SENTENZA N. 287
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Michele Belletti
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo
GROSSI Presidente
- Alessandro
CRISCUOLO Giudice
- Giorgio
LATTANZI ”
- Aldo
CAROSI ”
- Marta
CARTABIA ”
- Mario Rosario
MORELLI ”
- Giancarlo
CORAGGIO ”
- Giuliano
AMATO ”
- Silvana
SCIARRA ”
- Daria
de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco
MODUGNO ”
- Augusto Antonio
BARBERA ”
- Giulio
PROSPERETTI ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge
24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli
investimenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge
24 marzo 2015, n. 33, promosso dalla Regione Lombardia con ricorso
notificato il 22 maggio 2015, depositato in cancelleria il 29 maggio 2015 e
iscritto al n. 58 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19
ottobre 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi gli avvocati Pio Dario Vivone per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato
Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 22 maggio 2015, depositato nella cancelleria
della Corte il 29 maggio 2015 e iscritto al n. 58 del registro ricorsi del 2015,
la Regione Lombardia ha impugnato l’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015,
n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti), convertito
con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2015, n. 33.
La
ricorrente osserva, in generale, come la norma impugnata attui una penetrante
riforma della disciplina delle banche popolari che ne snaturerebbe l’attuale
configurazione di schema tipico del credito cooperativo finalizzato allo
svolgimento mutualistico dell’attività bancaria, che si colloca
tradizionalmente nel contesto geografico delle comunità locali a beneficio di
famiglie, piccole e medie imprese e consumatori.
Dopo avere
premesso brevi cenni sulla storia e le peculiarità delle banche popolari
italiane, la cui nascita risale alla seconda metà del diciannovesimo secolo, e
averne ricordato la diffusione capillare a livello locale e la elevata capacità
di raccogliere risparmio ed erogare credito, soprattutto in Lombardia, la
ricorrente illustra i benefici che le regioni traggono dagli utili destinati
dalle banche popolari a finalità di carattere socio-sanitario, scientifico e
culturale. Il loro ammontare è pari a 140 milioni di euro in tutta Italia e a
ben 85 milioni nella sola Lombardia, per il territorio della quale rappresenterebbero
una risorsa insostituibile anche in ambiti che, come la sanità, rientrano nella
competenza legislativa delle regioni.
La
ricorrente passa poi a illustrare i quattro motivi posti a fondamento
dell’impugnazione.
2.– Con la prima questione, la Regione sostiene che la
norma impugnata víolerebbe la competenza legislativa
regionale concorrente in materia di «casse di risparmio, casse rurali, aziende
di credito a carattere regionale», stabilita dall’art. 117, terzo comma,
della Costituzione.
La ricorrente osserva preliminarmente che tale competenza, riconosciuta un
tempo alle sole regioni a statuto speciale, è stata introdotta tra le materie
di legislazione concorrente dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
Osserva altresì che l’incerta nozione di «aziende di credito a carattere
regionale» è stata definita dall’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 18
aprile 2006, n. 171 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di casse
di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di
credito fondiario e agrario a carattere regionale), alla cui stregua «[s]ono caratteristiche di una banca a carattere regionale
l’ubicazione della sede e delle succursali nel territorio di una stessa
regione, la localizzazione regionale della sua operatività, nonché, ove la
banca appartenga a un gruppo bancario, la circostanza che anche le altre
componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale
ai sensi del presente articolo», con la precisazione che «[l]’esercizio di una
marginale operatività al di fuori del territorio della regione non fa venir
meno il carattere regionale della banca».
Ad avviso della ricorrente, l’art. 1 del decreto-legge n. 3 del 2015 non
sarebbe espressione della competenza esclusiva dello Stato in materia di
«moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza;
sistema valutario», prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., e invaderebbe la competenza regionale concorrente, in quanto nell’ambito
delle «aziende di credito a carattere regionale» si collocherebbero, per numero
e ubicazione di filiali, la maggior parte delle banche popolari, anche in
Lombardia.
La norma conterrebbe disposizioni di dettaglio, là dove prevede il limite
di otto miliardi di euro all’attivo delle banche popolari (art. 1, comma 1,
lettera b, n. 1, del d.l. n. 3 del 2015, che aggiunge il comma 2-bis
all’art. 29 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante «Testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia»; di seguito: TUB) e
l’obbligo delle stesse di ridurre l’attivo o di deliberare la trasformazione in
società per azioni, in caso di superamento del limite (comma 2-ter
dell’art. 29 TUB, aggiunto dallo stesso art. 1, comma 1, lettera b, n.
1).
La competenza regionale sarebbe violata, inoltre, in quanto il legislatore
statale, nell’introdurre le modifiche normative, non avrebbe previsto forme di
concertazione con le regioni, neppure per adottare le disposizioni di
attuazione affidate alla Banca d’Italia (comma 2-quater dell’art. 29
TUB, anch’esso aggiunto dall’art. 1 comma 1, lettera b, n. 1).
3.– Con la seconda questione, la Regione sostiene che il legislatore
statale avrebbe violato gli artt. 117, secondo
comma, lettera e), e 3, Cost., nonché, «[i]n
via gradata», il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Ad avviso
della ricorrente, la norma contrasterebbe con gli artt. 117, secondo comma,
lettera e), e 3 Cost., in quanto il legislatore, per la natura
trasversale della competenza statale in materia di «tutela del risparmio», che
intercetta la competenza regionale concorrente in materia di «aziende di
credito a carattere regionale», avrebbe dovuto attenersi ai canoni della
proporzionalità e della ragionevolezza – non rispettati dalla fissazione del
limite di otto miliardi di attivo per conservare la forma cooperativa – e
garantire alle regioni, in sede di formazione del decreto o almeno in sede di
conversione, «una utile partecipazione al procedimento».
In
subordine, sarebbe violato il principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost., per l’omessa considerazione nel
procedimento legislativo delle attribuzioni, delle prerogative e degli
interessi regionali, mediante intese e accordi da raggiungere in sede di
Conferenza unificata Stato-regioni e autonomie locali.
4.– Con la
terza questione, la Regione sostiene che la norma impugnata avrebbe violato l’art. 118, quarto comma,
Cost., «in combinato disposto» con gli artt. 45 e 47, nonché con gli artt. 2, 18 e 41 Cost.
Il
principio di sussidiarietà orizzontale escluderebbe che lo Stato possa
sottrarre «attività di interesse generale», svolte su autonoma iniziativa dei
cittadini, alla cura degli enti indicati nell’art. 118, quarto comma, Cost., tra i quali sono contemplate anche le regioni.
Fra le
«attività di interesse generale» tutelate dalla Costituzione rientra la
cooperazione, la cui funzione sociale è riconosciuta dall’art. 45. La
cooperazione mutualistica propria delle banche popolari costituirebbe,
pertanto, l’espressione dell’incomprimibile diritto di auto-organizzazione dei
singoli e della società civile per lo svolgimento di attività di interesse
generale che è compito di tutti gli enti costitutivi della Repubblica favorire.
Arbitrariamente e irragionevolmente dunque il legislatore statale ne avrebbe
sottratto la cura alle regioni, cancellando ovvero limitando in modo notevole
la cooperazione nel sistema bancario.
La
ricorrente svolge analoghe considerazioni con riguardo alla tutela del
risparmio prevista dall’art. 47 Cost. Anche questo principio dovrebbe essere
collegato alla previsione dell’art. 118, quarto comma, Cost.,
in quanto attraverso la destinazione degli utili delle banche popolari a
iniziative di carattere socio-culturale, scientifico e culturale le regioni e
gli enti locali favoriscono iniziative dei cittadini per attività di interesse
generale.
Imponendo
alle banche popolari con attivo superiore a otto miliardi di euro di assumere
la forma giuridica tipica delle società lucrative e facendone così venir meno
il carattere mutualistico, il legislatore avrebbe prodotto lo sradicamento
delle banche popolari dal loro territorio, privando le regioni e gli enti
locali di un fondamentale motore di sviluppo economico e sociale e frustrando
le finalità di accesso popolare al credito, perseguite dall’art. 47 Cost.
Inoltre,
l’intervento statale inciderebbe sulla libertà contrattuale e di iniziativa
economica tutelata dall’art. 41 Cost., anche nella sua
funzione sociale, frustrerebbe gli scopi solidaristici di coloro che si sono
associati per perseguire legittime finalità mutualistiche, in contrasto con gli
artt. 2 e 18 Cost., e lederebbe il legittimo affidamento dei piccoli azionisti
delle banche popolari nella stabilità della loro situazione giuridica.
5.– Con la quarta questione, la Regione sostiene che la norma impugnata
avrebbe violato gli artt.
77 e 117 Cost.,
«anche in combinato disposto con l’art. 3 Cost.», in
quanto non sussisterebbero i presupposti che giustificano la decretazione
d’urgenza.
Ad avviso
della ricorrente, nessuno dei parametri tradizionalmente utilizzati dalla Corte
per operare tale scrutinio (preambolo del provvedimento, relazione di
accompagnamento al disegno di legge di conversione, contesto normativo) dà
conto delle ragioni di straordinaria necessità e urgenza che giustificano il
ricorso al decreto-legge.
Le ragioni,
esposte nel preambolo, di avvio del «processo di adeguamento» del sistema
bancario «agli indirizzi europei per renderlo competitivo ed elevare il livello
di tutela dei consumatori e di favorire lo sviluppo dell’economia del Paese»,
contrasterebbero con alcune risoluzioni del Parlamento europeo che esprimono il
contrario indirizzo volto alla salvaguardia e alla promozione della struttura
pluralistica del mercato bancario.
L’intervento
legislativo sarebbe il frutto della libera scelta del Governo di incidere in un
settore strategico nazionale con una nuova disciplina "a regime” adottata
mediante la corsia accelerata della legge di conversione. Essa affronta
problemi noti e dibattuti da decenni, senza una adeguata ponderazione degli interessi
istituzionali coinvolti, a iniziare da quelli delle regioni.
La riforma
sarebbe inoltre caratterizzata da disposizioni non auto-applicative e bisognose
di future disposizioni di attuazione, affidate senza fissazione di termini a un
soggetto estraneo al potere legislativo (la Banca d’Italia), con una sorta di
delega in bianco.
Sussisterebbero
poi, secondo la ricorrente, forti dubbi sull’omogeneità delle disposizioni
contenute nel d.l. n. 3 del 2015. Esso prevede infatti, oltre alla riforma
delle banche popolari, norme di sostegno alle piccole e medie imprese
innovative, norme sul trasferimento dei servizi a pagamento e norme sul
prestito indiretto per investitori istituzionali esteri.
La
relazione accompagnatoria esporrebbe argomenti non condivisibili sulla mancanza
della sostanza cooperativa in capo alle banche popolari (vengono richiamate al
riguardo le motivazioni poste a fondamento della archiviazione di una procedura
di infrazione che la Commissione europea aveva aperto contro l’Italia) e sulla
non applicabilità a loro favore della tutela prevista dall’art. 45 Cost. per mancanza del requisito della mutualità prevalente (che
secondo la ricorrente avrebbe invece esclusivo rilievo fiscale).
Questi
argomenti sarebbero comunque inidonei a dimostrare le ragioni che
legittimerebbero la decretazione d’urgenza.
Sarebbe
scorretto anche il richiamo operato nella relazione alla non corrispondenza
della disciplina delle banche popolari, «nel mutato quadro europeo», alle
esigenze di finanziamento e di adeguata patrimonializzazione delle banche, in
quanto tutte le banche popolari sottoposte ad Asset
Quality Review e agli stress
test avrebbero dimostrato adeguata patrimonializzazione.
Infine, la
Regione sottolinea come il vizio della norma impugnata incida su varie materie
di attribuzione regionale (welfare, cultura, sport) in ragione del forte
sostegno alle relative politiche concesso dalle banche popolari, con ridondanza
della lesione dell’art. 77 Cost. sulle attribuzioni
costituzionalmente riservata alle regioni e «ancor prima» con incidenza diretta
sulla competenza concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. in materia di «aziende di credito a carattere regionale».
6.– Con atto depositato nella cancelleria della Corte il 1° luglio 2015 si è
costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile e comunque infondato.
Dopo avere
illustrato il quadro normativo di riferimento per le banche che esercitano
l’attività in forma di società cooperativa (banche di credito cooperativo e
banche popolari), sul quale il d.l. n. 3 del 2015 è intervenuto, l’Avvocatura dello
Stato espone il contenuto delle modifiche alla disciplina delle banche popolari
introdotte dall’art. 1 dello stesso decreto-legge e delle disposizioni di
attuazione nel frattempo emanate dalla Banca d’Italia con deliberazione del 9
giugno 2015.
Dalla
premessa emergerebbe che già prima della riforma in esame le banche popolari
avevano un assetto organizzativo e funzionale che le distanziava notevolmente
dal modello base della società cooperativa (tra il resto, per la mancanza del
requisito della mutualità prevalente e per i limiti al principio della "porta
aperta” derivanti dai vincoli all’ammissione dei soci e al trasferimento delle
quote). Di quest’ultima esse avrebbero avuto solo la forma cooperativa e non la
sostanza della mutualità, come messo in evidenza anche dalla giurisprudenza di
legittimità (viene citata la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite,
7 novembre 1997, n. 10933) e dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato (viene citata la segnalazione al Parlamento del 4 luglio 2014).
Questa
situazione avrebbe consentito a dieci banche popolari o gruppi di banche popolari
di raggiungere dimensioni sistemiche rilevanti a livello nazionale ed europeo.
Sette di esse hanno superato addirittura il limite di trenta miliardi di euro
di attivo, che comporta l’assoggettamento alla vigilanza della Banca centrale
europea nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico, mentre le altre tre
presentano un attivo superiore a otto miliardi. Inoltre, sei delle maggiori
banche popolari sono anche quotate in borsa.
Al
raggiungimento di tali dimensioni si sarebbe accompagnata la diffusione dell’operatività
delle banche popolari su tutto il territorio nazionale, con recisione del
legame originario con l’ambito locale (vengono esposte le dimensioni, per
numero di sportelli e detenzione di quote del mercato nazionale degli
sportelli, dei quattro gruppi di banche popolari la cui capogruppo ha sede in
Lombardia).
A questa
estensione dell’operatività non avrebbe fatto riscontro un’adeguata
patrimonializzazione delle maggiori banche popolari, che avrebbero inoltre
risentito fortemente della recessione economica nazionale, soffrendo di una
quota di partite deteriorate maggiore della media di sistema e presentando un
tasso di copertura con accantonamenti in bilancio (covered
ratio) inferiore alla stessa media, senza poter vantare un’alta
redditività, anch’essa inferiore alla media.
6.1.– Passando all’esame delle questioni sollevate dalla ricorrente, il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva preliminarmente che il ricorso
avrebbe a oggetto, sostanzialmente, solo i commi 2-bis e 2-ter
dell’art. 29 TUB, introdotti dall’art. 1, comma 1, lettera b), n. 1),
del d.l. n. 3 del 2015 che obbligano le banche popolari il cui attivo superi
otto miliardi di euro alla trasformazione in società per azioni.
Ad avviso
dell’Avvocatura dello Stato, l’impostazione seguita dalla ricorrente, in base
alla quale tale previsione normativa eccederebbe la competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela del risparmio (art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. con invasione della competenza regionale
concorrente in materia di aziende di credito a carattere regionale, sarebbe
doppiamente errata.
In primo
luogo, perché la norma impugnata non sarebbe ascrivibile alla sola materia
della «tutela del risparmio», ma andrebbe ricondotta anche alle materie «tutela
della concorrenza» e «ordinamento civile», riservate alla competenza esclusiva
dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e l),
Cost., nonché alla disciplina dei livelli essenziali
delle prestazioni.
In secondo
luogo, perché comunque le disposizioni contenute nell’art. 1 del decreto-legge
n. 3 del 2015, se valutate integralmente nella loro connessione organica e
nella ratio complessiva che le caratterizza, non toccherebbero la
competenza regionale concorrente in materia di «aziende di credito a carattere
regionale».
6.2.– Sotto il primo aspetto, la difesa dello Stato osserva che anche in una
cooperativa bancaria avente forma di banca di credito cooperativo o di banca
popolare il profilo prevalente è l’esercizio dell’attività bancaria (raccolta
del risparmio, erogazione del credito, servizi di gestione finanziaria e
patrimoniale) e che l’interesse pubblico alla tutela del risparmio non muta
natura a seconda della forma societaria del soggetto esercente l’attività
bancaria. Ne costituirebbe una conferma il fatto che le regole di vigilanza
prudenziale, ora unificate a livello europeo, e quelle di correttezza operativa
poste dal TUB e dalle corrispondenti norme di attuazione sono le stesse per
ogni soggetto che esercita l’attività bancaria.
La
disciplina dettata dal d.l. n. 3 del 2015, pertanto, sarebbe attratta
completamente nell’ambito della competenza legislativa statale in materia di
«tutela del risparmio», incidendo su profili organizzativi e strutturali che
già in precedenza erano pacificamente disciplinati dallo Stato anche con
riguardo alle banche di credito cooperativo.
6.3.– Ad
avviso dell’Avvocatura dello Stato, inoltre, le regole europee di stabilità
patrimoniale e di correttezza operativa delle banche si attuano anche
attraverso norme, come quelle in esame, che incidono sui poteri degli organi
deliberativi delle società bancarie, sui diritti dei soci e sui loro limiti
ovvero sui limiti dei diritti di particolari creditori sociali in caso di crisi
della banca, tutti oggetti riconducibili alla materia «ordinamento civile»,
rientrante nella competenza esclusiva dello Stato.
6.4.– La disciplina delle condizioni e dei limiti di utilizzo di una determinata
forma giuridica per l’esercizio dell’attività bancaria rientrerebbe anche nella
competenza statale in materia di «tutela della concorrenza». Si tratta infatti
di disciplina diretta a rimuovere gli ostacoli alla competizione delle banche
verso il mercato dei capitali e del mercato dei capitali verso le banche,
rendendo più appetibili gli aumenti di capitale ed eliminando le barriere che
le particolarità dello statuto delle banche popolari (voto capitario,
gradimento all’ammissione dei soci, limiti alla distribuzione dei dividendi)
frappongono all’acquisizione del controllo societario.
6.5.– Secondo la difesa dello Stato, il servizio bancario non potrebbe essere
prestato da soggetti che, a parità di grandi dimensioni, rivestano forme
giuridiche diverse che non assicurano lo stesso livello di stabilità
patrimoniale. Sicché la norma impugnata, che prescrive alle banche di adottare
il medesimo tipo societario quando raggiungano una determinata "massa critica”,
dovrebbe essere ricondotta anche alla competenza esclusiva dello Stato di
determinare in modo uniforme in tutto il territorio nazionale i livelli minimi
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
6.6.– Chiarite le finalità dell’intervento organico operato dal legislatore, che
avrebbe razionalizzato il sistema eliminando per le banche popolari sistemiche
una differenza di regime societario ormai priva di giustificazioni, il
Presidente del Consiglio dei ministri osserva che neppure sussisterebbe il
rischio, paventato anche dalla ricorrente, di esporre le banche popolari di
maggiori dimensioni, una volta trasformate in società per azioni, a incontrollate
manovre speculative. L’acquisizione del controllo o anche solo di
partecipazioni significative nel loro capitale rimarrebbe infatti pur sempre
soggetta alla preventiva autorizzazione della Banca d’Italia, ai sensi
dell’art. 19 TUB.
Dall’altro
lato, le modifiche della disciplina delle banche popolari di dimensioni
medio-piccole (non toccate dall’obbligo di trasformazione del tipo societario)
riguardanti la disciplina del recesso del socio (con previsione di limiti al
diritto di rimborso), la nomina degli amministratori (con l’eliminazione del
vincolo che obbliga a nominare la maggioranza degli amministratori tra i soci cooperatori o tra le persone indicate dai soci
cooperatori che siano persone giuridiche) e i quorum costitutivi e
deliberativi (per la trasformazione in società per azioni o la fusione dalla
quale risulteranno società per azioni) non snaturerebbero il modello delle
banche popolari, ma ne aggiornerebbero lo statuto per rendere più agevole le
prospettive del loro sviluppo, sia pure con la conservazione della forma
cooperativa.
6.7.– Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, le precedenti considerazioni
consentirebbero di escludere che le disposizioni del d.l. n. 3 del 2015
impugnate dalla ricorrente abbiano invaso la competenza regionale concorrente
in materia di «aziende di credito a carattere regionale».
In ogni
caso, le banche popolari sistemiche, le uniche a essere interessate dalle norme
effettivamente impugnate (commi 2-bis e 2-ter dell’art. 29 TUB,
aggiunti dall’art. 1, comma 1, lettera b, n. 1 del d.l. n. 3 del 2015),
proprio per le loro dimensioni non potrebbero essere considerate aziende di
credito a carattere regionale come definite dall’art. 2, commi 2 e 3, del
d.lgs. n. 171 del 2006.
Tale
qualità potrebbe essere rivestita dalle banche popolari di minori dimensioni,
ma ciò non starebbe a significare che ogni intervento legislativo relativo a
esse rientri nella competenza regionale concorrente di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost.
In primo
luogo, perché i titoli di competenza statale esclusiva illustrati in
precedenza, per la loro natura trasversale, potrebbero legittimamente
intercettare specifiche competenze regionali, prevalendo su di esse.
In secondo
luogo, perché la competenza regionale concorrente non si estenderebbe agli
aspetti strutturali e organizzativi regolati dalla norma impugnata, potendo
tutt’al più investire taluni aspetti operativi delle banche popolari a
carattere regionale al fine di raccordarne l’attività con il territorio. Ne
costituirebbe conferma il fatto che non si conoscono esempi di leggi regionali
con contenuti assimilabili a quelli della norma impugnata.
Inoltre, la
difesa dello Stato osserva che i principi fondamentali della materia «aziende
di credito a carattere regionale» enunciati dall’art. 159 TUB (al quale rinvia
il d.lgs. n. 171 del 2006), là dove prevedono che la legge regionale sia
legittimata a disciplinare l’autorizzazione delle trasformazioni e delle
scissioni delle banche di interesse regionale previo parere vincolante della
Banca d’Italia, non escludono che il legislatore statale possa prevedere casi
di trasformazione obbligatoria ex lege delle
stesse banche, sottratti sia al parere della Banca d’Italia che
all’autorizzazione regionale.
Infine, si
dovrebbe considerare che la competenza regionale invocata dalla ricorrente
concorre pur sempre con quella dello Stato di dettare i principi fondamentali
della materia, con la conseguenza che una norma come quella impugnata, che
vieta l’uso del modello della banca popolare al raggiungimento di una determinata
dimensione di un’azienda di credito a carattere regionale, costituirebbe
certamente un principio fondamentale.
6.8.– Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, gli altri motivi di
impugnazione sarebbero inammissibili e comunque infondati.
La
questione con la quale si denuncia la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., per mancanza dei presupposti della decretazione
d’urgenza, non si fonderebbe su un titolo di competenza regionale.
Essa
sarebbe in ogni caso infondata, perché nel preambolo del decreto-legge si fa
riferimento all’urgenza di adeguare il sistema creditizio italiano al nuovo
quadro di vigilanza europeo. Inoltre, l’urgenza deriverebbe dalle alte quote di
crediti deteriorati detenute dalle banche popolari di grandi dimensioni e dagli
accantonamenti inferiori alla media, nella misura in cui tale situazione è
imputabile alle rigidità proprie della forma cooperativa.
L’inammissibilità
colpirebbe anche le censure basate sugli artt. 118 e 120 Cost.,
perché attraverso la generica evocazione degli amplissimi principi della
sussidiarietà e della leale collaborazione la ricorrente tenderebbe a censurare
la norma per violazione degli artt. 41 e 45 Cost., che non può legittimarla a
proporre un giudizio in via principale.
Si
tratterebbe inoltre di censure generiche, prive della dimostrazione concreta
che ogni modifica del regime giuridico delle banche popolari sia suscettibile
di causare conseguenze pregiudizievoli all’economia regionale.
Anch’esse
sarebbero in ogni caso infondate, perché la norma impugnata riguarda solo le
banche popolari di grandi dimensioni, che per la loro complessità hanno
abbandonato il legame con il territorio e operano su vasta scala, e lascia
invece inalterata la forma cooperativa delle altre banche popolari, uniche a
poter rivestire la qualità di aziende di credito a carattere regionale.
La norma
impugnata non avrebbe dunque cancellato il modello delle banche popolari, ma lo
avrebbe ricondotto al contrario alle sue originarie connotazioni di modello
tipico di banche di modeste dimensioni e a vocazione locale.
L’autonomia
privata, infine, non sarebbe stata compressa oltre quanto ragionevolmente
richiesto dalle esigenze di tutela del risparmio e di stabilità del sistema
finanziario, che è compito esclusivo della legislazione statale soddisfare e al
cui cospetto non potrebbero prevalere ipotetici legami con il territorio.
Considerato in diritto
1.– La Regione Lombardia ha impugnato l’art. 1 del
decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e
gli investimenti), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della
legge 24 marzo 2015, n. 33, proponendo quattro distinte questioni di
legittimità costituzionale. La previsione censurata riforma la disciplina delle
banche popolari, modificando il decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385
(Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia; di seguito: TUB).
2.– Secondo la ricorrente la norma impugnata violerebbe
innanzitutto la competenza legislativa regionale concorrente in materia di
«casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale»
prevista all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
La questione è sollevata sotto due profili. In primo luogo, la norma
statale conterrebbe disposizioni di dettaglio, in particolare là dove prevede
il limite di otto miliardi di euro all’attivo delle banche popolari e l’obbligo
delle stesse, in caso di superamento di questo limite, di ridurre l’attivo o di
deliberare la trasformazione in società per azioni. In secondo luogo, nell’introdurre
le modifiche normative il legislatore statale non avrebbe previsto forme di
concertazione con le regioni, neppure per adottare le disposizioni di
attuazione affidate alla Banca d’Italia.
Nonostante il ricorso censuri letteralmente l’intero art. 1 del d.l. n. 3
del 2015, sulla base dei motivi posti a fondamento dell’impugnazione l’oggetto
del giudizio deve essere circoscritto al comma 1, lettera b), n. 1), che
ha introdotto i commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 29
TUB, nella parte in cui prevedono: a) la soglia di otto miliardi di attivo
della banca popolare (comma 2-bis); b) l’onere della banca popolare di
ridurre, entro un anno dal superamento della soglia, l’attivo al di sotto di
essa o di deliberare la trasformazione in società per azioni (comma 2-ter);
c) l’adozione delle disposizioni di attuazione del novellato art. 29 TUB ad
opera della Banca d’Italia (comma 2-quater).
2.1.– Così precisato il thema
decidendum e l’oggetto dell’impugnazione, la
questione è infondata.
La scelta del legislatore statale di assumere la soglia dell’attivo di otto
miliardi di euro come indice della dimensione della banca popolare è coerente
con lo scopo della novella di riservare il modello cooperativo solo alle
aziende di credito di piccola o media dimensione, sul presupposto che esso non
sia adeguato alle caratteristiche di banche popolari di grandi dimensioni,
anche quotate in mercati regolamentati. Compiendo tale scelta lo stesso
legislatore statale si è mantenuto nei limiti delle proprie attribuzioni e di conseguenza
si deve escludere che vi sia stata la lamentata lesione delle competenze
regionali in materia di aziende di credito a carattere regionale.
Come si desume dalla normativa che enuncia i principi fondamentali in
materia di banche di carattere regionale (decreto legislativo 18 aprile 2006,
n. 171, recante la «Ricognizione dei principi fondamentali in materia di casse
di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di
credito fondiario e agrario a carattere regionale»), gli elementi rilevanti per
riconoscere a un’azienda di credito tale carattere sono: l’ubicazione della
sede e delle succursali nel territorio di una stessa regione, la localizzazione
regionale della sua operatività, nonché, ove la banca appartenga a un gruppo
bancario, la circostanza che anche le altre componenti bancarie del gruppo e la
capogruppo presentino carattere regionale (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 171
del 2006). Il carattere regionale della banca, inoltre, non viene meno (sempre
in base al citato art. 2, comma 2), se al di fuori del territorio della regione
essa esercita un’operatività marginale.
Non potendo escludersi in assoluto l’eventualità che la citata dimensione
dell’attivo possa ricorrere anche per questo tipo di banche, è necessario
verificare se, anche solo in astratto, la lamentata lesione della competenza
regionale in materia sussista.
La previsione in contestazione – che la banca popolare debba trasformarsi
in società per azioni al superamento del limite di otto miliardi di attivo, se
entro un anno l’attivo non sia stato ridotto al di sotto del limite – si
inquadra nel disegno più generale definito dal legislatore statale, diretto ad
adeguare la forma giuridica delle banche popolari di maggiori dimensioni al
modello organizzativo tipico delle banche non cooperative, sul presupposto che
la forma cooperativa delle prime possa essere «un mero schermo della natura
sostanzialmente lucrativa dell’impresa» e non corrisponda alla «sostanza della
mutualità» (come si esprime la relazione di accompagnamento al disegno di legge
di conversione del d.l. n. 3 del 2015).
Gli aspetti più significativi di questo disegno, delineato dallo stesso
art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, sono costituiti dalla rimozione del voto
capitario, del numero minimo dei soci e dei limiti alle partecipazioni
societarie, all’ingresso di nuovi soci nella società e alla distribuzione degli
utili. Si inquadra nello stesso disegno inoltre l’attenuazione dei precedenti
limiti alle deleghe di voto. In questo modo, il legislatore ha inteso favorire
l’accesso delle banche popolari di maggiori dimensioni al mercato dei capitali,
la contendibilità dei loro assetti proprietari, il ricambio delle compagini
sociali e degli organi amministrativi. Un risultato che dovrebbe garantire il
miglior funzionamento e la maggiore competitività di queste banche nel mercato,
nonché il loro rafforzamento patrimoniale.
Più in generale ancora, le finalità della riforma possono essere così
individuate: migliorare la stabilità patrimoniale delle banche popolari, con la
previsione, comune alle banche di credito cooperativo, di limiti al rimborso
delle azioni per recesso del socio, anche nel caso di trasformazione della
società e di esclusione (art. 1, comma 1, lettera a, che aggiunge
all’art. 28 TUB un comma 2-ter); agevolare comunque la trasformazione o
la fusione delle banche popolari in società per azioni, anche qualora non venga
superata la soglia dell’attivo di otto miliardi, in particolare con la
previsione di quorum costitutivi e deliberativi minori di quelli
generali (art. 1, comma 1, lettera c, che sostituisce l’art. 31 TUB);
aumentare la capacità delle banche popolari di reperire capitale sul mercato,
con la previsione della possibilità di emettere strumenti finanziari
partecipativi, al pari delle altre società cooperative: art. 1, comma 1,
lettera d), n. 2, che modifica l’art. 150-bis, comma 2, TUB,
eliminando l’art. 2526 del codice civile dall’elenco delle disposizioni non
applicabili alle banche popolari; rimuovere i vincoli alla nomina degli
amministratori, come quello che obbliga a nominare la maggioranza di essi tra i soci cooperatori o tra le persone indicate dai soci
cooperatori che siano persone giuridiche (l’art. 1, comma 1, lettera d,
n. 2 include ora l’articolo 2542, secondo comma,
cod. civ. nell’elenco delle disposizioni non applicabili alle banche popolari
di cui all’articolo 150-bis, comma 2, TUB).
Si tratta dunque di una disciplina che – tenuto conto della sua ratio,
della finalità che persegue, del contenuto e dell’oggetto delle singole
disposizioni, e tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi in
modo da identificare così correttamente e compiutamente l’interesse tutelato (ex
plurimis, sentenze n. 245 del
2015, n. 167
e 121 del 2014)
– deve essere ricondotta alle materie riservate alla competenza esclusiva dello
Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l),
Cost., della «tutela del risparmio», della «tutela della concorrenza» e
dell’«ordinamento civile».
Non sembra dubitabile, innanzitutto, che le disposizioni in esame,
innovando il modello organizzativo delle banche popolari per favorirne la
stabilità e il rafforzamento patrimoniale, incidono sui modi di esercizio
dell’attività bancaria e dunque, in quanto tali, devono essere ricondotte per
questo profilo nell’ambito della materia «tutela del risparmio», essendo
l’attività bancaria di intermediazione del credito uno strumento essenziale di
impiego produttivo del risparmio. A identiche finalità attinenti alle
competenze dello Stato sono orientate anche le disposizioni che mirano a
garantire la stabilità del patrimonio (come la previsione sui limiti al
rimborso delle azioni in caso di recesso del socio) e un’elevata capacità di
finanziamento (come la previsione sulla possibilità di emettere strumenti
finanziari partecipativi).
Sotto un secondo profilo, occorre osservare che, nell’intento del
legislatore, la trasformazione in società per azioni delle banche popolari di
maggiori dimensioni che scelgano di non ridurre l’attivo al di sotto della
soglia di otto miliardi, è diretta a colmare un deficit di competitività
derivante a questo tipo di aziende da alcuni elementi che ne caratterizzano lo
statuto (quali il voto capitario, il limite alla detenzione delle azioni e alla
distribuzione dei dividendi, il gradimento degli amministratori all’ingresso
dei nuovi soci, i forti limiti alle deleghe di voto), costituenti un obiettivo
ostacolo alla possibilità di acquisire il controllo societario e, di
conseguenza, di accedere ai procedimenti di ricapitalizzazione delle banche
popolari e di offerta del credito.
Misure legislative di questo tipo sono ascrivibili, secondo la
giurisprudenza costituzionale, alla materia della «concorrenza», in quanto si
traducono in misure di promozione della competizione tra imprese attraverso
l’eliminazione di limiti e vincoli alla libera esplicazione della capacità
imprenditoriale (concorrenza "nel mercato”) (ex plurimis,
sentenze n. 97
del 2014, n.
291 e n. 200
del 2012, n.
45 del 2010).
La norma impugnata, in terzo luogo, disciplina un tipico istituto
privatistico, quale la forma giuridica delle società, dettando le condizioni
per l’utilizzo della forma cooperativa da parte delle banche popolari e il
vincolo di loro trasformazione nel caso in cui le previste condizioni non
ricorrano, nonché regole di comportamento dei loro organi amministrativi. In
quanto incidente sul modulo organizzativo e sullo statuto societario di aziende
di credito, la disciplina è dunque da ricondurre alla materia dell’«ordinamento civile» (sentenza n. 144 del
2016 con riguardo al modello delle società pubbliche).
Si tratta di profili che attengono alla disciplina dei rapporti privati,
riservata alla potestà legislativa dello Stato in ragione dell’esigenza,
sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità
di trattamento, nell’intero territorio nazionale, dei rapporti civilistici tra
soggetti che operano in regime privato, senza che detti rapporti debbano
rinvenire necessariamente la loro disciplina sul piano codicistico
(sentenze n. 97
del 2014 e n.
401 del 2007).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, materie di competenza
statale esclusiva come quelle menzionate della «tutela del risparmio», della
«tutela della concorrenza» e dell’«ordinamento civile», assumono, per la loro
natura trasversale, carattere prevalente (ex plurimis,
sentenze n. 30
del 2016 e n.
165 del 2014) e «possono influire su altre materie attribuite alla
competenza legislativa concorrente o residuale delle regioni fino a incidere
sulla totalità degli ambiti materiali entro i quali si applicano» (sentenza n. 2 del
2014, e inoltre ex plurimis sentenze n. 291
e n. 18 del 2012,
n. 150 del 2011,
n. 288 e n. 52 del 2010,
n. 431, n. 430, n. 401del 2007
e n. 80 del 2006).
In quanto riconducibile ad ambiti materiali di competenza esclusiva
trasversale dello Stato, la norma impugnata è dunque espressione di
attribuzioni statali destinate a prevalere anche sull’ipotetica e in ogni caso
marginale competenza concorrente regionale in materia di aziende di credito di
interesse regionale, della quale dunque inutiliter la Regione ricorrente lamenta la lesione.
Per quanto attiene al secondo profilo della censura in esame, riguardante
la mancata previsione di forme di concertazione con le regioni per l’attuazione
dell’intervento, si deve richiamare quanto esposto circa la prevalenza delle
attribuzioni statali sulla competenza regionale concorrente in materia di
aziende di credito a carattere regionale. Tale prevalenza esclude che si versi
in un’ipotesi di inestricabile intreccio di competenze statali e regionali,
nella quale soltanto l’intervento del legislatore statale potrebbe ritenersi
congruamente attuato mediante la previsione di adeguate forme di collaborazione
con le regioni (ex plurimis, sentenze n. 1 del
2016 e n.
140 del 2015).
3.– Con la seconda questione, la
Regione, proponendo argomenti e conclusioni molto simili a quelli esposti nella
prima, lamenta che il legislatore statale avrebbe violato gli artt. 117,
secondo comma, lettera e), e 3 Cost., nonché, «[i]n via gradata», il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Ad avviso della ricorrente, la competenza statale in materia di «tutela del
risparmio», intercettando la competenza regionale concorrente in materia di
«aziende di credito a carattere regionale», avrebbe imposto al legislatore
statale, per un verso di attenersi ai canoni della proporzionalità e della
ragionevolezza, che sarebbero invece violati con la fissazione del limite di
otto miliardi di attivo per conservare la forma cooperativa, e per altro verso
di garantire alle regioni «una utile partecipazione al procedimento» di
formazione del decreto o almeno di sua conversione.
In subordine, sarebbe violato il principio di leale collaborazione di cui
agli artt. 5 e 120 Cost., per essere stata pretermessa
nel procedimento legislativo la considerazione, attraverso intese e accordi da
raggiungere in sede di Conferenza unificata Stato-regioni e autonomie locali,
delle attribuzioni, delle prerogative e degli interessi regionali.
Anche in questo caso, dalle ragioni poste a fondamento dell’impugnazione –
e in particolare dalla censura di irragionevolezza e sproporzione della soglia
dell’attivo fissata dal legislatore – si desume che l’oggetto della questione è
circoscritto alle disposizioni che prevedono la trasformazione obbligatoria
delle banche popolari in società per azioni.
Contrariamente a quanto sostiene l’Avvocatura dello Stato, la questione
sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. è ammissibile, perché la ricorrente
dà conto della ridondanza sulle sue attribuzioni della lamentata violazione di
un parametro non riguardante la competenza regionale, con l’indicazione delle
attribuzioni costituzionali della Regione in materia di «aziende di credito a
carattere regionale» (art. 117, terzo comma, Cost.) che ne sarebbero
potenzialmente lese (sull’idoneità della prospettazione ai fini
dell’ammissibilità della censura ex plurimis, sentenze n. 220 del
2013, n. 22
del 2012, ma, ancora prima, sentenze n. 6 del
2004 e n.
303 del 2003).
Come visto, la disciplina statale impugnata potrebbe interferire in tale
materia, in quanto trova il proprio titolo di legittimazione nella prevalenza
di competenze legislative statali esclusive. Pertanto, occorre verificare nel
merito se, nell’esercizio delle attribuzioni corrispondenti all’invocata competenza
concorrente, le regioni siano obbligate «a conformarsi ad una disciplina
legislativa asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri,
appunto, estranei a tale riparto» (sentenza n. 145 del
2016).
Nel merito, tuttavia, la questione non è fondata.
L’obiettivo di adeguamento della forma giuridica delle banche popolari di
maggiori dimensioni alla forma tipica delle banche commerciali è stato
perseguito dal legislatore statale con l’uso di un criterio appropriato allo
scopo, dal momento che la dimensione dell’attivo è un indicatore attendibile
della complessità di una banca.
Quanto alla discrezionalità del legislatore nel fissare la soglia al cui
superamento scatta l’obbligo di riduzione dell’attivo o di trasformazione in
società per azioni, essa non è sindacabile da questa Corte se non in caso di
manifesta irragionevolezza. Né la opinabilità, propria della scelta fra plurime
opzioni circa la misura precisa della soglia, può essere considerata da sola
sufficiente a integrare la violazione del principio di ragionevolezza. Il
limite di otto miliardi di euro non risulta sproporzionato all’obiettivo
perseguito, in quanto conduce a ricomprendere nell’ambito delle aziende di
credito tenute a trasformarsi in società per azioni le banche popolari più
significative – per credito erogato, numero di sportelli e personale impiegato
– nel panorama nazionale.
La censura di irragionevolezza e di sproporzione dell’intervento
legislativo va pertanto disattesa.
La censura riguardante l’omessa garanzia della partecipazione delle regioni
al procedimento legislativo nonostante la natura trasversale della competenza
esclusiva dello Stato nella materia «tutela del risparmio», può essere
esaminata insieme a quella di violazione del principio di leale collaborazione,
per la sostanziale identità delle ragioni esposte a sostegno di entrambe. Le
censure sono entrambe infondate per la natura prevalente, già sottolineata,
delle competenze statali esclusive delle quali è espressione la riforma del
regime delle banche popolari, con la conseguenza che per il loro esercizio non
sono costituzionalmente necessarie forme di raccordo con le regioni.
4.– Con la terza questione, la
Regione lamenta la violazione, ad opera della norma impugnata, dell’art. 118,
quarto comma, Cost., «in combinato disposto» con gli artt. 45 e 47, nonché con
gli artt. 2, 18 e 41 Cost.
La Regione ricorrente muove dalla considerazione che la cooperazione, per
la funzione sociale che le riconosce l’art. 45 Cost.,
rientrerebbe fra le «attività di interesse generale» oggetto della previsione
dell’art. 118, quarto comma, Cost., e ne desume che, in forza del principio di
sussidiarietà orizzontale in essa espresso, lo Stato non potrebbe sottrarre
tali attività alla cura degli enti indicati nella stessa previsione, tra i
quali vi sono anche le regioni. Sicché, cancellando o limitando
significativamente la cooperazione nel sistema bancario, il legislatore statale
avrebbe illegittimamente sottratto alla cura delle regioni un’attività che
dovrebbe invece essere riservata ad esse perché ne favoriscano lo svolgimento
attraverso l’autonoma iniziativa dei cittadini.
La ricorrente svolge analoghe osservazioni con riguardo alla tutela del
risparmio prevista dall’art. 47 Cost. Il collegamento con la previsione
dell’art. 118, quarto comma, Cost. è operato con la
considerazione che, grazie alla destinazione degli utili delle banche popolari
a iniziative di carattere socio-sanitario, scientifico e culturale, le regioni
e gli enti locali possono favorire iniziative dei cittadini per attività di
interesse generale. Facendone venir meno il carattere mutualistico, il
legislatore statale avrebbe determinato lo "sradicamento” delle banche popolari
dal territorio di riferimento, e avrebbe privato le regioni e gli enti locali
di un fondamentale motore di sviluppo economico e sociale. Sarebbero inoltre
frustrate le finalità di accesso popolare al credito, perseguite dall’art. 47
Cost.
L’intervento statale inciderebbe ancora sulla libertà contrattuale e di
iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.,
anche nella sua funzione sociale, frustrerebbe gli scopi solidaristici di
coloro che si sono associati per perseguire legittime finalità mutualistiche,
in contrasto con gli artt. 2 e 18 Cost., e lederebbe il legittimo affidamento
dei piccoli azionisti delle banche popolari nella stabilità della loro
situazione giuridica.
Le motivazioni esposte a sostegno delle censure confermano che l’oggetto
dell’impugnazione è limitato alla disposizione che obbliga le banche popolari
alla trasformazione in società per azioni nel caso di superamento della soglia
di otto miliardi di attivo, giacché solo il previsto obbligo di trasformazione
societaria si traduce nella lamentata compressione delle garanzie previste
dall’art. 118, quarto comma, Cost.
La genericità delle ragioni addotte a sostegno della lamentata lesione
dell’art. 118, quarto comma, Cost., in conseguenza
delle scelte statali concernenti il regime giuridico delle banche popolari, non
consente di ritenere superata la soglia di ammissibilità della questione. La
ricorrente, infatti, non offre argomenti idonei a dare conto dell’attitudine di
tale parametro a fondare una regola attributiva di specifiche competenze
regionali. Il riferimento alla promozione della cooperazione o di attività di
interesse generale di carattere socio-sanitario, scientifico e culturale, che
sarebbero favorite grazie agli utili destinati dalle banche popolari, non è
evidentemente idoneo a rendere ragione del pregiudizio di specifiche
attribuzioni regionali, che non può certo sostanziarsi nella mera affermazione
di un interesse a ricevere una parte di tali utili. Ancora più generiche e di
ancor più oscuro significato – oltre che prive di motivazione – sono le censure
che invocano il principio di sussidiarietà in relazione alla tutela della
libertà di associazione e di iniziativa economica privata, a sostegno delle
quali la ricorrente si limita ad affermare che le disposizioni impugnate
inciderebbero necessariamente sulla possibilità per la Regione di favorire
iniziative economiche di interesse generale da parte dei cittadini.
L’inadeguatezza degli argomenti spesi a dimostrare il supposto legame fra
il principio di sussidiarietà enunciato all’art. 118, quarto comma, Cost. e i molteplici ed eterogenei valori costituzionali evocati,
e il difetto di motivazione sugli ambiti di competenza regionale che, in
asserita violazione dell’art. 118, quarto comma, Cost., sarebbero incisi dalla
disposizione censurata, conducono necessariamente a conclusioni di
inammissibilità della questione.
5.– La Regione sostiene, infine, che la norma impugnata
avrebbe violato gli artt. 77 (secondo comma) e 117 Cost., «anche in combinato
disposto con l’art. 3 Cost.», in quanto non sussisterebbero i presupposti che
giustificano la decretazione d’urgenza.
Per il suo contenuto, l’impugnazione investe qui l’intero art. 1 del d.l.
n. 3 del 2015, estendendo il suo oggetto alla complessiva riforma delle banche
popolari.
Il riferimento alla violazione dell’art. 3 Cost. non
è sorretto da un’autonoma motivazione, sicché la censura si deve considerare
collegata a quella relativa agli altri parametri.
Anche in questo caso, si pone in via preliminare il tema della ridondanza
sul riparto delle competenze fra Stato e regioni delle asserite violazioni di
parametri diversi da quelli riguardanti tale riparto.
Al riguardo si deve rilevare che la ricorrente, non solo non offre
motivazione della supposta incidenza della violazione dell’art. 77 Cost. sulle attribuzioni regionali, ma omette di indicare i
parametri costituzionali rilevanti, attinenti al riparto delle competenze, che
verrebbero violati, limitandosi a ripetere che la norma impugnata interferisce
con vari temi di interesse regionale (welfare, cultura, sport), per il forte
sostegno concesso dalle banche popolari alle politiche regionali nelle stesse
materie. La genericità della censura, sotto questo profilo, ne determina
l’inammissibilità.
La ricorrente indica invece con sufficiente precisione, tra le competenze
regionali sulle quali ridonderebbe la violazione dell’art. 77 Cost., quella in materia di «aziende di credito a carattere
regionale», prevista dal terzo comma dell’art. 117 Cost. Sotto questo diverso
profilo, la censura supera il vaglio di ammissibilità, per le considerazioni
svolte sopra nel trattare la seconda questione (punto 3), ma deve tuttavia
essere respinta nel merito.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sindacato sulla
legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va
limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria
necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di
manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione (ex plurimis, sentenze n. 133 del
2016, n. 10
del 2015, n.
22 del 2012, n.
93 del 2011, n.
355 e n. 83
del 2010, n.
128 del 2008, n.
171 del 2007).
Nel preambolo del d.l. n. 3 del 2015, recante «Misure urgenti per il sistema
bancario e gli investimenti», il Governo fa riferimento, per quello che qui
rileva, alle ragioni di straordinaria necessità e urgenza di avvio del processo
di adeguamento del sistema bancario agli indirizzi europei. Ulteriori e diffuse
considerazioni sull’urgenza dell’intervento si rinvengono anche nella relazione
che accompagna il disegno di legge di conversione, ove è fatto riferimento
anche alle forti sollecitazioni del Fondo monetario internazionale e
dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica a trasformare
le banche popolari maggiori in società per azioni.
Tutte queste ragioni, che collegano le esigenze di rafforzamento
patrimoniale, di competitività e di sicurezza delle banche popolari, sia
all’adeguamento del sistema bancario nazionale a indirizzi europei e di
organismi internazionali, sia ai noti e deleteri effetti sull’erogazione
creditizia della crisi economica e finanziaria in atto, escludono che si sia in
presenza di evidente carenza del requisito della straordinaria necessità e
urgenza di provvedere. Così come escludono che la valutazione del requisito sia
affetta da manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.
Le affermazioni della ricorrente sulla natura non vincolante di eventuali
indirizzi europei non considerano, poi, che le ragioni della decretazione
d’urgenza non si identificano con la necessità di adeguare gli ordinamenti
degli Stati membri al diritto europeo, ben potendo sussistere indipendentemente
da essa.
Il riferimento della Regione a risoluzioni del Parlamento europeo che
invitano gli Stati membri ad adottare misure di promozione e di sostegno della
struttura pluralista del mercato bancario e della cooperazione bancaria non
dimostra la manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della valutazione del
Governo quanto alla sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza. Per un
verso, infatti, gli «indirizzi europei» evocati nel preambolo sono contenuti
negli atti normativi dell’Unione europea in materia di regolamentazione
prudenziale, di sistema europeo di vigilanza unica bancaria e di risanamento e
risoluzione degli enti creditizi, e le finalità della riforma non sono
incoerenti con essi. Per altro verso, la norma impugnata non persegue, come
afferma ripetutamente la Regione, lo scopo di "cancellare” dal sistema bancario
le banche popolari, ma si limita a disciplinare la forma giuridica di quelle,
tra di esse, che hanno raggiunto dimensioni significative.
Non coglie nel segno neppure l’argomento della Regione ricorrente, secondo
cui la normativa impugnata, in quanto recante una riforma di sistema, non
sarebbe compatibile con i presupposti del decreto-legge. La normativa in esame,
invero, non presenta una portata così ampia da caratterizzarsi come vera e
propria riforma del sistema bancario. Per quanto essa incida significativamente
su un particolare tipo di azienda di credito, resta pur sempre un intervento
settoriale e specifico, non assimilabile dunque a un atto definibile come
riforma di sistema.
La ricorrente lamenta infine la supposta non omogeneità della stessa
normativa, riferendo la censura all’intero contenuto del provvedimento, il
quale introduce, oltre alle norme sulle banche popolari, misure in materia di
portabilità dei conti correnti, di sostegno alle piccole e medie imprese
innovative, di tassazione agevolata dei redditi derivanti dalla cessione di
beni immateriali, di prestito indiretto per investitori istituzionali esteri e
di finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese.
Nemmeno questa censura è fondata. L’eterogeneità non sussiste, poiché tutte
le misure contemplate nella normativa oggetto di impugnazione possono essere
ricondotte al comune obiettivo di sostegno dei finanziamenti alle imprese,
ostacolati dalla straordinarietà della crisi economica e finanziaria in atto.
In conclusione, la questione è in parte inammissibile, per difetto di
motivazione sull’individuazione di competenze regionali potenzialmente lese
dalla violazione dell’art. 77 Cost., e in parte
infondata, là dove supera la soglia di ammissibilità, perché la norma impugnata
non contrasta con l’art. 77 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il
sistema bancario e gli investimenti), convertito, con modificazioni, dall’art.
1, comma 1, della legge 24 marzo 2015, n. 33, promossa, in riferimento agli
artt. 118, quarto comma, 2, 18, 41, 45 e 47 della Costituzione, dalla Regione
Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 77,
secondo comma, e 3 Cost., dalla Regione Lombardia con
il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost., dalla Regione Lombardia con il
ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 117,
secondo comma, lettera e), e 3 Cost., nonché al
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla
Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1 del d.l. n. 3 del 2015, promossa, in riferimento agli artt. 77,
secondo comma, 3 e 117 Cost., dalla Regione Lombardia
con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 19 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2016.