SENTENZA N.
164
ANNO 2012
Commento
alla decisione di
Alessandro
Venturi
(per
gentile concessione del Forum di
Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA
Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 2, lettere b) e c), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l'economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Toscana, Liguria, Emilia-Romagna, Puglia e nuovamente Emilia-Romagna, notificati il 24-27, il 28 settembre 2010 e il 9 settembre 2011, depositati in cancelleria il 28 e il 30 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e il 15 settembre 2011, rispettivamente iscritti ai nn. 96, 97, 102, 106 e 107 del registro ricorsi 2010 ed al n. 91 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Alessandro
Criscuolo;
uditi gli
avvocati Ulisse Corea per
Ritenuto in
fatto
1.— Con ricorso notificato al Presidente
del Consiglio dei ministri il 24 settembre 2010, depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 28 settembre successivo (r.r. n. 96
del 2010),
2.— In particolare, la ricorrente ha
impugnato l’art. 49, comma 4-ter,
della citata normativa, deducendone il contrasto con l’articolo 117 della
Costituzione, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione), nonché con gli artt. 2, primo comma, lettere g), p)
e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per
La norma impugnata dispone che il comma
4-bis del medesimo art. 49, il quale
sostituisce il testo dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove
norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi), «attiene alla tutela della concorrenza ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettera e),
della Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma».
Tale previsione, nel definire l’ambito
materiale cui deve ascriversi la disciplina sulla «Segnalazione certificata di
inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA), dettata dal citato art. 49, comma 4-bis, la riconduce alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato e, dunque, individua nella legge statale la
sola fonte competente ad intervenire in tema di SCIA. Inoltre, il comma 4-ter, nel prevedere che «le espressioni
«segnalazione certificata di inizio attività» e «SCIA» sostituiscono,
rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «DIA», ovunque
ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia», stabilisce che «la
disciplina di cui al comma 4-bis
sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività
recata da ogni normativa statale e regionale». Stando a tale ultima previsione,
dunque, la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in
tema di DIA, modificando, non solo la previgente normativa statale, ma anche
quella regionale.
La disposizione statale censurata, se
ritenuta applicabile anche alla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
violerebbe l’assetto costituzionale delle competenze regionali delineato nello
statuto speciale, nonché nell’art. 117 Cost., per la parte in cui devono
applicarsi anche alla Regione le più ampie forme di autonomia ivi previste ai
sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
3.— Posto che l’autoqualificazione di
una norma come inerente ad una determinata materia non ha carattere precettivo
e vincolante (e quindi è priva di contenuto lesivo), dovrebbe considerarsi –
secondo
La ratio
della disciplina non sarebbe quella di eliminare pratiche anticoncorrenziali o
di rimuovere elementi distorsivi del mercato, e neanche quella di promuovere un
ampliamento delle possibilità di accesso degli attori che vi operano, pur non
potendosi escludere che, indirettamente, la disciplina in tema di SCIA possa
avere l’effetto di ridurre una delle barriere in grado di ostacolare, in fatto,
l’ingresso del privato nell’esercizio di una nuova attività imprenditoriale o
commerciale, facilitandone l’inserimento sul mercato. Tale disciplina avrebbe
l’obiettivo di alleggerire gli oneri amministrativi ricadenti sul privato per
l’avvio di talune attività di rilievo imprenditoriale, commerciale o
artigianale, riducendo costi e tempi, e di semplificare le funzioni
amministrative di controllo ad esse relative, riducendo i costi organizzativi e
finanziari connessi al rilascio degli atti amministrativi.
In conclusione, sarebbe da escludere che
la disciplina sulla SCIA possa per ciò stesso ascriversi, anche solo in via
prevalente, al titolo competenziale individuato dal legislatore statale
nell’art. 117, secondo comma, lettera e),
e cioè alla tutela della concorrenza. Esulerebbero da tale «materia
trasversale» gli interventi legislativi che incidono – come l’art. 49-bis del d.l. n. 78 del 2010 – sulla
disciplina delle modalità attraverso le quali le pubbliche amministrazioni sono
chiamate a controllare l’attività dei privati in campo economico per la
salvaguardia degli interessi pubblici di volta in volta implicati.
Nemmeno potrebbe condividersi
l’autoqualificazione della disciplina sulla SCIA come «livello essenziale delle
prestazioni», riconducibile alla competenza annoverata nell’art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., tra le voci
di legislazione esclusiva dello Stato. Come osservato dalla giurisprudenza
costituzionale, la determinazione dei livelli essenziali costituirebbe una
competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie,
rispetto alle quali il legislatore stesso dovrebbe poter introdurre le norme
necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il
godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di diritti civili
e sociali, ma non potrebbe essere invocata in relazione a norme statali dirette
ad altri fini. Sarebbe di immediata evidenza come la disciplina dettata
dall’art. 49-bis del d.l. n. 78 del
2010 non abbia nulla a che vedere con la determinazione dei livelli essenziali
di prestazioni, non configurando né prestazioni che costituiscano contenuto
essenziale di diritti né livelli essenziali riferiti a tali prestazioni.
La ricorrente aggiunge che la disciplina
introdotta dall’art. 49, comma 4-bis,
non potrebbe ricondursi ad un’unica materia o voce contenuta negli elenchi
dell’art. 117 Cost., ma coinvolgerebbe una pluralità di materie, in relazione
al settore sul quale incidono i relativi procedimenti amministrativi ed in
considerazione dei diversi interessi che possono risultarne coinvolti. Dovrebbe
comunque ritenersi che la disciplina della SCIA sia ascrivibile, in modo
prevalente, all’ambito dell’industria, del commercio e dell’artigianato, cioè a
materie spettanti alla competenza residuale delle Regioni, ai sensi del quarto
comma dell’art. 117 Cost., e, dunque, anche alla competenza legislativa della
Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in virtù della clausola di cui
all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Inoltre, la disciplina
sulla segnalazione certificata di inizio attività coinvolgerebbe ambiti
materiali ricadenti nella competenza legislativa primaria attribuita alla
ricorrente dall’art. 2, primo comma, lettere p) e q) dello statuto
speciale, e consistenti, rispettivamente, nelle materie «artigianato» ed
«industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio», nonché nella
competenza della Regione ad emanare norme legislative di integrazione e di
attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio»,
ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera a),
del medesimo statuto.
Qualora si ritenesse, poi, che la
disciplina recata dalla norma impugnata si estenda, altresì, ad aspetti
riconducibili alla pianificazione territoriale, essa finirebbe per incidere
anche in materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare
importanza turistica», di competenza legislativa primaria della ricorrente ai
sensi dell’art. 2, comma 1, lettera g),
dello statuto speciale.
La disciplina dei profili procedimentali
connessi alle richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale non potrebbe in definitiva ascriversi, nella sua
totalità, ad una competenza esclusiva dello Stato, dal momento che essa insiste
in modo prevalente su ambiti di legislazione regionale, di natura esclusiva o
concorrente.
4.— Ciò premesso, la previsione
contenuta nella seconda parte dell’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del
L’abrogazione immediata, diretta ed
indiscriminata, di ogni normativa di settore adottata dalla Regione nella quale
sia stata prevista
La previsione del legislatore statale
disconoscerebbe le più elementari regole che presiedono al riparto delle
competenze legislative, accolte nel nostro ordinamento costituzionale, e
segnatamente quella che impedisce di risolvere i rapporti tra le fonti statali
e quelle regionali in termini di mera gerarchia, riconoscendo al legislatore
statale la possibilità di abrogare la disciplina regionale senza alcuna
considerazione delle sfere di competenza coinvolte. Anche laddove il
legislatore statale intendesse disciplinare e regolare l’esercizio delle
funzioni amministrative attinenti alla conformazione dell’attività dei privati
in ambito imprenditoriale, commerciale o artigianale, al fine di assicurare
esigenze di uniformità, non potrebbe comunque disporre legittimamente
l’abrogazione delle vigenti discipline settoriali della Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste, procedendo alla sostituzione di esse con la nuova
disciplina statale, ma semmai prevedere un obbligo di adeguamento da parte
della Regione, che sarebbe chiamata ad intervenire comunque con fonti
regionali, attraverso un rinnovato esercizio della potestà legislativa ad essa
attribuita negli ambiti materiali coinvolti. In tale ultima ipotesi, peraltro,
stante la significativa incidenza della disciplina statale su ambiti materiali spettanti
alla competenza esclusiva o concorrente regionale, dovrebbe essere assicurato
il coinvolgimento della Regione stessa nella decisione del legislatore statale,
attraverso meccanismi di raccordo o concertazione reputati idonei al
sostanziale rispetto del principio di leale collaborazione.
5.— Anche ove si ritenesse che la
disciplina statale censurata sia riconducibile alla competenza trasversale
dello Stato in materia di «concorrenza» e di «livelli essenziali delle
prestazioni», la stessa risulterebbe – a dire della ricorrente – del pari
costituzionalmente illegittima, per violazione del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Tale disciplina, infatti,
inciderebbe in maniera significativa sulle competenze regionali, con la conseguenza
che lo Stato avrebbe dovuto prevedere meccanismi di reciproco coinvolgimento e
di coordinamento del livello di governo statale e regionale.
6.— Nel giudizio si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri.
La difesa erariale eccepisce, in via
preliminare, «la tardività del ricorso proposto avverso le norme del decreto
legge non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi,
immediatamente lesive».
Nel merito, sostiene l’infondatezza del
ricorso, relativamente all’art. 49, commi 4-bis
e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010,
ponendo in evidenza che le norme in esame sarebbero dirette a favorire la
ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo su tutto il territorio nazionale
con caratteri di omogeneità, in un’ottica di maggiore competitività delle
imprese. E, data la necessità di un tempestivo intervento volto a fronteggiare
l’attuale situazione di crisi economico-finanziaria internazionale, tali
disposizioni non potrebbero che avere effetto immediato.
Peraltro, l’istituto della SCIA non sarebbe
nuovo, ma costituirebbe la modifica e semplificazione di altro analogo,
7.— Con ricorso notificato al Presidente
del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 30 settembre successivo (r.r. n. 97
del 2010),
8.— La ricorrente contesta le
disposizioni impugnate, ove ritenute applicabili anche al settore
dell’edilizia, secondo le indicazioni in tale senso pervenute dalle autorità
ministeriali. A dispetto della tradizionale diversificazione delle discipline
della DIA edilizia e di quella commerciale – la prima regolata dall’art. 22 del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia –Testo A), e
la seconda dall’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi) – ora la disciplina sembrerebbe unificata, ed il privato
potrebbe iniziare subito l’attività edilizia senza attendere alcun termine,
restando alla pubblica amministrazione soltanto il potere di intervenire
successivamente, quando i lavori siano già iniziati (o anche finiti), con un
danno urbanistico ormai prodotto (si pensi agli interventi di ristrutturazione
edilizia o agli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione
urbanistica).
Queste attività potevano essere iniziate
dopo trenta giorni dalla presentazione della DIA e tale termine avrebbe
rappresentato un equilibrato compromesso tra le esigenze di controllo
preventivo della pubblica amministrazione e le esigenze del proprietario
costruttore ad iniziare rapidamente i lavori, confidando di poter evitare
rischi di ordinanze successive di demolizione.
La normativa in esame violerebbe le
competenze regionali in materia di «governo del territorio» che, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., è attribuita alla potestà legislativa
concorrente e in cui lo Stato deve porre i principi fondamentali, lasciando poi
alle Regioni lo sviluppo e la specificazione della disciplina.
Non sarebbe sufficiente la mera autoqualificazione
formale operata dal legislatore statale per ricondurre una disciplina
nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato (tutela della concorrenza,
di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e,
e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), essendo necessario esaminarne il
contenuto sostanziale e verificare se lo scopo cui la norma tende permetta di
ricondurre la stessa in tale ambito. Risulterebbe evidente che
Con
Non pertinente sarebbe il riferimento
alla lettera m) del secondo comma
dell’art. 117 Cost., perché la disciplina della SCIA edilizia non fisserebbe un
livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio
nazionale. Nel caso in esame la normativa statale non definirebbe il livello
essenziale di erogazione, in relazione a specifiche prestazioni: il momento in
cui l’attività edilizia potrebbe essere iniziata (subito o dopo trenta giorni)
non costituirebbe una prestazione concernente un diritto.
In definitiva, escludendosi i due titoli
di competenza statale richiamati dal comma 4-ter, la disciplina in esame finirebbe per ricadere nella materia
del «governo del territorio», soggetto alla potestà legislativa concorrente, da
ritenere comprensiva di tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla
localizzazione di impianti o attività.
Posto che alla legislazione di principio
spetterebbe di prescrivere criteri e obiettivi, mentre a quella di dettaglio
sarebbe riservata l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per
raggiungere tali obiettivi, la normativa in esame si risolverebbe in una
disciplina dettagliata e specifica, che non lascerebbe alcuno spazio al
legislatore regionale, il quale, viceversa, dovrebbe poter decidere, in base
alla realtà del proprio territorio, se consentire al privato di iniziare
l’attività immediatamente, o attendere un termine da esso stabilito. Essa,
pertanto, oltrepasserebbe i confini delle competenze che, ai sensi dell’art.
117, terzo comma, Cost., spettano al legislatore statale in materia di «governo
del territorio».
9.— La nuova SCIA, secondo il disposto
del comma 4-ter, travolgerebbe tutte
le norme regionali (oltre che statali) in materia.
In ciò sarebbe ravvisabile la violazione
dell’autonomia legislativa del Consiglio regionale, in contrasto con l’art.
121, secondo comma, Cost., perché il legislatore statale non potrebbe
intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio
regionale, spettando invece a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti
dal legislatore statale.
10.— Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio
dei ministri. La difesa erariale deduce l’infondatezza del ricorso,
relativamente all’art. 49, commi 4-bis
e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010,
svolgendo difese analoghe a quelle esposte nel giudizio precedente.
11.— Con ricorso notificato al Presidente
del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 10 ottobre successivo (r.r. n. 102
del 2010),
La ricorrente premette che l’art. 49,
comma 4-bis, prevede l’integrale
sostituzione dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990, relativo alla DIA, con
il nuovo istituto della SCIA. Rispetto alla versione precedente, il nuovo art.
19 si caratterizzerebbe per il fatto di prevedere in ogni caso la facoltà di
avvio immediato dell’attività, contestualmente alla presentazione della
segnalazione, generalizzando così la previsione contenuta nel decreto
legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE
relativa ai servizi nel mercato interno), che aveva reintrodotto, per le
attività di cui alla medesima direttiva,
Inoltre, la scomparsa della precisazione
contenuta nel precedente vecchio comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del
1990 (il quale stabiliva che «restano ferme le disposizioni di legge vigenti
che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio
dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti»), unitamente alla previsione contenuta nell’art. 49, comma 4-ter (in forza della quale, «la
disciplina di cui al comma 4-bis
sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività
recata da ogni normativa statale e regionale»), deporrebbe nel senso di
ritenere che alla nuova SCIA debba essere integralmente ricondotta anche la
preesistente disciplina in materia di «DIA edilizia». Quest’ultima, fino ad
ora, avrebbe mantenuto profili di autonomia rispetto al modello di DIA
generale.
Nel senso dell’integrale sostituzione
della DIA edilizia con la nuova SCIA si sarebbe espressa anche la nota 16
settembre 2010 del Ministero per la semplificazione normativa: la quale – oltre
che sulla base dei profili dinanzi indicati – perverrebbe a tale conclusione
anche alla luce delle indicazioni emerse nel corso dei lavori parlamentari,
nonché in considerazione dell’innovativo riferimento – contenuto nel comma 1
del nuovo art. 19 della legge n. 241 del 1990 – alle «asseverazioni di tecnici
abilitati», espressione che richiamerebbe il contenuto dell’art. 23 del d.P.R.
n. 380 del
12.— Secondo
Al contempo, la puntuale disciplina
delle modalità di intervento attraverso l’esercizio del potere di inibizione e
di conformazione dell’attività – quale prevista al comma 3 del nuovo art. 19
della legge n. 241 del 1990 – interferirebbe con i poteri di controllo il cui
esercizio sarebbe attribuito alle amministrazioni locali, con conseguente
violazione dell’art. 114, secondo comma, Cost., che riconosce l’autonomia dei
poteri degli enti locali, e dell’art. 118, primo comma, Cost. che riconosce le
funzioni amministrative dei Comuni.
13.— La previsione per cui
Ponendo la regola che stabilisce dopo
quanti giorni dalla presentazione della segnalazione (nessuno, in questo caso)
sarebbe possibile iniziare l’attività, il legislatore statale non si
limiterebbe a fissare regole di principio, ma interverrebbe a disciplinare i
dettagli della materia. Nell’imporre non solo
Ulteriori criticità, in considerazione
della peculiare materia cui si riferisce, creerebbe l’estensione alla DIA
edilizia della facoltà di immediato inizio dell’attività (prevista al comma 2
del novellato art. 19 della legge n. 241 del 1990).
La questione riguarderebbe, in
particolare, l’ipotesi in cui un soggetto inizi l’attività pur in assenza dei
presupposti di legge, sulla base di una SCIA contenente false dichiarazioni o,
comunque, altrimenti errata. Ferma restando la rivendicazione della competenza
regionale a disporre in materia, nei settori commerciali l’immediato inizio di
attività – pur in assenza dei presupposti richiesti – non si presenterebbe di
particolare gravità, giacché in genere l’attivazione del potere inibitorio e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi medio
tempore prodotti (art. 19, comma 3) potrebbe risultare idoneo (perlomeno
astrattamente) a tutelare gli interessi protetti dalle normative che prevedono
il previo titolo abilitativo (sostituito dalla SCIA), trattandosi di settori
nei quali le attività svolte, in linea di principio, non appaiono tali da
determinare effetti irreversibili.
L’attività edilizia invece, per sua
natura, sarebbe idonea a determinare immediatamente alterazioni materiali del
territorio, potenzialmente assai rilevanti, ed il ripristino non sempre sarebbe
possibile: sia sotto il profilo materiale (l’art. 33, comma 2, del d.P.R. n.
380 del 2001 espressamente si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive,
in relazione alle quali non sia possibile il ripristino dello stato dei
luoghi), sia per gli eccessivi costi che il ripristino potrebbe comportare.
Anche perché – a parte le enormi difficoltà ed i costi che le Amministrazioni
incontrano nell’ottenere la demolizione degli interventi abusivi – non sempre i
privati trasgressori, che hanno dato inizio alla attività di trasformazione in
assenza dei presupposti, disporrebbero delle risorse per provvedere al
ripristino.
Non rileverebbe che gli interventi
abusivamente eseguiti in assenza o in difformità dalla DIA siano sottoposti, in
linea generale (e salvo eccezioni), alla sanzione pecuniaria, ai sensi
dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001: il tempestivo impiego del potere
inibitorio da parte delle amministrazioni comunali sarebbe stato comunque in
grado di prevenire in radice la commissione dell’abuso (cosa preferibile
rispetto alla misura sanzionatoria successiva), anche con riferimento a
tipologie di interventi che, per quanto non consentite nel caso concreto,
fossero comunque astrattamente riconducibili all’ambito di applicabilità della
DIA. Ma, soprattutto, l’uso preventivo del potere inibitorio sarebbe stato in
grado di impedire il verificarsi dell’eventualità, ben più grave, in cui il
privato presentasse una DIA per realizzare interventi che avrebbero invece
richiesto il rilascio del permesso di costruire (e che tuttavia non lo
avrebbero concretamente potuto conseguire per il contrasto con la disciplina
normativa o di piano). In tali casi, le amministrazioni comunali sarebbero
state in grado di intervenire bloccando l’esecuzione dei lavori prima
dell’inizio, mentre ciò non sarebbe ora più possibile.
Su queste premesse, sarebbe chiaro che
la totale eliminazione della possibilità delle amministrazioni (virtuose) di
operare un seppur rapido esame preventivo dei progetti, allo scopo di impedire
in radice la realizzazione degli abusi, si rivelerebbe non solo una violazione
della competenza regionale, ma anche una violazione del principio di
ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97,
primo comma, Cost.: una violazione che
Del tutto irragionevolmente, la
disposizione censurata avrebbe eliminato la clausola contenuta nel vecchio art.
19, comma
Non sarebbe neppure certo che la novella
contestata vada realmente nel senso di tutelare l’effettivo interesse del
costruttore. Chi realizza un intervento edilizio, infatti, avrebbe interesse a
conoscere in anticipo se quanto sta realizzando è o non è conforme a diritto.
Sotto tale profilo, l’immediato inizio dei lavori accentuerebbe il rischio che
quanto è in corso di realizzazione venga in seguito ad incorrere nell’esercizio
(ora solo successivo) del potere inibitorio.
In conclusione, il nuovo art. 19 della
legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010 si
rivelerebbe costituzionalmente illegittimo nel suo comma 2, nella parte in cui
prevede la possibilità di iniziare l’attività costruttiva alla data della
presentazione della segnalazione (senza prevedere una clausola di salvezza per
le diverse disposizioni previste per
14.— Per opportuna completezza –
aggiunge la ricorrente –
Le considerazioni esposte sarebbero
destinate ad assumere ancora maggiore valenza ove si condivida
quell’orientamento che ritiene
15.— Il comma 4-ter stabilisce che la disciplina della SCIA, nella sua integralità,
attiene alla tutela della concorrenza e costituisce livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettere e) ed m), Cost., e che «sostituisce
direttamente [...] quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni
normativa statale e regionale».
L’indicazione dei pretesi «titoli» della
disciplina, e degli effetti sulla normativa precedente, anche di fonte
regionale, renderebbe palese l’intendimento del legislatore statale di dettare
una normativa completa, autosufficiente, non derogabile dai legislatori locali.
Per questo il comma 4-ter sarebbe
costituzionalmente illegittimo.
Premesso che la autoqualificazione
operata dal legislatore non è vincolante, sarebbe da contestare anzitutto che
la disciplina sulla SCIA attenga effettivamente ai «livelli essenziali delle
prestazioni» di cui alla lettera m)
dell’art. 117, secondo comma, Cost., che consente allo Stato solo di fissare
«standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire agli aventi
diritto». Con le disposizioni sulla SCIA non si stabilirebbe invece alcuno
standard quantitativo o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a
questo o a quel «diritto» civile o sociale garantito dalla stessa Costituzione,
venendo al contrario regolato lo svolgimento della attività amministrativa, in
settori vastissimi ed indeterminati, alcuni di indiscutibile competenza
regionale, quali il governo del territorio, la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio,
materie spettanti alla Regione in forza dell’art. 117, terzo e quarto comma,
Cost.
Inoltre, non potrebbe essere confusa la
determinazione dei livelli delle prestazioni con la disciplina delle posizioni
soggettive degli amministrati; altrimenti, posto che ogni diritto o interesse
implica un qualche comportamento altrui (anche solo omissivo), la competenza
sulla materia della lettera m)
dell’art. 117 Cost. consentirebbe allo Stato qualunque intervento conformativo
di qualsiasi posizione soggettiva in qualunque materia regionale.
Tale confusione sarebbe particolarmente
evidente nella disciplina relativa alla SCIA, che, nella sua rigidità, potrebbe
determinare, in alcuni casi, una diminuzione dei livelli essenziali delle
prestazioni cui hanno diritto persone destinatarie dell’attività assentita
mediante la segnalazione certificata: quando, ad esempio, in conseguenza delle
limitazioni temporali e sostanziali alla attività di accertamento e controllo
della pubblica amministrazione, senza alcuna considerazione per le singole
realtà territoriali e organizzative, sia praticamente impedita la verifica del
rispetto di standard qualitativi di determinate prestazioni attinenti ai
diritti sociali.
Alcuni istituti di semplificazione
amministrativa potrebbero esprimere limiti vincolanti per le potestà
legislative regionali; ma ciò implicherebbe sempre una valutazione complessiva
di tutti gli interessi che vengono in rilievo nella singola materia
interessata, e il controllo, a sua volta, per essere effettivo, non potrebbe
che riguardare norme riferite a ben individuati settori. Il punto di equilibrio
tra l’interesse del singolo ad iniziare quanto prima una certa attività, e
l’esercizio del potere-dovere dell’amministrazione di tutelare secondo legge
gli altri interessi toccati da quella attività, potrebbe essere diverso, a
seconda che questi ultimi attengano al governo del territorio oppure alla
tutela della salute o alla tutela del lavoro (il riferimento al governo del
territorio e alla tutela della salute e del lavoro non è casuale, evocando
interessi che il comma 4-bis non
prende in considerazione ai fini della esclusione dall’ambito di operatività
della SCIA).
Aggiunge la ricorrente che esigenze di
semplificazione potrebbero certo derivare dalla normativa comunitaria,
vincolante per
16.— Il comma 4-ter dichiara come proprio fondamento costituzionale anche la
«tutela della concorrenza», oltre ai livelli essenziali delle prestazioni. Ma
esso, in realtà, non potrebbe essere ricondotto nemmeno alla lettera e) dell’art. 117 Cost., nelle parti in
cui non riguarda attività imprenditoriali e professionali, e nelle parti in cui
concerne (limitandoli) i poteri di controllo e repressivi delle amministrazioni
preposte alla tutela dei molteplici interessi pubblici e privati, che sono
stati presi in considerazione dalle singole leggi di settore quando hanno
previsto le autorizzazioni, licenze, pareri, nulla osta e simili. Con
riferimento a queste ultime norme limitatrici, anzi, la disposizione potrebbe
avere l’effetto di far rimanere «sul mercato» imprese o professionisti con
requisiti (in senso lato) non del tutto conformi agli schemi legali, con
conseguente alterazione della concorrenza «leale» tra i diversi operatori.
Ma, anche con riferimento alle attività
imprenditoriali e professionali, il comma 4-ter
non sarebbe espressione della «tutela della concorrenza» nel senso della
Costituzione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte. Esso non
riguarderebbe i requisiti per l’accesso al mercato, o le condizioni di offerta
dei beni e dei servizi, o la parità di trattamento tra gli operatori, o misure
di liberalizzazione dei mercati, ma inciderebbe direttamente e principalmente
sullo svolgimento dell’attività amministrativa e sui relativi procedimenti. Se
lo svolgimento di una determinata attività, per la quale si siano ridotti i
tempi di avvio (ma non i costi, considerandosi la necessità di «attestazioni e
asseverazioni di tecnici abilitati») dipende (anche) dall’insieme della
normativa (statale, regionale, europea, internazionale) che la riguarda, l’effetto
che la semplificazione della disciplina ha sulla concorrenza sarebbe solo
accessorio ed indiretto; e nei casi di interferenza, ai fini della riconduzione
di una legge all’una o all’altra materia, occorrerebbe operare un giudizio di
prevalenza.
17.— Costituendosi in giudizio, il
Presidente del Consiglio dei ministri adduce l’infondatezza del ricorso,
svolgendo considerazioni analoghe a quelle esposte nei giudizi precedenti.
18.— Con ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso
la cancelleria della Corte costituzionale il 6 ottobre 2010 (r.r. n. 106 del
2010),
19.— Anche le difese del Presidente del
Consiglio dei ministri, che si è costituito nel giudizio costituzionale
proposto dalla Regione Emilia-Romagna, assumendone l’infondatezza, sono
analoghe a quelle svolte nei confronti del ricorso n. 102 del 2010, proposto
dalla Regione Liguria.
20.— Con ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei ministri il 28 settembre 2010, depositato presso
21.—
Dopo aver trascritto il dettato delle due
disposizioni, la ricorrente afferma che tale normativa contrasterebbe,
anzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Nonostante l’autoqualificazione contenuta nel comma
4-ter, secondo cui la disciplina del
comma 4-bis sarebbe attinente alla
tutela della concorrenza ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera e), e costituirebbe livello essenziale
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera
m) del medesimo comma, sostituendosi,
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, a
quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale
e regionale, non sarebbe possibile ritenere, secondo la ricorrente, che la
norma sia riconducibile alla materia della «tutela della concorrenza».
Invero, il nuovo istituto della SCIA sarebbe di
generalizzata applicazione, sia alle attività che hanno un rilievo
economico-imprenditoriale sia a quelle che non lo hanno. Risulterebbe evidente
che, in relazione a questa seconda categoria, non si porrebbe un problema di
«concorrenza», e lo Stato non sarebbe legittimato in alcun modo ad adottare la
normativa impugnata. Ne conseguirebbe l’illegittimità costituzionale della
normativa contenuta nell’art. 49, commi 4-bis
e 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010,
nella parte in cui include nel suo ambito di applicazione anche quei
procedimenti inerenti ad attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale.
Sotto un secondo profilo, la normativa in questione
non potrebbe comunque ricondursi alla materia della «tutela della concorrenza»,
poiché «disciplina le relazioni tra gli operatori economici e la pubblica
amministrazione, senza che ciò possa in alcun modo incidere sulle relazioni tra
gli operatori economici». La normativa impugnata si limiterebbe a regolare le
modalità tramite le quali devono essere esplicate alcune funzioni
amministrative. Anche ammettendo che norme destinate a regolare relazioni tra
operatori e pubblici poteri possano essere ricomprese nell’ambito dell’art.
117, secondo comma, lettera e),
Cost., ciò accadrebbe in quanto tali previsioni siano dirette ad incrementare
la concorrenza esistente. Ciò non si verificherebbe nel caso in questione, in
quanto la norma avrebbe unicamente una funzione di semplificazione
amministrativa.
Da ultimo, la ricorrente fa notare l’impossibilità
di riferire l’art. 49, comma 4-bis,
del decreto-legge n. 78 del 2010, contemporaneamente, sia alla materia «tutela
della concorrenza» che a quella della «determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni».
22.— La normativa censurata violerebbe anche l’art.
117, comma secondo, lettera m), Cost.
Infatti, non sarebbe possibile ritenere che le norme
di cui all’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonostante l’autoqualificazione ivi
disposta, siano riconducibili alla materia della «determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», in primo
luogo perché non sarebbe pensabile che la disposizione costituzionale possa
essere intesa nel senso di qualificare «prestazione» qualunque attività
amministrativa con la quale entri in contatto il cittadino, poiché altrimenti
si giungerebbe a configurare un generalissimo titolo di intervento della
legislazione statale su tutta l’attività amministrativa regionale e locale.
L’attività amministrativa potrebbe
assurgere alla qualifica di «prestazione», della quale lo Stato è
competente a fissare un «livello essenziale», solo a fronte di uno specifico
«diritto» di individui, imprese, operatori economici e, in generale, soggetti
privati. Ciò sarebbe stato riconoscibile ove lo Stato avesse attribuito ai
soggetti che entrano in contatto con una pubblica amministrazione, nell’ambito
dei procedimenti individuati dalle norme in esame, il diritto ad ottenere una
risposta certa entro un termine prefissato, con eventuale utilizzo di poteri
sostitutivi straordinari per far fronte all’inadempimento di quei livelli di
governo non assicuranti il livello essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, stabilito dallo Stato nell’esercizio della propria
competenza esclusiva.
Pur se
I commi 4-bis
e 4-ter dell’art. 49 sono impugnati
anche in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.
A differenza della disciplina della DIA, che nel
settore edilizio è stata ascritta ai «principi fondamentali» della materia
«governo del territorio», la disciplina della SCIA avrebbe un ambito di
applicazione generalizzato. Non individuando alcuna materia al fine di limitare
il proprio ambito di applicazione, non potrebbe certo costituire «principio
fondamentale della materia»: il legislatore statale, infatti, avrebbe dovuto individuare
i procedimenti - almeno per classi omogenee - ricadenti nelle materie di
competenza concorrente, ai quali intendeva applicare la disciplina in esame.
Ma anche qualora, per assurdo, nonostante il suo
ambito generalizzato di applicazione, si volesse ritenere la disposizione
statale in questione legittimata dall’art. 117, terzo comma, Cost., essa
sarebbe comunque costituzionalmente illegittima, poiché non lascerebbe alcun margine al
legislatore regionale, il quale non potrebbe che limitarsi a prendere atto del
diverso assetto conferito dal nuovo istituto della SCIA al rapporto tra
cittadini ed amministrazione, senza poter in alcun modo modulare, anche in
minima parte, tale assetto in modo da renderlo maggiormente adeguato alla
realtà regionale, e senza avere la possibilità di ampliarne o ridurne l’ambito
applicativo.
La giurisprudenza costituzionale avrebbe ritenuto
«principio fondamentale» della materia «governo del territorio» la «necessaria
compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la
concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo d.P.R. n. 380 del 2001, il
permesso di costruire) e taciti, quale sarebbe
La normativa censurata, infine, violerebbe l’art.
117, quarto comma, Cost., nella parte in cui si applica a procedimenti
amministrativi ricadenti nell’ambito delle materie di competenza residuale
regionale.
Se anche l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. n.
78 del 2010 fosse da considerare legittimamente posto dallo Stato nell’ambito
della propria competenza a dettare i principi fondamentali delle materie
oggetto di potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni, esso dovrebbe
comunque ritenersi costituzionalmente illegittimo, in quanto volto a
disciplinare anche i procedimenti ricadenti nell’ambito della competenza
residuale delle Regioni. Lo Stato, infatti, non avrebbe alcun titolo per
imporre la sua applicazione anche ai procedimenti amministrativi che devono
essere esplicati in tali materie, in cui la competenza regionale non sarebbe
vincolata da questo tipo di norme statali.
23.— Nel giudizio si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, assumendo l’infondatezza del ricorso e
svolgendo argomenti analoghi a quelli esposti nei giudizi sopra richiamati.
24.— Con ricorso notificato al
Presidente del Consiglio dei ministri il 9 settembre 2011, depositato presso la
cancelleria della Corte costituzionale il 15 settembre 2011 (r.r. n.91 del
2011),
La ricorrente deduce di avere già
proposto ricorso (r.r. n. 106 del 2010) in merito al d.l. n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che aveva
sostituito la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui
all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, con quella della segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA), rivendicando alla competenza esclusiva
statale tale istituto, ed ha manifestato la volontà di censurare anche il
successivo intervento sulla materia, che ha sancito l’applicabilità della SCIA all’edilizia ed è intervenuto sulla sua
concreta disciplina, in riferimento alla definizione del termine per
l’esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione.
Infatti, tali disposizioni cristallizzerebbero l’interpretazione delle
normative menzionate in senso lesivo dell’autonomia regionale,
costituzionalmente garantita.
25.— In particolare,
Tale interpretazione autentica si
collegherebbe, inoltre, all’obiettivo enunciato al comma 1, lettera b), del medesimo art. 5, consistente
nella «estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli
interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività
(DIA)», con l’esclusione dei casi di cosiddetta super-DIA.
Nel sollevare la questione di
legittimità costituzionale in riferimento alla violazione del parametro di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost.,
Se è pur vero che, nella sentenza della
Corte costituzionale n. 303 del 2003, è stato affermato che rappresenta
principio necessario la «compresenza nella legislazione di titoli abilitativi
preventivi ed espressi [permesso di costruire] e taciti, quale è
Lo Stato avrebbe – ad avviso della
Regione Emilia-Romagna – superato i limiti della propria potestà legislativa di
principio nella materia concorrente di governo del territorio, violando l’art. 117,
terzo comma, Cost., nell’imporre non soltanto
La ricorrente ha posto in evidenza anche
la criticità di tale scelta, nel caso in cui
un soggetto inizi l’attività pur in assenza dei presupposti di legge,
sulla base di una SCIA che contiene false dichiarazioni o che comunque è
altrimenti errata.
Infatti, mentre nel settore commerciale,
la cui regolamentazione spetta per competenza residuale alla Regione,
l’immediato inizio di attività in assenza dei presupposti richiesti non sarebbe
particolarmente grave, in quanto l’attivazione del potere inibitorio e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi medio
tempore cagionati potrebbe essere idoneo a tutelare gli interessi protetti
dalle normative, l’attività edilizia determina immediatamente una materiale
alterazione del territorio, anche se gli interventi potrebbero essere poi
rimossi. Tuttavia, il ripristino della
situazione pregressa non sempre sarebbe possibile, sia sotto il profilo
materiale (come ricavabile dall’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001,
che si occupa dei profili sanzionatori di opere abusive in relazione alle quali
non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi), sia per gli eccessivi
costi che, pur se ricadenti sui privati trasgressori, risulterebbero nel
concreto spesso non sostenibili dal privato che avrebbe l’obbligo di rimuovere
gli effetti dannosi. Anche il meccanismo dell’esecuzione in danno
rappresenterebbe una soluzione di disagevole attuazione pratica, come dimostra
l’esperienza comune delle difficoltà che le amministrazioni incontrano
nell’ottenere la demolizione degli interventi abusivi.
Secondo
La totale eliminazione della possibilità
delle amministrazioni di operare un
rapido esame preventivo dei
progetti, allo scopo di impedire in radice la realizzazione degli abusi,
sarebbe non solo una violazione della competenza regionale, ma anche una
violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento
dell’amministrazione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., violazione che
Infatti, solo una verifica preventiva
sarebbe in grado di prevenire le violazioni e di corrispondere al precetto
costituzionale, in quanto, anche per effetto degli accordi internazionali ai
quali l’Italia ha aderito (quale
D’altronde, il legislatore del 2005, che
aveva sostituito alla «denuncia» la «dichiarazione di inizio attività» con la
previsione di diverse regole di carattere generale, ritenute applicabili anche
alla DIA edilizia (si pensi, ad esempio, alla previsione del potere di
autotutela), avrebbe opportunamente mantenuto alcune peculiarità di
quest’ultima, prevedendo la clausola di salvezza di cui alla vecchia
formulazione dell’art. 19, comma 4 («restano ferme le disposizioni di legge
vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per
l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione
competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione dei suoi effetti»).
L’eliminazione di tale clausola dalla
disposizione censurata determinerebbe un
inammissibile sbilanciamento a favore dell’immediata definizione delle
procedure abilitative edilizie, con un sacrificio irragionevole ed
ingiustificato delle esigenze di tutela del territorio e di quelle
organizzative delle stesse amministrazioni comunali, cui è affidato il potere
di verifica. Le amministrazioni, attese le crescenti difficoltà di bilancio per
i tagli alle risorse, si vedrebbero costrette ad «inseguire i cantieri», che
potrebbero spuntare da un giorno all’altro sull’intero territorio comunale. A
ciò andrebbe aggiunto il pregiudizio ulteriore alle posizioni dei terzi, che si
vedano lesi dall’attività costruttiva. Peraltro, non sarebbe certo che
l’automatica estensione delle regole generali della SCIA anche alla materia
edilizia tuteli l’effettivo interesse del costruttore, che ha interesse a
conoscere in tempi rapidi e definiti se può dare corso all’intervento, ma ha
anche interesse ad operare in un quadro di regole sicure, conoscendo in
anticipo se quanto sta realizzando è conforme a diritto. Di contro, l’immediato
inizio dei lavori accentuerebbe il rischio che quanto è in corso di
realizzazione venga in seguito ad incorrere nell’esercizio del potere
inibitorio, con possibilità di danneggiare sia l’amministrazione sia il terzo.
In definitiva,
Pertanto, ad avviso della Regione,
l’applicazione della disposizione di cui all’art. 19 della legge n. 241 del
1990 (come modificato dall’art. 49, comma 4-bis,
della 1egge n. 122 del 2010) alle ipotesi di DIA edilizia sarebbe
costituzionalmente illegittima nella parte in cui consente di iniziare
l’attività costruttiva alla data della presentazione della segnalazione (senza
prevedere una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per
Tale disposizione sarebbe anche
illegittima per violazione degli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui
interferisce con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività
edilizia.
Inoltre,
26.— Per quanto attiene alla
illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, lettera b), nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del
1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per
A tal proposito,
27.— Sotto diverso profilo, la
previsione del termine di trenta giorni risulterebbe anche irragionevole e
contraria al principio di buon andamento dell’attività amministrativa.
Infatti, anche se il termine di verifica
di trenta giorni era previsto in materia edilizia dall’art. 23 del d.P.R n. 380
del 2001, la disposizione aveva valenza regolamentare e, dopo la riforma del
Titolo V, parte seconda, della
Costituzione, i termini erano poi stati diversamente disciplinati dalla
normativa regionale. Come già fatto cenno,
La nuova regola sarebbe ulteriormente
irragionevole e sproporzionata se si considera che l’art. 19 della legge n. 241
del 1990 prevede un termine di verifica più lungo per attività economiche di
minor impatto, mentre per l’attività edilizia, il cui svolgimento è più
delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili al territorio, si
prevede un termine di verifica inferiore. Ne deriva, ad avviso della ricorrente
Regione, l’ulteriore incostituzionalità della disciplina contestata per
violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
La norma apparirebbe illegittima e
irrazionale anche sotto un ulteriore profilo, qualora dovesse risultare
legittima per
In sintesi, ad avviso della Regione
Emilia-Romagna, sarebbero illegittime, per violazione del riparto
costituzionale delle competenze legislative nella materia e per
irragionevolezza, che porta alla compromissione di valori fondamentali, sia la
regola che consente l’immediato avvio dell’attività edilizia, sia la regola che
costringe i controlli nel termine irrazionalmente breve di trenta giorni: ma la
seconda risulterebbe ancor più irrazionale, qualora si consideri la vigenza
della prima.
28.— Si è costituito nel giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto la introdotta normativa si
sottrarrebbe alle proposte censure di legittimità costituzionale. Contrariamente
a quanto affermato dalla Regione Emilia-Romagna, l’intervento normativo sarebbe
attinente alla materia dei livelli essenziali delle prestazioni e pertanto
rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost.,
anche alla luce del dettato dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990, il cui
richiamo alla DIA deve intendersi effettuato, per effetto del comma 4-ter dell’art. 49 del d.l. n. 78 del
2010, alla "segnalazione certificata di inizio attività”. D’altra parte, la
disciplina della SCIA risponderebbe all’esigenza di dettare un procedimento
uniforme su tutto il territorio nazionale per regolare lo svolgimento delle
attività economiche ed è tutt’altro che disciplina di dettaglio.
Inoltre, anche qualora si volesse
ritenere che la norma afferisca al settore dell’edilizia, come tale rientrante
nella materia "governo del territorio”, la questione di legittimità sarebbe
ugualmente infondata. Infatti, in tale ambito le Regioni esercitano la propria
potestà legislativa nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione
statale e senza dubbio la definizione dei titoli abilitativi e del regime
autorizzatorio delle attività edilizie rappresenterebbe una disciplina di
principio, che dovrebbe valere in maniera uniforme su tutto il territorio
nazionale. Ciò, in particolare, con riferimento alle norme che disciplinano
modalità e tempi del procedimento di verifica della conformità alla normativa
urbanistica ed edilizia, al fine di assicurare l’efficienza dell’istituto.
Pertanto, a parere della difesa dello
Stato, sarebbero non fondate anche le lamentate violazioni degli artt. 9 e 97
Cost. Le disposizioni censurate avrebbero per obiettivo la liberalizzazione
dell’attività di impresa e sarebbero dirette a salvaguardare valori
costituzionali di primaria importanza, quali la libertà di impresa, la tutela
della concorrenza e l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica
amministrazione: la semplificazione procedimentale sarebbe finalizzata a
favorire la ripresa e lo sviluppo del sistema produttivo nazionale nella
competitività delle imprese, ed in vista di tale superiore interesse nazionale
sarebbe necessaria la subordinazione delle potestà legislative degli enti
territoriali. In tale ottica si collocherebbe la norma di interpretazione
contenuta nell’art. 5, comma 1, lettera b),
del decreto-legge impugnato.
Anche la riduzione dei termini entro i
quali l’amministrazione dovrà effettuare i controlli sarebbe ragionevole e
conforme ai principi costituzionali: la modifica normativa non sacrificherebbe
le esigenze di controllo, ma mirerebbe ad assicurare un intervento più
tempestivo ed efficace della pubblica amministrazione a salvaguardia sia degli
interessi produttivi (che potrebbero essere pregiudicati dai tempi lunghi del
procedimento), sia del buon governo del territorio (che, anch’esso, riceverebbe
pregiudizio da controlli tardivi rispetto ai tempi di svolgimento
dell’attività).
29.— Le parti ricorrenti e la difesa
dello Stato hanno depositato memorie, finalizzate ad illustrare e a ribadire
gli argomenti esposti nei ricorsi e negli atti di costituzione.
Considerato
in diritto
1.—
Riservata a separate pronunce la
decisione sulle impugnazioni delle altre norme contenute nel suddetto d.l. n.
78 del 2010, proposte dalle ricorrenti, vengono qui in esame le questioni di
legittimità costituzionale relative al citato art. 49, commi 4-bis e 4-ter, nonché le questioni concernenti l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c),
del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del
2011, nei termini dianzi indicati.
2.— I ricorsi di cui sopra censurano,
con argomentazioni in parte nella sostanza coincidenti e in parte connesse, le
stesse norme. I relativi giudizi, dunque, devono essere riuniti per essere
definiti con unica sentenza.
3.—
In tal guisa sarebbero violate: a) le
competenze regionali nelle materie dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., e dunque anche
la competenza legislativa della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, in virtù della clausola di cui
all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione); b) le competenze regionali
statutarie nelle materie «artigianato» e «industria alberghiera, turismo e
tutela del paesaggio», e nell’emanazione di norme legislative di integrazione e
di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio»»,
previste dagli artt. 2, primo comma, lettere p) e q), e 3, primo
comma, lettera a), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per
In subordine, resterebbe altresì violato
il principio di leale collaborazione.
3.1.—
In particolare, tale disciplina consentirebbe
al privato di iniziare l’attività edilizia senza attendere alcun termine,
restando alla pubblica amministrazione solo il potere di intervenire
successivamente, quando i lavori sono già avviati (o anche finiti), con un
danno urbanistico ormai prodotto. Sarebbero così violate le competenze
regionali nella materia del «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117,
terzo comma, Cost., introducendo una disciplina di dettaglio sui tempi di
svolgimento dell’attività edilizia, senza permettere più un controllo
preventivo della pubblica amministrazione.
Inoltre, sarebbe violato l’art. 121,
secondo comma, Cost., perché il legislatore statale non potrebbe intervenire
direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio regionale,
spettando a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore
statale.
Le disposizioni impugnate, per
giustificare l’intervento legislativo dello Stato, richiamano la tutela della
concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e ed m).
Tuttavia, fermo il punto che – ai fini del giudizio di legittimità
costituzionale – la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alla
norma una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro
oggettiva sostanza, risulterebbe evidente che
Infine, la normativa de qua violerebbe anche il principio di
leale collaborazione.
3.2.—
Il comma 4-bis è censurato nella parte in cui, con riferimento ad ambiti non
edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a
sostituire in modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e
le modalità d’intervento attraverso l’esercizio del potere d’inibizione e di
conformazione dell’attività, violerebbe spazi di legislazione regionale
residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con
riferimento a commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere,
nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art.
114, secondo comma, Cost., all’autonomia dei poteri degli enti locali, e le
funzioni amministrative dei Comuni disposte dall’art. 118, primo comma, Cost.
Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, prevedendo la possibilità di
iniziare l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione,
senza stabilire una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste
per
Con riferimento al comma 4-ter, detta norma, qualificando la
disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e
costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali, nonché stabilendo che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a
quella già esistente in tema di DIA, con conseguente modifica non soltanto
della previgente normativa statale ma anche regionale, violerebbe le competenze
regionali quali il governo del territorio, la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio,
in forza dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.
3.3.—
Inoltre, con riferimento all’ambito
edilizio, la normativa censurata, prevedendo la possibilità d’iniziare
l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione (senza
introdurre una clausola di salvezza per le diverse disposizioni stabilite per
Quanto al citato art. 49, comma 4-ter, esso – nella parte in cui, qualificando
la disciplina della SCIA, contenuta nel comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza e costituente
livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
(art. 117, secondo comma, lettere e
ed m, Cost.), stabilisce che la nuova
disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in materia di DIA,
modificando non soltanto la previgente normativa statale, ma anche quella
regionale – si porrebbe in violazione delle competenze regionali, quali il
governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici
regionali, l’artigianato, il turismo e il commercio, ai sensi dell’art. 117,
commi terzo e quarto, Cost.
3.4.—
3.5.— Infine,
Ad avviso della ricorrente, detta
normativa violerebbe: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introduce la
disposizione che consente l’avvio immediato dell’attività con la segnalazione
dell’inizio di questa e che disciplina le modalità di funzionamento della SCIA,
mediante regole di dettaglio precluse allo Stato nella materia del governo del
territorio, demandata alla competenza legislativa concorrente; b) l’art. 3
Cost., per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, e
l’art. 97, primo comma Cost., per violazione del principio di buon andamento
dell’attività amministrativa, in quanto si tradurrebbe nella limitazione della
potestà legislativa regionale, perché sarebbe eliminata la possibilità delle
amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti. Pertanto,
verrebbe meno, in modo irragionevole, la possibilità d’impedire la
realizzazione di eventuali abusi, in contrasto col principio di buon andamento
dell’amministrazione, in quanto non sarebbe stata conservata la clausola di
salvezza prevista dalla vecchia formulazione dell’art. 19, comma 4, della legge
n. 241 del 1990 («Restano ferme le
disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai
commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione
competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione dei suoi effetti»), così escludendo questa pur lieve forma di tutela;
c) l’art. 9, secondo comma, Cost., per contrasto con l’esigenza costituzionale
di tutela del paesaggio, connessa alla tutela del territorio per effetto di
accordi internazionali ai quali l’Italia ha prestato adesione.
Inoltre, l’art. 5, comma 2, lettera b), del d. l. n. 70 del 2011, poi
convertito in legge, nella parte in cui ha introdotto un termine breve di
trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia, si
porrebbe in contrasto: con l’art. 117, terzo comma, Cost., per aver travalicato
la potestà legislativa statale che, essendo concorrente con quella regionale,
sarebbe limitata alla determinazione dei principi fondamentali della materia;
con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la previsione del termine di trenta
giorni sarebbe irragionevole e contraria al principio di buon andamento
dell’attività amministrativa, dal momento che l’art. 19 della legge n. 241 del
1990 contemplerebbe ora un termine di verifica più lungo per attività
economiche di minor impatto ed uno inferiore per l’attività edilizia, il cui
svolgimento sarebbe più delicato e potenzialmente foriero di danni
irreversibili per il territorio; con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto la
riduzione del termine avrebbe il solo effetto di limitare, senza
giustificazione, i poteri di verifica della pubblica amministrazione nel
controllo del territorio, interferendo con i poteri di controllo di Comuni e
Regioni sull’attività edilizia.
4.— In via preliminare la difesa dello
Stato ha eccepito il carattere tardivo dei ricorsi, proposti «avverso le norme
del decreto-legge non modificate in sede di conversione e quindi, in ipotesi,
immediatamente lesive».
L’eccezione non è fondata.
L’efficacia immediata, propria del
decreto-legge, e il conseguente carattere lesivo che esso può assumere, lo
rendono impugnabile in via immediata da parte delle Regioni. È pur vero, però,
che soltanto con la legge di conversione il detto provvedimento legislativo
acquisisce stabilità (art. 77, terzo comma, Cost.). In tale contesto, come
questa Corte ha più volte affermato,
5.— Nel merito, le questioni non sono
fondate.
L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla
legge n. 122 del 2010, sostituisce il testo dell’art. 19 della legge n. 241 del
1990, ora recante la rubrica «Segnalazione certificata di inizio di attività –
SCIA».
Il comma 1 del testo novellato (testo
risultante anche da alcune modifiche introdotte con provvedimenti successivi,
tra i quali il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con
modificazioni, dalla legge, 12 luglio 2011, n. 106) stabilisce che «Ogni atto
di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta
comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o
artigianale, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o
specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti
stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola
esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla
cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle
finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito,
anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria».
La disposizione prosegue specificando
gli atti che devono essere prodotti a corredo della segnalazione e dispone che
quest’ultima, con i relativi allegati, può essere presentata mediante posta
raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è
previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la
segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte
dell’amministrazione.
Il comma 2 stabilisce che «L’attività
oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione
della segnalazione all’amministrazione competente».
Il comma 3 aggiunge che
«L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento
della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un
termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta
giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e
dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando
l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui
al capo VI del Testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di documentazione amministrativa – Testo A), può
sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo».
Seguono, poi, altri commi, fino al 6-ter, tra i quali vanno richiamati i
commi 4 e 6-bis, quest’ultimo
aggiunto dall’art. 5, comma 2, lettera b),
numero 2), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge
12 luglio 2011, n. 106, poi ancora modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 6 del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo), convertito, con modificazioni,
dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Il citato comma 4 stabilisce che
«Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo
del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis,
all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di
un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la
salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente». Il comma 6-bis dispone che «Nei casi di Scia in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico- edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
Il comma 4-ter del citato art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, a
sua volta statuisce che «Il comma 4-bis
attiene alla tutela della concorrenza ai sensi dell’articolo 117, secondo
comma, lettera e), della
Costituzione, e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma. Le espressioni "segnalazione certificata di
inizio attività” e "Scia” sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio di attività” e "Dia”, ovunque ricorrano, anche come
parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella
della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e
regionale».
6.— La «segnalazione certificata
d’inizio attività» (d’ora in avanti, SCIA) si pone in rapporto di continuità
con l’istituto della DIA, che dalla prima è stato sostituito.
Scopo dell’istituto era quello di
rendere più semplici le procedure amministrative indicate nella norma,
alleggerendo il carico degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive anche
Il principio di semplificazione, ormai
da gran tempo radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta
derivazione comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato
interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo
2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero dei principi
fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282 del 2009
e n. 336 del 2005).
7.— I ricorsi in esame censurano la
normativa impugnata nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA,
contenuta nell’art. 49, comma 4-bis,
come attinente alla tutela della concorrenza ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., e
costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ha stabilito che la nuova disciplina si sostituisca a
quella già esistente in tema di DIA (art. 49, comma 4-ter), modificando non soltanto la previgente disciplina statale ma
anche quella regionale. In tal modo la detta normativa avrebbe interessato
ambiti di legislazione regionale, ai sensi dell’art. 117, terzo e quarto comma,
Cost., quali la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali,
l’artigianato, il commercio, oltre alle materie riservate dallo statuto di
autonomia alla potestà legislativa primaria della Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste.
8.— Nella giurisprudenza di questa Corte
si è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità
costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme
una natura diversa da quelle ad esse propria, quale risulta dalla loro
oggettiva sostanza. Per individuare la materia alla quale devono essere
ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la
qualificazione che di esse dà il legislatore, ma occorre fare riferimento
all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti
marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse
tutelato (ex plurimis: sentenze n. 207 del 2010;
n. 1 del 2008;
n. 169 del 2007;
n. 447 del 2006;
n. 406 e n. 29 del 1995).
In questo quadro, il richiamo alla
tutela della concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di efficacia
vincolante, è anche inappropriato. Infatti, la disciplina della SCIA, con il
principio di semplificazione ad essa sotteso, si riferisce ad «ogni atto di
autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta
comunque denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività
imprenditoriale, commerciale o artigianale, il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione
settoriale per il rilascio degli stessi».
Detta disciplina, dunque, ha un ambito
applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia
della concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali quella
materia venga in rilievo. Ma si tratta, per l’appunto, di fattispecie da
verificare in concreto (per esempio, in relazione all’esigenza di eliminare
barriere all’entrata nel mercato).
Invece, a diverse conclusioni deve
pervenirsi con riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, poi
convertito in legge.
Detta norma stabilisce che la disciplina
della SCIA, di cui al precedente comma 4-bis,
costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. Analogo principio, con riferimento alla DIA, era stato
affermato dall’art. 29, comma 2-ter,
della legge n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 10, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività
nonché in materia di processo civile), poi ancora modificato dall’art. 49,
comma 4, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito in legge.
Tale autoqualificazione, benché priva di
efficacia vincolante per quanto prima rilevato, si rivela corretta.
Al riguardo, va rimarcato che
l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è prevista in relazione
ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di uguaglianza
di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è strumento indispensabile
per realizzare quella garanzia.
In questo quadro, si deve ricordare che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della
competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione
costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e
qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili
e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli
aventi diritto» (sentenze n. 322 del 2009;
n. 168 e n. 50 del 2008;
n. 387 del 2007).
Questo titolo di legittimazione
dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni
delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»
(sentenza n. 322
del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006;
n. 285 e n.120 del 2005),
e con esso è stato attribuito «al legislatore statale un fondamentale strumento
per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul
piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un
livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n.10 del 2010 e
n. 134 del 2006).
Si tratta, quindi, come questa Corte ha
precisato, non tanto di una "materia” in senso stretto, quanto di una
competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, in
relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie
per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la
legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 322 del 2009
e n. 282 del
2002).
Alla stregua di tali principi, la
disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle
Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di
godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione. In
particolare, «la ratio di tale titolo
di competenza e l’esigenza di tutela dei diritti primari che è destinato a
soddisfare consentono di ritenere che esso può rappresentare la base giuridica
anche della previsione e della diretta erogazione di una determinata
provvidenza, oltre che della fissazione del livello strutturale e qualitativo
di una data prestazione, al fine di assicurare più compiutamente il
soddisfacimento dell’interesse ritenuto meritevole di tutela (sentenze n. 248 del 2006,
n. 383 e n. 285 del 2005),
quando ciò sia reso imprescindibile, come nella specie, da peculiari
circostanze e situazioni, quale una fase di congiuntura economica
eccezionalmente negativa» (sentenza n. 10 del
2010, punto 6.3. del Considerato in
diritto).
Orbene – premesso che l’attività amministrativa
può assurgere alla qualifica di "prestazione”, della quale lo Stato è
competente a fissare un livello essenziale a fronte di uno specifico diritto di
individui, imprese, operatori economici e, in genere, soggetti privati – la
normativa qui censurata prevede che gli interessati, in condizioni di parità su
tutto il territorio nazionale, possano iniziare una determinata attività
(rientrante nell’ambito del citato comma 4-bis),
previa segnalazione all’amministrazione competente. Con la presentazione di
tale segnalazione, il soggetto può dare inizio all’attività, mentre
l’amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti
legittimanti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione
(trenta giorni nel caso di SCIA in materia edilizia), adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti dannosi di essa, salva la possibilità che l’interessato
provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti
entro un termine fissato dall’amministrazione.
Al soggetto interessato, dunque, si
riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività (è questo il
principale novum della disciplina in
questione), fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della
pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi. Inoltre, è fatto salvo il
potere della stessa pubblica amministrazione di assumere determinazioni in via
di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies
e 21-nonies della legge n. 241 del
1990.
Si tratta di una prestazione specifica,
circoscritta all’inizio della fase procedimentale strutturata secondo un
modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di
semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare
l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il diritto
dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione
competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa
medesima.
9.— Le considerazioni fin qui svolte
vanno applicate anche alla SCIA in materia edilizia, come ormai in modo
espresso dispone l’art. 5, comma 1, lettera b),
e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, entro i limiti e con le
esclusioni previsti.
Infatti, ribadito che la normativa
censurata riguarda soltanto il momento iniziale di un intervento di
semplificazione procedimentale, e precisato che
Tuttavia, a prescindere dal rilievo che
in tale materia spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel
cui novero va ricondotta la semplificazione amministrativa), è vero del pari
che nel caso di specie, sulla base degli argomenti in precedenza esposti, il
titolo di legittimazione dell’intervento statale nella specifica disciplina
della SCIA si ravvisa nell’esigenza di determinare livelli essenziali di
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto
speciale. In altri termini, si è in presenza di un concorso di competenze che,
nella fattispecie, vede prevalere la competenza esclusiva dello Stato, essendo
essa l’unica in grado di consentire la realizzazione dell’esigenza suddetta.
10.— Infine, è stata dedotta dalle
ricorrenti la violazione del principio di leale collaborazione. La deduzione,
tuttavia, non è fondata, perché, pur volendo prescindere dal carattere
assorbente delle considerazioni che precedono, costituisce «giurisprudenza
pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle
procedure di leale collaborazione» (così, da ultimo, sentenze n. 371 e 222 del 2008, e
n. 401 del 2007).
11.— Conclusivamente, la riconduzione
della disciplina in esame all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. comporta la non fondatezza
delle questioni, sotto tutti i profili, in quanto la normativa censurata
rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.
per questi motivi
riservata a separate pronunce la
decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalle
Regioni indicate in epigrafe con i rispettivi ricorsi, nei confronti del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122;
riuniti i giudizi;
1)
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010,
n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, promosse:
a) dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste, limitatamente all’articolo 4-ter del citato decreto-legge n. 78 del 2010, come convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 122 del
b) dalle Regioni Toscana, Liguria,
Emilia Romagna e Puglia, in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114,
secondo comma, 117, secondo comma, lettere e)
ed m), terzo e quarto comma, 118 e
121, secondo comma, della Costituzione, nonché sotto il profilo della
violazione del principio della leale collaborazione, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 5, comma
1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c),
del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni
urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
2011, n. 106, promosse in riferimento agli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 Cost.
dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno
2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.