SENTENZA N. 298
ANNO
2009
Commento alla
decisione di
Giovanni Di Cosimo
Se le Regioni difendono gli enti locali
davanti alla Corte
(per gentile concessione del Forum
dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE
SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA
"
- Alfio FINOCCHIARO
"
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO
"
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge 27 maggio
2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle
famiglie), sia nel testo originario sia come modificato dalla legge di
conversione 24 luglio 2008, n. 126, promossi con due ricorsi della Regione
Calabria notificati il 24 luglio ed il 23 settembre 2008, depositati in
cancelleria rispettivamente il 30 luglio e il 30 settembre 2008 ed iscritti ai
numeri 40 e 58 del registro ricorsi 2008.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 22 settembre 2009 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’avvocato
Beniamino Caravita di Toritto per
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso notificato il 24 luglio 2008, depositato
il successivo 30 luglio ed iscritto al n. 40 del registro ricorsi 2008,
1.1. – Il comma 1 di detto articolo, nel testo originario, prevede
che «A decorrere dall’anno 2008 è esclusa dall’imposta comunale sugli immobili
di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, l’unità immobiliare
adibita ad abitazione principale del soggetto passivo».
1.2. – Il comma 2 della medesima disposizione chiarisce che «Per
unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si
intende quella considerata tale ai sensi del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504, e successive modificazioni» – cioè, salvo prova contraria,
«quella di residenza anagrafica», secondo quanto stabilito dall’art. 8, comma
2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504
(Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421) – «nonché quelle ad esse assimilate dal comune
con regolamento vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ad
eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9 per le quali continua ad
applicarsi la detrazione prevista dall’articolo 8, commi 2 e 3, del citato
decreto n. 504 del 1992».
Il comma 2 dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992, come
modificato dal comma 173 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2007), stabilisce, al primo periodo, che «Dalla imposta
dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto
passivo [...] si detraggono, fino a concorrenza del suo ammontare, lire 200.000
rapportate al periodo dell’anno durante il quale si protrae tale destinazione;
se l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale da piú soggetti
passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota
per la quale la destinazione medesima si verifica». Esso chiarisce, al secondo
periodo, che «Per abitazione principale si intende quella nella quale il
contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto
reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente».
Il comma 3 del medesimo art. 8 del d.lgs. n. 504 del 1992
prevede, al primo periodo, che «A decorrere dall’anno di imposta 1997 [...]
l’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del
soggetto passivo può essere ridotta fino al 50 per cento; in alternativa,
l’importo di lire 200.000, di cui al comma 2 del presente articolo, può essere
elevato, fino a lire 500.000, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio». Il
secondo periodo di tale ultima disposizione – aggiunto dall’art. 3 del
decreto-legge 11 marzo 1997, n. 50 (Disposizioni tributarie urgenti),
convertito, con modificazioni, dalla legge 9 maggio 1997, n. 122 – stabilisce
che «La predetta facoltà può essere esercitata anche limitatamente alle
categorie di soggetti in situazioni di particolare disagio economico-sociale,
individuate con deliberazione del competente organo comunale».
1.3. – Il successivo comma 3 del decreto-legge n. 93 del 2008, al primo periodo, dispone che «L’esenzione si applica altresí nei casi previsti dall’articolo 6, comma 3-bis, e dall’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 504 del 1992, e successive modificazioni». Il comma 3-bis dell’art. 6 del d.lgs. n. 504 del 1992, aggiunto dal comma 6 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), prevede che «Il soggetto passivo che, a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non risulta assegnatario della casa coniugale, determina l’imposta dovuta applicando l’aliquota deliberata dal comune per l’abitazione principale e le detrazioni di cui all’articolo 8, commi 2 e 2-bis, calcolate in proporzione alla quota posseduta». Il comma 4 dell’art. 8 del medesimo d.lgs. n. 504 del 1992 stabilisce invece che «Le disposizioni di cui al presente articolo» – e cioè di cui al detto art. 8, rubricato «Riduzioni e detrazioni dall’imposta» – «si applicano anche alle unità immobiliari, appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari».
Il secondo
periodo del medesimo comma 3 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008
stabilisce, «conseguentemente», che «sono […] abrogati il comma 4 dell’articolo 6 ed i commi 2-bis
e 2-ter dell’articolo 8 del citato decreto n. 504 del 1992». Detto comma
4 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 504 del 1992, nel disciplinare la determinazione delle aliquote e dell’imposta, stabiliva che restavano «ferme le disposizioni dell’articolo
4, comma 1, del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556», e cioè le disposizioni
che, «Ai fini dell’imposta comunale sugli immobili», permettevano ai comuni di
«deliberare, ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
504, una aliquota ridotta, comunque non inferiore al 4 per mille, in favore
delle persone fisiche soggetti passivi e dei soci di cooperative edilizie a
proprietà indivisa, residenti nel comune, per l’unità immobiliare direttamente
adibita ad abitazione principale, a condizione che il gettito complessivo
previsto [fosse] almeno pari all’ultimo gettito annuale realizzato». Gli
abrogati commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 8 del citato decreto
n. 504 del 1992 – aggiunti dal comma 5 dell’art. 1 della legge n. 244 del 2007
ed entrati in vigore il 1° gennaio 2008, ai sensi del comma 164 dell’art. 3
della medesima legge n. 244 – prevedevano che: a) «Dall’imposta dovuta per
l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo si
[detraesse] un ulteriore importo pari all’1,33 per mille della base imponibile
di cui all’articolo 5» (comma 2-bis, primo periodo); b) «L’ulteriore
detrazione, comunque non superiore a 200 euro, [venisse] fruita fino a
concorrenza del suo ammontare [e fosse] rapportata al periodo dell’anno durante
il quale si [protraeva] la destinazione di abitazione principale» (comma 2-bis,
secondo periodo); c) per le unità immobiliari adibite «ad abitazione principale
da piú soggetti passivi, la detrazione [spettasse] a ciascuno di essi
proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si
[verificava]» (comma 2-bis, terzo periodo); d) «L’ulteriore detrazione
di cui al comma 2-bis si [applicasse] a tutte le abitazioni ad eccezione
di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9» (comma 2-ter).
1.4. – Il
denunciato comma 4 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008 stabilisce, al
primo periodo, che «La minore imposta che deriva
dall’applicazione dei commi 1, 2 e 3, pari a 1.700 milioni di euro a decorrere
dall’anno 2008, è rimborsata ai singoli comuni, in aggiunta a quella prevista
dal comma 2-bis dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 504 del 1992,
introdotto dall’articolo 1, comma 5, della legge 24 dicembre 2007, n. 244»
[comma, quest’ultimo, prima riportato nel punto 1.3.]. A tale fine, il medesimo
comma censurato detta alcune disposizioni attuative, secondo cui: a) «nello
stato di previsione del Ministero dell’interno l’apposito fondo è integrato di
un importo pari a quanto sopra stabilito a decorrere dall’anno 2008» (comma 4,
secondo periodo); b) «In sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali
sono stabiliti, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, criteri e modalità per la erogazione del rimborso ai comuni
che il Ministro dell’interno provvede ad attuare con proprio decreto» (comma 4,
terzo periodo); c) «Relativamente alle regioni a statuto speciale, ad eccezione
delle regioni Sardegna e Sicilia, ed alle province autonome di Trento e di
Bolzano, i rimborsi sono in ogni caso disposti a favore dei citati enti, che
provvedono all’attribuzione delle quote dovute ai comuni compresi nei loro
territori nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di
attuazione» (comma 4, quarto periodo).
1.5. – Il
successivo comma 5 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, pure
denunciato, stabilisce che, «Al fine di garantire il
contributo di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto del Ministro
dell’economia e delle finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 13 del 17
gennaio 2006, come determinato dall’articolo 1, comma 251, della legge 24
dicembre 2007, n. 244» – e cioè «il contributo dello 0,8 per mille del gettito
ICI, di cui all’art. 10, comma 5, del decreto legislativo n. 504 del 1992» –
«il Ministero dell’interno eroga al soggetto di cui al medesimo decreto
ministeriale 22 novembre 2005, per le medesime finalità, lo 0,8 per mille dei
rimborsi di cui al comma 4». Detta erogazione è dunque prevista a vantaggio
all’apposito «soggetto di diritto privato, senza finalità di lucro, avente
patrimonio e contabilità distinti da quelli dell’ANCI», costituito
dall’Associazione nazionale dei comuni italiani in forza dell’art. 1, comma 1,
del suddetto decreto ministeriale 22 novembre 2005 e sulla base di quanto
disposto dal comma 2-ter dell’art. 7 del decreto-legge 31 gennaio 2005,
n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le
attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la
mobilità dei pubblici dipendenti, nonché per semplificare gli adempimenti
relativi a imposte di bollo e tasse di concessione), convertito, con
modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, il quale ultimo articolo,
modificando l’art. 10, comma 5, del decreto legislativo n. 504 del
1.6. – Il denunciato comma 6 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 93 del 2008 dispone l’abrogazione, a far data dal 29 maggio
2008, dei commi 7, 8 e 287 dell’art. 1 della legge n.
244 del 2007.
Il comma 7 di tale ultima disposizione – in dipendenza di
quanto disposto dal precedente comma 5 (che, come visto, disciplinava una
detrazione d’imposta pari all’1,33 per mille per l’ICI dovuta per l’unità
immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo) – prevedeva
che: a) «La minore imposta che deriva dall’applicazione del comma 5 [fosse]
rimborsata, con oneri a carico del bilancio dello Stato, ai singoli comuni»
(comma 7, primo periodo); b) «Entro il 28 febbraio 2008 il Ministero
dell’interno [definisse] il modello per la certificazione, da parte dei comuni,
del mancato gettito previsto» (comma 7, secondo periodo); c) «I comuni
[trasmettessero] al Ministero dell’interno il modello compilato entro la data
del 30 aprile 2008» (comma 7, terzo periodo); d) «Il trasferimento compensativo
[fosse] erogato per una quota pari al 50 per cento dell’ammontare riconosciuto
in via previsionale a ciascun comune entro e non oltre il 16 giugno e per il
restante 50 per cento entro e non oltre il 16 dicembre dell’anno di
applicazione del beneficio» (comma 7, quarto periodo); e) «Gli eventuali
conguagli [fossero] effettuati entro il 31 maggio dell’anno successivo» (comma
7, quinto periodo); f) «Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,
di concerto con i Ministri dell’interno e per gli affari regionali e le autonomie
locali, d’intesa con
Il comma 8 dell’art. 1 della legge n. 244 del
Il comma 287 della medesima disposizione prevedeva, infine,
che «L’ammontare del trasferimento compensativo riconosciuto in via
previsionale e dell’eventuale conguaglio spettanti a ciascun comune, a fronte
della diminuzione del gettito dell’imposta comunale sugli immobili che
[derivava] dall’applicazione del comma 2-bis dell’articolo 8 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, introdotto dal comma 5 del presente
articolo, [fosse] determinato con riferimento alle aliquote e alle detrazioni
vigenti alla data del 30 settembre 2007».
1.7. – Da ultimo, il denunciato comma 7 dell’art. 1
del decreto-legge n. 93 del 2008 dispone, al primo periodo, che «Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino
alla definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità interno, in
funzione della attuazione del federalismo fiscale, è sospeso il potere delle
regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle
addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi
ad essi attribuiti con legge dello Stato».
La medesima disposizione, al secondo periodo, precisa che
«Sono fatte salve, per il settore sanitario, le disposizioni di cui
all’articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive
modificazioni, e all’articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27
dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, nonché, per gli enti locali,
gli aumenti e le maggiorazioni già previsti dallo schema di bilancio di
previsione presentato dall’organo esecutivo all’organo consiliare per
l’approvazione nei termini fissati ai sensi dell’articolo 174 del testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo
18 agosto 2000, n. 267», e cioè, nella sostanza, entro il «congruo
termine» per la presentazione dello schema di
bilancio di previsione previsto dal regolamento di contabilità
dell’ente, in forza della disposizione di cui al comma 2 dell’art. 174 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), ovvero entro il termine del 31 dicembre
dell’anno per la deliberazione del bilancio, come previsto dall’art. 151, comma
1, del medesimo decreto legislativo, a tal fine richiamato dall’art. 174, comma
3, del menzionato decreto legislativo n. 267 del 2000.
Il richiamato comma 174 dell’art. 1 della legge 30 dicembre
2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2005) – come modificato prima dal comma 277
dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2006), e poi dal comma 796 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 – prevede
un’articolata misura di contenimento della spesa pubblica operante sul lato
dell’entrata. Esso stabilisce, in particolare, che: a) «Al fine del rispetto
dell’equilibrio economico-finanziario, la regione, ove si prospetti sulla base
del monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio, adotta i
provvedimenti necessari» (primo periodo); b) «Qualora dai dati del monitoraggio
del quarto trimestre si evidenzi un disavanzo di gestione a fronte del quale
non sono stati adottati i predetti provvedimenti, ovvero essi non siano
sufficienti, con la procedura di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 5
giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la
regione a provvedervi entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di
riferimento» (secondo periodo); c) «Qualora la regione non adempia, entro i
successivi trenta giorni il presidente della regione, in qualità di commissario
ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio
sanitario regionale al fine di determinare il disavanzo di gestione e adotta i
necessari provvedimenti per il suo ripianamento, ivi inclusi gli aumenti
dell’addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e le
maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive
entro le misure stabilite dalla normativa vigente» (terzo periodo); d) «I
predetti incrementi possono essere adottati anche in funzione della copertura
dei disavanzi di gestione accertati o stimati nel settore sanitario relativi
all’esercizio 2004 e seguenti» (quarto periodo); e) «Qualora i provvedimenti
necessari per il ripianamento del disavanzo di gestione non vengano adottati
dal commissario ad acta entro il 31 maggio, nella regione interessata,
con riferimento agli anni di imposta 2006 e successivi, si applicano comunque
nella misura massima prevista dalla vigente normativa l’addizionale all’imposta
sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell’aliquota dell’imposta
regionale sulle attività produttive; scaduto il termine del 31 maggio, i
provvedimenti del commissario ad acta non possono avere ad oggetto
l’addizionale e le maggiorazioni d’aliquota delle predette imposte ed i
contribuenti liquidano e versano gli acconti d’imposta dovuti nel medesimo anno
sulla base della misura massima dell’addizionale e delle maggiorazioni
d’aliquota di tali imposte» (quinto periodo).
La lettera b) del comma 796 dell’art. 1 della legge
n. 296 del 2006, come modificata dal comma 50 dell’art. 2 della legge n. 244
del 2007, istituisce per il triennio 2007-2009 un fondo transitorio da
ripartire tra le Regioni interessate da elevati disavanzi nel settore sanitario
(primo periodo) e subordina l’accesso alle risorse stanziate ad una serie di
condizioni (e cioè: sottoscrizione di apposito accordo e predisposizione di un
piano di rientro dai disavanzi che deve contenere sia le misure di riequilibrio
del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, sia le misure
necessarie all’azzeramento del disavanzo entro il 2010, sia gli obblighi e le
procedure previsti dall’articolo 8 dell’intesa 23 marzo 2005 sancita dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano). In particolare, tale accesso «presuppone che
sia scattata formalmente in modo automatico o che sia stato attivato
l’innalzamento ai livelli massimi dell’addizionale regionale all’imposta sul
reddito delle persone fisiche e dell’aliquota dell’imposta regionale sulle
attività produttive, fatte salve le aliquote ridotte disposte con leggi
regionali a favore degli esercenti un’attività imprenditoriale, commerciale,
artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, che
abbiano denunciato richieste estorsive e per i quali ricorrano le condizioni di
cui all’articolo 4 della legge 23 febbraio 1999, n. 44». La medesima
disposizione precisa, al quinto periodo, che «la regione interessata può
proporre misure equivalenti che devono essere approvate dai Ministeri della
salute e dell’economia e delle finanze» nell’ipotesi in cui «nel procedimento
di verifica annuale del piano si prefiguri il mancato rispetto di parte degli
obiettivi intermedi di riduzione del disavanzo contenuti nel piano di rientro».
«In ogni caso» – prosegue il sesto periodo della medesima lettera b) –
«l’accertato verificarsi del mancato raggiungimento degli obiettivi intermedi
comporta che, con riferimento all’anno d’imposta dell’esercizio successivo,
l’addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’aliquota
dell’imposta regionale sulle attività produttive si applicano oltre i livelli
massimi previsti dalla legislazione vigente fino all’integrale copertura dei
mancati obiettivi». Tale maggiorazione, secondo il successivo settimo periodo,
«ha carattere generalizzato e non settoriale e non è suscettibile di
differenziazioni per settori di attività e per categorie di soggetti passivi».
Simmetricamente, l’ottavo periodo della stessa lettera b) precisa che
«la regione interessata può ridurre, con riferimento all’anno d’imposta
dell’esercizio successivo, l’addizionale all’imposta sul reddito delle persone
fisiche e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive per la
quota corrispondente al miglior risultato ottenuto», qualora «sia verificato
che il rispetto degli obiettivi intermedi è stato conseguito con risultati
ottenuti quantitativamente migliori» rispetto a quelli programmati. I
successivi periodi nono e decimo dettano previsioni strumentali alla
complessiva misura introdotta dalla lettera b) del comma 796 dell’art. 1
della legge n. 296 del 2006, prevedendo la vincolatività, per le Regioni
sottoscrittrici, degli interventi individuati dai programmi operativi di
riorganizzazione, qualificazione o potenziamento del servizio sanitario
regionale necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico (nono
periodo) e misure di monitoraggio e controllo sull’applicazione dell’accordo di
cui all’articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2005), pure finalizzato all’individuazione degli interventi
necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei
livelli essenziali di assistenza, in riferimento alla spesa sanitaria (decimo
periodo).
2. – La ricorrente Regione Calabria deduce, in riferimento
alle riportate disposizioni, due motivi di censura.
2.1. – Con il primo motivo, rileva la violazione dell’art.
119 della Costituzione, lamentando, nella sostanza, l’avvenuta lesione dell’«autonomia
finanziaria regionale e degli EE.LL.».
In primo luogo, secondo
In secondo luogo, la medesima ricorrente lamenta che la
disposizione impugnata, sospendendo «il potere delle regioni e degli enti
locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote
ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge
dello Stato», risulta altresí lesiva dei commi primo, secondo e quarto
dell’evocato parametro costituzionale, perché «lo Stato non può introdurre una
disciplina normativa che sia piú restrittiva dei confini di autonomia
finanziaria regionale, delineati dal citato art. 119».
In terzo luogo, infine,
2.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce che la
disposizione denunciata víola il principio di leale collaborazione sancito
dall’art. 120 Cost., perché: a) è «compendiata in un provvedimento normativo
(i.e. il decreto-legge) sottratto alla necessaria (in materia) dialettica
istituzionale Stato-regioni»; b) persegue una ratio «pur condivisibile,
nel merito», «attraverso forme che aggirano i "metodi della concertazione e
leale collaborazione fra livelli istituzionali, intenti piú volte richiamati
dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome” ed altresí oggetto –
per l’attuazione della normativa relativa a tali ambiti materiali – di una
giurisprudenza costituzionale costante nel richiamare lo Stato alle necessarie
forme di cooperazione, tipiche di un sistema di governo multilivello».
3. – Si è costituito in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque
infondate.
3.1. – In rito, la difesa erariale afferma, in primo luogo,
che tutte le questioni di legittimità promosse dalla ricorrente sono
inammissibili perché, con riferimento alle singole censure, non vengono
indicati i commi impugnati, né «è possibile individuarli sia perché i motivi
non si attagliano a tutti sia perché come parametro costituzionale è indicato
l’art. 119 Cost., senza precisare sotto quali profili».
In secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato rileva
che
Secondo il resistente, è inammissibile anche la "questione”
con cui
3.2. – Nel merito, la difesa erariale, con riferimento alla
dedotta violazione dell’autonomia finanziaria regionale, rileva che: a) «l’art.
119 Cost. non può costituire un parametro di valutazione pienamente efficace
fino a che non siano intervenute le norme di attuazione»; b) tale ultimo
parametro – avendo «una efficacia, per cosí dire, negativa, nel senso che non
consente di realizzare effetti in contrasto con le sue linee tendenziali» –
impone solo, nel caso di specie, «che la mancanza del gettito sia compensato
con l’attribuzione di risorse corrispondenti», ciò che di fatto avviene,
secondo l’Avvocatura generale, in virtú della previsione della costituzione di
un fondo presso lo stato di previsione del Ministero dell’interno con dotazione
pari «al minor gettito percepito dai singoli Comuni a seguito dell’intervento
sull’ICI»; c) l’ICI, essendo stata istituita con legge statale, è comunque
imposta statale e, perciò, lo Stato, «in quanto titolare della potestà
legislativa corrispondente, ne può modificare la disciplina»; d) la previsione
della «sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare
aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle
maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato»
è poi giustificata dagli «obiettivi che la norma si propone», ravvisabili,
secondo l’Avvocatura: d.1.) nella necessità di garantire – pur nella varietà
«delle esigenze particolari di settore», comunque considerate dalla norma – «la
continuità delle entrate allo stesso livello»; d.2.) nell’esigenza di evitare
un aumento dell’onere fiscale che «potrebbe indurre alla evasione»; d.3.)
nell’esigenza di «mantenere inalterate le condizioni finanziarie attuali "in
funzione della attuazione del federalismo fiscale”», attuazione che «sarebbe
potuta riuscire seriamente pregiudicata» se «si fossero create posizioni
squilibrate o di difficile adattamento». Sul punto, la difesa erariale conclude
affermando che «Si è, dunque, nell’ambito di quelle misure che codesta Corte ha
già ritenuto legittime quando perseguano in via transitoria obiettivi di
contenimento complessivo della spesa».
Quanto all’asserita lesione del principio di leale
collaborazione, l’Avvocatura sottolinea che i criteri e le modalità di
erogazione dei rimborsi sono stabiliti in sede di Conferenza Stato-Città ed
autonomie locali e, comunque, che si verte in un ambito di potestà legislativa
esclusiva statale che deve essere «esercitata senza nessuna interferenza
diretta Regionale». Nel caso di specie infatti – prosegue la difesa erariale –
la ricerca del consenso preventivo delle Regioni è il risultato «di una
valutazione di opportunità politica al di sotto della soglia costituzionale»,
che, dunque, non indice sulla legittimità della disposizione censurata.
4. – Con ricorso notificato il 23 settembre 2008,
depositato il successivo 30 settembre ed iscritto al n. 58 del registro ricorsi
2008,
4.1. – Il denunciato art. 1, comma 1, della legge n. 126
del
4.2. – Il comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del
4.3. – Il comma 4 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del
4.4. – Il comma 4-bis
dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, introdotto dalla legge di
conversione, stabilisce che «Per l’anno 2008, il Ministero dell’interno, fatti
salvi eventuali accordi intervenuti in data precedente in sede di Conferenza
Stato-Città ed autonomie locali, entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, ripartisce e accredita
ai comuni e alle regioni a statuto speciale, a titolo di primo acconto, il 50
per cento del rimborso loro spettante, come determinato ai sensi del comma 4».
Il successivo comma 4-ter
del medesimo art. 1 precisa che «In sede di prima applicazione, fino
all’erogazione effettiva di quanto spettante a titolo di acconto a ciascun
comune ai sensi del comma 4-bis, il
limite dei tre dodicesimi di cui all’articolo 222 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267» – e cioè il limite alle anticipazioni di tesoreria vigente
per i comuni, le province, le città metropolitane, le unioni di comuni e le
comunità montane – «è maggiorato dell’importo
equivalente al credito dell’imposta comunale sugli immobili determinatosi, per
effetto delle norme di cui ai commi da
4.5. – Il successivo comma 6-bis, pure introdotto dalla legge di conversione, stabilisce invece
che, «In sede di prima applicazione delle disposizioni di cui ai commi
precedenti, con esclusivo riferimento alle fattispecie di cui al comma 2 [e
cioè con esclusivo riferimento ai limiti dell’assimilazione, con regolamento o
delibera comunale, di immobili diversi all’abitazione principale], non si fa luogo
all’applicazione di sanzioni nei casi di omesso o insufficiente versamento
della prima rata dell’imposta comunale sugli immobili, relativa all’anno
4.6. – Il denunciato art. 1, comma 1, della legge di
conversione, in combinato disposto con l’allegato alla medesima legge, ha poi
aggiunto due ulteriori periodi al comma 7 dell’art. 1 del decreto-legge n. 93
del 2008, il quale – come si è visto – sospende il potere delle Regioni e degli
enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle
aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti
con legge dello Stato. Secondo tali periodi: a) «Resta fermo che continuano
comunque ad applicarsi le disposizioni relative al mancato rispetto del patto
di stabilità interno, di cui ai commi 669, 670, 671, 672, 691, 692 e 693
dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296»; b) «Le sezioni regionali
di controllo della Corte dei conti verificano il rispetto delle disposizioni di
cui al presente comma, riferendo l’esito di tali controlli alle sezioni riunite
in sede di controllo, ai fini del referto per il coordinamento del sistema di
finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, della legge 14 gennaio
1994, n. 20, come modificato, da ultimo, dall’articolo 3, comma 65, della legge
24 dicembre 2007, n. 244, nonché alla sezione delle autonomie».
I richiamati commi 669, 670, 671 e 672 dell’art. 1 della
legge n. 296 del 2006 introducono, per anni specificamente individuati,
un’articolata misura di finanza pubblica, la quale prevede che: a) «In caso di mancato
rispetto del patto di stabilità interno relativo agli anni 2007-2009, […] il
Presidente del Consiglio dei Ministri […] diffida la regione o provincia
autonoma ad adottare i necessari provvedimenti entro il 31 maggio dell’anno
successivo a quello di riferimento» (comma 669, primo periodo); b) «Detti
provvedimenti devono essere comunicati al Ministero dell’economia e delle
finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro la medesima
data […]» (comma 669, secondo periodo); c) «Qualora l’ente non adempia, il
presidente della regione, in qualità di commissario ad acta, adotta entro il 30 giugno i necessari provvedimenti che
devono essere comunicati, entro la medesima data, con le stesse modalità»
(comma 669, terzo periodo); d) «Allo scopo di assicurare al contribuente
l’informazione necessaria per il corretto adempimento degli obblighi tributari,
il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato, cura la pubblicazione sul sito informatico […] degli
elenchi contenenti le regioni e le province autonome che non hanno rispettato
il patto di stabilità interno, di quelle che hanno adottato opportuni
provvedimenti e di quelle per le quali i commissari ad acta non hanno inviato la prescritta comunicazione» (comma 669,
quarto periodo); e) «Decorso inutilmente il termine del 30 giugno previsto dal
comma 669, nella regione o nella provincia autonoma interessata, con
riferimento all’anno in corso», si applicano automaticamente: a) l’imposta
regionale sulla benzina per autotrazione, di cui all’articolo 17 del decreto
legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, nella misura di euro 0,0258, con
efficacia dal 15 luglio; b) la tassa automobilistica, di cui al titolo III,
capo I, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, con l’aumento di 5
punti percentuali delle tariffe vigenti (comma 670, unico periodo); f) «Nelle
regioni e nelle province autonome in cui l’imposta regionale sulla benzina è
già in vigore nella misura massima prevista dalla legge si applica l’ulteriore
aumento di euro 0,0129» (comma 670, unico periodo); g) «Scaduto il termine del
30 giugno i provvedimenti del commissario ad
acta non possono avere ad oggetto i tributi di cui ai commi 670 e 671»
(comma 672, unico periodo).
I successivi commi 691, 692 e 693 dell’art. 1 della legge
n. 296 del 2006 stabiliscono invece, con una disposizione di carattere
generale, che: a) «In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno,
[…] il Presidente del Consiglio dei Ministri […] diffida gli enti locali ad
adottare i necessari provvedimenti entro il 31 maggio dell’anno successivo a
quello di riferimento» (comma 691, primo periodo); b) «Detti provvedimenti
devono essere comunicati al Ministero dell’economia e delle finanze –
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro la medesima data»
(comma 691, secondo periodo); c) «Qualora i suddetti enti non adempiano, il
sindaco o il presidente della provincia, in qualità di commissari ad acta, adottano entro il 30 giugno i
necessari provvedimenti, che devono essere comunicati, entro la medesima data
[…]» (comma 691, terzo periodo); d) «Allo scopo di assicurare al contribuente
l’informazione necessaria per il corretto adempimento degli obblighi tributari,
il Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria
generale dello Stato cura la pubblicazione sul sito informatico […] degli
elenchi contenenti gli enti locali che non hanno rispettato il patto di
stabilità interno, di quelli che hanno adottato opportuni provvedimenti nonché
di quelli per i quali i commissari ad
acta non hanno inviato la prescritta comunicazione» (comma 691, quarto
periodo); e) «Decorso inutilmente il termine del 30 giugno previsto dal comma
691: a) nei comuni interessati, con
riferimento al periodo di imposta in corso, i contribuenti tenuti al versamento
dell’addizionale comunale all’imposta sul reddito delle persone fisiche
calcolano l’imposta maggiorando l’aliquota vigente nei comuni stessi dello 0,3
per cento; b) nelle province
interessate, con riferimento al periodo di imposta in corso, l’imposta
provinciale di trascrizione, per i pagamenti effettuati a decorrere dal 1°
luglio, è calcolata applicando un aumento del 5 per cento sulla tariffa vigente
nelle province stesse (comma 692, unico periodo); f) «Scaduto il termine del 30
giugno i provvedimenti del commissario ad
acta non possono avere ad oggetto i tributi di cui al comma 692» (comma
693, unico periodo).
4.7. – Da ultimo, il comma 7-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, introdotto dalla
legge di conversione, stabilisce che «I comuni che abbiano in corso di
esecuzione rapporti di concessione del servizio di accertamento e riscossione
dell’imposta comunale sugli immobili possono rinegoziare i contratti in essere,
ai fini dell’accertamento e della riscossione di altre entrate, compatibilmente
con la disciplina comunitaria in materia di prestazione di servizi».
5. – La ricorrente Regione Calabria, dopo aver rilevato che
le disposizioni «contenute» nel decreto-legge «sono state trasposte – con
alcune modificazioni – nella successiva legge di conversione», deduce, in
riferimento alle stesse, due motivi di censura analoghi a quelli già dedotti
avverso l’impugnato decreto-legge.
5.1. – In particolare, la ricorrente premette che, con
delibera n. 393 del 3 giugno 2008, la propria giunta regionale ha rilevato che:
a) con il denunciato decreto-legge «il Governo, nello stabilire, all’art. 1,
l’esenzione della corresponsione dell’ICI per la prima casa a decorrere
dall’anno
5.2. –
In primo luogo, per
In secondo luogo, la medesima ricorrente lamenta che la
disposizione impugnata, sospendendo «il potere delle regioni e degli enti
locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote
ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge
dello Stato», risulta altresí lesiva dei commi primo, secondo e quarto
dell’evocata disposizione costituzionale, perché «lo Stato non può introdurre
una disciplina normativa che sia piú restrittiva dei confini di autonomia
finanziaria regionale, delineati dal citato art. 119».
In terzo luogo,
5.3. – Con un secondo motivo di censura, la ricorrente
deduce altresí che la disposizione denunciata víola il principio di leale
collaborazione sancito dall’art. 120 Cost., perché: a) è «compendiata in un
provvedimento normativo (i.e. il decreto-legge) sottratto alla necessaria (in
materia) dialettica istituzionale Stato-regioni»; b) persegue una ratio
«pur condivisibile, nel merito», «attraverso forme che aggirano i metodi della
concertazione e leale collaborazione fra livelli istituzionali».
6. – Si è costituito in giudizio, con atto depositato in
data 8 ottobre 2008, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano
dichiarate inammissibili o comunque infondate.
In particolare, la difesa erariale – richiamando
integralmente gli argomenti svolti nell’atto di costituzione depositato nel
giudizio iscritto al n. 40 del registro ricorsi 2008 – eccepisce
l’inammissibilità delle questioni sollevate con il nuovo ricorso per due
ulteriori motivi: a) con riferimento a tutte le questioni, perché fondate sui
medesimi motivi oggetto del giudizio di costituzionalità sul decreto-legge,
«motivi che, stando alla stessa versione della Ricorrente, mantengono la loro
validità anche a conversione intervenuta»; b) con riferimento alle sole
questioni aventi ad oggetto gli impugnati commi 4-bis e 4-ter, perché
l’aggravamento dei «termini della protestata violazione costituzionale» è
«soltanto affermato, ma non argomentato».
Inoltre, l’Avvocatura generale rileva che il ricorso n. 40
è stato notificato «lo stesso giorno della pubblicazione della legge di
conversione» e, pertanto, rimette a questa Corte la valutazione
dell’ammissibilità di una impugnazione rivolta avverso il solo decreto-legge,
essendo, nel momento della proposizione del primo ricorso, la promulgazione
della legge di conversione «già nota».
7. – In data 16 luglio 2009,
In particolare, la ricorrente, in punto di ammissibilità,
ribadisce che: a)
Sul merito dei ricorsi, la difesa erariale ribadisce che:
a) l’ICI è imposta statale che può esser liberamente modificata dallo Stato, in
forza della lettera e) del comma 2
dell’art. 117 Cost., «con il solo limite di non pregiudicare la situazione
finanziaria complessiva dell’ente beneficiario del gettito»; b) la sospensione
del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi,
delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di
tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato «non è in rapporto con
l’abolizione dell’ICI sull’abitazione principale», ma «è rivolta a salvaguardare
in modo autonomo il potere di acquisto delle famiglie evitando che certi oneri
tributari […] potessero essere aggravati»; c) al riguardo, «il carico fiscale
esistente» è comunque «mantenuto» e, pertanto, «nessuna diminuzione di
finanziamento» ovvero nessuno «squilibrio nella finanza regionale» può essere
lamentato dalla ricorrente; d) gli eventuali effetti prodotti dall’«abolizione
dell’ICI» sulla finanza dei Comuni sono comunque compensati dalla costituzione
dell’apposito fondo presso il Ministero dell’Interno e, comunque, eventuali
controversie concernenti l’ammontare, in concreto, del fondo potrebbero essere
oggetto di giudizio, tra Comuni e lo Stato, nelle sedi ordinarie; e) le
questioni aventi ad oggetto l’asserita insufficienza del fondo non possono
essere prospettate dalla Regione – che non riceve pregiudizio, «nemmeno in via
indiretta», da tale circostanza – e sono comunque sfornite di «qualsiasi prova,
nemmeno presuntiva»; f) si verte in un ambito di potestà legislativa esclusiva
statale e, pertanto, non vengono in rilievo esigenze di rispetto del principio
di leale collaborazione; principio che comunque non si applica ai procedimenti
legislativi.
8. – In prossimità
dell’udienza,
In particolare, la
ricorrente deduce che il denunciato art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008,
sia nel testo originario, sia nel testo risultante dalla legge di conversione,
víola l’art. 77 Cost. perché: a) è «evidente», nel caso di specie, la «mancanza
dei presupposti straordinari di necessità ed urgenza» del decreto-legge; b) la
disciplina introdotta da detta fonte «si
configura, invero, alla stregua di un intervento sistematico nell’ambito dei
rapporti finanziari Stato-Regione, senza che gli effetti della stessa possano
ricondursi nemmeno alle finalità espresse nella relativa rubrica (i.e.
"Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle
famiglie”)».
La medesima
ricorrente deduce altresí che la disposizione denunciata víola l’art. 119
Cost., in combinato disposto con la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al
Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119
della Costituzione), perché è "espressiva” «di principi del tutto
contraddittori e – per cosí dire – controtendenziali rispetto a quelli
enucleati dalla citata legge delega – facilmente classificabile fra le leggi di
grande riforma organica dell’ordinamento giuridico nonché (sebbene lato
sensu) di attuazione costituzionale».
Considerato in diritto
1. – I giudizi di legittimità costituzionale indicati in
epigrafe sono stati promossi dalla Regione Calabria e hanno per oggetto l’art.
1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per
salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), nel testo originario
(ricorso iscritto al numero 40 del registro ricorsi 2008) ed in quello
risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge 24
luglio 2008, n. 126 (ricorso iscritto al numero 58 del registro ricorsi 2008).
1.1. – Il testo originario dell’art. 1 del decreto-legge n.
93 del 2008 – censurato dalla ricorrente per violazione sia dell’art. 119 della
Costituzione che del principio di leale collaborazione sancito dall’art. 120
Cost. – prevede un’articolata misura di finanza pubblica volta: a) ad
escludere, a decorrere dall’anno 2008, l’imposta comunale sugli immobili (ICI)
sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo
(art. 1, commi 1, 2 e 3, primo periodo); b) a rimborsare ai singoli Comuni la
minore imposta che deriva dalla menzionata esclusione – minore imposta
quantificata in € 1.700 milioni – secondo criteri e modalità stabiliti in sede
di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali (art. 1, comma 4, primo, secondo
e terzo periodo, e comma 5); c) ad abrogare, «conseguentemente», le
disposizioni che prevedevano, a vario titolo, o la possibilità di determinare
aliquote ridotte per l’ICI gravante sulle abitazioni principali o detrazioni d’imposta
con riferimento a dette unità immobiliari o, ancora, le modalità attuative di
dette riduzioni e detrazioni (art. 1, comma 3, secondo periodo, e comma 6); d)
a sospendere, fino alla definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità
interno, il potere delle Regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei
tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di
aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato, fatte salve le
speciali disposizioni vigenti per il ripiano del disavanzo nel settore
sanitario (art. 1, comma 7).
Il quarto periodo del quarto comma dell’art. 1 del
decreto-legge n. 93 del 2008 chiarisce altresí che «Relativamente alle regioni
a statuto speciale, ad eccezione delle regioni Sardegna e Sicilia, ed alle
province autonome di Trento e di Bolzano, i rimborsi sono in ogni caso disposti
a favore dei citati enti, che provvedono all’attribuzione delle quote dovute ai
comuni compresi nei loro territori nel rispetto degli statuti speciali e delle
relative norme di attuazione».
1.2.. – L’art. 1, comma 1, della legge di conversione n.
126 del
2. – Secondo la ricorrente, l’art. 1 del decreto-legge n.
93 del 2008, sia nel testo originario, sia nel testo modificato dall’art. 1,
comma 1, della legge di conversione n. 126 del
Sempre secondo
3. – Con la memoria depositata in
prossimità dell’udienza, la ricorrente ha formulato ulteriori motivi di
censura. Per
4. – In considerazione della parziale coincidenza
dell’oggetto e della identità dei motivi delle questioni promosse dalla
ricorrente, i ricorsi debbono essere riuniti per essere congiuntamente
esaminati e decisi da questa Corte.
5. – Preliminarmente, deve essere dichiarata la cessazione
della materia del contendere in riferimento alle questioni aventi ad oggetto
l’art. 1, comma 5, del decreto-legge n. 93 del 2008, perché tali questioni
hanno ad oggetto una disposizione che non è stata convertita in legge e che,
perciò, ha perso efficacia sin dall’inizio ai sensi dell’art. 77, terzo comma,
Cost. (per un caso analogo, sentenza n. 200 del
2009).
6. – Deve essere altresí dichiarata l’inammissibilità delle
questioni aventi ad oggetto il quarto periodo del comma 4 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 93 del 2008, sia nel testo originario, sia nel testo
convertito dalla legge n. 126 del 2008, per carenza di interesse al ricorso.
Tale disposizione stabilisce che «Relativamente alle
regioni a statuto speciale, ad eccezione delle regioni Sardegna e Sicilia, ed
alle province autonome di Trento e di Bolzano, i rimborsi sono in ogni caso
disposti a favore dei citati enti, che provvedono all’attribuzione delle quote
dovute ai comuni compresi nei loro territori nel rispetto degli statuti
speciali e delle relative norme di attuazione». Essa, dunque, applicandosi alle
sole Regioni a statuto speciale e Province autonome, non esplica effetti per la
ricorrente, che è una Regione a statuto ordinario, con conseguente carenza di
interesse all’impugnazione in parte qua.
7. – Sempre in via preliminare, devono essere valutate le
eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla difesa erariale.
7.1. – In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato
afferma che tutte le questioni promosse dalla ricorrente sono inammissibili,
perché, con riferimento alle singole censure, non vengono indicati i commi
impugnati, né «è possibile individuarli sia perché i motivi non si attagliano a
tutti sia perché come parametro costituzionale è indicato l’art. 119 Cost.,
senza precisare sotto quali profili».
L’eccezione è solo in parte fondata.
Diversamente da quanto sostenuto dall’Avvocatura generale
dello Stato, la ricorrente ha inteso impugnare tutte le disposizioni contenute
nell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008. Tuttavia essa, nel lamentare la
violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali e del
principio di leale collaborazione, ha fornito un’adeguata motivazione solo con
riguardo alle censure proposte in riferimento a quelle disposizioni dell’art. 1
che hanno l’effetto di incidere sulla sfera finanziaria regionale e degli enti
locali e, nel medesimo ambito, sul principio di leale collaborazione.
In particolare, sono sorrette da sufficiente motivazione le
questioni aventi ad oggetto: a) quanto al decreto-legge, nel testo originario,
le previsioni che hanno l’effetto di: a.1.) escludere, a decorrere dall’anno
2008, l’imposta comunale sugli immobili sull’unità immobiliare adibita ad
abitazione principale del soggetto passivo (commi 1, 2 e 3, primo periodo);
a.2.) rimborsare ai singoli Comuni la minore imposta che deriva dalla
menzionata esclusione secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza
Stato-Città ed autonomie locali (commi 4 e 5); a.3.) sospendere, fino alla
definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità interno, il potere delle
Regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle
addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi
ad essi attribuiti con legge dello Stato (comma 7); b) quanto al decreto-legge,
nel testo risultante dalla legge di conversione, le ulteriori disposizioni che:
b.1.) chiariscono che l’assimilazione ad abitazione principale può essere
operata dal Comune, oltre che con regolamento, anche con una delibera comunale
«vigente alla data» del 29 maggio 2008 (comma 2); b.2.) prevedono il versamento
ad opera del Ministero dell’interno, entro il 26 agosto del 2008, di un primo
acconto ai Comuni e alle Regioni a statuto speciale ed autorizzano una deroga
al limite alle anticipazioni di tesoreria vigente per gli enti locali (commi 4-bis e 4-ter); b.3.) chiariscono, quanto alla sospensione del potere delle
Regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle
addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi
ad essi attribuiti con legge dello Stato, che sono fatte salve le disposizioni
relative all’innalzamento dei tributi locali e delle addizionali nel caso di
mancato rispetto del patto di stabilità interno (ultimi due periodi del comma
7).
Parimenti, sono sorrette da sufficiente motivazione le
questioni aventi ad oggetto le disposizioni che abrogano precedenti norme, le
quali: a) prevedevano la possibilità di determinare aliquote ridotte per l’ICI
gravante sulle abitazioni principali, b) prevedevano detrazioni d’imposta con
riferimento a dette unità immobiliari, o c) attuavano dette riduzioni e
detrazioni (commi 3, secondo periodo, e 6, sia nel testo originario, sia nel
testo modificato dalla legge di conversione). Tali disposizioni abrogative
sono, infatti, strettamente ed inscindibilmente collegate a quelle prima
considerate, che escludono l’applicazione dell’ICI in riferimento
all’abitazione principale.
Non hanno ad oggetto norme incidenti sull’autonomia
finanziaria regionale e degli enti locali e, pertanto, sono inammissibili per
insufficienza di motivazione le questioni relative alle seguenti disposizioni
dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, nel testo modificato dalla legge
di conversione: a) il comma 4, nella parte in cui specifica che il decreto del
Ministro dell’interno deve essere emanato entro trenta giorni dalla data di
entrata in vigore della legge di conversione, «secondo princípi che tengano
conto dell’efficienza nella riscossione dell’imposta, del rispetto del patto di
stabilità interno, per l’esercizio 2007, e della tutela dei piccoli comuni»; b)
il comma 6-bis, che prevede, con riferimento ai limiti in ordine
all’assimilazione di immobili diversi all’abitazione principale, una
sospensione nell’applicazione «di sanzioni nei casi di omesso o insufficiente
versamento della prima rata dell’imposta comunale sugli immobili, relativa
all’anno
7.2. – In
secondo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, con riferimento ad
entrambi i ricorsi, che
L’eccezione
non è fondata, perché si basa su due presupposti: a) che
Il primo
presupposto è erroneo, perché le Regioni sono legittimate a denunciare la legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali,
indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza
legislativa regionale. Questa Corte, infatti, ha piú volte affermato il
principio che la suddetta legittimazione sussiste in capo alle Regioni, in
quanto «la stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza
regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie
locali consente di ritenere che la lesione delle competenze locali sia
potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze
regionali» (sentenze n. 169 e n. 95 del 2007,
n. 417 del 2005
e n. 196 del
2004). Tale giurisprudenza si riferisce, in modo evidente, a tutte le
attribuzioni costituzionali delle Regioni e degli enti locali e prescinde,
perciò, dal titolo di competenza legislativa esclusivo, concorrente o residuale
eventualmente invocabile nella fattispecie. Essa, in particolare, non richiede,
quale condizione necessaria per la denuncia da parte della Regione di un vulnus delle competenze locali, che sia
dedotta la violazione delle attribuzioni legislative regionali. Non incide,
dunque, sulla legittimazione della ricorrente a promuovere la questione la
circostanza che, nella specie,
Anche il
secondo presupposto è erroneo, perché si adduce un argomento di merito al fine
di sostenere l’inammissibilità, in rito, della questione. Al contrario di
quanto sostenuto dalla difesa erariale, infatti, la valutazione della questione
in punto di ammissibilità attiene alla prospettazione della ricorrente e deve
essere tenuta distinta da quella in punto di fondatezza.
7.3. – In terzo luogo, la difesa erariale eccepisce
l’inammissibilità della questione a suo avviso posta dal ricorso n. 40, con cui
L’eccezione non è fondata, perché nessuna delle questioni
proposte ha ad oggetto tale disposizione, richiamata al solo fine di
argomentare ulteriormente la denunciata «carenza di risorse finanziarie in capo
ai comuni». Il richiamo al comma 2-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 504 del
1992, attiene, cioè, al merito della questione sollevata in riferimento
all’art. 119, secondo e quarto comma, Cost.
7.4. – In quarto luogo, l’Avvocatura generale rileva che il
ricorso n. 40 è stato notificato «lo stesso giorno della pubblicazione della
legge di conversione» e, pertanto, rimette a questa Corte la valutazione
dell’ammissibilità di una impugnazione rivolta avverso il solo decreto-legge,
essendo, nel momento della proposizione del primo ricorso, la promulgazione
della legge di conversione «già nota».
L’eccezione d’inammissibilità è infondata sia in fatto, sia
in diritto: in punto di fatto, perché la notificazione del ricorso si è
perfezionata, nei confronti del notificante,
con la spedizione avvenuta il 24 luglio del 2008, anteriormente, quindi, alla
pubblicazione della legge di conversione, avvenuta il successivo 26 luglio; in
punto di diritto, perché
7.5. – La difesa erariale eccepisce, in quinto luogo, che
le questioni sollevate con il ricorso iscritto al n. 58 del registro ricorsi
2008, riguardanti il decreto-legge nel testo risultante dalla conversione in
legge, sono inammissibili, perché fondate sui medesimi motivi prospettati nel
ricorso n. 40 del registro ricorsi 2008, riguardanti il decreto-legge nel testo
originario.
Anche tale eccezione non è fondata, perché, come si è
appena visto, la ricorrente può impugnare sia il decreto-legge, sia la legge di
conversione, sia entrambi; e, pertanto, resta nella disponibilità della
parte anche la scelta della formulazione delle singole questioni, che ben
possono essere identicamente formulate in riferimento alle disposizioni
contenute nelle due fonti.
7.6. – La difesa erariale eccepisce, infine,
l’inammissibilità delle questioni a suo avviso poste dalla ricorrente ed aventi
ad oggetto gli impugnati commi 4-bis
e 4-ter, perché l’aggravamento «della
protestata violazione costituzionale» è «soltanto affermato, ma non
argomentato».
L’eccezione non è fondata, perché la ricorrente non pone
questioni, ma – nell’escludere che «la misura del "rimborso” ai singoli comuni»,
previsto dalla disposizione denunciata, sottragga detta disposizione ai
denunciati vizi di legittimità – si limitata a chiarire, da un lato, che le
modificazioni intervenute in sede di conversione non hanno «provveduto a
correggere i vizi già lamentati nelle disposizioni contenute nell’originario
decreto» e, dall’altro, che le disposizioni di cui ai citati commi 4-bis e 4-ter, nella parte in cui determinano le modalità di ripartizione ed
accreditamento del 50% del rimborso di cui al comma 4, «sembrano aggravare i
termini della protestata violazione costituzionale […] cosí ribadendosi il vulnus procurato al principio di
autonomia finanziaria regionale». La ricorrente, dunque, richiama tali
disposizioni solo per argomentare la dedotta lesione dell’autonomia finanziaria
regionale.
8. – Nella memoria depositata in
prossimità dell’udienza la ricorrente ha formulato ulteriori questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, sia
nel testo originario, sia nel testo oggetto di modificazioni ad opera della
legge di conversione n. 126 del
Tali questioni sono inammissibili, perché dedotte non con il ricorso, ma solo con successiva memoria illustrativa (ex plurimis, sentenza n. 229 del 2001).
9. – Al fine di precisare ulteriormente il thema decidendum del presente giudizio,
va poi rilevato che la legge n. 126 del 2008,
oltre a convertire in legge i commi 1, 2, 3, 4, 6 e 7 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 93 del
10. – Nel merito, le questioni aventi ad oggetto le sopra
individuate disposizioni non sono fondate.
10.1. – Secondo la ricorrente, le disposizioni denunciate –
nel prevedere: a) una «esenzione dalla imposta comunale sugli immobili
dell’unità immobiliare adibita ad "abitazione principale”»; b) una sospensione
del «potere delle regioni [...] di deliberare aumenti dei tributi, delle
addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi
ad essi attribuiti con legge dello Stato» e c) un meccanismo di rimborso
dell’imposta non percepita agli enti locali – ledono l’«autonomia finanziaria
regionale e degli EE.LL.», riducendo di fatto le risorse di cui tali enti
possono disporre.
10.1.1. – La disciplina dei tributi su cui hanno inciso le
norme denunciate – cioè l’ICI ed i tributi, le addizionali, le aliquote e le
maggiorazioni delle aliquote di tributi attribuiti alle Regioni con legge dello
Stato – appartiene alla competenza legislativa esclusiva statale, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché tali tributi
sono istituiti con legge dello Stato e non delle Regioni. Tale competenza
legislativa, perciò, può essere esercitata dallo Stato anche per il tramite di
norme di dettaglio, senza che ciò implichi violazione dell’autonomia tributaria
delle Regioni destinatarie del gettito (ex plurimis: sentenze n. 168 del 2008;
n. 451 del 2007
e n. 296 del
2003; con specifico riferimento all’ICI, sentenze n. 75 del 2006
e n. 37 del
2004).
10.1.2. – Secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, la modificazione di un tributo disposta nell’esercizio della suddetta
potestà legislativa esclusiva statale e comportante un minor gettito per le
Regioni e gli enti locali non esige che debba essere accompagnata da misure
pienamente compensative per la finanza regionale: ciò in quanto deve
«escludersi che possa essere effettuata una atomistica considerazione di
isolate disposizioni modificative del tributo, senza considerare nel suo
complesso la manovra fiscale entro la quale esse trovano collocazione, ben
potendosi verificare che, per effetto di plurime disposizioni […], il gettito
complessivo destinato alla finanza regionale non subisca riduzioni» (sentenze n. 155 del 2006
e n. 431 del
2004).
Del resto, questa Corte ha più volte affermato (ex plurimis, sentenze n. 381 del 2004;
n. 437 del 2001,
n. 507 del 2000)
che, a seguito di manovre di finanza pubblica, possono anche determinarsi
riduzioni nella disponibilità finanziaria delle Regioni, purché esse non siano
tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di
spesa regionale e, in definitiva, rendano insufficienti i mezzi finanziari dei
quali
Né può allegarsi, come fa la ricorrente, che dette
disposizioni ledono l’«autonomia finanziaria regionale e degli EE.LL.», in
quanto penalizzano i medesimi enti «nel giudizio delle agenzie di rating».
L’inconveniente lamentato dalla Regione Calabria, nei limitati casi in cui si
verifica, non nasce infatti come conseguenza diretta ed immediata delle
previsioni legislative censurate, ma deriva dalle plurime e svariate condizioni
"fattuali” in cui può trovarsi la complessiva situazione finanziaria regionale.
Quello addotto è, dunque, un inconveniente solo eventuale e di mero fatto, non
rilevante ai fini del giudizio di legittimità costituzionale (sentenze n. 86 del 2008;
n. 282 del 2007;
n. 354 del 2006;
ordinanza n. 125
del 2008).
Le promosse questioni di legittimità costituzionale vanno,
dunque, dichiarate non fondate.
10.2. – La ricorrente denuncia la violazione del principio
di leale collaborazione sancito dall’art. 120 Cost., perché la censurata
disciplina è «compendiata in un provvedimento normativo […] sottratto alla
necessaria (in materia) dialettica istituzionale Stato-regioni» e approvata,
quindi, «attraverso forme che aggirano i "metodi della concertazione e leale
collaborazione fra livelli istituzionali”».
Anche tale questione non è fondata.
Questa Corte ha piú volte escluso che l’esercizio
dell’attività legislativa possa essere sottoposto alle procedure di leale
collaborazione (ex plurimis: sentenze n. 371 e n. 159 del 2008).
Tale rilievo, formulato in riferimento al procedimento legislativo ordinario,
vale a maggior ragione per una fonte come il decreto-legge, la cui adozione è
subordinata, in forza del secondo comma dell’art. 77 Cost., alla mera
occorrenza di «casi straordinari di necessità e d’urgenza». La particolare
celerità con cui detta fonte deve poter essere approvata ed entrare in vigore,
nonché la peculiarità dei casi in cui essa può essere adottata e del
procedimento di conversione in legge escludono infatti, secondo la chiara
formulazione dell’evocato parametro costituzionale, che nel caso di specie sia
ravvisabile una qualsivoglia necessità di previo coinvolgimento delle Regioni
nella formulazione del decreto-legge (sentenza n. 196 del
2004).
per questi motivi
riuniti i giudizi,
1) dichiara la cessazione della materia del
contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale del comma 5
dell’art. 1 del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93 (Disposizioni urgenti per
salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie), promosse, in riferimento
agli artt. 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso,
indicato in epigrafe, iscritto al n. 40 del registro ricorsi del 2008;
2) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale del quarto periodo del comma 4 dell’art. 1 del
decreto-legge n. 93 del 2008, sia nel testo originario, sia come convertito
dalla legge 24 luglio 2008, n. 126, promosse, in riferimento agli artt. 119 e
120 della Costituzione, dalla Regione Calabria con i ricorsi indicati in
epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale del terzo periodo del comma 4 – limitatamente
all’inciso «secondo principi che tengano conto dell’efficienza nella
riscossione dell’imposta, del rispetto del patto di stabilità interno, per
l’esercizio 2007, e della tutela dei piccoli comuni» –, del comma 6-bis e del comma 7-bis, dell’art. 1 del decreto-legge n. 93
del 2008, come convertito dalla legge n. 126 del 2008, promosse, in riferimento
agli artt. 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso,
indicato in epigrafe, iscritto al n. 58 del registro ricorsi del 2008;
4) dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto-legge
n. 93 del 2008, sia nel testo originario, sia nel testo oggetto di
modificazioni ad opera della legge di conversione n. 126 del 2008, promosse, in riferimento all’art. 77 Cost. ed al
combinato disposto dell’art. 119 Cost. e della legge n. 42 del 2009, dalla Regione Calabria con la memoria illustrativa di
entrambi i ricorsi indicati epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dei commi 1, 2, 3, 4, primo, secondo e terzo periodo (ad
eccezione, nel terzo periodo, dell’inciso «da emanare entro trenta giorni dalla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
secondo princípi che tengano conto dell’efficienza nella riscossione
dell’imposta, del rispetto del patto di stabilità interno, per l’esercizio
2007, e della tutela dei piccoli comuni»), 4-bis, 4-ter, 6 e 7
dell’art. 1 del decreto-legge n. 93 del 2008, come modificato dalla legge di
conversione n. 126 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 119 e 120
Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso, indicato in epigrafe, iscritto al
n. 58 del registro ricorsi del 2008.
Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16
novembre 2009.
F.to:
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in