Sentenza n. 18 del 2012

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 18

ANNO 2012

 

Commento alla decisione di

 

Salvatore La Porta

Il commercio: una materia al vaglio del “custode della tutela della concorrenza”

 

(per gentile concessione della Rivista telematica dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                            "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                             "

-           Sabino                         CASSESE                                                "

-           Giuseppe                     TESAURO                                               "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                       "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                          "

-           Paolo                           GROSSI                                                   "

-           Giorgio                        LATTANZI                                              "

-           Aldo                            CAROSI                                                   "

-           Marta                           CARTABIA                                             "

-           Sergio                          MATTARELLA                                       "

-           Mario Rosario              MORELLI                                                "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6, recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali), e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in cui inserisce l’art. 15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del 2006, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 18 aprile 2011, depositato in cancelleria il 21 aprile 2011 ed iscritto al n. 35 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 

udito nell’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 il Giudice relatore Sabino Cassese;

uditi l’avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.― Con ricorso notificato il 18 aprile 2011 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il 21 aprile 2011 (reg. ric. n. 35 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6, recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali), e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in cui inserisce l’art. 15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del 2006, per violazione degli artt. 41 e 117, commi primo e secondo, lettera e), della Costituzione, nonché dell’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

L’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 6 del 2011 ha introdotto l’art. 15-bis, rubricato «Trasferimento dell’attività commerciale», nella legge regionale n. 5 del 2006. Tale articolo – in cui è inclusa, al comma 4, la norma censurata – disciplina le modalità di trasferimento delle attività commerciali, prevedendo quanto segue: «1. Il trasferimento dell’attività comporta a favore dell’avente causa il trasferimento del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività fino alla scadenza originaria dello stesso. 2. L’avente causa, salvo quanto stabilito dal comma 5, deve possedere tutti i requisiti ai quali è subordinato l’accesso e l’esercizio dell’attività. 3. Il titolo abilitativo assegnato in base a una riserva a favore di particolari categorie, salvo quanto stabilito dal comma 5, può essere trasferito esclusivamente in capo ad un soggetto appartenente alla medesima categoria. 4. La cessione dell’attività per atto tra vivi è comunicata dal cessionario al comune territorialmente competente entro sessanta giorni e non può essere effettuata, ad eccezione dei casi di cui al comma 5, prima che siano decorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa. 5. La successione nell’attività per causa di morte è comunicata, entro tre mesi, al comune territorialmente competente dal successore il quale, anche se privo dei requisiti di cui all’articolo 2 della presente legge o di quelli ulteriori eventualmente richiesti per l’accesso e l’esercizio dell’attività, può proseguire in via provvisoria l’esercizio dell’attività per non più di un anno dalla data dell’acquisto. Decorso l’anno, il mancato possesso dei requisiti richiesti determina la decadenza dell’autorizzazione e delle concessioni sui posteggi.».

2.― Il Presidente del Consiglio dei ministri censura l’art. 15-bis della legge della Regione autonoma Sardegna n. 5 del 2006, nella parte in cui, al comma 4, stabilisce che la cessione di un’attività commerciale per atto tra vivi non possa essere effettuata prima che siano trascorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo necessario per l’esercizio dell’attività. Tale disposizione violerebbe gli artt. 41 e 117, commi primo e secondo, lettera e), Cost., in materia di tutela della concorrenza, nonché l’art. 3 dello Statuto speciale per la Sardegna.

Innanzi tutto, la norma impugnata si porrebbe in contrasto con il principio – sancito dall’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno) – secondo il quale le limitazioni al libero esercizio dell’attività di servizi possono essere giustificate esclusivamente per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente. Ne deriverebbe la violazione sia dell’art. 3, primo comma, dello Statuto speciale per la Sardegna, «che non conferi[rebbe] alla Regione le potestà legislative concretamente esercitate nel caso di specie», sia dell’art. 117, primo comma, Cost., che obbliga il legislatore regionale al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

Inoltre, la disposizione impugnata, nel prevedere una limitazione temporale alla cessione dell’attività, determinerebbe – ad avviso del ricorrente – «un ostacolo alla libera esplicazione delle forze economiche sul mercato». Pertanto, la norma violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto interferirebbe con la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di concorrenza e sarebbe contraria al disposto degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), che individuano il fondamento dell’attività commerciale nel principio della libertà di iniziativa economica privata e stabiliscono che il suo esercizio debba avvenire nel rispetto dei principi contenuti nella legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).

Infine, la disposizione impugnata violerebbe il principio della libertà di iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost., in quanto «la prevista restrizione della potestà di cessione dell’attività d’impresa si traduce in una discriminazione nell’eguale garanzia della libertà economica e della libertà di circolazione di persone e servizi nel Paese, per effetto di un vincolo temporale privo di un ragionevole fondamento».

3.― Con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte il 30 maggio 2011, si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e, comunque, nel merito non fondato.

In via preliminare, la difesa regionale eccepisce l’inammissibilità di tutte le censure sollevate dalla difesa statale, in quanto esse sarebbero formulate senza «consider[are] la sfera di competenza legislativa espressamente riconosciuta alla Regione dallo Statuto d’autonomia». In particolare, il ricorrente, nel formulare le censure, si sarebbe limitato a «un riferimento meramente formale alle disposizioni dello Statuto di autonomia, senza dispiegare alcun accenno di motivazione».

Nel merito, la difesa regionale sostiene, innanzi tutto, la conformità della disciplina regionale impugnata alla normativa europea e nazionale in materia di libera circolazione dei servizi. Ad avviso della difesa regionale, infatti, la direttiva 2006/123/CE e il d.lgs. n. 59 del 2010 di recepimento ammetterebbero limitazioni all’accesso e all’esercizio delle attività di servizi, a condizione che esse siano giustificate e non discriminatorie e, in particolare, che non corrispondano alle ipotesi di divieto elencate dall’art. 14 della direttiva 2006/123/CE e dall’art. 11 del d.lgs. n. 59 del 2010. Dal momento che «la norma impugnata non integra alcuna delle ipotesi vietate», la censura prospettata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. non sarebbe fondata.

La Regione autonoma Sardegna deduce, altresì, l’infondatezza della censura prospettata dal ricorrente in relazione all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. In particolare, secondo la difesa regionale, la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela della concorrenza «non può essere considerata titolo abilitativo a resecare interi ambiti materiali di sicura competenza regionale, sostanzialmente vanificando il riparto costituzionale delle competenze, che opera per materia e non certo per funzioni». Tale competenza esclusiva dello Stato verrebbe in rilievo «soltanto quando la Regione ha inteso incidere direttamente sui meccanismi concorrenziali». Nel caso in esame, la norma impugnata non introdurrebbe alcuna limitazione all’accesso al mercato, ma si limiterebbe a disciplinare le modalità di esercizio delle attività commerciali, dettando limiti che rispondono a fini di utilità sociale.

Inoltre, la portata dell’art. 15-bis, comma 4, dovrebbe essere interpretata in stretta correlazione con il dettato dell’art. 15-bis, comma 1, ai sensi del quale «Il trasferimento dell’attività comporta a favore dell’avente causa il trasferimento del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività fino alla scadenza originaria dello stesso». Secondo la difesa regionale, il limite triennale alla cessione dell’attività disposto dalla norma impugnata, tutelando l’utilità sociale, costituirebbe «la logica conseguenza (perfettamente rispettosa del principio di proporzionalità e non eccessività) dell’apertura determinata dall’art. 15-bis, comma 1».

La Regione rileva, infine, che non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 41 Cost., in quanto il limite triennale alla cessione dell’attività commerciale sarebbe diretto a salvaguardare finalità sociali di rilievo costituzionale. 

4.― Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte il 20 dicembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce le ragioni poste a fondamento del ricorso introduttivo e replica alle deduzioni svolte dalla Regione resistente. Con riguardo all’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la difesa dello Stato sostiene che la direttiva 2006/123/CE vieterebbe non solo le condotte e le previsioni indicate dall’art. 14, ma anche tutte le misure che restringono in modo ingiustificato e non proporzionato la libera prestazione di servizi. Tra tali misure rientrerebbe quella che limita la facoltà di un operatore stabilito in uno Stato membro «non solo di insediarsi in un altro territorio in concorrenza con un altro già operante in esso, ma anche di rilevare in ogni momento un’attività già esistente sul luogo». 

5.― Con memoria depositata il 20 dicembre 2011, la Regione autonoma Sardegna ribadisce la legittimità costituzionale della norma impugnata, in quanto essa riguarderebbe l’attività commerciale su aree pubbliche, la cui disciplina è espressamente affidata alla competenza regionale dall’art. 28, comma 12, del d.lgs. n. 114 del 1998, come modificato dall’art. 70 del d.lgs. n. 59 del 2010, di attuazione della direttiva 2006/123/CE. Sarebbe, dunque, la stessa disciplina statale di recepimento della direttiva comunitaria ad aver previsto la competenza regionale a regolare la materia, con conseguente esclusione della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

Considerato in diritto

1.― Con ricorso notificato il 18 aprile 2011 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il 21 aprile 2011 (reg. ric. n. 35 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6, recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali), e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in cui inserisce l’art. 15-bis, comma 4, nella legge regionale n. 5 del 2006, limitando nel tempo la facoltà di cessione dell’attività commerciale per atto tra vivi.

Nel disciplinare il trasferimento dell’attività commerciale su aree pubbliche, l’art. 15-bis, comma 4, stabilisce che «La cessione dell’attività per atto tra vivi […] non può essere effettuata, ad eccezione dei casi di cui al comma 5, prima che siano decorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa». Tale previsione interferirebbe con la materia «tutela della concorrenza», che l’art. 117, comma secondo, lettera e), Cost. assegna alla competenza esclusiva del legislatore statale; si porrebbe, inoltre, in contrasto con le norme dell’Unione europea in materia di libera circolazione dei servizi, che vincolano la potestà legislativa delle Regioni ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.; lederebbe, infine, il principio della libertà di iniziativa economica privata, sancito dall’art. 41 Cost., nonché l’art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).

2.― In via preliminare, va respinta l’eccezione sollevata dalla Regione autonoma Sardegna, secondo la quale le censure prospettate dal ricorrente non sarebbero adeguatamente motivate e non terrebbero conto della sfera di competenza legislativa espressamente riconosciuta alla Regione dallo statuto speciale.

Ai fini del giudizio sulla ammissibilità dei ricorsi proposti nei confronti di una Regione ad autonomia speciale, assume rilievo il riferimento alle competenze stabilite dallo statuto (da ultimo, sentenza n. 90 del 2011) ed è necessario specificare, con riguardo all’art. 117 Cost., «quale tra le diverse sfere di competenza statale sarebbe stata in concreto invasa» (sentenza n. 258 del 2004).

Nel caso in esame, il ricorrente riconosce che il commercio è materia di competenza regionale e fa riferimento alle materie riservate dallo statuto alla potestà legislativa della Regione, deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 3. Le censure così prospettate non sono generiche o non sufficientemente motivate. Le violazioni lamentate e i parametri invocati sono chiaramente individuati (ex plurimis, sentenza n. 68 del 2011).

3.― Nel merito, la questione è fondata.

3.1.― L’art. 15-bis, comma 4, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 5 del 2006 stabilisce che la cessione dell’attività commerciale su suolo pubblico non può essere effettuata «prima che siano decorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa». Tale norma, imponendo una limitazione temporale alla cessione di attività commerciali, restringe la possibilità di accesso di nuovi operatori, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. («tutela della concorrenza»).

La circostanza che la restrizione riguardi il commercio «su aree pubbliche» non modifica questa conclusione. L’esercizio dell’attività è, in ogni caso, consentito solo in base a un titolo abilitativo, il cui rilascio dipende dalla disponibilità di aree specificamente adibite. L’art. 15, comma 1, della legge regionale n. 5 del 2006 prevede, infatti, che il commercio può essere svolto «su posteggi dati in concessione» oppure «su qualsiasi area, negli spazi appositamente definiti da ogni singolo comune, purché in forma itinerante e sui posteggi liberi». Anche in un contesto nel quale il numero complessivo delle autorizzazioni all’esercizio del commercio è condizionato dalla disponibilità di «spazi appositamente definiti», una limitazione temporale alla cessione dell’attività si traduce inevitabilmente in una barriera all’entrata di nuovi operatori.

3.2.― L’art. 16 della direttiva CE 12 dicembre 2006, n. 123 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), recepita nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno), stabilisce che una deroga al principio della libera circolazione dei servizi può ritenersi necessaria – e dunque ammissibile – solo quando sia giustificata «da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente». Nessuna di tali ragioni può essere addotta a fondamento della norma impugnata.

Come rilevato dalla difesa regionale, l’art. 15-bis, comma 4, della legge regionale n. 5 del 2006 persegue fini di utilità sociale (quali la garanzia della «serietà» dell’esercizio del commercio, la qualità dei servizi resi, la produttività della rete distributiva e la solidità dell’intera filiera produttiva), in quanto mira «ad evitare la spinta all’acquisizione dei titoli abilitativi e all’apertura dell’attività commerciale al solo fine di ricavarne, immediatamente, un profitto attraverso l’alienazione, con l’evidente conseguenza del possibile svuotamento dell’ordinario procedimento amministrativo che deve essere seguito al fine dell’apertura di un’impresa commerciale (procedimento che prevede la richiesta dell’interessato e la verifica dei suoi requisiti)». Tali fini di utilità sociale – già adeguatamente tutelati, in caso di trasferimento dell’attività, mediante l’accertamento del possesso dei requisiti soggettivi effettuato dall’amministrazione ex art. 15-bis, comma 2, della medesima legge regionale n. 5 del 2006 – non rientrano tra le ragioni di pubblico interesse che, secondo l’art. 16 della direttiva 2006/123/CE, possono giustificare l’imposizione di una restrizione al principio della libera circolazione dei servizi.

3.3.― Inoltre, l’attinenza della norma impugnata alla materia del commercio, riservata alla potestà legislativa residuale delle Regioni, non è di per sé sufficiente ad escludere eventuali profili di illegittimità costituzionale. Infatti, «è illegittima una disciplina che, se pure in astratto riconducibile alla materia commercio di competenza legislativa delle Regioni, produca, in concreto, effetti che ostacolino la concorrenza, introducendo nuovi o ulteriori limiti o barriere all’accesso al mercato e alla libera esplicazione della capacità imprenditoriale» (sentenza n. 150 del 2011). L’art. 15-bis, comma 4, della legge regionale della Regione autonoma Sardegna n. 5 del 2006, subordinando la cessione di attività commerciali su aree pubbliche al decorso di un triennio dalla data del rilascio del titolo abilitativo, ostacola l’accesso a quelle attività e condiziona, restringendolo, il libero esplicarsi dell’attività imprenditoriale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

4.― Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15-bis, comma 4, della legge della Regione autonoma Sardegna 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali), introdotto dall’art. 3 della legge della Regione autonoma Sardegna 7 febbraio 2011, n. 6 recante «Modifiche all’articolo 2 della legge regionale 21 maggio 2002, n. 9 (Agevolazioni contributive alle imprese nel comparto del commercio), interpretazione autentica dell’articolo 15, comma 12 della legge regionale 18 maggio 2006, n. 5 (Disciplina generale delle attività commerciali) e norme sul trasferimento dell’attività», nella parte in cui prevede che la cessione dell’attività «non può essere effettuata, ad eccezione dei casi di cui al comma 5, prima che siano decorsi tre anni dalla data del rilascio del titolo abilitativo all’esercizio dell’attività stessa».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2012.