Sentenza n. 326 del 2010

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SENTENZA N. 326

ANNO 2010

 

 

Commenti alla decisione di

 

I. Fioravante Rinaldi, L’incoerenza del legislatore si ferma sul muro della Corte. La sent. 326/2010 in tema di comunità montane, per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali

 

II. Giovanni Di Cosimo, Le entrate siano certe, salvo che per la spesa corrente, per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali

 

III. Nicola Viceconte, La Corte chiarisce sulle comunità montane. Nota a Corte cost. 21 marzo 2011, n. 91 (e a margine della sentenza n. 326 del 2010), per g.c. della Rivista AIC

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Ugo                        DE SIERVO                                       Presidente

-    Paolo                      MADDALENA                                    Giudice

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

-    Giuseppe                FRIGO                                                       ”

-    Alessandro             CRISCUOLO                                            ”

-    Paolo                      GROSSI                                                     ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, commi 186, lettere a) ed e), e 187 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), promossi, nel complesso, con ricorsi delle Regioni Calabria, Toscana, Liguria e Campania, rispettivamente notificati il 19 e il 26 febbraio, il 1° marzo 2010, depositati in cancelleria il 26 febbraio, il 3 ed il 5 marzo 2010, iscritti ai numeri 28, 31, 32 e 36 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza per la Regione Campania, Nicoletta Gervasi per la Regione Toscana, Gigliola Benghi per la Regione Liguria, Massimo Luciani per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.― Con ricorso notificato il 19 febbraio 2010 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 26 febbraio, la Regione Calabria ha impugnato l’articolo 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), come convertito dalla legge 26 marzo 2010, n. 42 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni).

La norma in questione prevede che, «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane. Nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell’interno. Ai fini di cui al secondo periodo sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare».

2.― La ricorrente premette una breve ricostruzione del quadro normativo, nel quale si inserisce la norma sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale, e ricorda che sulle disposizioni che hanno interessato le comunità montane sono intervenute, da ultimo, le sentenze di questa Corte n. 237 del 2009 e n. 27 del 2010.

3.― Tanto premesso, la Regione Calabria prospetta i seguenti motivi di censura.

3.1.― Quale primo profilo di illegittimità, è dedotta la lesione della potestà legislativa residuale della Regione nella materia delle comunità montane, ex articolo 117, quarto comma, Cost., come enunciato nelle sentenze n. 27 del 2010, n. 237 del 2009, n. 397 del 2006 e numeri 456 e 244 del 2005.

L’eliminazione del finanziamento statale, senza la previsione di alcuna compensazione, infatti, determinerebbe l’indiretta soppressione dei suddetti enti, o comunque la riduzione del numero e delle competenze degli stessi, incidendo sulla relativa potestà legislativa.

La norma impugnata determinerebbe, inoltre, una situazione non sostenibile per le Regioni che, per la condizione economico-finanziaria in cui si trovano, non sono in grado di fare fronte alla sottrazione di risorse; ciò, in particolare, si verificherebbe per la stessa ricorrente, tenuta ad attuare il piano di rientro dal disavanzo in materia sanitaria.

La Regione Calabria deduce, altresì, che la finalità della norma di sopprimere le comunità montane si può ravvisare anche nella devoluzione ai comuni montani, «definiti, oltretutto, in modo arbitrario in base a quelle caratteristiche altimetriche che la Corte ha già dichiarato incongrue con la sentenza n. 27 del 2010», di parte delle risorse in questione.

Lo Stato, quindi, avrebbe effettuato una precisa opzione, preferendo i comuni alle comunità montane, con ciò invadendo l’ambito competenziale attributo dalla Costituzione alle Regioni. Né la norma censurata potrebbe essere ascritta ai principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in quanto la stessa non prevede un contenimento della spesa secondo i criteri affermati dalla sentenza n. 237 del 2009, ma cancellerebbe il finanziamento statale, scegliendo direttamente le modalità di riduzione della spesa.

3.2.― Altra censura è prospettata con riguardo alla violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost., sotto un duplice profilo.

Innanzitutto, si osserva che il quarto comma dell’art. 119 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nello stabilire che «le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite», contiene una disposizione di salvaguardia che tende ad impedire che il processo di federalizzazione dell’ordinamento determini la compromissione del pubblico interesse, ostacolando l’assolvimento delle funzioni di competenza degli enti territoriali per ragioni puramente economico-finanziarie.

Pertanto, lo Stato non può ex abrupto cancellare le risorse e prevedere un’erogazione alternativa in favore dei comuni montani, in tal modo violando lo spazio di autonomia riservato alle Regioni.

Né tale intervento può essere ascritto alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., che attiene agli organi di governo ed alle funzioni fondamentali degli enti locali, tenuto conto, altresì, che l’art. 118, secondo comma, Cost., distingue precisamente l’ambito della legge statale e di quella regionale in ordine alle funzioni amministrative dei comuni.

Il secondo profilo di illegittimità prospettato attiene alla violazione del combinato disposto degli artt. «117, terzo comma, e 119, secondo comma», Cost.

Da tale ultima disposizione costituzionale, ad avviso della ricorrente, discende il principio della certezza delle entrate (sono richiamate le sentenze n. 37 e n. 423 del 2004), che «è in stretta connessione con le norme costituzionali relative al riparto di competenze tra Stato e Regioni, e in particolare con l’art. 117, quarto comma, Cost.».

3.3.― La disposizione sottoposta al vaglio della Corte lederebbe, altresì, gli articoli 3 e 117, quarto comma, Cost. per l’irragionevolezza e la contraddittorietà dell’intervento legislativo in questione. Ricorda la Regione Calabria come il legislatore statale, con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), sia intervenuto sulle comunità montane dettando una serie di disposizioni per il riordino delle stesse. Tale intervento normativo costituisce indice del rilievo attribuito ai suddetti enti.

La scelta di finanziare i comuni e non le comunità montane è poi pregiudizievole per la spesa pubblica e l’efficacia dell’azione amministrativa, e dunque irragionevole ai sensi dell’art. 97 Cost., in quanto disperde le già ridotte risorse.

3.4.― Altro profilo di censura è ravvisato nella violazione del principio di leale collaborazione. La norma impugnata, infatti, non prevede alcun coinvolgimento della Regione Né, nel caso di specie, può trovare applicazione l’affermazione che il suddetto principio non si applica all’attività legislativa.

3.5.― Infine, è prospettata la violazione dell’articolo 136 Cost., in combinato disposto con l’art. 117, quarto comma, Cost. Ritiene la difesa regionale che la norma impugnata ponga nel nulla le statuizioni contenute nella sentenza n. 237 del 2009; né potrebbe ritenersi che la successiva sentenza n. 27 del 2010 abbia consentito il disimpegno finanziario dello Stato.

4.― In data 29 marzo 2010 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto il rigetto della questione.

Deduce la difesa dello Stato che la norma impugnata, rientrando nell’ambito d’intervento della legge finanziaria per l’anno 2010, è finalizzata al contenimento della spesa pubblica. Pertanto, essa è ascrivibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Inoltre, poiché non sussiste alcun obbligo costituzionale dello Stato di finanziare le comunità montane, non vi sarebbe la violazione dell’art. 119 Cost.

Infine, si rileva come nel testo del decreto-legge n. 2 del 2010, quale risultante in sede di conversione dalla legge n. 42 del 2010, il secondo periodo della disposizione impugnata sia stato modificato, prevedendosi che la quota di spettanza di ciascuna comunità debba intendersi trasferita «ai comuni appartenenti alle comunità montane».

5.― Con ricorso notificato il 26 febbraio 2010 e depositato il successivo 3 marzo, la Regione Toscana ha impugnato l’articolo 2, comma 186, lettere a) ed e), della legge n. 191 del 2009, nel testo originario, precedente cioè alle modificazioni disposte dal citato decreto-legge n. 2 del 2010.

Le disposizioni impugnate prevedono, nell’ambito della riduzione del contributo ordinario spettante agli enti locali, stabilita dal comma 183 del citato art. 2, la soppressione da parte dei comuni del difensore civico e dei consorzi di funzioni.

In particolare, le lettere a) ed e), dell’art. 2, comma 186, così dispongono, in relazione alle misure che i comuni devono adottare in ragione della riduzione del contributo ordinario di cui al comma 183:

«a) soppressione della figura del difensore civico di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»;

«e) soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione» da parte dei comuni «delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto».

Le norme in questione lederebbero le prerogative regionali e degli enti locali in materia di organizzazione e funzionamento di questi ultimi.

5.1.― La Regione ricorrente deduce, in generale, la violazione degli articoli 114, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, e 119 Cost.

5.2.― Con riguardo all’art. 2, comma 186, lettera a), la difesa regionale assume la lesione degli artt. 114 e 117, commi secondo, quarto e sesto, Cost., in quanto le disposizioni in esame non disciplinerebbero né le funzioni fondamentali, né gli organi di governo dei comuni, sicché esse non potrebbero essere ascritte alla potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.

Il difensore civico non rientrerebbe tra gli organi dell’ente ed allo stesso la Corte costituzionale avrebbe riconosciuto la titolarità di funzioni non politiche, di tutela della legalità e della regolarità amministrativa (sono richiamate le sentenze n. 167 del 2005 e n. 313 del 2003). Lo Stato, quindi, non potrebbe sopprimere una figura la cui disciplina è rimessa alla potestà statutaria e regolamentare degli enti locali, con conseguente violazione dell’autonomia di detti enti sancita dall’art. 114 Cost., che può essere fatta valere dalla Regione (sono richiamate le sentenze n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).

In ogni caso, la norma in esame lederebbe anche la potestà legislativa regionale di tipo residuale in materia di organizzazione dell’esercizio delle funzioni pubbliche locali.

Lo statuto della Regione Toscana, all’art. 56, ha infatti stabilito che la legge promuove l’istituzione della rete di difesa civica locale.

È poi intervenuta la legge della Regione Toscana 27 aprile 2009, n. 19 (Disciplina del difensore civico regionale), che all’art. 20 ha istituito la conferenza permanente dei difensori civici locali.

Tale disciplina, legittimamente emanata nell’esercizio delle attribuzioni regionali, verrebbe vanificata dalla norma oggetto di impugnativa.

5.3.― In ordine all’art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009, la Regione Toscana prospetta la violazione degli artt. 114, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, e 119 Cost.

Innanzitutto, sarebbe lesa l’autonomia statutaria e regolamentare dei comuni, ai sensi degli artt. 117, sesto comma, e 114 Cost.

Inoltre, la disposizione lederebbe direttamente la potestà legislativa residuale delle Regioni.

In particolare, la ricorrente ricorda che questa Corte con la sentenza n. 237 del 2009, con riferimento alle comunità montane – identificate quali unioni di comuni montani – ha affermato che le comunità montane «contribuiscono a comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza assurgere a enti costituzionalmente o statutariamente necessari» e che esse «non sono enti necessari sulla base di norme costituzionali, sicché rientra nella potestà legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente, la soppressione».

Tali principi, ad avviso della Regione, possono essere invocati anche con riferimento al comma 186, lettera e), in ordine alla prevista soppressione di consorzi tra enti locali, ove la norma sia interpretata nel senso della sua applicabilità anche ai consorzi obbligatori costituiti in base alle previsioni della legge regionale.

È quindi evidente che prevedere un obbligo puntuale per i comuni in ordine alla soppressione dei consorzi di funzioni si traduce in un inammissibile intervento dello Stato nell’ambito della disciplina dell’organizzazione locale, ben oltre i limiti previsti dalla Costituzione.

La scelta di esercizio delle funzioni degli enti locali attraverso la forma del consorzio non rientra né nella disciplina dell’organizzazione degli enti di cui all’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., in quanto detta disposizione si riferisce esclusivamente alla organizzazione degli enti nazionali, né nella disciplina, pure riservata in via esclusiva allo Stato, relativa agli «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.

Inoltre, il comma in esame contiene una puntuale disciplina degli effetti della disposta soppressione dei consorzi, illegittima, perché non lascia alcuno spazio al legislatore regionale.

Neppure possono invocarsi, a sostegno della legittimità dell’intervento legislativo statale in esame, la competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma e dell’art. 119 Cost., in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa corrente.

Al contrario, la disposizione in esame, imponendo un obbligo preciso e puntuale di soppressione dei consorzi, interviene con una disciplina di dettaglio, vincolante e per ciò stesso lesiva delle prerogative regionali, costituzionalmente garantite, in ordine alla potestà di disciplinare l’esercizio in forma associata delle funzioni degli enti locali.

La Regione deduce che tale violazione permane anche alla luce dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2010, ai sensi del quale le disposizioni di cui ai commi 184, 185 e 186 dell’articolo 2 della legge n. 191 del 2009 «si applicano a decorrere dal 2011 ai singoli enti per i quali ha luogo il rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo».

La norma, infatti, ha solo l’effetto di posticipare gli effetti della disposizione in esame, che tuttavia risulta confermata dal punto di vista contenutistico.

5.4.― In data 6 aprile 2010 si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione.

La difesa dello Stato, in primo luogo, rileva che le norme impugnate sono state modificate dal decreto-legge n. 2 del 2010, come convertito nella legge n. 42 del 2010, in modo significativo, con la conseguenza che non può procedersi al trasferimento della questione sul nuovo testo delle medesime, ma la questione stessa deve essere dichiarata inammissibile.

Nel merito, l’Avvocatura dello Stato osserva che le disposizioni censurate si inseriscono in un contesto normativo avente finalità di coordinamento finanziario per il contenimento della spesa pubblica degli enti locali.

La prevista soppressione della figura del difensore civico e dei consorzi di funzioni è volta sostanzialmente a garantire, attraverso una riorganizzazione delle strutture attualmente esistenti sul territorio nazionale, il contenimento della spesa degli enti locali, nell’ambito delle misure di razionalizzazione della spesa pubblica nel concorso di tutti gli enti territoriali, nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

Poiché tali finalità sono da considerarsi prevalenti rispetto alla potestà legislativa delle Regioni, la disposizione impugnata non può considerarsi lesiva delle prerogative regionali.

6.― Con ricorso notificato il 1° marzo 2010 e depositato il successivo 3 marzo, la Regione Liguria ha impugnato l’art. 2, comma 187, della legge n. 191 del 2009, nel testo originario. Dopo aver premesso una breve ricostruzione normativa del quadro ordinamentale delle comunità montane, la Regione ha prospettato la violazione degli artt. 3, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost.

6.1.― In primo luogo, la norma impugnata violerebbe la potestà legislativa residuale delle Regioni in ordine alle comunità montane. Pertanto, pur ritenendo che la disposizione censurata sia ispirata da ragioni di contenimento della spesa pubblica, la stessa sarebbe illegittima in quanto invaderebbe un ambito rimesso alle Regioni (è richiamata la sentenza n. 237 del 2009).

Il legislatore statale avrebbe utilizzato in maniera non proporzionata il titolo legittimante la competenza statale relativo all’armonizzazione dei bilanci pubblici e al coordinamento della finanza pubblica, in tal modo violando tanto l’art. 117, terzo comma, quanto l’art. 3 Cost.

6.2.― La norma in questione lederebbe, altresì, l’art. 119 Cost., nonché l’art. 3 Cost., sotto il profilo della certezza del diritto.

La soppressione dei trasferimenti statali in esame rompe il meccanismo imposto dall’art. 119 Cost., laddove presuppone l’equilibrio tra funzioni ed entrate, ed obbliga lo Stato a dotare le Regioni dei mezzi per far fronte ai propri compiti, sia mediante trasferimenti di tributi erariali, sia mediante entrate proprie.

Pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima una riduzione dei trasferimenti statali in termini tali da compromettere l’esercizio delle funzioni e senza prevedere strumenti con i quali le Regioni possano supplire alle riduzioni stesse, anche in considerazione dei mutui accesi dalle comunità montane in ragione della copertura finanziaria dell’articolo 28 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).

6.3.― Sarebbe, altresì, leso il principio di leale collaborazione, in quanto non è previsto lo strumento dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni o Conferenza unificata.

6.4.― Infine, specifiche censure sono mosse in ordine al secondo periodo del comma 187, che renderebbe palese il disegno statale di sopprimere le comunità montane, considerando quali interlocutori per le politiche della montagna i soli comuni montani. Lo stesso, infatti, nella parte in cui priva di mezzi finanziari le comunità montane, decretandone l’estinzione, viola gliartt. 117 e 119 Cost., mentre, per la parte in cui omette qualsiasi coinvolgimento della Regione nella individuazione dei criteri per la riduzione, al 30 per cento, dei fondi di cui al citato art. 34 del d.lgs. 504 del 1992, si espone alla censura di violazione del principio di leale collaborazione.

Infine, per la parte in cui la norma offre una definizione unilaterale della "mondanità”, includendovi i soli comuni il cui territorio è situato per almeno il 75 per cento al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare, si porrebbe in contrasto tanto con il principio di leale collaborazione, quanto con gli artt. 117 e 3 Cost.

7.― Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dedotte con riguardo al ricorso proposto dalla Regione Calabria.

8.― Con ricorso notificato il 1° marzo 2010 e depositato il successivo 5 marzo, la Regione Campania ha impugnato l’art. 2, commi 186, lettera e), e 187, della legge n. 191 del 2009, nel testo originario, deducendo la violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, 119 e 123 Cost., del principio di leale collaborazione, degli artt. 136 e 137 Cost., nonché del criterio di ragionevolezza.

Anche la Regione Campania premette una ricostruzione normativa del settore in esame, rilevando che con la legge regionale 30 settembre 2008, n. 12 (Nuovo ordinamento e disciplina delle Comunità montane) si è provveduto ad adottare un nuovo ordinamento delle comunità montane, in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 244 del 2007.

Specifico ruolo è stato riconosciuto, altresì, alle comunità montane dallo statuto della Regione Campania e, in particolare, dall’art. 22 che disciplina il consiglio delle autonomie locali.

8.1.― In ordine all’impugnato comma 187, la Regione ricorrente prospetta la violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., in uno con i principi di leale cooperazione, oltre che di ragionevolezza e di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

La norma impugnata non presenterebbe in alcun modo i tratti caratterizzanti i principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Sarebbe evidente, quindi, l’invasione della competenza regionale. Così operando, infatti, la legge statale vanificherebbe la scelta politica che una legge regionale ha compiuto, per di più, tenendo conto delle indicazioni dello Stato.

Ancora, si osserva che la norma impugnata non utilizzerebbe le risorse tolte alla Regione per il contenimento della spesa, ma opererebbe uno spostamento delle stesse da un fondo ad un altro.

8.2.― Inoltre, una parte di tale fondo (il 30 per cento delle risorse finanziarie eliminate per le comunità montane) sarebbe devoluto direttamente a favore dei comuni montani.

Sotto questo profilo si manifesterebbe un ulteriore aspetto di illegittimità per la violazione delle norme costituzionali che garantiscono l’autonomia regionale, soprattutto in materia di organizzazione degli enti locali e di autonomia degli stessi enti.

La norma precisa che i destinatari di tali risorse residue possono essere solo i comuni montani con il 75 per cento del territorio al di sopra dei 600 metri sul livello del mare.

La illegittimità di tale previsione si evincerebbe anche dalla sentenza n. 27 del 2010 di questa Corte, che ha stabilito che un criterio altimetrico rigido è illegittimo, dal momento che, nella materia in esame, è possibile individuare indicatori in maniera generica e non vincolante.

8.3.― Sotto questo punto di vista, si deduce anche la violazione del giudicato costituzionale, giacché si tratterebbe di una fattispecie assolutamente identica a quella decisa dalla Corte, con la sentenza da ultimo citata, riferibile alla stessa materia, all’identico criterio utilizzato dal legislatore statale e allo stesso ambito di intervento dello Stato.

8.4.― In definitiva, dunque, non vi sarebbe alcuna norma costituzionale che attribuisca allo Stato una competenza generale in materia di enti locali, in quanto l’unica norma esistente nella Costituzione (art. 117, secondo comma, lettera p), limita la potestà legislativa statale in relazione al tipo di ente locale, nonché a determinati aspetti del loro ordinamento (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali).

8.5.― In ordine all’impugnazione dell’art. 2, comma 186, lettera e), la Regione Campania deduce che i consorzi previsti dalla norma impugnata costituiscono modalità organizzative dell’ente e, dunque, vengono attratti nell’ambito della materia organizzazione degli uffici regionali e degli enti locali.

Né alcun rilievo può avere il richiamo alla competenza statale nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica.

Gli interventi legislativi nazionali possono, infatti, superare il vaglio di costituzionalità soltanto se la normativa statale si propone esclusivamente un obiettivo di riequilibrio della finanza pubblica, inteso nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente, senza prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento di detto obiettivo.

Infine, la norma impugnata appare irragionevole nella sua applicazione indifferenziata, rispetto alle esigenze necessariamente variegate del territorio, nonché illegittima per violazione del principio di leale cooperazione, laddove nella scelta relativa non prevede alcuna partecipazione delle Regioni e degli enti locali.

8.6.― La Regione Campania ha formulato istanza di sospensione delle norme impugnate ai sensi degli artt. 35 e 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

9.― Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione con argomentazioni analoghe a quelle formulate con riguardo agli altri ricorsi sopra richiamati.

10.― In data 23 settembre 2010, la Regione Campania ha depositato memoria.

La ricorrente deduce che, medio tempore, il citato comma 187 è stato modificato dall’art.1, comma 1-quater, lettera a), del decreto-legge n. 2 del 2010, convertito dalla legge 26 marzo 2010, n. 42. In ragione della novella, in primo luogo, il 30 per cento delle risorse statali soppresse, non è più assegnato ai comuni montani, ma ai comuni facenti parte delle comunità montane e la relativa ripartizione deve essere effettuata previa intesa in sede di Conferenza unificata. In secondo luogo, l’ultimo periodo del comma 187, che definiva i comuni montani, è stato soppresso.

Alla luce del ius superveniens, la difesa regionale dichiara di ritenere cessata la materia del contendere in ordine alla disposizione soppressa, mentre, a proprio avviso, permane l’illegittimità delle altre norme impugnate.

Per contrastare le deduzioni dello Stato, la ricorrente rileva che persiste la violazione della potestà legislativa e dell’autonomia finanziaria regionale, ad opera del comma 187, in quanto le risorse soppresse sono destinate a «spese ed impegni economici voluti dallo Stato», ora posti indirettamente a carico della Regione, e ai quali la stessa non può sottrarsi. Né la previsione dell’intesa sana la lesione del principio di leale collaborazione, dal momento che è prevista in via transitoria per la prima applicazione della legge e riguarda solo il riparto del fondo da effettuarsi attraverso un decreto ministeriale.

In ordine al comma 186, lettera e), la Regione ribadisce le difese svolte e deduce, in particolare, l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità della questione per genericità delle censure prospettata dall’Avvocatura dello Stato.

11.― Anche la Regione Calabria, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate, ritenendo non rilevante il citato ius superveniens.

La ricorrente osserva come la difesa statale si fondi su due sole argomentazioni: da un lato, l’ascrivibilità della disciplina in questione alla materia del coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, l’assenza di un obbligo costituzionale dello Stato di finanziare le comunità montane.

Ad avviso della Regione, la prima argomentazione non sarebbe sufficiente a sostanziare la legittimità della norma che sopprime il finanziamento statale delle comunità montane, in quanto il contenimento della spesa pubblica non può ridondare in compromissione di «interessi costituzionalmente pregevoli», e, in ogni caso, può porre solo obiettivi di riequilibrio, ma non può imporre gli strumenti per perseguire tale finalità (in proposito sono richiamate diverse pronunce di questa Corte: sentenze n. 156 e n. 149 del 2010, n. 94 del 2009).

La riduzione delle risorse sarebbe, altresì, illegittima, in quanto darebbe luogo tout court alla eliminazione delle comunità montane, che è prerogativa esclusiva delle Regioni, come sembrerebbe evincersi, aliunde, dall’art. 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale «le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall’articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del 2009, sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune ed il comune di Campione d’Italia. Tali funzioni sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti».

D’altro canto, che la spesa pubblica per le comunità montane possa essere soltanto limitata e non soppressa, e che quindi la norma sia viziata da illogicità rispetto allo scopo dichiarato, sarebbe dimostrato dal fatto che parte del finanziamento è destinato ai comuni montani.

La Regione Calabria ribadisce, altresì, che il combinato disposto degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., vieta il disimpegno dello Stato dal dovere di assicurare la sufficienza delle fonti di finanziamento delle funzioni pubbliche degli enti territoriali e impone la logica della proporzione tra funzioni e risorse, che è disattesa dalla disposizione impugnata, con violazione anche del principio di certezza delle entrate.

La ricorrente, quindi, rinnova la censura di irragionevolezza e contraddittorietà, proposta in ordine alla norma impugnata alla luce delle disposizioni contenute nell’art. 2041, comma 3, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) e dell’art. 5, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito dalla legge n. 122 del 2010. Ed infatti, la prima delle citate norme dispone la concedibilità di licenza illimitata per i militari di leva che rivestano la carica di presidente delle comunità montane; la seconda prevede che agli amministratori di comunità montane non possono essere attribuiti retribuzioni, gettoni, indennità, emolumenti, in qualsiasi forma percepiti.

Infine, poiché la norma censurata avrebbe un contenuto sostanzialmente provvedimentale, assumerebbe rilievo anche il principio di leale collaborazione che, nella specie, risulterebbe violato.

12.― In data 28 settembre 2010 la Regione Liguria ha depositato memoria con la quale, nel rinnovare le difese svolte, osserva, in particolare, che la normativa in esame sarebbe iniqua ed irrazionale, in quanto, nella sua onnicomprensività, fa sì che debba ritenersi incluso tra le fonti di finanziamento delle comunità montane soppresse anche il Fondo sviluppo investimenti di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 504 del 1992, destinato alla copertura degli oneri derivanti dai mutui posti in essere per spese di investimento, senza che siano indicati i mezzi alternativi per farvi fronte.

Di conseguenza, sarebbero lesi i principi della sicurezza dei rapporti giuridici e della tutela dell’affidamento con manifesta irragionevolezza della norma.

Considerato in diritto

1.― Con autonomi ricorsi le Regioni Calabria, Toscana, Liguria e Campania hanno sottoposto al vaglio di costituzionalità, nel testo originario, tra le altre, alcune disposizioni contenute nell’articolo 2, commi 186, lettere a) ed e), e 187 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), le quali – in ragione della intervenuta riduzione del contributo ordinario base spettante agli enti locali a valere sul fondo statale ordinario per il finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali e dei comuni, ad opera dell’art. 2, comma 183, della stessa legge – hanno stabilito una serie di misure di contenimento della spesa pubblica.

1.1.― Le impugnazioni di cui innanzi vengono trattate separatamente rispetto alle altre questioni proposte con i medesimi atti introduttivi e, per omogeneità di materia, considerata la parziale identità delle norme censurate e delle questioni prospettate, devono essere decise, previa riunione in parte qua dei relativi ricorsi, con la medesima sentenza.

1.2.― Quanto alle questioni concernenti il presente giudizio, va osservato che la Regione Calabria e la Regione Liguria hanno impugnato il solo art. 2, comma 187, della citata legge, il quale stabilisce che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, «lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane». Dispone, inoltre che «nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell’interno. Ai fini di cui al secondo periodo sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare».

La Regione Toscana ha dedotto la illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 186, lettere a) ed e), della suddetta legge, nella parte in cui prevede, in relazione alle riduzioni del contributo ordinario di cui al comma 183, che i comuni devono altresì adottare le seguenti misure:

«a) soppressione della figura del difensore civico di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»;

omissis

«e) soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con assunzione», da parte dei comuni, «delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto».

Infine, la Regione Campania ha sottoposto allo scrutinio della Corte sia il comma 186, lettera e), che il comma 187 dell’art. 2 della medesima legge finanziaria.

1.3.― I profili di illegittimità costituzionale sono prospettati dalle suddette Regioni in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, 123, 136 e 137 della Costituzione, nonché ai principi di leale collaborazione, di ragionevolezza, di certezza delle entrate e di affidamento.

2.― Le Regioni Calabria, Liguria e Campania, con argomentazioni in gran parte coincidenti, deducendo la lesione, nell’insieme, degli artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119, 123, 136 e 137 Cost., dei principi di ragionevolezza, di leale collaborazione, di certezza delle entrate e di affidamento, hanno articolato, in ordine all’art. 2, comma 187, della legge n. 191 del 2009, le seguenti censure.

Punto di partenza comune all’iter argomentativo sviluppato dalle ricorrenti a fondamento delle proprie doglianze è la sussistenza della potestà legislativa residuale della Regione nella materia delle comunità montane, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., come precisato dalla sentenza n. 237 del 2009 di questa Corte.

L’intervento legislativo in questione, quindi, da un lato, sopprimendo la provvista finanziaria statale per le comunità montane, dall’altro, destinando le relative risorse ai comuni montani, ridefinendo le caratteristiche degli stessi e demandando la ripartizione delle risorse ad un decreto ministeriale, lederebbe la suddetta potestà normativa, nonché l’art. 3 Cost. ed il principio di leale collaborazione, con ricadute, ad avviso della Regione Campania, anche sulla autonomia amministrativa di cui all’art. 118 Cost.

La disposizione impugnata non sarebbe, inoltre, riferibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica o, comunque, come precisato dalla Regione Liguria, esorbiterebbe dai canoni in cui la competenza in tale materia legittimamente spetta allo Stato, in ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale.

Un ulteriore profilo di illegittimità della norma è ravvisato dalle ricorrenti nella lesione dell’art. 119 Cost., sotto un duplice profilo. La impugnata normativa statale, per un verso, sarebbe in contrasto con la necessaria proporzionalità tra funzioni degli enti locali e risorse agli stessi destinate, con la conseguente lesione dei principi della certezza delle entrate e dell’affidamento giuridico; per altro verso, non sarebbero indicate le fonti di finanziamento che dovrebbero consentire la sostituzione delle risorse soppresse.

Ad avviso delle Regioni Calabria, Liguria e Campania sarebbe evidente la violazione del principio di leale collaborazione, non essendo previsto, tra l’altro, alcun raccordo con il Consiglio delle autonomie locali – soprattutto quando le Regioni abbiano già legiferato in materia, secondo i principi fondamentali dettati dal legislatore con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) e successive modifiche – per ridelineare, in una prospettiva di contenimento della spesa pubblica, l’assetto dei suddetti enti.

Proprio in riferimento alla legislazione statale precedente, la normativa impugnata, secondo le Regioni Calabria e Campania, sarebbe irragionevole e contraddittoria, oltre che lesiva del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Le Regioni Calabria e Campania, infine, deducono la violazione del giudicato costituzionale, in quanto la normativa impugnata vanificherebbe quanto statuito dalle sentenze di questa Corte n. 237 del 2009 e n. 27 del 2010 sui limiti del potere statale di intervento sulla riduzione della spesa delle comunità montane, oltre che sulla fissazione dei requisiti necessari per la costituzione delle comunità stesse.

3.― Come si è prima precisato, la sola Regione Toscana ha impugnato l’art. 2, comma 186, lettera a), della legge n. 191 del 2009, il quale prevede per i comuni la soppressione del difensore civico, deducendo la violazione degli artt. 114, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 119 Cost., in base alle argomentazioni che seguono.

Poiché il difensore civico non rientra tra gli organi del comune, la disciplina di tale figura e la previsione della sua eventuale soppressione esulerebbero dalla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia concernente la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), essendo rimesse alla potestà statutaria e regolamentare degli enti locali, in forza di quanto disposto dal citato secondo comma, lettera p), dell’art. 117 Cost., e del sesto comma del medesimo articolo.

La norma impugnata, quindi, violerebbe l’autonomia di detti enti sancita dall’art. 114 Cost., nonché la potestà legislativa residuale della Regione in materia di organizzazione dell’esercizio delle sue funzioni.

La ricorrente ricorda di avere già legiferato in materia, promuovendo, in sede statutaria, l’istituzione della rete di difesa civica locale e adottando, successivamente, la legge regionale n. 27 aprile 2009, n. 19 (Disciplina del difensore civico regionale).

4.― Sia la Regione Toscana sia la Regione Campania hanno impugnato, infine, l’art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009, il quale dispone la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali (da individuare nei comuni, in ragione dei destinatari della disposizione) e contiene una puntuale disciplina degli effetti della disposta soppressione, deducendo, nel complesso, la violazione degli artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.

La norma impugnata, ad avviso della Regione Toscana, non sarebbe ascrivibile alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere g), e p), Cost. e determinerebbe la lesione dell’autonomia statutaria e regolamentare dei comuni ex artt. 114 e 117, sesto comma, Cost., nonché della potestà residuale della Regione, nella quale rientrerebbe la disciplina delle forme associative degli enti locali. Né, per l’estremo dettaglio delle disposizioni in essa contenute, quest’ultima potrebbe essere qualificata alla stregua di un principio fondamentale nella materia del coordinamento della finanza pubblica.

La Regione Toscana deduce, infine, l’irrilevanza di quanto stabilito dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), nel suo testo originario, secondo il quale «le disposizioni di cui ai commi 184, 185 e 186 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, si applicano a decorrere dal 2011 ai singoli enti per i quali ha luogo il rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo». Detta previsione, infatti, posticiperebbe soltanto gli effetti, ma confermerebbe il contenuto sostanziale della norma censurata.

Anche la Regione Campania prospetta la violazione della potestà legislativa regionale nella materia degli uffici regionali e degli enti locali, nonché dell’autonomia costituzionalmente garantita di questi ultimi. La disposizione, ad avviso della ricorrente, sarebbe altresì irragionevole nella sua applicazione indifferenziata rispetto alle esigenze del territorio e sarebbe, quindi, illegittima, in quanto non è prevista alcuna partecipazione della Regione e degli enti locali alle relative scelte.

La Regione Campania ha chiesto, infine la sospensione in via cautelare delle norme impugnate.

5.― In via preliminare, devono essere affrontate alcune questioni pregiudiziali attinenti alla individuazione dell’ambito entro il quale procedere all’esame di merito delle censure sollevate dalle ricorrenti.

Vengono in rilievo, a questo riguardo, le modifiche legislative che, successivamente alla proposizione dei ricorsi, hanno interessato le norme impugnate, nonché quelle, come si vedrà, a queste ultime connesse.

5.1.― Il decreto-legge n. 2 del 2010 ha introdotto la norma transitoria richiamata, ma non impugnata dalla Regione Toscana, relativa ai termini di applicazione dell’art. 2, commi 184, 185 e 186, della legge n. 191 del 2009.

In sede di conversione in legge del citato decreto-legge, ad opera della legge 26 marzo 2010, n. 42 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), la suddetta disposizione è stata modificata e sono stati, altresì, innovati il comma 186, lettere a) ed e), e il comma 187 dell’art. 2 della suddetta legge finanziaria per il 2010.

Nel nuovo testo dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2010 permane la decorrenza dell’applicazione dell’art. 2, comma 186, lettera e), dal 2011, mentre quella dell’art. 2, comma 186, lettera a), è stata fissata, in ogni comune interessato, dalla data di scadenza dei singoli incarichi dei difensori civici e dei direttori generali in servizio al momento di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto-legge.

5.2.― In particolare, il comma 186, lettera a), è stato modificato nel senso che la previsione della soppressione del difensore civico, di cui al testo unico degli enti locali, riguarda il solo difensore civico comunale, le cui funzioni sono state attribuite ora a quello della provincia nel cui territorio rientra il relativo comune, mediante anche ridefinizione della sua denominazione in «difensore civico territoriale».

5.3.― Il comma 186, lettera e), del medesimo articolo, a sua volta, è stato modificato nel senso di escludere dalla soppressione ivi prevista i bacini imbriferi montani (BIM), costituiti ai sensi dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959 (Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici). Rimane fermo il trasferimento ai comuni delle funzioni già esercitate dai consorzi soppressi.

È poi intervenuto l’articolo 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha dettato, come si dirà in seguito, nuove disposizioni sull’esercizio in forma associata delle funzioni dei comuni.

5.4.― Anche il successivo comma 187 è stato modificato.

Come sarà precisato in prosieguo, da un lato, si è previsto che, nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), parte delle risorse, già prima attribuite alle comunità montane, sono devolute non più ai comuni montani, ma ai comuni già appartenenti alle comunità montane, previa intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata; dall’altro, si è soppresso l’inciso relativo alla definizione dei requisiti per la qualificazione come montani dei comuni.

5.5.― Tutte le suddette disposizioni sopravvenute, come si è rilevato, non hanno costituito oggetto di impugnazione da parte delle ricorrenti.

6.― Orbene, la novellazione sopra richiamata integra una ipotesi di ius superveniens che incide sulle disposizioni statali oggetto di impugnazione con i ricorsi in via principale proposti dalle Regioni. E secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora dalla disposizione legislativa sopravvenuta sia desumibile una norma sostanzialmente coincidente con quella impugnata, la questione – in forza del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via d’azione – deve intendersi trasferita sulla nuova norma (tra le molte, sentenza n. 40 del 2010).

Diversamente, quando la norma modificata non abbia avuto attuazione medio tempore, si può avere un effetto satisfattorio delle pretese della parte ricorrente, che dà luogo ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Del pari, nelle medesime condizioni di inattuazione, la sopravvenuta modifica legislativa può incidere a tal punto sulla originaria norma da determinare, in mancanza di una nuova impugnazione, il sopravvenuto difetto di interesse a proseguire nel giudizio. Ed è chiaro come in detta ipotesi sia onere della parte ricorrente, ove voglia contestare la legittimità costituzionale della norma sopravvenuta, anche eventualmente in connessione con quella originaria, di proporre una nuova impugnazione.

6.1.― Ciò premesso, va osservato che, con riguardo all’art. 2, comma 186, lettera a), la novellazione intervenuta successivamente alla legge n. 191 del 2009 comporta un sostanziale mutamento della disposizione sottoposta al vaglio di questa Corte, tale da determinare, attesa la mancanza di una specifica impugnazione della nuova norma, il sopravvenuto difetto di interesse della Regione Toscana e, dunque, l’inammissibilità della questione.

Ed infatti, rimane ferma la soppressione del difensore civico comunale come soggetto incardinato nella struttura organizzativa del comune, ma, in ragione del ius superveniens, le sue funzioni possono essere attribuite, mediante apposita convenzione tra più comuni, al difensore civico della provincia, nel cui territorio rientrano i relativi comuni, che assume la denominazione di «difensore civico territoriale». Non può, quindi, affermarsi, dopo le modifiche introdotte dalle disposizioni sopravvenute, che sono state soppresse le funzioni precedentemente attribuite al difensore civico comunale. È vero, invece, che per effetto di queste ultime norme, si è inciso soltanto sulla titolarità delle funzioni di difesa civica comunale, prevedendosi che queste siano esercitate ad un livello territoriale più ampio, vale a dire quello provinciale; di qui anche la modifica della formale denominazione del soggetto che è incaricato di svolgerle, come si è accennato, in «difensore civico territoriale».

6.2.― A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto riguarda l’art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009.

Ed infatti, anche in ordine a tale disposizione deve essere dichiarata l’inammissibilità della relativa questione di costituzionalità, promossa dalle Regioni Toscana e Campania, per sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione.

È pur vero che la sopravvenienza normativa costituita dalla novellazione introdotta dal decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo risultante dalla legge di conversione n. 42 del 2010, si è limitata ad escludere dalla soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali i bacini imbriferi montani, ma nella ricognizione del ius novorum, che ha interessato la disposizione impugnata, non può omettersi di considerare l’art. 14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito nella legge n. 122 del 2010.

La sopra citata disposizione stabilisce che «le funzioni fondamentali dei comuni, previste dall’articolo 21, comma 3», della legge n. 42 del 2009, «sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune ed il comune di Campione d’Italia». Il citato articolo prosegue disponendo che «tali funzioni sono obbligatoriamente esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti».

È evidente, quindi, che la sopravvenuta previsione dell’esercizio obbligatorio da parte dei comuni, in forma associata, di importanti funzioni e l’espresso riferimento alle comunità montane contenuto nel citato art. 14, comma 28, privano di effettività ed attualità la doglianza delle Regioni ricorrenti, con la conseguenza che deve essere dichiarata inammissibile la relativa questione di costituzionalità sollevata con i ricorsi introduttivi del presente giudizio.

6.3.― A conclusioni parzialmente diverse da quelle relative al comma 186, lettere a) ed e), deve pervenirsi in ordine al successivo comma 187.

Le nuove disposizioni introdotte nella legge n. 191 del 2009 dal legislatore (che – come si è già detto – non hanno formato oggetto di impugnazione da parte delle ricorrenti) hanno inciso in modo rilevante sul tessuto normativo specifico, oggetto dei ricorsi ora in esame.

Al riguardo, va rilevato che nel comma 187, prima delle modificazioni ad esso apportate dal decreto-legge n. 2 del 2010, come convertito dalla legge n. 42 del 2010, erano contenute tre distinte disposizioni, tutte oggetto di censure da parte delle ricorrenti:

a) la prima stabiliva che − a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge − lo Stato «cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane»;

b) la seconda stabiliva che, «nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del Ministero dell’interno»;

c) la terza stabiliva che ai suddetti fini «sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi al di sopra dei 600 metri sopra il livello del mare».

Il successivo decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo risultante dalla relativa legge di conversione, con il comma 1-sexies del medesimo art. 1 ha inciso sulle citate disposizioni nel modo che segue:

a) è rimasta inalterata la prima disposizione sopra riportata, relativa alla cessazione del finanziamento statale in favore delle comunità montane di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992 e alle altre disposizioni di legge relative alle medesime comunità;

b) le parole «ai comuni montani» sono state sostituite da quelle: «ai comuni appartenenti alle comunità montane»;

c) sono state aggiunte al comma 187, secondo periodo, le parole «previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»;

d) è stata soppressa, infine, la disposizione relativa alla fissazione del requisito, per la qualificazione di comune montano, concernente il limite di 600 metri sopra il livello del mare in cui dovrebbe trovarsi almeno il 75 per cento del territorio comunale.

Orbene, tenuto conto dell’entità delle modificazioni apportate al comma 187 in esame e della circostanza che esse – come si è ricordato – non hanno formato oggetto di impugnazione da parte di nessuna delle ricorrenti, deve ritenersi − al di là del carattere più o meno satisfattivo delle pretese di queste ultime fatte valere con i rispettivi ricorsi − che è obbiettivamente sopravvenuto il difetto di interesse all’impugnazione in ordine alla disposizione relativa alla determinazione dei requisiti per la qualificazione come "montani” dei comuni. A ciò consegue, pertanto, l’inammissibilità della relativa questione.

Nessuna modificazione è, invece, intervenuta quanto alla disposizione, contenuta nella prima parte del comma 187, relativa alla cessazione del finanziamento statale stabilito in favore delle comunità montane dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dalle altre disposizioni di legge recanti finanziamenti dello Stato a favore delle comunità medesime; nonché a quella relativa allo strumento, il decreto ministeriale appunto, previsto per la ripartizione, in via transitoria, delle risorse pari al 30 per cento del finanziamento statale al quale si riferisce la norma di soppressione.

Per questa parte, dunque, non può ritenersi che si sia determinata né la cessazione della materia del contendere, né la inammissibilità dei ricorsi per sopravvenuto difetto di interesse, tenuto conto della autonomia delle disposizioni stesse rispetto alle altre sulle quali il legislatore dello Stato è intervenuto con la normativa di modificazione della legge n. 191 del 2009.

In tale situazione, tenuto conto della sostanziale identità di contenuto tra la originaria disposizione della prima parte del comma 187 e quella introdotta dalla novella disposta dal decreto-legge n. 2 del 2010, in conformità all’indirizzo giurisprudenziale di questa Corte cui si è fatto prima riferimento, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalle ricorrenti in ordine alla disposizione di cui al comma 187, nella sua formulazione originaria, deve intendersi trasferita, nei termini sopra indicati, sul medesimo comma, quale risulta dal citato decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.

7.― Nel merito, la questione è parzialmente fondata.

8.― Come si è innanzi precisato, la parte del citato comma ritualmente oggetto di censura ad opera delle ricorrenti è quella concernente la soppressione del finanziamento statale previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992, nonché da ogni altra disposizione dello Stato che abbia stabilito finanziamenti in favore delle comunità montane.

Tale previsione è connessa a quanto sancito da una norma contenuta nel comma 183, secondo la quale «il contributo ordinario base spettante agli enti locali a valere sul fondo ordinario» di cui al citato art. 34, comma 1, lettera a), «è ridotto per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, rispettivamente di 1 milione di euro, di 5 milioni di euro e di 7 milioni di euro per le province e di 12 milioni di euro, di 86 milioni di euro e di 118 milioni di euro per i comuni».

È chiaro, pertanto, che le disposizioni qui censurate si inquadrano in una complessa manovra di contenimento della spesa nel settore pubblico allargato, con particolare riferimento alla spesa per gli enti locali.

8.1.― A questo riguardo, deve essere, innanzitutto, richiamato il contenuto specifico del citato art. 34, il quale concorre a disciplinare, in generale, i trasferimenti erariali in favore degli enti in questione, nonché delle comunità montane.

Il comma 1 del suddetto articolo individua nel fondo ordinario, nel fondo consolidato e nel fondo perequativo degli squilibri di fiscalità locale le principali fonti del finanziamento statale dei bilanci delle province e dei comuni.

Il comma 2 prevede, poi, che lo Stato concorre al finanziamento delle opere pubbliche degli enti locali con il fondo nazionale speciale per gli investimenti.

Il comma 3, a sua volta, stabilisce che lo Stato può concorrere al finanziamento dei bilanci delle province, dei comuni e delle comunità montane, anche con un fondo nazionale ordinario per gli investimenti, la cui quantificazione è demandata alle annuali leggi finanziarie.

Il comma 4 prevede, infine, che per le comunità montane lo Stato concorra al finanziamento dei bilanci, ai sensi del comma 1, con assegnazioni a valere sul fondo ordinario e sul fondo consolidato.

In particolare, dal combinato disposto dei commi sopracitati, si evince, dunque, che per i bilanci delle comunità montane lo Stato concorre al finanziamento della spesa corrente con assegnazioni a valere sul fondo ordinario e sul fondo consolidato, mentre per i trasferimenti in conto capitale assume rilievo il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, che trova specifica disciplina nell’art. 28, comma 1, lettera c), del medesimo d.lgs. n. 504 del 1992. Si tratta di un fondo diretto, sostanzialmente, al finanziamento della spesa per il pagamento delle rate di ammortamento dei mutui stipulati anteriormente all’entrata in vigore del citato decreto legislativo.

8.2.― Ulteriori disposizioni al riguardo, per quanto specificamente concerne il finanziamento di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico anche delle comunità montane, si rinvengono nel successivo art. 41 dello stesso provvedimento legislativo, il quale prevede, al comma 1, che l’assegnazione dei contributi è effettuata con proiezione triennale e, al comma 4, che, quanto alle comunità montane, il fondo è distribuito alle Regioni per il successivo riparto tra i suddetti organismi.

8.3.― Ciò chiarito in via generale, deve osservarsi che priva di rilievo è, innanzitutto, la censura di violazione del giudicato costituzionale prospettata da alcune delle ricorrenti.

Come questa Corte ha più volte affermato (ex multis, sentenza n. 262 del 2009), perché vi sia violazione del giudicato costituzionale è necessario che una norma sopravvenuta ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale.

Nel caso di specie, il legislatore ha adottato una disposizione che non ne riproduce un’altra già dichiarata non conforme a Costituzione, né fa a quest’ultima rinvio. Di qui la infondatezza della censura in esame.

8.4.― Tanto premesso, ai fini della disamina delle questioni concernenti la dedotta violazione dei parametri costituzionali di cui al combinato disposto degli artt. 3, 114, 117 e 119 Cost., occorre preliminarmente rammentare come, ai fini dell’identificazione della materia nella quale si colloca la normativa impugnata, sia necessario fare riferimento all’oggetto della disciplina medesima, tenendo conto della sua ratio, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (ex multis, sentenza n. 430 del 2007).

Facendo applicazione del suddetto criterio, è evidente che le disposizioni impugnate trovano collocazione nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica, prevista tra quelle di competenza concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost.

8.5.― Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secondo cui norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (tra le molte, sentenza n. 237 del 2009).

Peraltro, come la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di affermare proprio con riguardo alle comunità montane (citata sentenza n. 237 del 2009), non costituisce ostacolo all’esercizio della potestà legislativa statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, attraverso la fissazione dei relativi principi fondamentali, la circostanza che si incida su un ambito materiale, quale quello relativo alle comunità montane, rimesso alla potestà legislativa residuale delle Regioni.

D’altronde, in un contesto di carattere più generale, questa Corte ha posto in rilievo che limiti finanziari per le Regioni e gli enti locali, volti al perseguimento degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, sono in linea con la più recente interpretazione della nozione di «coordinamento della finanza pubblica» fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, ormai «costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario», per cui il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari» (così sentenza n. 52 del 2010, nonché sentenze n. 237 e n. 139 del 2009).

Naturalmente, però, la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il generale canone della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.

8.6.― Orbene, la normativa in esame è chiaramente finalizzata al contenimento della spesa pubblica degli enti locali e, per il suo contenuto oggettivo, al pari di disposizioni simili recate da precedenti, analoghi provvedimenti legislativi dello Stato, costituisce espressione del potere dello Stato di fissare i principi fondamentali nella materia sopra indicata. Essa, in quanto tale, è idonea ad incidere, come si è accennato, su una materia, quale quella concernente la disciplina delle comunità montane, rimessa alla potestà legislativa residuale delle Regioni e, di conseguenza, a superare il vaglio di costituzionalità con riferimento alla prospettata lesione dei citati parametri costituzionali e, in particolare, quello di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.

Né è senza significato che la stessa normativa preveda un regime transitorio proprio per consentire la graduale riallocazione a livello locale della spesa per le comunità montane in questione. Non senza aggiungere che questa Corte, in fattispecie per molti versi analoghe, ha già avuto modo di affermare, sul presupposto che la disciplina delle comunità montane rientra nella competenza residuale delle Regioni, che spetta a queste ultime, in base all’art. 119 Cost., «provvedere al loro finanziamento insieme ai Comuni di cui costituiscono la "proiezione”». Da tale affermazione, costituente ormai ius receptum, «consegue che la progressiva riduzione del finanziamento statale relativo alle suddette comunità montane non contrasta con la giurisprudenza di questa Corte in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali» (sentenza n. 27 del 2010).

È pur vero che numerose leggi statali, come osservato in particolare dalla Regione Calabria, hanno disposto nel tempo finanziamenti a favore delle comunità montane; tuttavia, le sopravvenute esigenze di contenimento della spesa pubblica nella finanza locale possono giustificare interventi legislativi di riduzione e razionalizzazione delle erogazioni dello Stato in favore delle Regioni e degli enti locali, nel medesimo settore, nel segno di una diversa allocazione delle risorse in vista di un equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (citata sentenza n. 237 del 2009), nonché del buon andamento delle pubbliche amministrazioni.

8.7.― Neppure può dirsi che si sia in presenza di una totale soppressione del finanziamento statale previsto dall’art. 34 sopra citato, in quanto il medesimo comma 187 ha previsto il trasferimento ai comuni facenti parte delle comunità montane, nelle more dell’attuazione del federalismo fiscale, del 30 per cento delle risorse finanziarie oggetto dell’intervento apparentemente di totale soppressione. Del pari, assume rilievo, nel quadro della manovra di finanza pubblica effettuata con la legge finanziaria per il 2010, la circostanza che, a norma del precedente comma 23 del medesimo art. 2 della legge n. 191 del 2009, il legislatore ha – in sostanza – rimodulato gli interventi finanziari a favore degli enti locali, per il triennio 2010-2012, con risorse «a valere sul fondo ordinario di cui all’art. 34, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504»; vale a dire anche con riferimento alle risorse statali oggetto di parziale soppressione da parte del comma 187.

8.8.― Né, infine, può essere condivisa, nella sua assolutezza, l’affermazione secondo la quale la normativa impugnata avrebbe disposto la totale cancellazione del finanziamento statale precedentemente disposto a favore delle comunità montane, nel palese intento di procedere surrettiziamente alla soppressione di detti organismi. Ciò in quanto, da un lato, in una parte consistente il predetto finanziamento non risulta eliminato, anche per effetto della presente pronuncia come risulterà nel prosieguo e, dall’altro, non è senza significato che talune disposizioni legislative, pure richiamate dalle ricorrenti, hanno confermato la permanenza delle comunità montane nell’ordinamento, dal momento che ad esse la normativa statale continua a fare riferimento. Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che le comunità montane non sono previste dall’art. 114 Cost. come enti costituzionalmente necessari (sentenza n. 229 del 2001).

In realtà, in linea generale, le misure ora in esame, contenute in una legge finanziaria, perseguono la finalità di contenimento della spesa pubblica corrente nel settore degli enti locali. Esse, pertanto, devono essere ascritte, nel catalogo fissato dall’art. 117 Cost., alla materia del coordinamento della finanza pubblica.

8.9.― Sotto altro aspetto, la Regione Campania lamenta, tra l’altro, che sarebbe stato violato il principio di leale collaborazione per il fatto che per la soppressione del finanziamento statale, con specifico riferimento agli investimenti, sarebbe stato indispensabile il coinvolgimento della Regione, quanto meno nella determinazione di modalità e tempi di attuazione della riduzione del finanziamento.

La censura non è fondata, in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il principio di leale collaborazione non trova applicazione nelle procedure di formazione delle leggi. E, d’altronde, detto principio ha trovato concreta applicazione nella specie, in seguito alle modifiche operate all’originario testo dal comma 187 dal decreto-legge n. 2 del 2010, nella successiva fase di adozione del decreto ministeriale di riparto, tra i comuni interessati, in fase transitoria, del 30 per cento delle risorse previste dall’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992.

8.10.― Alla luce delle considerazioni che precedono, in sostanza, l’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali, anche quale garanzia di risorse per il finanziamento delle funzioni pubbliche loro attribuite, non può ritenersi violata dall’intervento statale in questione, per la parte relativa, appunto, all’art. 34 del citato d.lgs. n. 504 del 1992.

In realtà, la destinazione ai comuni facenti parte delle comunità montane di parte delle risorse in questione, sia pure in via transitoria, connota l’intervento dello Stato come "riduzione progressiva”, con i temperamenti derivanti dalla presente pronuncia come qui di seguito sarà precisato, del finanziamento statale, nel quadro di una complessiva manovra di finanza pubblica.

8.11.― Le disposizioni contenute nella prima parte del comma in questione, tuttavia, solo in parte superano il vaglio di ragionevolezza, che, come si è detto, costituisce limite generale all’esercizio della potestà legislativa.

A questo riguardo, infatti, va osservato che il comma in esame, per quanto attiene al fondo nazionale ordinario per gli investimenti non contiene alcuna indicazione, che pure sarebbe stata necessaria, in ordine al pagamento delle rate di ammortamento sui mutui pluriennali ancora in essere, stipulati dalle comunità montane con il concorso dello Stato, che ha fatto sorgere in capo a queste ultime un legittimo affidamento.

La norma, quindi, nello stabilire anche la cessazione del finanziamento statale delle comunità in questione tramite il fondo nazionale ordinario per gli investimenti (cui fa espresso riferimento l’art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992), palesa una irragionevolezza che si riverbera sulla autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali come ridisegnata dall’art. 119 Cost. e come operante nelle more dell’attuazione del c. d. federalismo fiscale, lasciando privo di copertura finanziaria e, comunque, di una regolamentazione sia pure transitoria, un settore di rilievo, qual è quello degli investimenti strutturali a medio e lungo termine effettuati mediante la stipulazione di mutui originariamente "garantiti” dal finanziamento statale.

8.12.― Sotto altro aspetto, viziato da illegittimità costituzionale è anche il generico ed indeterminato riferimento, contenuto nel primo periodo del comma 187 in esame, alla cessazione dei finanziamenti statali di cui alle «altre disposizioni di legge relative alle comunità montane». La disposizione in questione, poiché non consente di verificare la fonte e la destinazione delle risorse statali soppresse, viola i principi di certezza delle entrate, di affidamento e di corrispondenza tra risorse e funzioni pubbliche all’esercizio delle quali esse sono preordinate, palesando un’intrinseca irragionevolezza della normativa impugnata, oltre ad impedire una realistica valutazione degli effetti della normativa stessa sull’autonomia finanziaria delle Regioni.

Risulta palese, pertanto, la violazione dell’art. 119 Cost., in quanto la rilevata genericità della norma è tale da impedire alle Regioni, nell’esercizio della loro autonomia finanziaria, di riorganizzare, in modo razionale, l’allocazione delle risorse disponibili e pianificare la spesa in sede locale.

8.13.― Non va, infatti, sottaciuto che i provvedimenti finanziari adottati dallo Stato allo scopo di razionalizzare e contenere la spesa nel settore pubblico allargato, pur dovendo avere un carattere di assoluta generalità e lo scopo di porre un freno al dilagare di tale spesa – anche mediante la fissazione di criteri d’ordine generale, appunto costituenti espressione di principi fondamentali della materia, che lasciano, in sede applicativa, specifici ambiti di autonomia alle Regioni e agli enti locali minori – non possono, tuttavia, prescindere dalla individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli enti locali territoriali e dunque anche delle comunità montane e dei comuni che di esse fanne parte. Diversamente, ne verrebbe compromessa la certezza sia delle fonti di finanziamento della spesa degli enti interessati, sia delle risorse economiche effettivamente disponibili per gli enti stessi, da impiegare per il raggiungimento delle rispettive finalità istituzionali.

8.14.― Alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 187, primo periodo, della legge n. 191 del 2009, nella parte in cui, nel richiamare l’articolo 34 del d.lgs. n. 504 del 1992, viene soppresso il concorso dello Stato al finanziamento delle comunità montane con il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, nonché nell’inciso «e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane».

8.15.― Deve, altresì, essere dichiarata, per consequenzialità logica, l’illegittimità costituzionale della previsione, contenuta nel successivo secondo periodo, della devoluzione, in via transitoria, ai comuni già facenti parte delle comunità montane, del trenta per cento delle risorse sia derivanti dal fondo ordinario nazionale per gli investimenti, sia spettanti agli stessi organismi in applicazione delle altre «disposizioni di legge» come sopra specificato, in quanto si tratta di disposizioni strettamente connesse al primo periodo del comma 187, di cui è dichiarata la parziale illegittimità costituzionale.

9.― Quanto alle censure relative alla dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost., la ricorrente Regione Campania non adduce una sufficiente motivazione circa il modo in cui l’asserita violazione di tali parametri costituzionali ridondi in una lesione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.

Ciò comporta che deve essere dichiarata inammissibile la questione promossa dalla Regione stessa con riferimento ai suddetti parametri costituzionali.

10.― In conseguenza di quanto innanzi, deve essere considerata assorbita la richiesta, avanzata dalla sola Regione Campania, di sospensione dell’efficacia delle disposizioni impugnate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i ricorsi,

riservata a separate pronunce la decisione sulle altre questioni con essi sollevate;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 187, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nella parte in cui:

a) nel primo periodo, nel richiamare l’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sopprime il concorso dello Stato al finanziamento delle comunità montane con il fondo nazionale ordinario per gli investimenti,

b) nel medesimo primo periodo, contiene l’inciso «e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane»,

c) nel secondo periodo, prevede la devoluzione ai comuni, già facenti parte delle comunità montane, del trenta per cento delle risorse provenienti dal fondo ordinario nazionale per gli investimenti,

d) nel secondo periodo, contiene l’inciso «e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane»;

2) dichiara inammissibili le residue questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 187, della legge n. 191 del 2009, promosse dalle Regioni Calabria, Liguria e Campania in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119, 123, 136 e 137 della Costituzione, ai principi di ragionevolezza, di leale collaborazione, di certezza delle entrate e di affidamento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 186, lettera a), della legge n. 191 del 2009 (testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2009, n. 302 – supplemento ordinario n. 243), promossa dalla Regione Toscana in riferimento agli artt. 114, 117 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009 (testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2009 – supplemento ordinario n. 243), promosse dalle Regioni Toscana e Campania in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 novembre 2010.