Sentenza n. 64 del 2016

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SENTENZA N. 64

ANNO 2016

 

Commento alla decision di

 

Franco Gallo

Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale

 

per g.c. della Rivista AIC

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alessandro                  CRISCUOLO            Presidente

-           Paolo                          GROSSI                                   Giudice

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio        BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 18 agosto 2014, depositato in cancelleria il 22 agosto 2014 ed iscritto al n. 63 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 18 agosto 2014 e depositato il successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha impugnato, tra l’altro, l’art. 24, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, nonché al «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost.

1.1.– La disposizione impugnata ha modificato l’art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

Essa ha previsto, in primo luogo, alla lettera a), che «al comma 4 le parole “1° gennaio 2015” sono sostituite con le parole “1° luglio 2014”». A seguito di tale modificazione, il comma 4 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 stabilisce che «Ai fini del contenimento della spesa pubblica, con riferimento ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal 1° luglio 2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto. A decorrere dalla data dell’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto la riduzione di cui al periodo precedente si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data. La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di titolo alla data di entrata in vigore del presente decreto. Il rinnovo del rapporto di locazione è consentito solo in presenza e coesistenza delle seguenti condizioni: a) disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il pagamento dei canoni, degli oneri e dei costi d’uso, per il periodo di durata del contratto di locazione; b) permanenza per le Amministrazioni dello Stato delle esigenze allocative in relazione ai fabbisogni espressi agli esiti dei piani di razionalizzazione di cui dell’articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, ove già definiti, nonché di quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti».

In secondo luogo, la norma impugnata ha disposto, alla lettera b), che «il comma 7 è sostituito dal seguente: “7. Fermo restando quanto previsto dal comma 10, le previsioni di cui ai commi da 4 a 6 si applicano altresì alle altre amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto compatibili. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione della presente disposizione.”».

La ricorrente sottolinea come tale disposizione abbia esteso alle Regioni l’applicazione, oltre che del citato comma 4, anche del comma 6 del d.l. n. 95 del 2012, secondo cui «Per i contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale di proprietà di terzi, di nuova stipulazione a cura delle Amministrazioni di cui al comma 4, si applica la riduzione del 15 per cento sul canone congruito dall’Agenzia del demanio, ferma restando la permanenza dei fabbisogni espressi ai sensi dell’articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell’ambito dei piani di razionalizzazione ove già definiti, nonché in quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti».

1.2.– Tanto premesso, la Regione Veneto passa a esporre le proprie censure.

1.2.1.– La ricorrente afferma, anzitutto, che l’impugnato comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 66 del 2014, imponendo alle Regioni, «senza intesa», una misura permanente e dettagliata di riduzione di una specifica voce di spesa, costituisce «una disposizione puntuale», priva della natura di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e contrasta, perciò, con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

La stessa Regione aggiunge che «Al riguardo si rimanda pienamente alle motivazioni, che si ripropongono interamente, sviluppate ai punti precedenti riguardo alla violazione degli art. 117, III comma, 119 Cost. (ivi compresa anche la violazione dei commi III e IV per l’effetto perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono) e del principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120 della Costituzione».

Tale rinvio deve intendersi riferito alle motivazioni sviluppate nei tre precedenti punti del ricorso regionale, con i quali, alle pagine da 2 a 19 dello stesso, la Regione Veneto ha denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 8, commi 4, 6 e 10, e 46, commi 6 e 7 (punto 1), 14, commi 1, 2 e 4-ter (punto 2), e 15 (punto 3), del d.l. n. 66 del 2014.

1.2.2.– La Regione ricorrente asserisce poi che la disposizione impugnata, «imponendo una generalizzata ed irragionevole riduzione dei canoni di locazione a prescindere dalla loro congruità», violerebbe anche gli artt. 3 e 97 Cost. Tale violazione ridonderebbe in una lesione delle competenze costituzionalmente garantite alla Regione e, in particolare, dell’autonomia finanziaria ed organizzativa della stessa, atteso che «le Regioni sono comunque tenute a garantire […] risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dei criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata».

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

Nelle proprie deduzioni, il Presidente del Consiglio dei ministri si è limitato, peraltro, ad una generale illustrazione, da un lato, dell’art. 119 Cost. e della sua attuazione da parte del legislatore ordinario, dall’altro, dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni e Province ad autonomia speciale.

3.– In data 10 novembre 2015, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa con la quale, nel rinnovare la domanda di accoglimento del ricorso, ha chiesto, altresì, alla Corte costituzionale, di dichiarare l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1.– A fondamento di tale ultima richiesta, la Regione ricorrente evidenzia che l’atto mediante il quale il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito in giudizio, ancorché nell’epigrafe indichi esattamente il ricorso regionale e le disposizioni con esso impugnate, contiene una motivazione non pertinente all’oggetto del ricorso, nella quale le norme impugnate non sono mai citate e non viene spesa alcuna argomentazione a difesa della legittimità costituzionale delle stesse. Secondo la ricorrente, qualora la costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri fosse ritenuta ammissibile, il proprio diritto di difesa sarebbe leso, atteso che essa non ha avuto la possibilità di replicare alle argomentazioni svolte nell’atto di costituzione, in quanto le stesse non sono pertinenti al giudizio.

3.2.– Nel merito, la ricorrente precisa ulteriormente le ragioni per le quali la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 117, terzo comma, 119 e 120 Cost.

In primo luogo, essa conterrebbe non principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma una misura puntuale e dettagliata, quale la riduzione del 15 per cento dei canoni di locazione, «peraltro in assenza di intesa» (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 148 del 2012, n. 232 del 2011, n. 326 del 2010 e n. 159 del 2008).

In secondo luogo, la prevista riduzione della spesa regionale avrebbe carattere permanente (sono citate le sentenze della Corte costituzionale n. 79 del 2014 e n. 193 del 2012).

Sarebbe quindi confermato che la norma impugnata travalica la funzione di coordinamento della finanza pubblica e si traduce in una misura di contenimento della spesa «priva degli indispensabili elementi di razionalità, di efficacia e di sostenibilità che dovrebbero […] informare tale funzione».

La Regione Veneto sottolinea inoltre che la norma impugnata non contiene alcun riferimento a livelli standard di spesa o a prezzi di riferimento o anche all’ammontare medio dei canoni di locazione e che essa si applica in modo generalizzato a tutte le Regioni, senza alcuna considerazione dei livelli di spesa storica sostenuti da ciascuna Regione con riguardo ai canoni di locazione e senza alcuna valutazione circa l’appropriatezza dei canoni corrisposti. La stessa ricorrente evidenzia come al Governo non mancassero elementi di conoscenza al riguardo, tenuto conto che i bilanci delle Regioni riclassificati in modo omogeneo sono disponibili dall’anno 2009, in forza dell’art. 19-bis del d.l. 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, e che, grazie al progetto governativo soldipubblici.gov.it, le spese per singole voci di spesa di ogni Regione sono a disposizione dei cittadini. Sarebbe quindi irragionevole – sempre secondo la ricorrente – che, nonostante la possibilità di accedere a tali informazioni, la disposizione impugnata preveda una riduzione meramente lineare della spesa per locazioni, prescindendo dalla considerazione dello sforzo fatto dalle Regioni virtuose, che potrebbero non avere margini per ulteriori riduzioni ed incorrere in «pericolose ed anti economiche risoluzioni dei contratti». Tale lineare riduzione penalizzerebbe, in effetti, le Regioni che hanno già adottato misure di contenimento della spesa, riducendola a livelli tali da renderne difficile un’ulteriore compressione, senza con ciò  compromettere il buon andamento dell’amministrazione regionale.

In tale prospettiva, sarebbero violati anche il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost. e quello del buon andamento della pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 97 Cost., «con una diretta ricaduta sull’autonomia regionale che risulta limitata nella propria capacità organizzativa e finanziaria».

La ricorrente deduce infine che le menzionate violazioni della Costituzione non sarebbero evitate dalla facoltà concessa alle Regioni di adottare misure di contenimento della spesa, che siano alternative alla riduzione dei canoni di locazione. Tale previsione impone, infatti, alle Regioni che abbiano già ridotto la spesa per locazioni in termini ottimali, di ridurre altre voci di spesa, in modo da conseguire un risparmio pari a quello che sarebbe risultato dall’applicazione dell’irragionevole riduzione dei canoni. In proposito, la Regione Veneto afferma conclusivamente che «Non vi è alcun nesso logico per cui, avendo una Regione raggiunto un livello ottimale di spesa nell’ambito delle locazioni, questa sia costretta a ridurre ad esempio la spesa sociale, perché comunque obbligata a realizzare un risparmio».

4.– Il 10 novembre 2015, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, con la quale ribadisce la richiesta che le questioni proposte siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

A tale ultimo riguardo, la difesa dello Stato evidenzia come la disposizione impugnata abbia lasciato alle Regioni la facoltà di adottare misure di contenimento della spesa corrente alternative alla riduzione dei canoni di locazione pure prevista dall’art. 24, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014, con la conseguenza che in tale disposizione non potrebbe ravvisarsi alcuna lesione dell’autonomia regionale (è citata la sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2013). La difesa della parte resistente aggiunge che la norma censurata si inserisce in una serie di disposizioni di carattere straordinario finalizzate al contenimento della spesa pubblica ed al rispetto dell’equilibrio di bilancio, le quali hanno interessato anche il contenimento dei costi per beni immobili di tutte le amministrazioni pubbliche, con la previsione di limiti stringenti all’acquisto ed alla vendita di immobili ed alle locazioni passive e l’accentramento delle relative decisioni nell’Agenzia del demanio, secondo quanto previsto dall’art. 12 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.

Sempre a proposito della lamentata invasione dell’autonomia legislativa regionale, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che sussistano, nella specie, le condizioni individuate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale per la qualificazione di disposizioni di legge statale che fissano limiti di spesa per le Regioni quali principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (è citata la sentenza n. 205 del 2013). Lo Stato avrebbe, perciò, esercitato la potestà legislativa ad esso attribuita dall’art. 117, terzo comma, Cost. Da ciò deriverebbe, inoltre – sempre ad avviso della difesa statale – che la doglianza della Regione ricorrente relativa alla mancanza di forme di intesa debba essere ritenuta non conferente.

5.– Il 18 gennaio 2016, la Regione Veneto ha depositato un’ulteriore memoria illustrativa, con la quale ha replicato alla memoria depositata dall’Avvocatura generale dello Stato.

La Regione ricorrente ha, in particolare, negato che le sentenze della Corte costituzionale n. 63 e n. 205 del 2013, richiamate dalla difesa statale nell’anzidetta memoria, siano pertinenti alle questioni promosse ed ha ribadito che la normativa impugnata prevede una misura puntuale e permanente di limitazione della spesa regionale – da ritenere, perciò, illegittima sulla base della costante giurisprudenza costituzionale – nonché l’irragionevolezza della previsione che consente alle Regioni, invece di diminuire i canoni di locazione passiva, di ridurre altre voci di spesa, deducendo che tale riduzione sarebbe anche «indebitamente imposta, perché completamente al di fuori dello scopo effettivo perseguito dalla stessa norma» di razionalizzare la spesa per gli immobili ad uso istituzionale. La difesa regionale afferma, perciò, conclusivamente che la disposizione impugnata viola l’art. 3 Cost. «anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità al fine».

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto ha promosso questioni principali di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.

Di tali questioni, vengono qui in esame esclusivamente quelle riguardanti l’art. 24, comma 4, di detto d.l., impugnato per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, nonché con il «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost. Resta quindi riservata a separate pronunce la decisione delle questioni di legittimità costituzionale promosse dalla medesima Regione Veneto nei confronti di altre disposizioni del d.l. n. 66 del 2014.

2.– La disposizione impugnata ha modificato i commi 4 e 7 dell’art. 3 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

Quanto al comma 4 di tale articolo, essa ha previsto, alla lettera a), la sostituzione delle parole «1° gennaio 2015» con le parole «1° luglio 2014». A seguito di tale modificazione, il comma 4 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, nei cinque periodi in cui è suddiviso, stabilisce che: «Ai fini del contenimento della spesa pubblica», i canoni dei contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali nonché dalle Autorità indipendenti (ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa), «sono ridotti a decorrere dal 1° luglio 2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto» (primo periodo); che, a decorrere dalla data dell’entrata in vigore della legge di conversione del d.l., la medesima riduzione «si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data» (secondo periodo); che «La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore» (terzo periodo); che «Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di titolo alla data di entrata in vigore del […] decreto» (quarto periodo). Il quinto periodo del citato comma 4 stabilisce infine le condizioni in presenza delle quali è consentito il rinnovo del rapporto di locazione.

Quanto al comma 7 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, la disposizione impugnata ne ha previsto, alla lettera b), la sostituzione nel modo seguente: «Fermo restando quanto previsto dal comma 10, le previsioni di cui ai commi da 4 a 6 si applicano altresì alle altre amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in quanto compatibili. Le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione della presente disposizione».

La Regione Veneto sottolinea come tale disposizione abbia esteso alle Regioni – in quanto amministrazioni comprese nell’elenco dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni) – l’applicazione, oltre che del citato comma 4, anche del comma 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, secondo cui «Per i contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale di proprietà di terzi, di nuova stipulazione a cura della Amministrazioni di cui al comma 4, si applica la riduzione del 15 per cento sul canone congruito dall’Agenzia del demanio, ferma restando la permanenza dei fabbisogni espressi ai sensi dell’articolo 2, comma 222, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nell’ambito dei piani di razionalizzazione ove già definiti, nonché in quelli di riorganizzazione ed accorpamento delle strutture previste dalle norme vigenti».

Ad avviso della ricorrente, l’impugnato art. 24, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014, estendendo alle Regioni l’applicazione, in quanto compatibili, dei citati commi 4 e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, si pone in contrasto con plurimi parametri costituzionali. Esso lederebbe, anzitutto, gli artt. 117, terzo comma, e 119, Cost., perché imporrebbe alle Regioni una misura puntuale di contenimento permanente di una specifica voce di spesa, dettando così, nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, una disposizione priva del carattere di principio fondamentale. Sarebbe violato, in secondo luogo, il «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost., perché la detta misura di contenimento della spesa è stata prevista «senza intesa». Il denunciato art. 24, comma 4, contrasterebbe, in terzo luogo, con l’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., «per l’effetto perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono». Sarebbero, infine, violati, anche gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la normativa censurata impone «una generalizzata e irragionevole riduzione dei canoni di locazione a prescindere dalla loro congruità».

3.– Va rilevato che, ancorché la Regione ricorrente dichiari di impugnare, in generale, il comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 66 del 2014, le doglianze da essa avanzate concernono in realtà esclusivamente la lettera b) di tale comma. Esse investono, in particolare, il primo periodo di tale lettera, limitatamente alla parte in cui prevede l’applicazione alle Regioni, in quanto compatibili, delle disposizioni dei commi 4, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 che stabiliscono la riduzione dei canoni dei contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale e dei costi derivanti dagli utilizzi in assenza di titolo degli stessi immobili. Inoltre, esse riguardano il secondo periodo della medesima lettera, che consente alle Regioni di adottare misure di contenimento della spesa corrente alternative alle menzionate riduzioni.

 Nessuna doglianza la Regione Veneto ha, in effetti, avanzato nei confronti della lettera a) del comma 4 dell’art. 24 del d.l. n. 66 del 2014, né della lettera b) di tale comma, nella parte in cui questa  prevede l’applicazione alle Regioni del quinto periodo del comma 4 e del comma 5 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012.

Da tanto consegue che l’oggetto delle questioni promosse dalla ricorrente deve ritenersi limitato all’art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66 del 2014, nella parte in cui prevede l’adozione, da parte delle Regioni (e delle Province autonome) delle misure di cui ai commi 4, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 o, comunque, di misure alternative di contenimento della spesa corrente.

4.– La Regione Veneto, con la memoria depositata il 10 novembre 2015, ha eccepito l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri. Pur indicando esattamente, nell’epigrafe, il ricorso e le disposizioni con esso impugnate, essa conterrebbe deduzioni non pertinenti all’oggetto dell’impugnazione, nelle quali le dette disposizioni non vengono mai menzionate.

L’eccezione non è fondata.

È vero che la memoria, depositata il 18 settembre 2014, con cui il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito nel giudizio non contiene argomentazioni difensive concernenti specificamente l’impugnato art. 24, comma 4, del d.l. n. 66 del 2014. In tale atto di costituzione la difesa statale, oltre a concludere per l’inammissibilità o l’infondatezza delle questioni promosse, al fine di argomentare tali conclusioni, si è infatti limitata ad una generale illustrazione, da un lato, dell’art. 119 Cost. e della sua attuazione da parte del legislatore ordinario, dall’altro, dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni e Province ad autonomia speciale (quale non è, evidentemente, la ricorrente).

Ciò non incide, tuttavia, sull’ammissibilità della costituzione in giudizio. Questa Corte ha, infatti, ripetutamente precisato che l’art. 19, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, in base al quale l’atto di costituzione della parte resistente contiene «le conclusioni e l’illustrazione delle stesse», «mira […] a stimolare l’apporto argomentativo delle parti, senza che siano prefigurabili conseguenze sanzionatorie nel caso di mancata illustrazione delle conclusioni formulate» (sentenza n. 87 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 168 del 2010, ordinanza n. 156 del 2012).

Anche l’inconferenza delle argomentazioni addotte non incide, per analoghe ragioni, sull’ammissibilità della costituzione in giudizio della parte resistente.

5.– Devono ora essere esaminati, sempre in via preliminare, i profili di ammissibilità delle questioni promosse.

5.1.– Innanzitutto, va rilevato che le deduzioni svolte dalla Regione Veneto con le memorie depositate sono ammissibili solo nei limiti in cui hanno prospettato argomenti a sostegno delle questioni promosse con il ricorso e non censure ulteriori, come, in particolare, quella – avanzata soltanto con la memoria depositata il 18 gennaio 2016 – relativa alla violazione dell’art. 3 Cost. «anche sotto il profilo della mancanza di proporzionalità al fine». L’oggetto del giudizio di costituzionalità in via principale, infatti, è limitato ai parametri e alle questioni indicate nel ricorso introduttivo e la parte ricorrente non può introdurre nuove censure dopo l’esaurimento del termine perentorio assegnato per impugnare le leggi in via principale (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 153 del 2015).

 5.2.– In secondo luogo, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni promosse in riferimento al «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost., e all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost.

Questa Corte ha più volte chiarito che «il ricorso in via principale […] deve contenere una argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale, giacché l’esigenza di un’adeguata motivazione a supporto della impugnativa si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti rispetto a quelli incidentali» (sentenza n. 82 del 2015).

Nel caso di specie, al fine di argomentare le censure proposte, la Regione Veneto si è limitata ad affermare, con riguardo al principio di leale collaborazione, che la prevista misura di contenimento della spesa è stata imposta alle Regioni «senza intesa» e, con riguardo all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., che la sua lesione si determina «per l’effetto perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono».

Da tali argomentazioni non si ricava un’adeguata motivazione delle anzidette censure.

Quanto al principio di leale collaborazione, la ricorrente non ha, infatti, specificato le ragioni della violazione, ma si è limitata ad invocare, in modo anapodittico, la necessità dell’intesa, senza chiarire perché la Costituzione imporrebbe, nella fattispecie, il coinvolgimento delle Regioni. Tra l’altro, in base al costante orientamento di questa Corte, «il principio di leale collaborazione, ove non sia specificamente previsto, non si impone nel procedimento legislativo» (ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 43 del 2016, sentenze n. 13 del 2015, n. 36 del 2014, n. 121 del 2013, n. 203 e n. 164 del 2012).

Quanto all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., la stessa ricorrente ha omesso di specificare in che modo l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), produrrebbe un «effetto perequativo implicito» e perché tale effetto debba ritenersi in contrasto con i parametri invocati.

Sempre al fine di argomentare (anche) su tali censure, la Regione Veneto ha aggiunto che «si rimanda pienamente alle motivazioni, che si ripropongono interamente, sviluppate ai punti precedenti». Tale rinvio, tuttavia, appare generico e pertanto non idoneo a superare le indicate inadeguatezze motivazionali. Le richiamate motivazioni sono relative alle ragioni della ritenuta incostituzionalità di altre impugnate disposizioni del d.l. n. 66 del 2014 – gli artt. 8, commi 4, 6 e 10, e 46, commi 6 e 7, 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15 – e non spiegano, quindi, perché la diversa previsione dell’art. 24, comma 4, lettera b), dello stesso decreto, contrasterebbe con il principio di leale collaborazione e con l’art. 119, terzo e quarto comma, Cost. (in tema di motivazione per relationem, sentenza n. 19 del 2015).

Deve perciò concludersi che le motivazioni addotte dalla ricorrente a sostegno delle questioni promosse in riferimento al «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost., e all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost. non raggiungono la soglia minima di chiarezza e di completezza cui è subordinata, in base alla giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità delle impugnative in via principale.

6.– Sono ora da esaminare nel merito le questioni prospettate dalla Regione Veneto in riferimento, da un lato, agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., dall’altro, agli artt. 3 e 97 Cost.

6.1.– Come si è detto, secondo la ricorrente, l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), in primo luogo, invaderebbe la potestà legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., perché imporrebbe alle Regioni una misura puntuale di contenimento permanente di una specifica voce di spesa, priva del carattere di principio fondamentale. Esso lederebbe, altresì, l’autonomia finanziaria regionale, garantita dall’art. 119 Cost.

In proposito, va rammentato che questa Corte ha più volte affermato che la finanza delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali è «parte della finanza pubblica allargata» e che, pertanto, «il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali» (sentenza n. 44 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 79 del 2014 e n. 182 del 2011).

Sempre in base ad un orientamento ormai costante di questa Corte, le disposizioni statali che impongono limiti alla spesa regionale sono configurabili quali principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, alla duplice condizione che: a)  prevedano un limite complessivo, anche se non generale, della spesa corrente, che lasci alle Regioni libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa; b) abbiano il carattere della transitorietà (ex plurimis, sentenze n. 79 e n. 44 del 2014, n. 205 del 2013).

Con riguardo alla prima di tali condizioni, questa Corte ha affermato che essa deve ritenersi soddisfatta anche da disposizioni statali che prevedono «puntuali misure di riduzione […] di singole voci di spesa», sempre che «da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 139 del 2012), essendo, in tale caso, possibile «l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale» (sentenze n. 139 del 2012 e n. 182 del 2011; nello stesso senso, sentenze n. 236 e n. 36 del 2013, n. 262 e n. 211 del 2012).

Va, infine, rammentato che i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica sono applicabili anche alle autonomie speciali (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 156 del 2015).

6.1.1.– La disposizione censurata soddisfa la prima delle menzionate condizioni di legittimità delle disposizioni statali che impongono limiti alla spesa regionale.

L’art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66 del 2014, nell’intento di contenere detta spesa, ha anzitutto disposto l’applicazione alle Regioni, in quanto compatibili, delle previsioni dei commi 4 e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 che stabiliscono la riduzione del 15 per cento dei canoni dei contratti di locazione passiva, aventi ad oggetto immobili ad uso istituzionale (oltre che un’analoga riduzione nei casi di utilizzo senza titolo di tali beni).

Si tratta, all’evidenza, di una puntuale misura di riduzione di una specifica spesa, relativa, in particolare, ai singoli menzionati canoni di locazione passiva. La stessa impugnata disposizione, tuttavia, consente alle Regioni (e alle Province autonome) di adottare, in luogo dell’anzidetta misura, «misure alternative di contenimento della spesa corrente», purché queste consentano di conseguire risparmi non inferiori a quelli derivanti dalla riduzione dei canoni. L’attribuzione di tale facoltà dimostra che la prevista riduzione della spesa relativa ai canoni di locazione passiva è vincolante, in realtà, per le Regioni, non nel senso della necessaria osservanza di tale specifico precetto – gli enti regionali possono infatti adottare misure di contenimento della spesa corrente alternative a quella da esso prevista – ma solo come limite complessivo di spesa. Il contenuto inderogabile della disposizione impugnata consiste, in effetti, esclusivamente nell’obbligo, per le Regioni, di ridurre la propria spesa corrente di un ammontare complessivo non inferiore a quello derivante dall’applicazione della riduzione dei canoni di locazione; la quale costituisce, dunque, solo uno dei possibili strumenti di contenimento della spesa regionale.

Ne deriva che l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), similmente alle disposizioni scrutinate da questa Corte con gli arresti da ultimo menzionati – le quali prevedevano un’analoga limitazione del proprio contenuto inderogabile – detta una puntuale misura di riduzione di una singola spesa, ma ciò non esclude che da esso «possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa» (sentenza n. 139 del 2012). Anche la norma impugnata, dunque, «non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale e incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica» (sentenze n. 139 del 2012 e n. 182 del 2011).

6.1.2.– L’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66 del 2014, non soddisfa, invece, la seconda delle menzionate condizioni di legittimità delle disposizioni statali, che, nell’imporre limiti alla spesa regionale, devono caratterizzarsi per la transitorietà. Le disposizioni restrittive della spesa regionale devono dunque operare per un periodo di tempo definito, in quanto necessarie a fronteggiare una situazione contingente (sentenza n. 79 del 2014).

Le misure di riduzione della spesa per canoni di locazione e per utilizzi senza titolo previste dai commi 4 e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012 – di cui il censurato art. 24, comma 4, lettera b), dispone l’applicazione alle Regioni – producono effetto, viceversa, per un arco temporale indefinito, in quanto dipendente dalla variabile durata dei contratti e degli utilizzi senza titolo ai quali esse si applicano (e, nel caso dei contratti scaduti o rinnovati, anche dalla diversa data di scadenza o rinnovo di questi). La mancanza di precisi limiti temporali di efficacia è, poi, ancora più evidente, nella misura di riduzione del canone prevista dal comma 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, la quale, stante la sua applicazione ai contratti «di nuova stipulazione», opera su tutti i futuri contratti stipulati ex novo dalle Regioni, dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 66 del 2014.

A questa Corte non compete di sostituirsi al legislatore nello stabilire discrezionalmente l’arco temporale di operatività della normativa in esame. Occorre, tuttavia, desumere dalle caratteristiche dell’intervento legislativo in questione «un termine finale che consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno finanziario in corso» (sentenze n. 79 del 2014 e n. 193 del 2012).

Questa Corte ha già posto in evidenza il carattere necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio (sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del 2013), che vengono scandite dalla legge di stabilità lungo un arco temporale, di regola, triennale (art. 11 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica»). Nel caso di specie, il d.l. n. 66 del 2014 è intervenuto a correggere i conti pubblici con riferimento al triennio considerato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), che, salvo espresse disposizioni contrarie, si riferisce agli anni dal 2014 al 2016 (sentenza n. 43 del 2016).

Le caratteristiche dell’intervento legislativo in cui l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b) si inserisce, consentono di individuare l’anno 2016, quale termine entro cui circoscrivere, allo stato, le misure restrittive della spesa regionale.

6.1.3.– L’art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 64 del 2014, è, pertanto, costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., nella parte in cui non prevede che le misure di cui ai commi 4, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 6 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, e, comunque, le misure di contenimento della spesa corrente ad esse alternative, sono adottate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano «sino all’anno 2016».

6.2.– Ad avviso della Regione Veneto, l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), violerebbe, anche gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto impone «una generalizzata e irragionevole riduzione dei canoni di locazione a prescindere dalla loro congruità».

La violazione di questi ultimi parametri ridonderebbe in una lesione dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione, atteso che «le Regioni sono comunque tenute a garantire […] risparmi non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dei criteri irragionevoli stabiliti dalla disposizione impugnata».

6.2.1.– Va affermata l’ammissibilità di tali censure, ancorché promosse in riferimento a parametri estranei a quelli che sovrintendono al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni. Risulta, infatti, evidente che la denunciata riduzione dei canoni, se irragionevole sotto il profilo dedotto, sarebbe suscettibile di incidere sulla possibilità, per le Regioni, di acquisire la disponibilità degli immobili necessari allo svolgimento della propria attività istituzionale e di tradursi, quindi, in una lesione dell’autonomia organizzativa garantita ai detti enti dall’art. 117, quarto comma, Cost.

6.2.2.– Nel merito, la questione non è fondata.

Nella memoria depositata il 10 novembre 2015, la Regione ricorrente ha addotto ulteriori argomenti a sostegno della proposta questione. Essa ha rappresentato che la disposizione impugnata, in primo luogo, potrebbe farla incorrere in «pericolose ed anti economiche risoluzioni dei contratti»; in secondo luogo, non terrebbe conto dei livelli di spesa storica sostenuti da ciascuna Regione per i canoni di locazione, del fatto che la Regione Veneto avrebbe già ridotto al massimo la voce di spesa per locazioni e non avrebbe ulteriori margini di diminuzione della stessa, che la Regione Veneto, con riguardo a tale voce, sarebbe «virtuosa» rispetto ad altre.

A proposito di quest’ultimo gruppo di argomenti, si deve osservare come gli stessi siano palesemente non pertinenti rispetto alla normativa impugnata. Questa, infatti, prevede la riduzione non della complessiva voce di spesa relativa ai canoni dei contratti di locazione passiva delle Regioni – ciò che i detti argomenti mostrano, invece, di presupporre – ma dei canoni dei singoli contratti di locazione.

Tanto chiarito, la questione proposta deve essere scrutinata considerando l’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), nel suo complesso, tenendo conto, cioè, di entrambi i periodi di cui esso si compone. In tale prospettiva, deve osservarsi che la norma censurata, «ai fini del contenimento della finanza pubblica» (comma 4 dell’art. 3 del d.l. n. 95 del 2012, da essa richiamato), ha anzitutto stabilito, nel suo primo periodo, la riduzione percentuale, da parte delle Regioni e delle Province autonome, della spesa per i singoli contratti di locazione passiva e utilizzi in assenza di titolo degli immobili ad uso istituzionale. Tale specifica misura – che si inserisce in una realtà di fatto caratterizzata dalla contrazione dei valori locativi verificatasi nel mercato immobiliare – è prevista, come si è visto, in termini di derogabilità. Siamo in presenza di uno degli strumenti, ma non del solo, che le Regioni possono utilizzare per conseguire l’obiettivo del contenimento della finanza pubblica, poiché a norma del secondo periodo dell’impugnato art. 24, comma 4, lettera b), esse possono adottare altre misure di contenimento della spesa corrente idonee ad ottenere l’ammontare di risparmi ad esse inderogabilmente imposto.

La facoltà di modulare discrezionalmente la riduzione della spesa, attribuita alle Regioni dalla norma impugnata, considerata nel suo complesso, consente non solo, come si è detto, di assicurare il rispetto, sotto tale aspetto, dell’autonomia finanziaria regionale, ma anche di escludere la violazione, con riguardo al profilo qui dedotto, dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione. Questa conclusione discende, in particolare, dalla considerazione che, ogni qual volta una Regione ritenesse che l’applicazione delle norme che prevedono la riduzione dei canoni di locazione possa farla incorrere in «pericolose ed anti economiche risoluzioni dei contratti» o, comunque, comportare difficoltà nell’acquisizione della disponibilità degli immobili necessari allo svolgimento della propria attività istituzionale, essa potrà decidere, esercitando la citata facoltà, di non applicarle, così escludendo in radice ogni paventata conseguenza irragionevole o pregiudizievole del buon andamento della sua amministrazione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promosse dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, lettera b), del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui non prevede che le misure di cui ai commi 4, primo, secondo, terzo e quarto periodo, e 6 dell’art. 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario) e, comunque, le misure di contenimento della spesa corrente ad esse alternative, sono adottate dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano «sino all’anno 2016»;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 119, terzo e quarto comma, della Costituzione, e al «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120» Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 4, lettera b), del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Carmelinda MORANO, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2016.