Sentenza n. 145 del 2016

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SENTENZA N. 145

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                             GROSSI                                    Presidente

-           Alessandro                    CRISCUOLO                              Giudice

-           Giorgio                          LATTANZI                                       ”

-           Aldo                              CAROSI                                            ”

-           Marta                            CARTABIA                                      ”

-           Mario Rosario               MORELLI                                         ”

-           Giancarlo                      CORAGGIO                                     ”

-           Giuliano                        AMATO                                            ”

-           Silvana                          SCIARRA                                         ”

-      Daria                             de PRETIS                                         ”

-      Nicolò                           ZANON                                             ”

-      Franco                           MODUGNO                                      ”

-      Giulio                            PROSPERETTI                                 ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 629, lettera b), 632 e 633, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 25 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 4 marzo 2015, ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 maggio 2016 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 25 febbraio 2015 e depositato in cancelleria il successivo 4 marzo 2015 (reg. ric. n. 31 del 2015), la Regione Veneto ha impugnato, tra gli altri, i commi 629, lettera b), 632 e 633, dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), per violazione degli artt. 3, 97, 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 118 e 119 Cost.

2.– Premette il ricorrente che il comma 629, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, inserendo l’art. 17-ter nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), introduce il meccanismo del cosiddetto «split payment», secondo cui, nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di servizi eseguite nei confronti di enti pubblici (tra i quali anche le Regioni), l’imposta sul valore aggiunto è versata dai medesimi soggetti pubblici allo Stato, secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Ne consegue che i fornitori di beni e i prestatori di servizi alla pubblica amministrazione ricevono l’importo del corrispettivo al netto dell’imposta sul valore aggiunto, la quale è versata, dai soggetti pubblici, direttamente allo Stato.

Ricorda ancora il ricorrente che tale misura, ai sensi del comma 632 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, è stata adottata disponendone «l’entrata in vigore» dal 1° gennaio 2015, senza dunque attendere il preventivo «assenso» del Consiglio dell’Unione europea.

È impugnato, infine, il comma 633 del citato art. 1 che prevede siano comminate sanzioni amministrative agli enti pubblici cessionari o committenti per omessi o tardivi versamenti dell’imposta sul valore aggiunto nei casi previsti dal precedente comma 629, lettera b).

Il ricorrente precisa, infine, che alle disposizioni impugnate è stata data attuazione con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 gennaio 2015 (Modalità e termini per il versamento dell’imposta sul valore aggiunto da parte delle pubbliche amministrazioni).

Le disposizioni di legge ricordate, ad avviso della Regione Veneto, risulterebbero lesive dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto il meccanismo introdotto dal censurato comma 629, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 non è contemplato dalla direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 (Direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto). Inoltre, a fronte della presentazione – da parte del Governo italiano alla Commissione europea – della richiesta di una misura in deroga ai sensi dell’art. 395 della medesima direttiva, le disposizioni censurate hanno previsto l’immediata applicabilità della misura stessa a partire dal 1° gennaio 2015, senza attendere, dunque, l’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea.

Ad avviso della ricorrente, la violazione della sopracitata direttiva e, dunque, dell’art. 117, primo comma, Cost. ridonderebbe sulla sfera di competenza delle Regioni per due ordini di motivi.

In primo luogo, le disposizioni impugnate, imponendo «fin da subito alla Regione e agli enti del sistema regionale un irragionevole onere e costo di adeguamento immediato dei sistemi informativi relativi alla gestione amministrativo contabile, destinato a rivelarsi inutile qualora non avvenga il rilascio delle suddette misure di deroga da parte delle autorità europee», comporterebbero «una lesione dell’autonomia amministrativa e finanziaria regionale, di cui agli artt. 118 e 119» Cost.

Analoga lesione deriverebbe – secondo la Regione Veneto – anche dal contrasto delle disposizioni impugnate con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost.

In secondo luogo, nella prospettazione della ricorrente, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. ridonderebbe altresì in una «lesione dell’autonomia finanziaria regionale», poiché la Regione, come gli altri enti del sistema regionale, non potrebbe più compensare l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite e dovrebbe chiedere il rimborso allo Stato sostenendone l’onere. Tale ipotesi – osserva la Regione Veneto – si verificherebbe in tutti i casi in cui la Regione deve applicare l’imposta sul valore aggiunto nei confronti degli altri soggetti pubblici.

Precisa, infine, la ricorrente che la misura introdotta dalle disposizioni impugnate non sarebbe riconducibile al meccanismo del Quick Reaction Mechanism (QRM), di cui all’art. 199-ter della citata direttiva n. 2006/112/CE e, dunque, non potrebbe ritenersi in alcun modo legittimata da quest’ultimo.

3.– La ricorrente ha presentato istanza di sospensione – ai sensi dell’art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), come sostituito dall’art. 9, comma 4, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) – tra gli altri, dei commi 629, lettera b), 632 e 633 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, a causa del pregiudizio grave e irreparabile «all’interesse pubblico o per i diritti dei cittadini» che deriverebbe dall’immediata operatività della norma. Assume la Regione Veneto che l’attuazione del meccanismo del cosiddetto «split payment», introdotto «in violazione del diritto comunitario», costringerebbe il sistema regionale a sostenere ingenti spese per un inutile adeguamento «di tutti i sistemi informativi e contabili», con rilevanti ed irreparabili danni al sistema regionale (Regione e aziende sanitarie) anche in relazione al rispetto dei tempi di pagamento delle imprese.

4.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 3 aprile 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

Premette l’Avvocatura generale dello Stato che l’imposta sul valore aggiunto è un tributo erariale, istituito da norme dello Stato. L’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. attribuisce, infatti, allo Stato la potestà legislativa esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile». Ben potrebbe, dunque, quest’ultimo – per finalità di interesse generale, quali, nel caso di specie, la lotta contro le frodi e i fenomeni di evasione fiscale – modificare il proprio sistema tributario, o addirittura sopprimere tributi già esistenti, o anche sostituirli con altri ritenuti più idonei, per il conseguimento degli obiettivi prefissati.

L’Avvocatura generale dello Stato osserva che l’introduzione del meccanismo di cui al comma 629, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 sarebbe stato reso necessario, oltre che per innovare il sistema di riscossione dell’imposta sul valore aggiunto al fine di ridurre il cosiddetto «VAT gap», anche, e soprattutto, per contrastare con efficacia e urgenza fenomeni di evasione e di frode dell’imposta, che sarebbero stati evidenziati da recenti analisi. Da queste ultime sarebbero, infatti, emersi molti casi di imposta sul valore aggiunto pagata dalle amministrazioni ai propri fornitori ma da questi ultimi non versata all’erario, e l’esistenza di frodi connesse «all’occultamento di fatture» relative a cessioni effettuate alla pubblica amministrazione. La rilevanza di tali fenomeni avrebbe reso improcrastinabile l’adozione di un’adeguata misura anti-evasiva, che sarebbe stata individuata proprio nel meccanismo della scissione dei pagamenti, la quale evita che il denaro pubblico, pagato a titolo di imposta sul valore aggiunto dalle pubbliche amministrazioni ai propri fornitori, possa da questi ultimi essere indebitamente trattenuto, anziché versato all’erario.

Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato che le Regioni, attraverso il meccanismo della scissione dei pagamenti, sarebbero semplicemente tenute a versare all’erario l’importo dell’imposta sul valore aggiunto che normalmente sono obbligate a versare al fornitore di beni o al prestatore di servizi, senza, dunque, alcun aggravio di imposta. Per questo, la difesa statale ritiene del tutto infondata l’eccezione sollevata dalla Regione Veneto in ordine alla lesione della propria autonomia finanziaria: nessun maggior onere viene infatti posto a carico della Regione.

Osserva, peraltro, l’Avvocatura generale dello Stato che l’obbligo di utilizzare il meccanismo della scissione dei pagamenti si affianca all’obbligo del ricorso alla fatturazione elettronica sugli acquisti da parte della pubblica amministrazione: la combinazione di questi due sistemi consentirebbe una più agevole identificazione delle operazioni soggette alla «riscossione» dell’imposta sul valore aggiunto e costituirebbe una misura di semplificazione della «riscossione», in linea con i principi espressi dagli organi europei.

La difesa statale rileva, ancora, che l’applicazione di tali misure avrebbe il pregio di far affluire immediatamente nelle casse dell’erario maggiori somme a titolo di imposta sul valore aggiunto, una percentuale delle quali è riservata, ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), proprio alle Regioni, le quali, dall’applicazione del nuovo meccanismo, trarrebbero dunque un indubbio beneficio.

In ordine alle eccezioni avanzate sulla decorrenza del meccanismo in esame a far data dal 1° gennaio 2015, l’Avvocatura generale dello Stato – dopo aver ricordato che, per l’IVA, l’anno di imposta corrisponde all’anno solare, poiché è a fine anno che si effettua il riepilogo delle operazioni attive e passive svolte nel corso dell’anno e si determina la liquidazione definitiva del debito o del credito d’imposta – osserva come lo Stato italiano abbia chiesto alla Commissione europea, con nota n. 8006 del 14 novembre 2014, una deroga alla disciplina contenuta nella direttiva n. 2006/112/CE a far data dal 1° gennaio 2015 e, qualora l’autorizzazione non fosse giunta prima di tale data, abbia chiesto di poterla comunque applicare in via retroattiva, proprio allo scopo di non creare problemi di natura contabile e per una maggiore semplicità di gestione.

Parimenti infondate sarebbero – ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato – le argomentazioni della Regione ricorrente nella parte in cui ritiene lesa la propria autonomia finanziaria a causa dell’impossibilità di compensare l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite. Sul punto, osserva che non solo la disciplina statale non esclude il riconoscimento alla Regione dei crediti IVA, ma introduce disposizioni che agevolano il rimborso dell’imposta. A tal fine, sono illustrate le disposizioni che consentirebbero alle Regioni di usufruire di un rimborso IVA prioritario quando, «in qualità di “fornitori” di pubbliche amministrazioni», sono soggette all’applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti: si tratta dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, come modificato dal comma 629, lettera c), dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, il quale include le operazioni effettuate applicando il meccanismo della scissione dei pagamenti tra quelle che consentono il rimborso del credito IVA in base al requisito dell’aliquota media, e dell’art. 8 del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 gennaio 2015, il quale ricomprende proprio i soggetti chiamati ad applicare il meccanismo della scissione dei pagamenti tra le categorie di contribuenti per i quali i rimborsi dell’IVA sono eseguiti in via prioritaria, ai sensi dell’art. 38-bis, comma 10, del medesimo d.P.R. n. 633 del 1972.

Quanto agli oneri che le Regioni dovrebbero sopportare per presentare le richieste di rimborso, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda che l’art. 13 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata) ha sostituito l’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, allo scopo di semplificare e accelerare il rimborso dell’IVA. In particolare, il legislatore statale ha innalzato da 5.164 a 15.000 euro l’ammontare dei rimborsi eseguibili senza prestazione di garanzia e senza altri adempimenti, e ha introdotto la possibilità di ottenere rimborsi di importo superiore a 15.000 euro senza prestazione di garanzia, tramite presentazione di una dichiarazione annuale o di un’istanza trimestrale munita di visto di conformità, o una sottoscrizione alternativa, e una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante la sussistenza dei requisiti patrimoniali stabiliti dalla norma. L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che la disciplina ricordata di fatto escluda la prestazione di garanzia da parte delle pubbliche amministrazioni, in forza del principio secondo cui lo Stato non è tenuto a garantire se stesso.

Essa rileva, quindi, che i maggiori costi a carico della Regione a seguito dell’adozione del meccanismo del cosiddetto «split payment» sarebbero «totalmente inconsistenti».

In ordine alla presunta illegittimità costituzionale del comma 633 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, la difesa statale osserva che la Regione non avrebbe offerto alcuna argomentazione a sostegno di tale censura. Ricorda, comunque, sul punto, che la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 1/E del 9 febbraio 2015, proprio in considerazione dell’incertezza in materia, ha fatto salvi i comportamenti tenuti dai contribuenti anteriormente all’emanazione della circolare stessa, stabilendo che essi non siano soggetti a sanzioni.

L’Avvocatura generale dello Stato chiede, infine, il rigetto dell’istanza cautelare, in quanto essa difetterebbe dei requisiti tanto del fumus, quanto del periculum in mora, e sollecita la Corte a comparare il pregiudizio lamentato dalla ricorrente con quello che deriverebbe dalla sospensione delle disposizioni impugnate, dirette a garantire, in un contesto caratterizzato da una sfavorevole contingenza economica, un quadro di riferimento compatibile con i parametri europei.

5.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, in data 26 aprile 2016, la difesa della Regione Veneto ha depositato una memoria, in cui replica alle argomentazioni dell’Avvocatura generale dello Stato e svolge ulteriori considerazioni.

La difesa regionale, pur ricordando che, successivamente alla proposizione del ricorso, il Consiglio dell’Unione europea, con decisione di esecuzione (UE) 14 luglio 2015, n. 2015/1401, ha autorizzato lo Stato italiano ad introdurre una misura in deroga agli artt. 206 e 226 della direttiva n. 2006/112/CE, osserva come tale decisione specifichi che essa «si applica a decorrere dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017», mentre la disposizione impugnata, non prevedendo alcuna data di scadenza, «ha introdotto – e continua a mantenere nell’ordinamento giuridico italiano – in modo illimitato nel tempo la misura autorizzata dal Consiglio dell’Unione europea solo fino al 2017». La disposizione censurata resterebbe, dunque, costituzionalmente illegittima – secondo la difesa regionale – nella parte in cui non prevede un termine di scadenza al 31 dicembre 2017, con ciò confermando la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., perché in contrasto con la predetta decisione di esecuzione. Sono a tale fine evocate le decisioni della Corte costituzionale – sentenze n. 64 e n. 43 del 2016 – con le quali sono state dichiarate costituzionalmente illegittime norme statali che non prevedevano un termine di scadenza, «come nel caso delle misure di contenimento statali della spesa che intervengono a tempo indeterminato sull’autonomia regionale».

La difesa regionale ribadisce, quindi, i motivi per i quali ritiene che la violazione del diritto europeo abbia delle ricadute sulle competenze costituzionalmente garantite alla Regione, assumendo che quest’ultima sia stata ingiustificatamente obbligata ad adeguare la propria organizzazione amministrativa, tutelata dall’art. 118, primo comma, Cost., e che tutto il sistema regionale (incluse le aziende sanitarie regionali e gli enti ospedalieri) sia stato gravato non solo del costo di adeguamento dei sistemi informativi, ma anche del costo derivante dall’impossibilità di compensare l’IVA e dall’onere per chiederne il rimborso, con conseguente violazione della propria autonomia finanziaria garantita dall’art. 119 Cost.

La difesa regionale rileva, inoltre, che le disposizioni impugnate sarebbero, allo stesso modo, costituzionalmente illegittime, con riferimento al periodo antecedente al 31 dicembre 2017, «sia alla luce del diritto dell’Unione europea che della Costituzione», nella misura in cui estendono l’ambito di applicazione del meccanismo del cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra pubbliche amministrazioni.

Con riguardo alla presunta lesione del diritto dell’Unione europea, la Regione Veneto, muovendo dal presupposto che la misura introdotta sia volta ad evitare che siano gli operatori privati a non versare l’IVA allo Stato, assume che sarebbe contraria a tale ratio la sua applicazione anche nei rapporti tra pubbliche amministrazioni. In tale ipotesi, proprio per la natura dei soggetti coinvolti, non sarebbe per definizione invocabile la giustificazione anti-evasiva e anti-elusiva della misura.

Secondo la difesa regionale, dunque, la citata decisione del Consiglio dell’Unione europea del 14 luglio 2015 non potrebbe essere interpretata nel senso che essa autorizzi la misura in deroga anche in relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta dalle pubbliche amministrazioni.

A sostegno di tale interpretazione sono citate due decisioni della Corte di giustizia, ove sarebbe affermato che è compito delle autorità e dei giudici nazionali agire al fine di evitare che il pagamento delle imposte sia eluso fraudolentemente o abusivamente, «quando sussistano elementi oggettivi in tal senso» (Corte di giustizia, sentenza 6 luglio 2006, nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04, e sentenza 21 giugno 2012, nelle cause riunite C-80/11 e C-142/11). Nei rapporti tra pubbliche amministrazioni – secondo la difesa regionale – tali ragioni oggettive non sussisterebbero.

Assume, quindi, la difesa regionale che le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto, «con la medesima ricaduta sulle competenze regionali», anche con gli artt. 3 e 97 Cost., in riferimento ai principi di proporzionalità e di buon andamento della pubblica amministrazione, dal momento che si imporrebbe alla Regione un onere «da tutti i punti di vista ingiustificato».

Per tali motivi, la Regione Veneto insiste per l’accoglimento delle censure esposte nel ricorso e, in particolare, per l’accoglimento della censura relativa all’estensione del cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra pubbliche amministrazioni.

In via subordinata, chiede alla Corte costituzionale di operare un rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sottoponendo alla Corte di giustizia dell’Unione europea la seguente questione: «se la Direttiva 2006/112/CE e la Decisione di esecuzione (UE) 2015/1401 ostino all’applicazione di una misura quale quella prevista dall’art. 1, comma 629, lettera b), nella parte in cui estende il meccanismo del cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra Pubbliche Amministrazioni».

La difesa regionale replica, infine, ad alcune argomentazioni svolte dall’Avvocatura generale dello Stato.

In relazione all’asserita lesione dell’autonomia finanziaria derivante dall’impossibilità di compensare l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite e dalla necessità della Regione di chiederne il rimborso sostenendo oneri procedurali e finanziari, la ricorrente osserva che le disposizioni citate dall’Avvocatura generale dello Stato, al fine di dimostrare che la disciplina vigente di fatto escluderebbe la prestazione di garanzia da parte delle pubbliche amministrazioni, consentono soltanto, ma non obbligano, gli uffici competenti a disporre l’esonero da tale garanzia.

Nessun pregio – secondo la difesa della ricorrente – avrebbe poi l’affermazione secondo cui una consistente parte dell’IVA è riservata, come dispone l’art. 4 del d.lgs. n. 68 del 2011, alle Regioni, le quali, dal nuovo meccanismo, trarrebbero perciò beneficio. La Regione Veneto osserva che la compartecipazione regionale all’IVA «non è strutturata come una compartecipazione dinamica, per cui tanto più è il gettito, tanto più affluisce alle casse delle Regioni», dipendendo invece, unicamente, dalla determinazione del fabbisogno sanitario, stabilita annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto impugna, tra gli altri, i commi 629, lettera b), 632 e 633 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), per violazione degli artt. 3, 97 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 118 e 119 Cost.

Il comma 629, lettera b), dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, inserendo l’art. 17-ter nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), introduce nella disciplina dell’IVA il meccanismo del cosiddetto «split payment». Secondo tale meccanismo, in presenza di cessioni di beni e di prestazioni di servizi eseguite nei confronti di enti pubblici (tra i quali anche le Regioni), questi ultimi versano ai fornitori l’importo del corrispettivo al netto dell’IVA, mentre l’imposta è versata dai medesimi soggetti pubblici direttamente allo Stato, secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.

Il successivo comma 632 – sul presupposto che l’introduzione del meccanismo in questione costituisca una deroga al diritto europeo in materia – stabilisce che, «nelle more del rilascio, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva 2006/112/CE, della misura di deroga da parte del Consiglio dell’Unione europea», il meccanismo introdotto dal citato comma 629, lettera b), trova comunque applicazione per le operazioni per le quali l’imposta sul valore aggiunto è esigibile a partire dal 1° gennaio 2015.

Il comma 633 del citato art. 1 prevede, infine, che siano comminate sanzioni amministrative agli enti pubblici cessionari o committenti per omessi o tardivi versamenti dell’IVA nei casi previsti dal precedente comma 629, lettera b).

Tali norme, ad avviso della Regione Veneto, sarebbero lesive dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto prevedono che le disposizioni in tema di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, contenenti deroghe rispetto alle previsioni della direttiva, siano applicabili dal 1° gennaio 2015, senza, dunque, attendere l’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea, richiesta dalla direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE (Direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto).

Ad avviso della ricorrente, l’asserita violazione della direttiva europea e, dunque, dell’art. 117, primo comma, Cost. ridonderebbe sulla sfera di competenza costituzionalmente riservata alla Regione, per due ordini di motivi.

In primo luogo, le disposizioni impugnate imporrebbero alla Regione e agli enti del sistema regionale un immediato e irragionevole onere di adeguamento dei sistemi informativi per la gestione amministrativa e contabile, destinato a rivelarsi inutile qualora le misure di deroga non vengano autorizzate da parte della competente autorità europea. Ciò comporterebbe una indiretta lesione dell’autonomia amministrativa e finanziaria regionale, di cui agli artt. 118 e 119 Cost.

Le disposizioni impugnate, per le stesse ragioni, si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97 Cost.

In secondo luogo, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. ridonderebbe ulteriormente in una «lesione dell’autonomia finanziaria regionale», poiché la Regione, come gli altri enti del sistema regionale, non potrebbe più compensare l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite, dovendo invece chiederne il rimborso allo Stato sostenendo i pertinenti, gravosi, oneri. Tale ipotesi – osserva la ricorrente – si verificherebbe in tutti i casi in cui la Regione debba applicare l’imposta sul valore aggiunto nei confronti di altri soggetti pubblici.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto con il ricorso in esame, deve essere anzitutto valutata l’ammissibilità delle censure svolte dalla ricorrente con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica.

In tale memoria, infatti – preso atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, il Consiglio dell’Unione europea, con la decisione di esecuzione (UE) 14 luglio 2015, n. 2015/1401, ha autorizzato l’Italia ad introdurre misure in deroga agli artt. 206 e 226 della direttiva n. 2006/112/CE – la ricorrente osserva che le disposizioni impugnate contrasterebbero, comunque, con l’art. 117, primo comma, Cost., sotto due distinti profili.

In primo luogo, la citata decisione di esecuzione prevede che le misure in deroga si applichino a decorrere dal 1° gennaio 2015 e fino al 31 dicembre 2017, mentre la disposizione impugnata (ossia, l’art. 1, comma 629, lettera b, della legge n. 190 del 2014), non stabilendo alcuna data finale, avrebbe introdotto nell’ordinamento giuridico italiano – e continuerebbe a mantenervi – una misura priva di limiti temporali. Secondo la difesa regionale, dunque, tale disposizione, nella parte in cui non prevede il termine finale della propria efficacia al 31 dicembre 2017, si confermerebbe lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost., perché in contrasto, appunto, con la citata decisione del Consiglio dell’Unione europea.

In secondo luogo, la difesa regionale asserisce che le disposizioni impugnate sarebbero comunque illegittime, con riferimento al periodo antecedente al 31 dicembre 2017, nella parte in cui estendono l’ambito di applicazione del meccanismo del cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra pubbliche amministrazioni. Muovendo dal presupposto che la misura introdotta sia volta ad evitare che siano gli operatori e i fornitori privati a non versare l’IVA all’erario, e che il diritto dell’Unione europea consenta misure di contrasto all’evasione di imposte solo «quando sussistano elementi oggettivi in tal senso», la Regione Veneto assume che sarebbe contraria a tale ratio l’applicazione del meccanismo del cosiddetto «split payment» anche ai rapporti tra pubbliche amministrazioni: per questi ultimi, non sarebbe per definizione invocabile, infatti, la giustificazione anti-evasiva e anti-elusiva della misura.

Secondo la difesa regionale, dunque, la citata decisione del Consiglio del 14 luglio 2015 non potrebbe essere interpretata nel senso che essa autorizzi la deroga anche in relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta dalle pubbliche amministrazioni. In via subordinata, la ricorrente chiede a questa Corte di disporre, su tale profilo, un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, per chiedere se la direttiva n. 2006/112/CE e la decisione di esecuzione (UE) n. 2015/1401 ostino all’applicazione di una misura quale quella prevista dall’art. 1, comma 629, lettera b), della l. n. 190 del 2014, nella parte in cui estende il cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra pubbliche amministrazioni.

Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, le deduzioni svolte dai ricorrenti nelle memorie successive al ricorso sono ammissibili solo nei limiti in cui prospettano argomenti a sostegno delle questioni di legittimità costituzionale già promosse nel ricorso stesso, non già, invece, censure ulteriori. L’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via principale è, infatti, limitato alle questioni individuate nell’atto introduttivo e non può la parte ricorrente introdurre nuove censure dopo l’esaurimento del termine perentorio per impugnare in via principale le leggi, né modificare o integrare la domanda iniziale, con memorie successivamente depositate ex plurimis, sentenze n. 65 e n. 64 del 2016, n. 153 del 2015, n. 108 del 2012, n. 169 del 2010).

Alla luce di tale giurisprudenza, è inammissibile la censura secondo la quale le disposizioni impugnate, nella parte in cui estendono l’ambito di applicazione del cosiddetto «split payment» anche alle operazioni tra pubbliche amministrazioni, sarebbero lesive dell’art. 117, primo comma, Cost. Questa censura, infatti, ben avrebbe potuto essere immediatamente svolta nel ricorso introduttivo, che è invece incentrato esclusivamente sulla mancata autorizzazione, da parte del Consiglio dell’Unione europea, all’introduzione di misure derogatorie rispetto a quanto previsto agli artt. 206 e 226 della citata direttiva europea. Invero, nel ricorso, l’applicazione del cosiddetto «split payment» alle pubbliche amministrazioni non è in sé contestata, venendo unicamente lamentate difficoltà applicative derivanti dall’impossibilità per la Regione di compensare, nei rapporti con altre pubbliche amministrazioni, l’IVA sugli acquisti con quella sulle vendite. Per questo, la censura ora in esame, svolta per la prima volta nella memoria (nella quale viene altresì chiesto, sul punto, di disporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia), non si lascia ridurre a semplice argomento a sostegno delle violazioni già lamentate, ma assume i contorni di una questione nuova, come tale inammissibile.

Ammissibile, invece, è la censura che lamenta l’assenza, nelle disposizioni impugnate, di un termine finale di efficacia alle misure in deroga, a fronte di un’autorizzazione che consente tali deroghe solo per un triennio. Poiché il ricorso introduttivo era incentrato sull’asserita lesione derivante dall’introduzione di norme in deroga al diritto europeo, in assenza della prescritta autorizzazione, la circostanza che tale autorizzazione sia intervenuta, nelle more del giudizio, consente di ritenere che la censura relativa alla carenza, nella disposizione impugnata, di un termine finale di efficacia costituisca non già nuova censura, ma sviluppo argomentativo logicamente conseguente dell’originaria prospettazione.

3.– Tutte le questioni sollevate sono, in ogni caso, inammissibili, sotto un profilo ben distinto da quello appena esaminato.

La Regione Veneto lamenta la lesione – da parte della disciplina statale – di tre parametri costituzionali, tutti non attinenti al riparto delle competenze fra Stato e Regioni. È, in primo luogo, allegata la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe introdotto una disciplina derogatoria del diritto europeo senza attendere l’autorizzazione dalla competente autorità; per le stesse ragioni, inoltre, è lamentata la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

Per costante giurisprudenza di questa Corte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle Regioni in riferimento a parametri non attinenti al riparto delle competenze statali e regionali sono ammissibili al ricorrere di due concomitanti condizioni: in primo luogo, la ricorrente deve individuare gli ambiti di competenza regionale – legislativa, amministrativa o finanziaria – incisi dalla disciplina statale, indicando le disposizioni costituzionali sulle quali – appunto – trovano fondamento le proprie competenze in tesi indirettamente lese (ex plurimis, sentenze n. 83 e n. 65 del 2016, n. 251 e n. 89 del 2015); e, in secondo luogo, questa Corte deve ritenere che sussistano competenze regionali suscettibili di essere indirettamente lese dalla disciplina impugnata (ex plurimis, sentenze n. 68 del 2016, n. 220 e n. 219 del 2013). Ciò si verifica quando la disposizione statale, pur conforme al riparto costituzionale delle competenze, obbliga le Regioni – nell’esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o finanziarie – a conformarsi ad una disciplina legislativa asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto, estranei a tale riparto.

Ebbene, nel caso di specie, la pretesa violazione degli indicati parametri non presenta alcun profilo di ridondanza rispetto alla sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione.

La ricorrente si diffonde nell’illustrazione del meccanismo introdotto dal legislatore statale e insiste sulle conseguenze che esso avrebbe prodotto sul sistema di fatturazione e sulle gravose procedure da seguire per ottenere il rimborso dell’IVA.

In particolare, la Regione Veneto lamenta una lesione indiretta della propria autonomia amministrativa e finanziaria, di cui agli artt. 118 e 119 Cost., poiché sarebbe stata costretta, insieme agli altri enti del sistema regionale, fin da subito, a sostenere un costo di adeguamento «dei sistemi informativi», il quale avrebbe potuto rivelarsi inutile qualora la necessaria autorizzazione fosse stata negata dal Consiglio dell’Unione europea.

Inoltre, la ricorrente lamenta una specifica lesione indiretta della propria autonomia finanziaria, di cui all’art. 119 Cost., poiché – nei casi in cui è chiamata a prestare servizi o ad operare cessioni di beni ad altre pubbliche amministrazioni – essa non potrebbe più compensare l’imposta sul valore aggiunto, ma dovrebbe chiederne il rimborso allo Stato.

Nonostante tali argomentazioni, questa Corte ritiene che non vi siano, nel caso di specie, attribuzioni costituzionalmente spettanti alla Regione suscettibili di essere indirettamente lese dalle disposizioni impugnate.

La disciplina censurata rientra pacificamente nella competenza legislativa esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di «sistema tributario e contabile», come del resto riconosciuto dalla stessa ricorrente.

Alle Regioni non è riservata, in tale materia, alcuna potestà, né di tipo legislativo, né di tipo amministrativo. Ed infatti alle disposizioni impugnate è stata data attuazione con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, cui hanno fatto seguito varie circolari interpretative dell’Agenzia delle entrate.

Gli inconvenienti lamentati dalla ricorrente riguardano tutti i soggetti che effettuano cessioni o prestano servizi alle pubbliche amministrazioni, ai quali il legislatore statale ha legittimamente imposto – ancora ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – un diverso sistema di versamento dell’IVA (introducendo, peraltro, procedure semplificate di rimborso).

Ciò che la Regione lamenta – il necessario adeguamento dei propri sistemi informativi al nuovo meccanismo di fatturazione – costituisce una mera conseguenza di fatto cui hanno dovuto adeguarsi tutte le pubbliche amministrazioni (è la stessa Regione, del resto, a rilevare che le disposizioni impugnate incidono su tutte le amministrazioni del sistema regionale).

Analogamente, la circostanza per cui la Regione non possa più compensare l’imposta sul valore aggiunto è una conseguenza che ricade sia su tutti gli operatori privati che intrattengono rapporti con le amministrazioni pubbliche, sia su tutte le amministrazioni pubbliche, nelle loro reciproche relazioni.

In tale contesto, la sfera di efficacia della disciplina statale impugnata non incontra alcun ambito costituzionalmente riservato alla Regione. Ne consegue l’inammissibilità delle questioni, per difetto di ridondanza.

4.– L’istanza di sospensione dell’efficacia delle norme impugnate, formulata dalla ricorrente Regione Veneto nel ricorso, resta assorbita dalla decisione di inammissibilità delle censure proposte (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 273, n. 220 e n. 46 del 2013, n. 299 del 2012).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 629, lettera b), 632 e 633, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», promosse dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Nicolò ZANON, Redattore