SENTENZA N. 165
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 11,
12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 39 e 41 della legge
della Regione Toscana 28 settembre 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia
di commercio per l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del
decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla legge regionale n. 28 del
2005 e alla legge regionale n. 1 del 2005) e degli artt. 2, 3, 5, comma 2, 6, 16 e 18
della legge
della Regione Toscana 5 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni in materia di
commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla legge
regionale n. 28 del 2005 e alla legge regionale n. 52 del 2012), promossi
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 27-29
novembre 2012 e il 6-10 giugno 2013, depositati in cancelleria il 6 dicembre
2012 e l’11 giugno 2013 ed iscritti rispettivamente al n.
185 del registro ricorsi 2012 e al n.
68 del registro ricorsi 2013.
Visti gli atti di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti
per la Regione Toscana.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 27-29
novembre 2012 e depositato il successivo 6 dicembre (reg. ric. n. 185 del
2012), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 11, 12,
13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 39 e 41 della legge della Regione Toscana 28
settembre 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di commercio per
l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge
regionale n. 1 del 2005) per violazione degli artt. 41 e 117, secondo comma,
lettere e) ed m), della Costituzione.
1.1.– In particolare, gli artt. 11, 12 e
19 della legge reg. n. 52 del 2012 – che sostituiscono rispettivamente gli
artt. 17, 18 e 19 della legge della Regione Toscana 7 febbraio 2005, n. 28
(Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su
aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa
quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti) – stabiliscono che
l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di
vendita delle medie e grandi strutture di vendita e dei centri commerciali sono
soggetti ad autorizzazione rilasciata dallo «sportello unico per le unità
produttive» (d’ora innanzi SUAP) competente per territorio.
Ad avviso del ricorrente le disposizioni
regionali di cui sopra contrasterebbero con l’art. 19 della legge 7 agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi) e con l’art. 31, comma 2, del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che
hanno abolito i regimi autorizzatori e sancito il
principio della libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, facendo
salve solo specifiche esigenze attinenti alla tutela della salute, dei
lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali. Le citate norme statali costituirebbero
espressione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
«tutela della concorrenza», al pari della disposizione di cui all’art. 1, comma
1, lettera b), del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui sono contrarie al
principio di libertà di iniziativa economica, sancito dall’art. 41 Cost., e al
principio di libera concorrenza, stabilito dal Trattato sull’Unione europea, le
norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati e
non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di
pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa
con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono
limiti non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche dichiarate e
che, in particolare, impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove
attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici.
Secondo l’Avvocatura generale dello
Stato le citate autorizzazioni del SUAP, previste dalle disposizioni regionali
impugnate, renderebbero più difficoltosi l’avvio e le modificazioni
all’esercizio di attività commerciali, imponendo ostacoli non proporzionati
alla libera iniziativa economica e alla concorrenza, con conseguente violazione
degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Il ricorrente ha rimarcato, inoltre, che
il principio di liberalizzazione ha un ambito applicativo esteso alla totalità
dei cittadini, così da costituire, in conformità alla giurisprudenza
costituzionale (sentenza
n. 164 del 2012), livello essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, di tal che le disposizioni regionali impugnate
dovrebbero considerarsi lesive anche dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
1.2.– In relazione agli artt. 13, 14, 15
e 16 dell’impugnata legge reg. n. 52 del 2012, l’Avvocatura generale dello
Stato ha osservato che tali disposizioni – introducendo rispettivamente gli
artt. 18-ter, 18-quater, 18-quinquies, 18-sexies nella legge reg. n. 28 del 2005 –
hanno stabilito una procedura per il rilascio dell’autorizzazione alle grandi
strutture particolarmente complessa e onerosa, sia per la copiosità dei
documenti richiesti sia per la pluralità delle fasi procedimentali con il
coinvolgimento di vari enti locali. Una simile disciplina avrebbe, quindi,
l’effetto di ritardare l’ingresso nel mercato di nuovi operatori, con
conseguente lesione delle già citate disposizioni legislative statali (art. 31,
comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e art. 1 del d.l. n. 1 del 2012), espressione
della potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. Inoltre sussisterebbe
contrasto con l’art. 7 del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le
attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008,
n. 133), che prevede un unico procedimento per presentare istanze di inizio
d’attività al SUAP.
Le norme regionali in esame, infine, si
dovrebbero considerare lesive anche dell’art. 41 Cost.
1.3.– In relazione agli artt. 17 e 18
della legge reg. n. 52 del 2012 – che inseriscono rispettivamente gli artt. 18-septies e 18-octies nella legge reg. n. 28 del 2005 – il ricorrente osserva che
esse introducono molteplici requisiti obbligatori per l’autorizzazione
all’esercizio di grandi strutture di vendita. Tali requisiti, pur
apparentemente motivati con ragioni di tutela dell’ambiente, della salute e dei
lavoratori, sono tuttavia di qualità e quantità tali da risultare
ingiustificatamente restrittivi della concorrenza e da limitare l’accesso al
mercato, aggravando eccessivamente il costo degli investimenti necessari e
favorendo, così, il mantenimento degli assetti di mercato esistenti. Ciò
determinerebbe, pertanto, una violazione dei citati artt. 31, comma 2, del d.l.
n. 201 del 2011 e 1 del d.l. n. 1 del 2012, esplicazione della potestà
legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre ad essere fortemente
limitative della libera iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.
Riguardo, più specificamente, all’art.
18-septies della legge reg. n. 28 del
2005, introdotto dall’art. 17 della legge reg. n. 52 del 2012, tale
disposizione imporrebbe altresì l’obbligo per il privato di apprestare un
servizio di trasporto privato, a tariffe di servizio pubblico, così da potersi
tradurre in un affidamento diretto del servizio di trasporto al di fuori delle
modalità in cui è consentito dalla legislazione statale vigente.
1.4.– Per quanto concerne l’art. 20
della legge reg. n. 52 del 2012 – che introduce l’art. 19-quinquies nella legge reg. n. 28 del 2005 – esso prevede una nuova
tipologia di struttura di vendita in forma aggregata, introducendo di fatto, a posteriori rispetto all’istanza di
autorizzazione, limitazioni alle distanze minime tra esercizi commerciali, da
considerarsi vietate ai sensi dell’art. 34, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011,
convertito dalla legge n. 214 del 2011 e dell’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012,
convertito dalla legge n. 27 del 2012, che, nel recepire le prescrizioni della
direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), abrogano le norme che
pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati e non
proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, vietando in particolare
l’imposizione di distanze minime tra le sedi di esercizio di un’attività
economica. La disciplina regionale in esame violerebbe, quindi, ancora una
volta l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.
1.5. – L’art. 39 dell’impugnata legge
regionale – che sostituisce l’art. 54 della legge reg. n. 28 del 2005 – prevede
la presenza di impianti fotovoltaici o capacità complessive dei serbatoi
dell’acqua piovana, che il ricorrente considera sproporzionati rispetto alla
finalità perseguita, con lesione della potestà legislativa esclusiva nella
materia della «tutela della concorrenza».
1.6.– Riguardo all’art. 41 della legge
reg. n. 52 del 2012– che sostituisce l’art. 56 della legge reg. n. 28 del 2005
– l’Avvocatura generale osserva che la limitazione, contenuta nella citata
disposizione, all’esercizio della vendita al dettaglio, presso gli impianti di
distribuzione del carburante, ad una superficie non superiore a quella degli
esercizi di vicinato, introduce una restrizione quantitativa allo svolgimento
di attività commerciali, non giustificata da alcun interesse generale, con
conseguente lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
2.– Con atto depositato in cancelleria
il 27 dicembre 2012 si è costituita la Regione Toscana chiedendo che le
questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate.
2.1.– In particolare, la resistente ha
osservato, in relazione agli artt. 11, 12 e 19 della legge reg. n. 52 del 2012
in punto di autorizzazione del SUAP competente per territorio, che si tratta di
disposizioni emanate nell’ambito della competenza legislativa regionale
residuale del commercio, orientato alla garanzia di interessi
costituzionalmente rilevanti, quale la tutela della salute, dei lavoratori,
dell’ambiente (anche urbano) e dei beni culturali, di tal che essi non violano
i parametri costituzionali dedotti dal ricorrente.
2.2.– In relazione agli artt. 13, 14, 15
e 16 della medesima legge, la Regione ha rilevato come le procedure e i tempi
previsti per il rilascio delle autorizzazioni non si possano in alcun modo
ritenere sproporzionate e onerose e, come tali, non violano in alcun modo i
principi stabiliti nelle norme statali pro concorrenziali, dovendosi viceversa
considerare come tale disciplina armonizzi la celerità del procedimento con la
necessità di rispettare le competenze proprie degli enti pubblici coinvolti.
2.3.– Quanto agli artt. 17 e 18 della
impugnata legge regionale, la difesa della Toscana ha osservato che la
maggioranza degli elementi di qualità richiesti per l’apertura delle grandi
strutture di vendita erano già previsti dal decreto del Presidente della Giunta
regionale 1° aprile 2009, n. 15/R (Regolamento di attuazione della legge
regionale 7 febbraio 2005, n. 28 «Codice del commercio. Testo unico in materia
di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande,
vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti») e che
tali requisiti non avevano mai ostacolato l’ingresso nel mercato di nuovi
operatori, con la conseguenza che neppure in questo caso può ritenersi
sussistente alcuna violazione costituzionale.
2.4.– In ordine all’art. 20 della legge
reg. n. 52 del 2012, relativo alla disciplina della tipologia delle strutture
di vendita in forma aggregata, la Regione ha negato che si tratti di disciplina
che introduce distanze tra gli esercizi commerciali, trattandosi di
disposizioni volte a ridurre l’impatto che tali strutture hanno sulla viabilità
e sul consumo del territorio, senza alcuna violazione delle norme statali a
tutela della concorrenza.
2.5.– In relazione all’impugnato art. 39
sulle caratteristiche dei nuovi impianti di distribuzione dei carburanti, la
resistente ha osservato che si tratta di prescrizioni del tutto proporzionate
e, quindi, tali da non determinare alcuna lesione all’interesse alla
concorrenza.
2.6.– Con riferimento, infine, all’art.
41 della citata legge reg. n. 52 del 2012, la difesa regionale ha ribadito che
la disciplina riguardante la vendita al dettaglio negli impianti per la
distribuzione di carburanti, attiene alla competenza legislativa residuale in
materia di commercio.
2.7.– Più in generale, la difesa della
Regione ha evidenziato come l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. non costituisca titolo idoneo
a limitare le prerogative legislative regionali in materia di commercio e,
nella fattispecie in esame, la Regione ha disciplinato tale materia non ponendo
ulteriori limiti per l’accesso al mercato, ma si è limitata a regolamentare
aspetti di propria competenza inerenti appunto il commercio in relazione a
requisiti da sempre esistenti nella disciplina regionale.
3.– Con memoria integrativa depositata
il 12 novembre 2013, la Regione Toscana ha osservato che, a seguito
dell’impugnazione statale, è stata approvata la legge regionale 5 aprile 2013,
n. 13 (Disposizioni in materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di
carburanti. Modifiche alla legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge
regionale n. 52 del 2012), con la quale, ad avviso della resistente, la
medesima Regione si è parzialmente adeguata ai rilievi mossi nel ricorso.
3.1.– In particolare, si è prevista la
segnalazione certificata di inizio attività (d’ora innanzi SCIA) in caso di
modifica del settore merceologico che non implichi interventi edilizi e si è
invece mantenuto il regime autorizzatorio per gli
altri casi, che richiedano, per le grandi e medie strutture di vendita e per i
centri commerciali, interventi edilizi non assentibili mediante semplice
segnalazione certificata ai sensi della legislazione statale. La difesa
regionale ha rimarcato che questa Corte con la recente sentenza n. 251 del
2013 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale
delle norme della Regione Veneto che si limitano, analogamente a quanto avviene
per quelle della Regione Toscana impugnate in questa sede, a distinguere i casi
in cui un’attività commerciale può essere avviata o modificata sulla base di
una SCIA, da quelli in cui è invece necessaria un’autorizzazione, tenendo conto
delle dimensioni dell’esercizio di vendita e della tipologia della variazione
da effettuare.
3.2.– In ordine alla disciplina
regionale dell’istruttoria davanti al SUAP, la resistente ha ritenuto di avere
legittimamente esercitato le proprie competenze in materia di commercio a tutela
di interessi costituzionalmente garantiti, giacché, come precisato nella sentenza n. 200 del
2012, le disposizioni statali in materia di liberalizzazione introducono
disposizioni di principio che, per ottenere piena applicazione, richiedono
ulteriori sviluppi normativi, da parte sia del legislatore statale, sia di
quello regionale, ciascuno nel proprio ambito di competenze.
3.3.– Quanto ai requisiti obbligatori
previsti per le grandi e medie strutture di vendita ai fini dell’esercizio
dell’attività commerciale, si è ribadito come gli stessi, ridotti rispetto
all’originaria previsione della legge reg. n. 52 del 2012, siano proporzionati
e adeguati alla salvaguardia degli interessi pubblici tutelati dalla stessa
legge nazionale e connessi alla tutela della salute, dei lavoratori,
dell’ambiente e dei beni culturali.
3.4.– In relazione alla disciplina
applicabile agli esercizi di vendita che si collocano a distanza ravvicinata
rispetto ad altri preesistenti, la ratio della previsione, ad avviso della Regione, è quella di
evitare che, attraverso la parcellizzazione dell’offerta in esercizi
ravvicinati, si eludano i requisiti previsti per le grandi e medie strutture di
vendita.
3.5.– In relazione alle disposizioni di
cui all’art. 39 della legge regionale impugnata, il requisito di cui all’art.
54, comma 2, lettera d), della legge
reg. n. 28 del 2005, è stato eliminato dalla legge reg. n. 13 del 2013.
Analogamente è stata abrogata da quest’ultima legge anche la disposizione di
cui all’art. 56 della legge reg. n. 28 del 2005 (come sostituito dall’art 41
della legge reg. n. 52 del 2012), che richiedeva negli impianti per la
distribuzione di carburanti, l’esercizio dell’attività di vendita al dettaglio
con superficie di vendita non superiore a quella degli esercizi di vicinato. In
entrambi i casi, pertanto, dovrebbe essere dichiarata cessata la materia del
contendere. È stato invece mantenuto il requisito di cui all’art. 54, comma 2,
lettera c), della legge reg. n. 28
del 2005, come modificato dall’art. 39 dell’impugnata legge reg. n. 52 del 2012
– che prevede che i nuovi impianti di distribuzione dei carburanti siano dotati
di impianto fotovoltaico o sistema di cogenerazione a gas ad alto rendimento di
potenza installata minima pari a dodici chilowatt – in quanto ritenuto non
lesivo della concorrenza giacché proporzionato agli interessi ambientali in tal
modo tutelati.
3.6.– Alla luce delle ulteriori
argomentazioni di cui sopra e delle modifiche apportate dalla citata legge reg.
n. 13 del 2013 alle disposizioni impugnate, la resistente ha ritenuto infondate
le censure per le quali non è cessata la materia del contendere.
4.– Con ricorso notificato il 6-10
giugno 2013 e depositato il successivo 11 giugno (reg. ric. n. 68 del 2013), il
Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, 3, 5 comma 2,
6, 16 e 18 della legge reg. Toscana n. 13 del 2013, per violazione degli artt. 41, 117, primo e secondo
comma, lettere e), l) ed m), Cost.
Con la citata legge reg. n. 13 del 2013,
invero, sono state emendate alcune modifiche apportate alla legge reg. n. 28
del 2005, con la legge reg. n. 52 del 2012 già censurata dallo Stato con il
precedente ricorso n. 185 del 2012. L’Avvocatura generale dello Stato ha
ritenuto, tuttavia, che anche la nuova legge regionale incorra in analoghe
violazioni.
4.1.– Segnatamente viene evidenziato che
l’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2013 ha integralmente sostituito l’art. 18-septies della legge reg. n. 28 del 2005,
operando una distinzione tra le grandi strutture di vendita a seconda che
abbiano una superficie minore o maggiore di quattromila metri quadri,
introducendo solo per queste ultime delle prescrizioni ulteriori, quali un
progetto per la raccolta di almeno il cinquanta per cento dell’acqua meteorica,
l’assicurazione di servizi di trasporto pubblico per il collegamento dell’area
dove è insediata la struttura e la realizzazione di appositi spazi per i
bambini. Già sotto questo profilo, il legislatore regionale avrebbe determinato
una ingiustificata limitazione al principio della parità concorrenziale,
operando una discriminazione tra operatori economici sulla base della
superficie di vendita. Peraltro, la norma impugnata subordina, in generale, il
rilascio dell’autorizzazione commerciale, per tutte le grandi strutture di
vendita, al possesso di numerosi requisiti obbligatori estranei all’attività
del commercio, quali la collaborazione con associazioni di volontariato
sociale, la limitazione della produzione di rifiuti, la realizzazione di
apposite aree di servizio destinate alla raccolta differenziata e allo
stoccaggio dei rifiuti, la gestione di rifiuti da apparecchiature elettriche.
Ai sensi dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 e secondo i principi
affermati dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 299 del 2012
e n. 430 del
2007), qualunque deroga al principio di libera prestazione dei servizi deve
corrispondere a motivi di interesse generale, non avere valenza discriminatoria
ed essere improntata a criteri di proporzionalità.
Tale disciplina assumerebbe invece una
portata discriminatoria, illogica e sproporzionata, tale da incidere sul
confronto concorrenziale a carico delle sole grandi strutture di vendita, così
da condizionare negativamente la programmazione quantitativa dell’offerta.
Infatti, la previsione di requisiti così stringenti per il rilascio
dell’autorizzazione commerciale renderebbe più gravoso per gli operatori attivi
in Toscana l’esercizio del commercio, determinando un evidente svantaggio
competitivo, oltre che ostacolare il libero esercizio dell’attività economica e
lo sviluppo del mercato unico europeo, con conseguente violazione degli artt.
41, 117, primo e secondo comma, lettera e),
Cost.
4.2.– L’art. 3 della legge regionale
impugnata ha invece modificato l’art. 19 della legge reg. n. 28 del 2005,
stabilendo che l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della
superficie di vendita di un centro commerciale sono soggetti ad autorizzazione
rilasciata dal SUAP secondo le procedure stabilite per le medie e grandi
strutture di vendita, prevedendo che debba presentarsi la SCIA solo per
l’ipotesi di modifica del settore merceologico. Queste nuove disposizioni,
secondo la difesa dello Stato, contrasterebbero con il principio di
semplificazione amministrativa di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 –
in base al quale ogni atto di autorizzazione e licenza per l’esercizio di
un’attività commerciale o imprenditoriale è sostituito dalla SCIA – e di cui
all’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011 – che ha abolito i regimi autorizzativi
espressi, con la sola esclusione degli interessi pubblici più sensibili
indicati nella direttiva 2006/123/CE, attuata nell’ordinamento italiano con il
decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva
2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno). Rimarca il ricorrente
che, a seguito dei citati interventi di liberalizzazione economica, i regimi autorizzatori non sarebbero più la regola, ma
costituirebbero ipotesi residuali giustificabili solo da motivi imperativi di
interesse generale e sempre nel rispetto dei principi di non discriminazione e
proporzionalità. Considerato, poi, che la disciplina statale in materia di SCIA
costituisce un livello essenziale di prestazioni concernenti diritti civili e
sociali, l’intervento legislativo regionale, violerebbe l’art. 117, secondo
comma, lettere e) ed m), Cost., atteso che i limiti
introdotti e imposti solo agli operatori locali determinano una loro posizione
di svantaggio, sia sul piano concorrenziale sia su quello delle prestazioni
amministrative.
4.3.– L’art. 5, comma 2, della legge
regionale impugnata modifica l’art. 19-quater
della legge reg. n. 28 del 2005, obbligando gli esercizi commerciali di vendita
in "outlet” a esporre il solo prezzo finale di vendita. La previsione di una
modalità espositiva del prezzo di vendita esulerebbe però dalle competenze
regionali, incidendo sui principi di trasparenza dei prezzi e sulla tutela del
consumatore, quale disciplinata dall’art. 2, comma 2, lettera c), e dalla Parte II, Titolo II, del
decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma
dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229). La difesa dello Stato
ricorda, quindi, che la disciplina contenuta nel codice del consumo attiene
alla materia del diritto civile riservata alla competenza esclusiva dello Stato
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., come già precisato dalla sentenza n. 191 del
2012. Inoltre, ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata
impedisce o limita la possibilità di confronto tra prezzi, così violando l’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost.
in materia di concorrenza, come risulta dalle sentenze n. 68 e n. 27 del 2013
e n. 299 del
2012.
4.4.– L’art. 6 della legge regionale
impugnata modifica l’art. 19-quinquies,
introdotto nella legge reg. n. 28 del 2005 dall’art. 20 della legge reg. n. 52
del 2012, prevedendo limitazioni concernenti le distanze tra esercizi
commerciali. In tal modo il legislatore regionale avrebbe violato l’art. 1 del
d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012, che ha recepito le
prescrizioni della direttiva 2006/123/CE, che vieta l’imposizione di distanze
minime tra le sedi deputate all’esercizio di un’attività economica. La
disposizione regionale impugnata si porrebbe, quindi, in contrasto con gli
artt. 41, 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost.
4.5.– L’art. 16 della legge regionale
impugnata, sostituendo l’art. 54-bis,
comma 1, della legge reg. n. 28 del 2005, condiziona alla presenza di una
adeguata sorveglianza la possibilità
di installare impianti di distribuzione del carburante dotati esclusivamente di
apparecchiature "self-service” prepagamento senza la presenza del gestore. Tale
disposizione contrasterebbe con l’obiettivo di liberalizzazione contenuto
nell’art. 28, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni
urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, quale modificato e
integrato dall’art. 18, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012. Il maggiore onere, economico e
organizzativo, imposto agli operatori toscani si porrebbe in contrasto pertanto
con il principio di parità concorrenziale, così violando l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost.
4.6.– L’art. 18, della legge regionale
impugnata, sostituendo l’art. 84, comma 3, della legge reg. n. 28 del 2005,
impone il funzionamento contestuale della modalità "servito” e della modalità
"self-service” durante l’orario di apertura dell’impianto, in contrasto con
quanto stabilito dall’art. 28, comma 7, del citato d.l. n. 98 del 2011. L’onere
aggiuntivo, ad avviso della difesa statale, determinerebbe così una violazione
della parità concorrenziale ex art.
117, secondo comma, lettera e), Cost.
5.– Con memoria depositata l’11 luglio
2013, si è costituita la Regione Toscana osservando, in generale, che la legge
impugnata si è limitata a correggere errori materiali in cui il legislatore
regionale era incorso con la precedente legge, ovvero a disciplinare aspetti di
competenza regionale, senza precludere l’entrata di nuovi operatori sul
mercato, all’esclusivo fine di tutelare interessi costituzionalmente garantiti,
quali la tutela del territorio, dell’ambiente e dei beni culturali, richiamati
dalle stesse leggi statali di liberalizzazione dell’economia.
5.1.– In particolare, in relazione
all’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2013, la Regione ha osservato che i requisiti
obbligatori previsti per l’ottenimento dell’autorizzazione commerciale sono
stati limitati a quelli sostenuti da motivi imperativi di interesse generale,
rappresentati dalla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (anche
urbano) e dei beni culturali. I requisiti più stringenti, stabiliti per le
grandi strutture di vendita con superficie superiore ai quattromila metri
quadri, sono poi dovuti al maggiore impatto sul territorio e sull’ambiente, di
tal che la disciplina regionale deve ritenersi limitata all’apposizione di
vincoli necessari e proporzionati alla tutela di interessi pubblici.
5.2.– In ordine all’art. 3 della
medesima legge regionale, esso ha semplicemente esteso ai centri commerciali,
che altro non sarebbero che medie o grandi strutture di vendita, la disciplina
delle autorizzazioni da parte del SUAP e della SCIA già stabilita per queste
ultime.
5.3.– In merito all’art. 5, la Regione
ha evidenziato come l’obbligo di indicare il solo prezzo finale negli "outlet”
sia finalizzato ad evitare una concorrenza sleale nei confronti degli esercizi
di vendita tradizionali, in connessione al fatto che solo i primi possono
effettuare vendite promozionali in tutti i periodi dell’anno.
5.4.– In relazione all’art. 6, la
disposizione in punto di distanze tra esercizi sarebbe giustificata
dall’esigenza di evitare che, attraverso la realizzazione di strutture a
distanza ravvicinata si aggirino le più stringenti disposizioni stabilite per
le grandi strutture di vendita.
5.5.– Riguardo all’art. 16, la difesa
regionale ha rimarcato che la possibilità di installare apparecchiature
"self-service” di distribuzione dei carburanti, con dispositivi di
pre-pagamento senza la presenza del gestore anche al di fuori dei centri
abitati, avrebbe consentito di installare tali impianti nella quasi totalità
del territorio regionale con effetti negativi sull’occupazione e sulle scelte
del consumatore, di tal che il legislatore regionale si sarebbe limitato a
disciplinare aspetti del commercio finalizzati alla tutela di interessi
generali, quali la tutela dell’occupazione e del consumatore e la salvaguardia
dell’incolumità pubblica.
5.6.– In relazione all’art. 18, la
Regione ha osservato che le previsioni concernenti le modalità di funzionamento
dell’impianto durante l’orario di apertura, attengono anche in questo caso alla
disciplina del commercio, al fine di conseguire un equilibrato bilanciamento
tra l’interesse al libero accesso all’attività di distribuzione di carburanti e
altri interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela dell’occupazione,
del consumatore e dell’incolumità pubblica.
6.– Con memoria integrativa depositata
il 12 novembre 2013, la Regione Toscana ha insistito per l’infondatezza delle
censure statali.
6.1.– In particolare, quanto ai
requisiti obbligatori per le grandi e medie strutture di vendita, la difesa
regionale ha rimarcato che sono state mantenute le disposizioni legate agli
obiettivi di risparmio energetico e di produzione di energia da fonti
rinnovabili (oggetto di obblighi nazionali dettati da normativa comunitaria).
Simili previsioni, in quanto relative alla tutela della salute e dell’ambiente,
sono consentite, ad avviso della difesa regionale, dalla stessa disposizione
statale dell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla legge
n. 214 del 2011. Inoltre, in relazione alla previsione di requisiti aggiuntivi
per le strutture di vendita con superficie maggiore di quattromila metri
quadri, essa è giustificata dall’elevato impatto ambientale connesso alla
maggiore superficie di vendita.
6.2.– Quanto all’estensione della
disciplina prevista per le grandi e medie strutture di vendita agli esercizi
commerciali, la resistente ha evidenziato che si tratta di estensione
necessitata dal fatto che i centri commerciali altro non sono che grandi e
medie strutture di vendita a seconda delle loro dimensioni.
6.3.– In relazione alla previsione
relativa all’indicazione del solo prezzo finale di vendita dei prodotti offerti
in "outlet”, la resistente ha ritenuto la legittimità della previsione in
quanto volta alla tutela del consumatore.
6.4.– Quanto alla disposizione in punto
di distanze tra esercizi commerciali, la difesa regionale ha ritenuto infondata
la censura statale, in quanto la previsione è giustificata dall’esigenza di evitare
che, attraverso la realizzazione di strutture a distanza ravvicinata, si
aggirino le più stringenti disposizioni stabilite per le grandi strutture di
vendita.
6.5.– In merito all’art. 18 della legge
reg. n. 13 del 2013, che ha sostituito il comma 3 dell’art. 84 della legge reg.
n. 28 del 2005, concernente la disciplina dell’impianto con modalità "servito”
oltre che "self-service” durante gli orari di apertura, la difesa regionale ha
rimarcato che si tratta di intervento regionale nella materia del commercio,
con la finalità di bilanciare l’interesse al libero accesso ed esercizio
dell’attività di distribuzione con altri interessi di rilievo costituzionale,
quali la tutela dell’occupazione, la tutela del consumatore e la salvaguardia
dell’incolumità pubblica. Stessa finalità, ritenuta tale da legittimare
l’intervento regionale, è stata ricondotta dalla resistente alla disposizione
di cui all’art. 16 della legge reg. n. 13 del 2013, che ha modificato l’art.
54-bis della legge reg. n. 28 del
2005, la quale ha limitato la possibilità di ubicare gli impianti dotati
esclusivamente di impianti "self-service” solo nelle aree montane e insulari,
in considerazione dell’incidenza negativa sull’occupazione di dette
installazioni.
6.6.– La resistente ha insistito quindi
per l’infondatezza delle censure statali sulle disposizioni regionali
impugnate.
7.– Con memoria depositata fuori termine
il 13 novembre 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha insistito per
la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme censurate.
8.– Con istanza, alla quale ha aderito
la Regione resistente, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto il
rinvio dell’udienza, per valutare la possibilità di rinunciare almeno
parzialmente al ricorso.
All’esito dell’intervenuto rinvio, con
atto notificato l’8 gennaio 2014 e depositato il successivo 14 gennaio, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso limitatamente
agli artt. 39 e 41 della legge reg. n. 52 del 2012.
Con atto depositato in data 20 febbraio
2014, la Regione ha accettato la rinuncia parziale.
9.– Con memoria integrativa, depositata
in data 24 marzo 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, dato atto
dell’accettazione della rinuncia al ricorso in ordine alle citate disposizioni
di cui agli artt. 39 e 41, ha ritenuto il medesimo improcedibile anche con
riferimento all’art. 17, all’art. 19, comma 1, nella parte in cui modifica
l’art. 19, comma 1, della legge reg. n. 28 del 2005, e all’art. 20 nella parte
in cui modifica l’art. 19-quinquies
della medesima legge reg. n. 28 del 2005, in quanto si tratterrebbe di
disposizioni integralmente sostituite o abrogate dalla successiva legge reg. n.
13 del 2013.
Il ricorrente ha quindi considerato che,
per quanto riguarda le disposizioni di cui alla legge reg. n. 52 del 2012,
oggetto residuo del ricorso fossero solo gli artt. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 18,
19 (ad eccezione della parte in cui modifica l’art. 19, comma 1, della legge
reg. n. 28 del 2005) e 20 (ad eccezione della parte in cui ha introdotto l’art.
19-quinquies, comma 6, lettera c, della legge reg. n. 28 del 2005).
Considerato
in diritto
1.– Con ricorso notificato il 29
novembre 2012 e depositato il successivo 6 dicembre (reg. ric. n. 185 del
2012), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 11, 12,
13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 39 e 41 della legge della Regione Toscana 28
settembre 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di commercio per
l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge
regionale n. 1 del 2005) per violazione degli artt. 41 e 117, secondo comma,
lettere e) ed m), della Costituzione.
Con la legge in parola, la Regione
Toscana ha adeguato il proprio codice del commercio, adottato con la precedente
legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in
materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di
alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di
carburanti).
Le modifiche sono state determinate
dall’esigenza di adeguare le disposizioni regionali alla normativa statale
sull’istituzione dello sportello unico per le attività produttive (d’ora
innanzi SUAP), disciplinato in particolare dall’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e dal relativo
regolamento attuativo, d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il
riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai
sensi dell’articolo 38, comma 3, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133),
che ha previsto un unico procedimento con un interlocutore unitario per la
presentazione di istanze alla pubblica amministrazione in relazione ad attività
imprenditoriali. In particolare il SUAP è definito
dal citato d.P.R. n. 160 del 2010 come «unico punto di accesso per il
richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua
attività produttiva, che fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di
tutte le pubbliche amministrazioni comunque coinvolte nel procedimento» (art.
1, comma 1, lettera m).
La Regione, in sede di
adeguamento del codice del commercio, ha provveduto, peraltro, ad inserire
anche alcune novità di disciplina legate alle disposizioni di cui all’art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre
2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il
consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha abolito i regimi autorizzatori e sancito il principio della libertà di
apertura di nuovi esercizi commerciali, facendo salve le specifiche esigenze
attinenti alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni
culturali, nonché all’art. 1, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1
(Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo cui «I
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai
principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012,
fermi restando i poteri sostituitivi dello Stato ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione», principi
ai sensi dei quali «l’iniziativa economica privata è libera secondo
condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti,
presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli
necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio,
al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con
il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della
Repubblica» (art. 1, comma 2).
Il Presidente del Consiglio dei ministri
ha, tuttavia, ritenuto – con particolare riguardo alle disposizioni regionali
relative alle medie e grandi strutture di vendita, i centri commerciali e gli
impianti di distribuzione dei carburanti – che in tal modo la Regione abbia
introdotto procedure aggravate, previsto requisiti ulteriori e imposto obblighi
tali da ostacolare la libera concorrenza nel commercio, così intervenendo nella
materia della tutela della concorrenza, rientrante nella competenza legislativa
esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., nonché comprimendo la libertà
di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. e, in taluni casi,
alterando i livelli essenziali delle prestazioni, sempre di competenza
esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Più precisamente sono stati impugnati
gli artt. 11, 12 e 19 della legge reg. n. 52 del 2012, ritenendosi che i
medesimi, là dove stabiliscono che l’apertura, il trasferimento di sede e
l’ampliamento della superficie di vendita delle medie e grandi strutture di
vendita e dei centri commerciali siano soggetti ad autorizzazione rilasciata
dal SUAP competente per territorio, avrebbero violato, in primo luogo, l’art.
117, secondo comma, lettera e), Cost.
Le disposizioni in parola, infatti, avrebbero reso più difficoltosi l’avvio e
le modificazioni all’esercizio di attività commerciali e imposto ostacoli
all’ingresso di nuovi operatori sul mercato, così da porsi in contrasto con la
disciplina, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, in materia di
tutela della concorrenza. In particolare, sussisterebbe contrasto con quanto
stabilito dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi) e dall’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011. Le disposizioni statali
richiamate a parametro interposto del presente giudizio, come detto, hanno
abolito i regimi autorizzatori e sancito il principio
della libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, facendo salve solo
specifiche esigenze attinenti alla tutela della salute, dei lavoratori,
dell’ambiente e dei beni culturali. Sussisterebbe, inoltre, contrasto con
quanto disposto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 27 del 2012, secondo cui sono contrarie al principio di libera
concorrenza, stabilito dal Trattato sull’Unione europea, le norme che pongono
divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati e non proporzionati
alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di pianificazione e
programmazione territoriale o temporale autoritativa
con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono
limiti non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche dichiarate e
che, in particolare, impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove
attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici.
Inoltre, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha ritenuto che le citate disposizioni violino anche l’art. 41 Cost., in quanto imporrebbero ostacoli
sproporzionati alla libera iniziativa economica, e l’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., in quanto,
limitando il principio di liberalizzazione del commercio, comprimerebbero i
livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali.
Analoghe violazioni degli artt. 41 e
117, secondo comma, lettera e), Cost.
sono state ravvisate ad opera degli artt. 13, 14, 15 e 16 dell’impugnata legge
reg. n. 52 del 2012 – che introducono rispettivamente gli artt. 18-ter, 18-quater, 18-quinquies, 18-sexies nella legge reg. n. 28 del 2005 –
là dove stabiliscono una procedura per il rilascio dell’autorizzazione alle
grandi strutture di vendita particolarmente complessa e onerosa, sia per la
copiosità dei documenti richiesti sia per la pluralità delle fasi
procedimentali, con il coinvolgimento di vari enti locali.
Le medesime doglianze sono state rivolte
anche contro gli artt. 17 e 18 della legge reg. n. 52 del 2012 – che
inseriscono rispettivamente gli artt. 18-septies
e 18-octies nella legge reg. n. 28
del 2005 – in quanto prevedono molteplici requisiti obbligatori per
l’autorizzazione all’esercizio di grandi strutture di vendita, nonché avverso
l’art. 20 che introduce l’art. 19-quinquies
nella legge reg. n. 28 del 2005 – in quanto, di fatto, stabilisce distanze
minime tra esercizi commerciali.
La violazione del medesimo parametro
costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. è stata, infine, lamentata, in relazione agli artt. 39 e
41 della legge reg. n. 52 del 2012 – che, rispettivamente, sostituiscono gli
artt. 54 e 56 della legge reg. n. 28 del 2005 – in quanto in entrambi i casi
vengono posti vincoli sproporzionati rispetto alla finalità perseguita: la
prima disposizione, infatti, prevede la presenza di impianti fotovoltaici o
capacità complessive dei serbatoi per gli impianti di distribuzione dei
carburanti e la seconda limita l’esercizio della vendita al dettaglio, presso
gli impianti di distribuzione del carburante, ad una superficie non superiore a
quella degli esercizi di vicinato.
2.– Successivamente alla proposizione
del ricorso, la Regione Toscana ha modificato ulteriormente il codice del
commercio con la legge regionale 5 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni in materia
di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche alla
legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge regionale n. 52 del 2012).
Tali modifiche sono state ritenute solo
parzialmente satisfattive delle doglianze statali e
sono state ulteriormente impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri
con il ricorso notificato il 6-10 giugno 2013 e depositato il successivo 11
giugno (reg. ric. n. 68 del 2013).
Più precisamente, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, 3, 5, comma 2, 6, 16 e 18
della legge reg. n. 13 del 2013, per violazione degli artt. 41, 117, primo e
secondo comma, lettere e), l) ed m), della Costituzione.
In particolare, l’art. 2 della legge
reg. 13 del 2013 – che sostituisce l’art. 18-septies della legge reg. n. 28 del 2005 – operando una distinzione
tra le grandi strutture di vendita a seconda che abbiano una superficie minore
o maggiore di quattromila metri quadri e introducendo prescrizioni che
subordinano il rilascio dell’autorizzazione commerciale al possesso di numerosi
requisiti obbligatori estranei all’attività del commercio, in contrasto con
quanto stabilito dall’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, violerebbe
sia l’art. 41 Cost., in quanto porrebbe ostacoli discriminatori e sproporzionati
alla libera intrapresa economica, sia l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto
ostacolerebbe la formazione di un mercato unico europeo, sia ancora l’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in
quanto discriminerebbe in modo ingiustificato e sproporzionato tra grandi
strutture di vendita aventi superficie inferiore o superiore a quattromila
metri quadrati e tra operatori toscani e operatori di altre Regioni, così
limitando la concorrenza.
L’art. 3 della legge regionale n. 13 del
2013 – che modifica l’art. 19 della legge reg. n. 28 del 2005 – stabilisce,
invece, che le strutture di vendita di un centro commerciale sono soggette ad
autorizzazione rilasciata dal SUAP secondo le procedure stabilite per le medie
e grandi strutture di vendita, prevedendo che debba presentarsi la SCIA solo
per l’ipotesi di modifica del settore merceologico. Tale disposizione
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto introdurrebbe previsioni contrastanti con il
principio di semplificazione amministrativa di cui all’art. 19 della legge n.
241 del 1990 – in base al quale ogni atto di autorizzazione e licenza per
l’esercizio di un’attività commerciale o imprenditoriale è sostituito dalla
SCIA – e di cui all’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011 – che ha abolito i regimi
autorizzativi espressi, con la sola esclusione di quelli posti a tutela degli
interessi pubblici più sensibili indicati nella direttiva 12 dicembre 2006, n.
2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi
nel mercato interno), attuata nell’ordinamento italiano con il decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno). In questo modo, infatti, sono stati
stabiliti limiti validi per i soli operatori locali con loro conseguente
svantaggio concorrenziale. Sarebbe altresì violato l’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost., in quanto la norma
impugnata introdurrebbe previsioni contrastanti con il principio di
semplificazione amministrativa di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e
all’art. 31 del d.l. n. 201 del 2011, che costituisce un livello essenziale di
prestazioni concernenti diritti civili e sociali.
L’art. 5, comma 2, della legge reg. n.
13 del 2013 – che modifica l’art. 19-quater
della legge reg. n. 28 del 2005 – là dove obbliga gli esercizi commerciali di
vendita in "outlet”, a esporre il solo prezzo finale di vendita, violerebbe
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in quanto ostacolerebbe la concorrenza limitando la possibilità di
confronto tra prezzi, e l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto inciderebbe sui principi di trasparenza dei
prezzi e sulla tutela del consumatore, quale disciplinata dall’art. 2, comma 2,
lettera c), e dalla Parte II, Titolo
II, del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003,
n. 229), attinente alla materia del diritto civile riservata alla
competenza esclusiva dello Stato.
L’art. 6 della legge reg. n. 13 del 2013
– che modifica l’art. 19-quinquies,
introdotto nella legge reg. n. 28 del 2005 dall’art. 20 della legge reg. n. 52
del 2012 – là dove stabilisce limitazioni concernenti le distanze tra esercizi
commerciali, violerebbe sia l’art. 41 Cost., in quanto determinerebbe
restrizioni in contrasto con l’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla
legge n. 27 del 2012, che ha recepito le prescrizioni della direttiva
2006/123/CE, sia l’art. 117, primo comma, Cost., in quanto introdurrebbe
limitazioni in contrasto con l’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla
legge n. 27 del 2012, che ha recepito le prescrizioni dalla direttiva
2006/123/CE, sia ancora l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto introdurrebbe obblighi in contrasto con l’art.
1 del d.l. n. 1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012, che ha
recepito le prescrizioni della citata direttiva 2006/123/CE.
L’art. 16 della legge reg. n. 13 del
2013 – che sostituisce l’art. 54-bis,
comma 1, della legge reg. n. 28 del 2005, condizionando alla presenza di una
adeguata sorveglianza la possibilità
di installare impianti di distribuzione del carburante dotati esclusivamente di
apparecchiature "self-service” con prepagamento senza la presenza del gestore,
si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto, attribuendo ai
soli operatori toscani maggiori oneri, economici e organizzativi, contrastanti
con l’obiettivo di liberalizzazione contenuto nell’art. 28, comma 7, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 comma 1, della legge
15 luglio 2011, n. 111, come modificato e integrato dall’art. 18, comma 1, del
d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012,
lederebbe il principio di parità concorrenziale.
Infine, l’art. 18 della legge reg. n. 13
del 2013 – che sostituisce l’art. 84, comma 3, della legge reg. n. 28 del 2005,
prescrivendo il funzionamento contestuale della modalità "servito” e della
modalità "self-service” durante l’orario di apertura dell’impianto – violerebbe
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., in quanto imponendo oneri aggiuntivi in contrasto con quanto stabilito
dall’art. 28, comma 7, del citato d.l. n. 98 del 2011, lederebbe la parità
concorrenziale.
3.– Preliminarmente, in considerazione della omogeneità e della
connessione delle questioni sollevate nei due ricorsi, deve essere disposta la
riunione dei giudizi, al fine di definirli con un’unica pronuncia.
4.– Quanto alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 41 della legge reg. n. 52 del 2012, risulta intervenuta rinuncia all’impugnazione da parte del ricorrente, seguita da rituale accettazione da parte della Regione resistente, di tal che i relativi giudizi devono essere dichiarati estinti per tale causa, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
5.– Sempre in via preliminare deve
osservarsi che, contrariamente a quanto dedotto dall’Avvocatura generale dello
Stato nella memoria integrativa depositata in data 24 marzo 2014, in ordine
alle questioni relative agli artt. 17, 19 e 20 della legge reg. n. 52 del 2012,
le modifiche intervenute ad opera della successiva legge reg. n. 13 del 2013
non determinano la cessazione della materia del contendere.
Per addivenire a tale esito del giudizio
in caso di modifica delle disposizioni impugnate occorre, infatti, da un lato
che la nuova disciplina possa ritenersi pienamente satisfattiva delle pretese
del ricorrente e, dall’altro, che le norme previgenti non abbiano ricevuto medio tempore applicazione (ex plurimis,
sentenze n. 97
del 2014, n.
272, n. 266
e n. 228 del
2013).
Nella specie, invero, va osservato che
gli artt. 17 e 18 della legge reg. n. 52 del 2012 hanno inserito gli artt. 18-septies e 18-octies nella legge reg. n. 28 del 2005, introducendo molteplici
requisiti obbligatori per l’autorizzazione all’esercizio di grandi strutture di
vendita e imponendo, in tal caso, l’obbligo per il privato di apprestare un
servizio di trasporto privato a tariffe di servizio pubblico. Il menzionato
art. 18-septies della legge reg. n.
28 del 2005, quale introdotto dalla legge reg. n. 52 del 2012, è stato poi
modificato dall’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2013: quest’ultima
disposizione non ha però abrogato tutti i requisiti obbligatori stabiliti per
le grandi e medie strutture di vendita già censurati in relazione al testo
originario, e ha introdotto ulteriori requisiti obbligatori per le strutture di
vendita con superficie superiore a quattromila metri quadri, oggetto di
ulteriori censure, prospettate con il ricorso n. 68 del 2013. Da un lato,
quindi, la modifica normativa non può ritenersi pienamente satisfattiva e,
dall’altro, l’oggetto delle disposizioni regionali, che prevedono requisiti per
l’esercizio di strutture di vendita, impedisce di ritenere che le stesse non
abbiano ricevuto applicazione per il periodo di circa sei mesi della loro
vigenza, considerata anche l’assenza di specifiche deduzioni in proposito da
parte della stessa Regione resistente. Ne consegue che non possono ritenersi
sussistenti i presupposti per la dichiarazione della cessazione della materia
del contendere.
Per quanto concerne l’art. 19 della
legge reg. n. 52 del 2012, esso ha modificato l’art. 19 della legge reg. n. 28
del 2005, prevedendo che soggetto destinatario delle istanze per l’esercizio di
un centro commerciale sia il SUAP, anziché il Comune. Successivamente, l’art. 3
della legge reg. n. 13 del 2013 ha introdotto nel predetto art. 19 il comma 1-bis, che prevede una SCIA per le
modifiche di settore merceologico, lasciando inalterato il resto della
disposizione. Salvo quanto si dirà successivamente sulla lacuna motivazionale
della censura relativa alle disposizioni in parola, neppure in questo caso la
modifica può ritenersi satisfattiva delle doglianze prospettate nel ricorso, né
può assumersi con certezza che la disposizione precedente sia rimasta medio tempore inapplicata, di tal che
neppure in riferimento all’art. 19 della legge reg. n. 52 del 2012 possono
ritenersi sussistenti i presupposti per dichiarare cessata la materia del
contendere.
Quanto poi all’art. 20 della medesima
legge reg. n. 52 del 2012, esso introduce l’art. 19-quinquies nella legge reg. n. 28 del 2005, stabilendo di fatto
distanze minime tra esercizi commerciali, come rilevato dal ricorrente. La
citata disposizione di cui all’art. 19-quinquies
è stata poi modificata dall’art. 6 della legge reg. n. 13 del 2013, ma la norma
impugnata (stabilita al comma 5) è rimasta inalterata, di tal che anche in
questo caso non può ritenersi cessata la materia del contendere, in quanto la
modifica non può ritenersi satisfattiva né la disposizione anteriore alla
modifica inapplicata, avendo in realtà mantenuto vigore.
6.– Ancora in punto di ammissibilità
deve osservarsi come il ricorrente assuma che le disposizioni di cui agli art.
11, 12 e 19 della legge reg. n. 52 del 2012 e all’art. 3 della legge reg. n. 13
del 2013 – che modificano gli artt. 17, 18 e 19 della legge reg. n. 28 del 2005
– abbiano determinato l’ampliamento delle attività assoggettate ad
autorizzazione anziché a mera segnalazione di inizio attività, senza addurre
una motivazione sufficientemente argomentata e documentata. La genericità della
doglianza e la mancata specificazione delle singole disposizioni legislative
statali in materia di urbanistica ed edilizia che si assumono illegittimamente
derogate dalla legislazione regionale impediscono a questa Corte di esaminare
nel merito gli addotti profili di illegittimità costituzionale delle norme
impugnate.
Una adeguata e puntuale ricostruzione
del complessivo contesto normativo statale sul quale le norme censurate
avrebbero illegittimamente inciso sarebbe stata tanto più necessaria se si
considera che le disposizioni in oggetto risultano, invece, limitarsi a
sostituire il SUAP al Comune, quale soggetto destinatario delle istanze per
l’esercizio di grandi e medie strutture di vendita e di centri commerciali.
Pertanto, in considerazione di tale
lacuna motivazionale, devono dichiararsi inammissibili per insufficiente motivazione e incompleta ricostruzione del
quadro normativo (ex plurimis,
ordinanze n. 114
del 2013 e n.
174 del 2012) le questioni aventi ad oggetto gli artt. 11, 12 e 19 della
legge reg. n. 52 del 2012 e l’art. 3 della legge reg. n. 13 del 2013, salvo
quanto si dirà in relazione a quella parte dell’art. 19 della legge reg. n. 28
del 2005, come modificato dall’impugnato art. 12 della legge reg. n. 52 del
2012, che richiama le disposizioni di cui agli artt. da 18-ter a 18 octies,
disposizioni queste ultime oggetto di autonoma e motivata censura.
7.– Nel merito le residue questioni di
legittimità costituzionale sono fondate.
7.1.– Gli artt. 13, 14, 15 e 16
introducono ex novo nella legge reg.
n. 28 del 2005, recante il codice del commercio della Regione Toscana, le
disposizioni di cui agli artt. 18-ter,
18-quater, 18-quinquies e 18-sexies,
che aggravano gli oneri di produzione documentale a carico di chi presenti
istanza al SUAP per aprire, ampliare o trasferire una grande struttura di
vendita, addossandogli l’onere di effettuare analisi dei flussi veicolari,
delle infrastrutture viarie e dei parcheggi, di predisporre un bilancio dei
rifiuti nonché di allegare progetti supplementari e di avanzare istanze per lo
svolgimento di conferenze dei servizi. In tal modo, il legislatore regionale ha
alterato la procedura davanti al SUAP quale prevista dal legislatore statale –
in particolare dall’art. 38, comma 3, del d.l. n. 112 del 2008 – aumentando le
richieste poste a carico dei privati e istituendo nuovi passaggi
procedimentali. La Regione, con l’occasione di adeguare la legislazione
regionale alla sopravvenuta normativa statale relativa al SUAP, in realtà ha
introdotto requisiti ulteriori rispetto a quelli prescritti dalla legislazione
vigente in considerazione delle dimensioni e della tipologia dell’esercizio
commerciale, oltre che del tipo di intervento che l’esercente intende
effettuare (apertura, ampliamento, trasferimento, cambio del settore
merceologico, etc.).
I predetti oneri documentali e le attività
supplementari richieste, insieme con l’appesantimento della procedura davanti
allo sportello unico, rappresentano un ostacolo effettivo alla libera
concorrenza nella Regione Toscana, sotto un duplice profilo, interregionale e intraregionale. Da un lato, gli operatori che intendono
operare nel territorio della Regione Toscana si trovano esposti a maggiori
oneri rispetto ai competitori di altre Regioni, anche limitrofe; dall’altro,
all’interno della stessa Regione, tali oneri aggiuntivi rappresentano per i
nuovi esercenti delle barriere all’entrata che pongono questi ultimi in una
posizione di svantaggio rispetto a chi già svolge un’attività commerciale. La
discriminazione rilevata è dunque duplice: sia interspaziale, fra operatori di
Regioni diverse, sia intertemporale, fra operatori già presenti nel mercato e
nuovi.
In tal modo la legislazione regionale
impugnata interferisce illegittimamente con la competenza esclusiva statale in
materia di tutela della concorrenza, che in riferimento all’esercizio delle
attività commerciali trova espressione nell’art. 31, comma 2, del d.l. n. 201
del 2011. Con questa disposizione si è stabilito che «costituisce principio
generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi
commerciali sul territorio senza contingenti limiti territoriali o altri
vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della
salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso, l’ambiente urbano, e dei
beni culturali».
L’eventuale esigenza di contemperare la
liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute,
del lavoro, dell’ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in
senso sistemico, complessivo e non frazionato (sentenze n. 85 del 2013
e n. 264 del
2012), all’esito di un bilanciamento che deve compiere il soggetto
competente nelle materie implicate, le quali nella specie afferiscono ad ambiti
di competenza statale, tenendo conto che la tutela della concorrenza, attesa la
sua natura trasversale, assume carattere prevalente e
funge, quindi, da limite alla disciplina
che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di
commercio (sentenze n. 38 del 2013
e n. 299 del
2012) o in altre materie.
Di conseguenza deve essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale degli artt. 13, 14, 15 e 16 della legge reg. n.
52 del 2012, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), in materia di tutela della
concorrenza.
7.2.– Per le medesime ragioni le
questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’art. 17 della legge
reg. n. 52 del 2012 e l’art. 2 della legge reg. n.
13 del 2013 sono fondate.
L’art. 17 ha inserito l’art. 18-septies nel codice del commercio della Toscana di cui alla legge reg. n. 28 del 2005, il quale prevede che le grandi strutture di vendita soddisfino alcuni requisiti obbligatori, relativi tra l’altro alle dotazioni energetiche, alla collaborazione con le associazioni di volontariato sociale, alla produzione, raccolta e gestione dei rifiuti, alla realizzazione di accordi sindacali di secondo livello. La medesima disposizione prevede altresì che le grandi strutture di vendita, con superficie superiore a quattromila metri quadrati, siano dotate di ulteriori elementi, quali strutture per il lavaggio dei mezzi commerciali, fasce verdi per la protezione dall’inquinamento, bacini per la raccolta delle acque piovane, parcheggi per le biciclette e le auto elettriche (con i relativi punti di ricarica), servizi di trasporto pubblico e privato, spazi per l’accoglienza del cliente e aree dedicate ai bambini. La disposizione è stata poi modificata dall’art. 2 della legge reg. Toscana n. 13 del 2013 che, come già ricordato, da un lato non ha abrogato tutti i requisiti obbligatori stabiliti per le grandi strutture di vendita già censurati in relazione al testo originario e, dall’altro, ne ha introdotto di nuovi, che sono stati impugnati con il successivo ricorso statale n. 68 del 2013.
Anche in questo caso, secondo quanto
asserito negli scritti difensivi della Regione Toscana, il legislatore
regionale ha interpretato le norme statali interposte in materia di
liberalizzazione delle attività economiche, e in particolare l’art. 31, comma
2, del d.l. n. 201 del 2011 e l’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, come attributive
di competenze legislative a favore della Regione per la salvaguardia di valori
quali la tutela dell’ambiente, della salute, dei lavoratori e dei consumatori,
che invero rientrano nelle materie più disparate di competenza esclusiva dello
Stato. La tutela dei predetti valori è effettivamente considerata dal
legislatore statale quale valida ragione di deroga al principio generale della
liberalizzazione delle attività commerciali; tuttavia, i predetti valori non
possono essere tutelati dal legislatore regionale attraverso l’esercizio della
competenza residuale del commercio, che incontra un limite nella natura
trasversale e prevalente della tutela della concorrenza, di competenza
esclusiva dello Stato. L’introduzione di ulteriori requisiti per le grandi
strutture commerciali da parte del legislatore regionale, benché ispirata a
ragioni di protezione dell’ambiente, della salute e di altre esigenze sociali
che ai sensi della legislazione statale vigente potrebbero giustificare un
limite alla liberalizzazione, ha, invero, l’effetto diretto di rendere più
onerosa, rispetto agli operatori di altre Regioni e agli operatori già attivi
nella stessa Regione Toscana, l’esercizio dell’attività economica, con evidente
disparità concorrenziale e conseguente lesione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.
7.3.– Da quanto si è appena rilevato
risulta che anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della
legge reg. n. 52 del 2012 è fondata.
Il citato art. 18, infatti, introduce
l’art. 18-octies della legge reg. n. 28
del 2005, secondo cui il rilascio dell’autorizzazione alle grandi strutture di
vendita è subordinato alla conformità del progetto ai requisiti di cui all’art.
18-septies della medesima legge reg.
n. 28 del 2005 che, come appena visto, determina una disparità concorrenziale,
con conseguente lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
7.4.– La dichiarazione di illegittimità
costituzionale dei requisiti previsti dagli articoli da 18-ter a 18-octies,
introdotti con gli artt. 13, 14, 15, 16, 17 e 18 delle legge n. 52 del 2012 e
modificati con l’art. 2 della legge reg. n. 13 del 2013, comporta che debba
dichiararsi illegittimo anche l’art. 12 della legge reg. n. 52 del 2012 nella
parte in cui, modificando l’art. 18, comma 1, della legge reg. n. 28 del 2005, stabilisce che la procedura davanti al SUAP si svolga
«secondo le condizioni e le procedure di cui agli articoli da 18-ter a 18-octies».
7.5.– Le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 20 della legge reg. n. 52 del 2012 – che aggiunge
l’art. 19-quinquies al testo della
legge reg. n. 28 del 2005 – e dell’art. 6 della legge reg. n. 13 del 2013 sono
fondate.
L’art. 20 della legge reg. n. 52 del
2012 introduce, infatti, una procedura aggravata per i casi di strutture di vendita
in forma aggregata, che la stessa disposizione definisce, come «strutture di
vendita adiacenti tra loro, anche verticalmente, o insediate a distanza
reciproca inferiore a 120 metri lineari», assumendo pertanto la distanza minima
tra gli esercizi quale elemento qualificante di tale tipologia di esercizio
commerciale, il quale è peraltro sconosciuto alla normativa statale. Una simile
disposizione deve ritenersi in contrasto con l’art. 34, comma 3, del d.l. n.
201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011 e con l’art. 1 del d.l. n.
1 del 2012, convertito dalla legge n. 27 del 2012 i quali, nel recepire le
prescrizioni della direttiva 2006/123/CE, abrogano le norme che pongono divieti
e restrizioni alle attività economiche non adeguati e non proporzionati alle
finalità pubbliche perseguite, vietando in particolare l’imposizione di
distanze minime tra le sedi di esercizio di un’attività economica. Del resto,
la stessa difesa della Regione ha evidenziato, quale ratio della norma regionale,
quella di evitare la parcellizzazione dell’offerta in esercizi ravvicinati, per
contrastare non meglio specificate finalità elusive. Orbene, proprio il
condizionamento dell’offerta quantitativa è ciò che intendono impedire le norme
statali sopra ricordate, emanate, in conformità all’art. 117, primo comma,
Cost. in attuazione di obblighi comunitari e in applicazione dell’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost. Di
qui l’illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 20 della legge reg. n.
52 del 2012.
L’art. 6 della successiva legge reg. n.
13 del 2013 si è poi limitato ad aggiungere il comma 6-bis al predetto art. 19-quinquies
della legge reg. n. 28 del 2005, norma che ha l’effetto di ridurre la distanza
minima, da 120 a 60 metri lineari, nel caso in cui il titolo edilizio sia stato
rilasciato dopo il 21 aprile 2009 e non oltre il 20 aprile 2010. In tali
limitati casi, quindi, viene semplicemente stabilita una distanza minima
inferiore rispetto a quella ordinaria, ma la disposizione costituisce pur
sempre una norma che contrasta con le medesime disposizioni europee e statali
sopra richiamate, in violazione della tutela della concorrenza.
Gli impugnati art. 20 della legge reg.
n. 52 del 2012 e art. 6 della legge reg. n. 13 del 2013 vanificano, quindi, le
finalità di massima liberalizzazione delle attività economiche perseguite dalla
direttiva citata (ex plurimis,
sentenza n. 291
del 2012), con conseguente illegittima limitazione della libertà di concorrenza,
in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., e invasione della relativa
competenza esclusiva dello Stato ex
art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., esercitata con le ricordate norme statali che tale direttiva hanno
recepito.
7.6.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 2, della legge reg. n. 13 del 2013 è fondata.
La disposizione impugnata, infatti,
modifica l’art. 19-quater della legge
reg. n. 28 del 2005, ed esige che gli esercizi commerciali di vendita in
"outlet” espongano il solo prezzo finale di vendita. Una simile imposizione
restringe la libertà imprenditoriale nella comunicazione dei prezzi praticati,
così da ostacolare il libero esercizio della concorrenza in violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. La Regione anche in questo caso si ritiene legittimata a disciplinare le
regole sull’esposizione dei prezzi di vendita sulla base di un’allegata
esigenza di tutela del consumatore che, quand’anche potesse ritenersi
effettivamente sussistere, attiene a materie di competenza esclusiva dello
Stato (segnatamente alla materia del diritto civile), esponendosi così ai
rilievi già in precedenza sviluppati in ordine al fatto che le norme statali
con finalità di liberalizzazione non possono interpretarsi come attributive di
nuove competenze regionali in materie che loro non competono in base ai
principi costituzionali.
7.7.– Analogamente è fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 della legge reg. n. 13 del
2013 che, sostituendo l’art. 54-bis,
comma 1, della legge reg. n. 28 del 2005, condiziona alla presenza di una
adeguata sorveglianza la possibilità
di installare nuovi impianti di distribuzione del carburante dotati
esclusivamente di apparecchiature "self-service” prepagato senza la presenza
del gestore. Tale disposizione contrasta con l’obiettivo di liberalizzazione
contenuto nell’art. 28, comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, come modificato e integrato
dall’art. 18, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 27 del 2012. Infatti, il maggiore onere economico e
organizzativo imposto ai gestori toscani di impianti di distribuzione dei
carburanti e, tra questi, a quelli che li intendono installare ex novo rispetto a quelli che li hanno
già installati, viola il principio di parità concorrenziale e conseguentemente
l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. Né si può giustificare l’intervento del legislatore regionale in base a
ragioni di ordine pubblico, trattandosi anche in questo caso di esigenze che
attengono ad un ambito di competenza statale esclusiva, e che in ogni caso
richiederebbero un medesimo livello di garanzia negli impianti già installati,
come nei nuovi.
7.8.– La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 18 della legge reg. n. 13 del 2013 è fondata.
Occorre anzitutto osservare che tale
disposizione, relativa all’orario degli impianti di distribuzione di
carburanti, sostituendo l’art. 84, comma 3, della legge reg. n. 28 del 2005,
impone il funzionamento contestuale della modalità "servito” e della modalità
"self-service” durante l’orario di apertura dell’impianto, in contrasto con
quanto stabilito dall’art. 28, comma 7, del citato d.l. n. 98 del 2011,
espressivo della competenza statale esclusiva in materia di concorrenza ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. L’onere aggiuntivo imposto
agli operatori toscani origina, invero, una alterazione della parità
concorrenziale in patente violazione del citato art. 28, comma 7, secondo cui
«Non possono essere posti specifici vincoli all’utilizzo di apparecchiature per
la modalità di rifornimento senza servizio con pagamento anticipato, durante le
ore in cui è contestualmente assicurata la possibilità di rifornimento assistito
dal personale, a condizione che venga effettivamente mantenuta e garantita la
presenza del titolare della licenza di esercizio dell’impianto rilasciata
dall’ufficio tecnico di finanza o di suoi dipendenti o collaboratori. […]».
8.– Restano assorbiti gli ulteriori
profili di illegittimità costituzionale dedotti dal Presidente del Consiglio
dei ministri.
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale degli artt. 13, 14, 15, 16, 17, 18 e 20 della
legge della Regione Toscana 28 settembre 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti in
materia di commercio per l’attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla legge regionale n. 28
del 2005 e alla legge regionale n. 1 del 2005) e degli artt. 2, 5, comma 2, 6,
16 e 18 della legge della Regione Toscana 5 aprile 2013, n. 13 (Disposizioni in
materia di commercio in sede fissa e di distribuzione di carburanti. Modifiche
alla legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge regionale n. 52 del 2012);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 12 della legge reg. n. 52 del 2012, nella parte in
cui, modificando l’art. 18, comma 1, della legge della Regione Toscana 7
febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio
in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazioni di alimenti e bevande,
vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti), stabilisce che l’autorizzazione sia rilasciata dallo sportello
unico per le unità produttive «secondo le
condizioni e le procedure di cui agli articoli da 18-ter a 18-octies»;
3) dichiara
estinto, relativamente alle
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 41 della legge reg. n.
52 del 2012, il processo;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 giugno
2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2014.