dell’entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 luglio 2003 [Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti], recante norme di attuazione della legge 22 febbraio 2001 n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
L’effetto abrogativo rilevato dal giudice amministrativo deriverebbe – secondo la sentenza impugnata per conflitto di attribuzione – dall’art. 10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), nel quale è stabilito che le leggi della Repubblica che modificano i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente abrogano le leggi regionali che siano in contrasto con esse.
Nel dichiarare il suddetto effetto abrogativo, il T.A.R. del Veneto non ha fatto altro che esercitare un potere strettamente inerente alla funzione giurisdizionale, che consiste nell’applicazione delle norme vigenti ai casi concreti. È del tutto evidente che il giudice deve previamente accertare se le norme che viene chiamato ad applicare nel procedimento di sua competenza siano ancora in vigore o eventualmente siano state abrogate in modo esplicito o implicito da leggi successive, secondo quanto stabilisce l’art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile. Tale dovere di verifica è conseguenza naturale e necessaria del criterio cronologico, che, insieme a quello gerarchico ed a quello di competenza, disciplina il sistema delle fonti del diritto.
Il controllo sull’attuale vigenza di una norma giuridica spetta istituzionalmente al giudice comune e precede ogni possibile valutazione sulla legittimità costituzionale della medesima norma. Correttamente, pertanto, il giudice amministrativo ha operato, in via preliminare, tale controllo, giungendo alla conclusione che la legge della Regione Veneto n. 27 del 1993 era stata abrogata. Aver rilevato l’avvenuta produzione dell’effetto abrogativo ha inibito al giudice stesso ogni valutazione sulla legittimità costituzionale della norma – invocata invece dalla ricorrente – che sarebbe risultata irrilevante in quel giudizio.
Le doglianze che le parti possono esprimere nei confronti di una pronuncia giurisdizionale dichiarativa dell’avvenuta abrogazione di una norma devono seguire le ordinarie vie predisposte dal sistema delle impugnazioni. Non è ammissibile pertanto che il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte diventi uno strumento improprio di censura degli asseriti errori in iudicando, sostitutivo dei rimedi previsti dagli ordinamenti delle diverse giurisdizioni (ex plurimis, sentenze n. 150 e n. 2 del 2007).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione alla sentenza del T.A.R. Veneto 19 agosto 2005, n. 3200, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2007.