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SENTENZA N. 326
ANNO 2010
Commenti alla decisione di
I. Fioravante Rinaldi, L’incoerenza
del legislatore si ferma sul muro della Corte. La sent.
326/2010 in tema di comunità montane, per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
II. Giovanni Di Cosimo, Le
entrate siano certe, salvo che per la spesa corrente, per gentile
concessione del Forum dei Quaderni
Costituzionali
III. Nicola Viceconte, La Corte chiarisce sulle comunità montane.
Nota a Corte cost. 21 marzo 2011, n. 91 (e a margine
della sentenza n. 326 del 2010), per g.c. della Rivista
AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
Ugo
DE
SIERVO
Presidente
-
Paolo
MADDALENA
Giudice
-
Alfio
FINOCCHIARO
”
-
Alfonso
QUARANTA
”
-
Franco
GALLO
”
- Luigi
MAZZELLA
”
- Gaetano
SILVESTRI
”
-
Sabino
CASSESE
”
- Maria Rita
SAULLE
”
-
Giuseppe
TESAURO
”
- Paolo
Maria
NAPOLITANO
”
-
Giuseppe
FRIGO
”
-
Alessandro
CRISCUOLO
”
-
Paolo
GROSSI
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 2, commi 186, lettere a) ed e), e
187 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), promossi,
nel complesso, con ricorsi delle Regioni Calabria, Toscana, Liguria e Campania,
rispettivamente notificati il 19 e il 26 febbraio, il 1° marzo 2010, depositati
in cancelleria il 26 febbraio, il 3 ed il 5 marzo 2010, iscritti ai numeri 28,
31, 32 e 36 del registro ricorsi 2010.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre
2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Vincenzo Cocozza per
Ritenuto in
fatto
1.― Con ricorso
notificato il 19 febbraio 2010 e depositato presso la cancelleria della Corte
il successivo 26 febbraio,
La norma in questione
prevede che, «a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge,
lo Stato cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto
dall’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle
altre disposizioni di legge relative alle comunità montane. Nelle more
dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per cento delle risorse
finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto legislativo n. 504 del
1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità montane è
assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con decreto del
Ministero dell’interno. Ai fini di cui al secondo periodo sono considerati
comuni montani i comuni in cui almeno il 75 per cento del territorio si trovi
al di sopra dei
2.― La ricorrente
premette una breve ricostruzione del quadro normativo, nel quale si inserisce
la norma sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale, e ricorda che
sulle disposizioni che hanno interessato le comunità montane sono intervenute,
da ultimo, le sentenze di questa Corte n. 237 del 2009
e n. 27 del 2010.
3.― Tanto premesso,
3.1.― Quale primo profilo di illegittimità, è
dedotta la lesione della potestà legislativa residuale della Regione nella
materia delle comunità montane, ex articolo 117, quarto comma, Cost., come enunciato nelle sentenze n. 27 del 2010,
n. 237 del 2009,
n. 397 del 2006
e numeri 456
e 244 del 2005.
L’eliminazione del finanziamento statale, senza la
previsione di alcuna compensazione, infatti, determinerebbe l’indiretta soppressione
dei suddetti enti, o comunque la riduzione del numero e delle competenze degli
stessi, incidendo sulla relativa potestà legislativa.
La norma impugnata
determinerebbe, inoltre, una situazione non sostenibile per le Regioni che, per
la condizione economico-finanziaria in cui si trovano, non sono in grado di
fare fronte alla sottrazione di risorse; ciò, in particolare, si verificherebbe
per la stessa ricorrente, tenuta ad attuare il piano di rientro dal disavanzo
in materia sanitaria.
Lo Stato, quindi, avrebbe
effettuato una precisa opzione, preferendo i comuni alle comunità montane, con
ciò invadendo l’ambito competenziale attributo dalla
Costituzione alle Regioni. Né la norma censurata potrebbe essere ascritta ai
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, in
quanto la stessa non prevede un contenimento della spesa secondo i criteri
affermati dalla sentenza
n. 237 del 2009, ma cancellerebbe il finanziamento statale, scegliendo
direttamente le modalità di riduzione della spesa.
3.2.― Altra censura è
prospettata con riguardo alla violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119
Cost., sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, si osserva che il
quarto comma dell’art. 119 Cost., come modificato
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione), nello stabilire che «le risorse derivanti
dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province,
alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite», contiene una disposizione di salvaguardia che tende
ad impedire che il processo di federalizzazione dell’ordinamento determini la
compromissione del pubblico interesse, ostacolando l’assolvimento delle
funzioni di competenza degli enti territoriali per ragioni puramente
economico-finanziarie.
Pertanto, lo Stato non può ex
abrupto cancellare le risorse e prevedere un’erogazione alternativa in
favore dei comuni montani, in tal modo violando lo spazio di autonomia riservato
alle Regioni.
Né tale intervento può essere
ascritto alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera p), Cost., che attiene
agli organi di governo ed alle funzioni fondamentali degli enti locali, tenuto
conto, altresì, che l’art. 118, secondo comma, Cost.,
distingue precisamente l’ambito della legge statale e di quella regionale in
ordine alle funzioni amministrative dei comuni.
Il secondo profilo di
illegittimità prospettato attiene alla violazione del combinato disposto degli
artt. «117, terzo comma, e 119, secondo comma», Cost.
Da tale ultima disposizione
costituzionale, ad avviso della ricorrente, discende il principio della
certezza delle entrate (sono richiamate le sentenze n. 37 e n. 423 del 2004),
che «è in stretta connessione con le norme costituzionali relative al riparto
di competenze tra Stato e Regioni, e in particolare con l’art. 117, quarto
comma, Cost.».
3.3.― La disposizione
sottoposta al vaglio della Corte lederebbe, altresì, gli articoli 3 e 117,
quarto comma, Cost. per l’irragionevolezza e la
contraddittorietà dell’intervento legislativo in questione. Ricorda
La scelta di finanziare i comuni
e non le comunità montane è poi pregiudizievole per la spesa pubblica e
l’efficacia dell’azione amministrativa, e dunque irragionevole ai sensi
dell’art. 97 Cost., in quanto disperde le già ridotte
risorse.
3.4.― Altro profilo di
censura è ravvisato nella violazione del principio di leale collaborazione. La
norma impugnata, infatti, non prevede alcun coinvolgimento della Regione Né,
nel caso di specie, può trovare applicazione l’affermazione che il suddetto
principio non si applica all’attività legislativa.
3.5.― Infine, è prospettata
la violazione dell’articolo 136 Cost., in combinato
disposto con l’art. 117, quarto comma, Cost. Ritiene
la difesa regionale che la norma impugnata ponga nel nulla le statuizioni
contenute nella sentenza
n. 237 del 2009; né potrebbe ritenersi che la successiva sentenza n. 27 del
2010 abbia consentito il disimpegno finanziario dello Stato.
4.― In data 29 marzo 2010
si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il
tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto il rigetto della
questione.
Deduce la difesa dello Stato che
la norma impugnata, rientrando nell’ambito d’intervento della legge finanziaria
per l’anno 2010, è finalizzata al contenimento della spesa pubblica. Pertanto,
essa è ascrivibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre, poiché non sussiste
alcun obbligo costituzionale dello Stato di finanziare le comunità montane, non
vi sarebbe la violazione dell’art. 119 Cost.
Infine, si rileva come nel
testo del decreto-legge n. 2 del 2010, quale risultante in sede di conversione
dalla legge n. 42 del 2010, il secondo periodo della disposizione impugnata sia
stato modificato, prevedendosi che la quota di spettanza di ciascuna comunità
debba intendersi trasferita «ai comuni appartenenti alle comunità montane».
5.― Con ricorso
notificato il 26 febbraio 2010 e depositato il successivo 3 marzo,
Le disposizioni impugnate prevedono,
nell’ambito della riduzione del contributo ordinario spettante agli enti
locali, stabilita dal comma 183 del citato art. 2, la soppressione da parte dei
comuni del difensore civico e dei consorzi di funzioni.
In particolare, le lettere
a) ed e), dell’art. 2, comma 186, così dispongono, in relazione
alle misure che i comuni devono adottare in ragione della riduzione del
contributo ordinario di cui al comma 183:
«a) soppressione della
figura del difensore civico di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267»;
«e) soppressione dei
consorzi di funzioni tra gli enti locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a
tempo indeterminato esistenti, con assunzione» da parte dei comuni «delle
funzioni già esercitate dai consorzi soppressi e delle relative risorse e con
successione ai medesimi consorzi in tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro
effetto».
Le norme in questione
lederebbero le prerogative regionali e degli enti locali in materia di
organizzazione e funzionamento di questi ultimi.
5.1.―
5.2.― Con riguardo
all’art. 2, comma 186, lettera a), la difesa regionale assume la lesione
degli artt. 114 e 117, commi secondo, quarto e sesto, Cost.,
in quanto le disposizioni in esame non disciplinerebbero né le funzioni
fondamentali, né gli organi di governo dei comuni, sicché esse non potrebbero
essere ascritte alla potestà legislativa statale di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera p), Cost.
Il
difensore civico non rientrerebbe tra gli organi dell’ente ed allo stesso
In ogni
caso, la norma in esame lederebbe anche la potestà legislativa regionale di
tipo residuale in materia di organizzazione dell’esercizio delle funzioni
pubbliche locali.
Lo
statuto della Regione Toscana, all’art.
È poi
intervenuta la legge della Regione Toscana 27 aprile 2009, n. 19 (Disciplina
del difensore civico regionale), che all’art.
Tale
disciplina, legittimamente emanata nell’esercizio delle attribuzioni regionali,
verrebbe vanificata dalla norma oggetto di impugnativa.
5.3.―
In ordine all’art. 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del
2009,
Innanzitutto,
sarebbe lesa l’autonomia statutaria e regolamentare dei comuni, ai sensi degli
artt. 117, sesto comma, e 114 Cost.
Inoltre,
la disposizione lederebbe direttamente la potestà legislativa residuale delle
Regioni.
In particolare, la
ricorrente ricorda che questa Corte con la sentenza n. 237 del
2009, con riferimento alle comunità montane – identificate quali unioni di
comuni montani – ha affermato che le comunità montane «contribuiscono a
comporre il sistema delle autonomie sub-regionali, pur senza assurgere a enti
costituzionalmente o statutariamente necessari» e che esse «non sono enti
necessari sulla base di norme costituzionali, sicché rientra nella potestà
legislativa delle Regioni disporne anche, eventualmente, la soppressione».
Tali
principi, ad avviso della Regione, possono essere invocati anche con
riferimento al comma 186, lettera e), in ordine alla prevista
soppressione di consorzi tra enti locali, ove la norma sia interpretata nel
senso della sua applicabilità anche ai consorzi obbligatori costituiti in base
alle previsioni della legge regionale.
È quindi
evidente che prevedere un obbligo puntuale per i comuni in ordine alla
soppressione dei consorzi di funzioni si traduce in un inammissibile intervento
dello Stato nell’ambito della disciplina dell’organizzazione locale, ben oltre
i limiti previsti dalla Costituzione.
La scelta
di esercizio delle funzioni degli enti locali attraverso la forma del consorzio
non rientra né nella disciplina dell’organizzazione degli enti di cui all’art.
117, secondo comma, lettera g), Cost., in
quanto detta disposizione si riferisce esclusivamente alla organizzazione degli
enti nazionali, né nella disciplina, pure riservata in via esclusiva allo
Stato, relativa agli «organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p),
Cost.
Inoltre,
il comma in esame contiene una puntuale disciplina degli effetti della disposta
soppressione dei consorzi, illegittima, perché non lascia alcuno spazio al
legislatore regionale.
Neppure
possono invocarsi, a sostegno della legittimità dell’intervento legislativo
statale in esame, la competenza concorrente in materia di coordinamento della
finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma e dell’art. 119 Cost., in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa
corrente.
Al contrario, la
disposizione in esame, imponendo un obbligo preciso e puntuale di soppressione
dei consorzi, interviene con una disciplina di dettaglio, vincolante e per ciò
stesso lesiva delle prerogative regionali, costituzionalmente garantite, in
ordine alla potestà di disciplinare l’esercizio in forma associata delle
funzioni degli enti locali.
La norma, infatti, ha solo
l’effetto di posticipare gli effetti della disposizione in esame, che tuttavia
risulta confermata dal punto di vista contenutistico.
5.4.― In data 6 aprile 2010
si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il
tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della
questione.
La difesa dello Stato, in primo
luogo, rileva che le norme impugnate sono state modificate dal decreto-legge n.
2 del 2010, come convertito nella legge n. 42 del
Nel merito, l’Avvocatura dello
Stato osserva che le disposizioni censurate si inseriscono in un contesto
normativo avente finalità di coordinamento finanziario per il contenimento
della spesa pubblica degli enti locali.
La prevista soppressione
della figura del difensore civico e dei consorzi di funzioni è volta
sostanzialmente a garantire, attraverso una riorganizzazione delle strutture
attualmente esistenti sul territorio nazionale, il contenimento della spesa
degli enti locali, nell’ambito delle misure di razionalizzazione della spesa
pubblica nel concorso di tutti gli enti territoriali, nel rispetto dei principi
di coordinamento della finanza pubblica e dei vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
Poiché tali finalità sono da
considerarsi prevalenti rispetto alla potestà legislativa delle Regioni, la
disposizione impugnata non può considerarsi lesiva delle prerogative regionali.
6.― Con ricorso notificato
il 1° marzo 2010 e depositato il successivo 3 marzo,
6.1.― In primo luogo, la
norma impugnata violerebbe la potestà legislativa residuale delle Regioni in
ordine alle comunità montane. Pertanto, pur ritenendo che la disposizione
censurata sia ispirata da ragioni di contenimento della spesa pubblica, la
stessa sarebbe illegittima in quanto invaderebbe un ambito rimesso alle Regioni
(è richiamata la sentenza
n. 237 del 2009).
Il legislatore statale avrebbe
utilizzato in maniera non proporzionata il titolo legittimante la competenza
statale relativo all’armonizzazione dei bilanci pubblici e al coordinamento
della finanza pubblica, in tal modo violando tanto l’art. 117, terzo comma,
quanto l’art. 3 Cost.
6.2.― La norma in questione lederebbe, altresì,
l’art. 119 Cost., nonché l’art. 3 Cost.,
sotto il profilo della certezza del diritto.
La soppressione dei trasferimenti statali in esame rompe
il meccanismo imposto dall’art. 119 Cost., laddove
presuppone l’equilibrio tra funzioni ed entrate, ed obbliga lo Stato a dotare
le Regioni dei mezzi per far fronte ai propri compiti, sia mediante
trasferimenti di tributi erariali, sia mediante entrate proprie.
Pertanto, sarebbe
costituzionalmente illegittima una riduzione dei trasferimenti statali in
termini tali da compromettere l’esercizio delle funzioni e senza prevedere
strumenti con i quali le Regioni possano supplire alle riduzioni stesse, anche
in considerazione dei mutui accesi dalle comunità montane in ragione della
copertura finanziaria dell’articolo 28 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma
dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421).
6.3.― Sarebbe,
altresì, leso il principio di leale collaborazione, in quanto non è previsto lo
strumento dell’intesa in Conferenza Stato-Regioni o Conferenza unificata.
6.4.― Infine, specifiche censure sono mosse in
ordine al secondo periodo del comma 187, che renderebbe palese il disegno
statale di sopprimere le comunità montane, considerando quali interlocutori per
le politiche della montagna i soli comuni montani. Lo stesso, infatti, nella
parte in cui priva di mezzi finanziari le comunità montane, decretandone
l’estinzione, viola gli’artt. 117 e 119 Cost., mentre, per la parte in cui omette qualsiasi
coinvolgimento della Regione nella individuazione dei criteri per la riduzione,
al 30 per cento, dei fondi di cui al citato art. 34 del d.lgs. 504 del 1992, si
espone alla censura di violazione del principio di leale collaborazione.
Infine, per la parte in cui la norma offre una
definizione unilaterale della "mondanità”, includendovi i soli comuni il cui
territorio è situato per almeno il 75 per cento al di sopra dei
7.― Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite
dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione
sulla base di argomentazioni analoghe a quelle dedotte con riguardo al ricorso
proposto dalla Regione Calabria.
8.― Con ricorso
notificato il 1° marzo 2010 e depositato il successivo 5 marzo,
Anche
Specifico ruolo è stato
riconosciuto, altresì, alle comunità montane dallo statuto della Regione
Campania e, in particolare, dall’art. 22 che disciplina il consiglio delle
autonomie locali.
8.1.― In ordine all’impugnato comma 187,
La norma impugnata non presenterebbe in alcun modo i
tratti caratterizzanti i principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica.
Sarebbe evidente, quindi,
l’invasione della competenza regionale. Così operando, infatti, la legge
statale vanificherebbe la scelta politica che una legge regionale ha compiuto,
per di più, tenendo conto delle indicazioni dello Stato.
Ancora, si osserva che la
norma impugnata non utilizzerebbe le risorse tolte alla Regione per il
contenimento della spesa, ma opererebbe uno spostamento delle stesse da un
fondo ad un altro.
8.2.― Inoltre, una parte di tale fondo (il 30 per
cento delle risorse finanziarie eliminate per le comunità montane) sarebbe
devoluto direttamente a favore dei comuni montani.
Sotto questo profilo si manifesterebbe un ulteriore
aspetto di illegittimità per la violazione delle norme costituzionali che
garantiscono l’autonomia regionale, soprattutto in materia di organizzazione
degli enti locali e di autonomia degli stessi enti.
La norma precisa che i destinatari di tali risorse
residue possono essere solo i comuni montani con il 75 per cento del territorio
al di sopra dei
La illegittimità di tale previsione si evincerebbe anche
dalla sentenza
n. 27 del 2010 di questa Corte, che ha stabilito che un criterio altimetrico
rigido è illegittimo, dal momento che, nella materia in esame, è possibile
individuare indicatori in maniera generica e non vincolante.
8.3.― Sotto questo punto di vista, si deduce anche
la violazione del giudicato costituzionale, giacché si tratterebbe di una
fattispecie assolutamente identica a quella decisa dalla Corte, con la sentenza
da ultimo citata, riferibile alla stessa materia, all’identico criterio
utilizzato dal legislatore statale e allo stesso ambito di intervento dello
Stato.
8.4.― In definitiva, dunque, non vi sarebbe alcuna
norma costituzionale che attribuisca allo Stato una competenza generale in
materia di enti locali, in quanto l’unica norma esistente nella Costituzione
(art. 117, secondo comma, lettera p), limita la potestà legislativa
statale in relazione al tipo di ente locale, nonché a determinati aspetti del
loro ordinamento (legislazione elettorale, organi di governo e funzioni
fondamentali).
8.5.― In ordine all’impugnazione dell’art. 2, comma
186, lettera e),
Né alcun rilievo può avere il richiamo alla competenza
statale nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica.
Gli interventi legislativi nazionali possono, infatti,
superare il vaglio di costituzionalità soltanto se la normativa statale si
propone esclusivamente un obiettivo di riequilibrio della finanza
pubblica, inteso nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se
non generale, della spesa corrente, senza prevedere in modo esaustivo strumenti
o modalità per il perseguimento di detto obiettivo.
Infine, la norma impugnata appare irragionevole nella sua
applicazione indifferenziata, rispetto alle esigenze necessariamente variegate
del territorio, nonché illegittima per violazione del principio di leale
cooperazione, laddove nella scelta relativa non prevede alcuna partecipazione
delle Regioni e degli enti locali.
8.6.―
9.― Si è costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite
dell’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione con
argomentazioni analoghe a quelle formulate con riguardo agli altri ricorsi
sopra richiamati.
10.― In data 23
settembre 2010,
La ricorrente deduce che,
medio tempore, il citato comma 187 è stato modificato dall’art.1, comma 1-quater,
lettera a), del decreto-legge n. 2 del 2010, convertito dalla legge 26
marzo 2010, n.
Alla luce del ius superveniens,
la difesa regionale dichiara di ritenere cessata la materia del contendere in
ordine alla disposizione soppressa, mentre, a proprio avviso, permane
l’illegittimità delle altre norme impugnate.
Per contrastare le
deduzioni dello Stato, la ricorrente rileva che persiste la violazione della potestà
legislativa e dell’autonomia finanziaria regionale, ad opera del comma
In ordine al comma 186,
lettera e),
11.― Anche
La ricorrente osserva come
la difesa statale si fondi su due sole argomentazioni: da un lato, l’ascrivibilità della disciplina in questione alla materia
del coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, l’assenza di un obbligo
costituzionale dello Stato di finanziare le comunità montane.
Ad avviso della Regione,
la prima argomentazione non sarebbe sufficiente a sostanziare la legittimità
della norma che sopprime il finanziamento statale delle comunità montane, in
quanto il contenimento della spesa pubblica non può ridondare in compromissione
di «interessi costituzionalmente pregevoli», e, in ogni caso, può porre solo
obiettivi di riequilibrio, ma non può imporre gli strumenti per perseguire tale
finalità (in proposito sono richiamate diverse pronunce di questa Corte:
sentenze n. 156
e n. 149 del
2010, n. 94
del 2009).
La riduzione delle risorse
sarebbe, altresì, illegittima, in quanto darebbe luogo tout court alla
eliminazione delle comunità montane, che è prerogativa esclusiva delle Regioni,
come sembrerebbe evincersi, aliunde, dall’art.
14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica),
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale «le funzioni
fondamentali dei comuni, previste dall’articolo 21, comma 3, della citata legge n. 42 del
2009, sono obbligatoriamente esercitate in forma associata,
attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni con popolazione fino a
5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune ed il
comune di Campione d’Italia. Tali funzioni sono obbligatoriamente esercitate in
forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei comuni,
appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione stabilita
dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti».
D’altro canto, che la
spesa pubblica per le comunità montane possa essere soltanto limitata e non
soppressa, e che quindi la norma sia viziata da illogicità rispetto allo scopo
dichiarato, sarebbe dimostrato dal fatto che parte del finanziamento è
destinato ai comuni montani.
La ricorrente, quindi,
rinnova la censura di irragionevolezza e contraddittorietà, proposta in ordine
alla norma impugnata alla luce delle disposizioni contenute nell’art. 2041,
comma 3, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento
militare) e dell’art. 5, comma 7, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito
dalla legge n. 122 del 2010. Ed infatti, la prima delle citate norme dispone la
concedibilità di licenza illimitata per i militari di
leva che rivestano la carica di presidente delle comunità montane; la seconda
prevede che agli amministratori di comunità montane non possono essere
attribuiti retribuzioni, gettoni, indennità, emolumenti, in qualsiasi forma
percepiti.
Infine, poiché la norma
censurata avrebbe un contenuto sostanzialmente provvedimentale,
assumerebbe rilievo anche il principio di leale collaborazione che, nella
specie, risulterebbe violato.
12.― In data 28
settembre 2010
Di conseguenza, sarebbero
lesi i principi della sicurezza dei rapporti giuridici e della tutela
dell’affidamento con manifesta irragionevolezza della norma.
Considerato in diritto
1.― Con autonomi
ricorsi le Regioni Calabria, Toscana, Liguria e Campania hanno sottoposto al
vaglio di costituzionalità, nel testo originario, tra le altre, alcune
disposizioni contenute nell’articolo 2, commi 186, lettere a) ed e),
e 187 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), le quali
– in ragione della intervenuta riduzione del contributo ordinario base
spettante agli enti locali a valere sul fondo statale ordinario per il
finanziamento dei bilanci delle amministrazioni provinciali e dei comuni, ad
opera dell’art. 2, comma 183, della stessa legge – hanno stabilito una serie di
misure di contenimento della spesa pubblica.
1.1.― Le
impugnazioni di cui innanzi vengono trattate separatamente rispetto alle altre
questioni proposte con i medesimi atti introduttivi e, per omogeneità di
materia, considerata la parziale identità delle norme censurate e delle
questioni prospettate, devono essere decise, previa riunione in parte qua
dei relativi ricorsi, con la medesima sentenza.
1.2.― Quanto alle questioni concernenti il presente
giudizio, va osservato che
«a) soppressione della
figura del difensore civico di cui all’articolo 11 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267»;
omissis
«e) soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti
locali, facendo salvi i rapporti di lavoro a tempo indeterminato esistenti, con
assunzione», da parte dei comuni, «delle funzioni già esercitate dai consorzi
soppressi e delle relative risorse e con successione ai medesimi consorzi in
tutti i rapporti giuridici e ad ogni altro effetto».
Infine,
1.3.― I profili di
illegittimità costituzionale sono prospettati dalle suddette Regioni in
riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, 117, secondo, terzo, quarto
e sesto comma, 118, 119, 123, 136 e 137 della Costituzione, nonché ai principi
di leale collaborazione, di ragionevolezza, di certezza delle entrate e di
affidamento.
2.― Le Regioni
Calabria, Liguria e Campania, con argomentazioni in gran parte coincidenti,
deducendo la lesione, nell’insieme, degli artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119, 123,
136 e 137 Cost., dei principi di ragionevolezza, di
leale collaborazione, di certezza delle entrate e di affidamento, hanno
articolato, in ordine all’art. 2, comma 187, della legge n. 191 del 2009, le
seguenti censure.
Punto di partenza comune
all’iter argomentativo sviluppato dalle ricorrenti a fondamento delle
proprie doglianze è la sussistenza della potestà legislativa residuale della
Regione nella materia delle comunità montane, ai sensi dell’art. 117, quarto
comma, Cost., come precisato dalla sentenza n. 237 del
2009 di questa Corte.
L’intervento legislativo
in questione, quindi, da un lato, sopprimendo la provvista finanziaria statale
per le comunità montane, dall’altro, destinando le relative risorse ai comuni
montani, ridefinendo le caratteristiche degli stessi e demandando la
ripartizione delle risorse ad un decreto ministeriale, lederebbe la suddetta
potestà normativa, nonché l’art. 3 Cost. ed il
principio di leale collaborazione, con ricadute, ad avviso della Regione
Campania, anche sulla autonomia amministrativa di cui all’art. 118 Cost.
La disposizione impugnata
non sarebbe, inoltre, riferibile alla materia del coordinamento della finanza
pubblica o, comunque, come precisato dalla Regione Liguria, esorbiterebbe dai
canoni in cui la competenza in tale materia legittimamente spetta allo Stato,
in ragione dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale.
Un ulteriore profilo di illegittimità
della norma è ravvisato dalle ricorrenti nella lesione dell’art. 119 Cost., sotto un duplice profilo. La impugnata normativa
statale, per un verso, sarebbe in contrasto con la necessaria proporzionalità
tra funzioni degli enti locali e risorse agli stessi destinate, con la
conseguente lesione dei principi della certezza delle entrate e
dell’affidamento giuridico; per altro verso, non sarebbero indicate le fonti di
finanziamento che dovrebbero consentire la sostituzione delle risorse soppresse.
Ad avviso delle Regioni
Calabria, Liguria e Campania sarebbe evidente la violazione del principio di
leale collaborazione, non essendo previsto, tra l’altro, alcun raccordo con il
Consiglio delle autonomie locali – soprattutto quando le Regioni abbiano già
legiferato in materia, secondo i principi fondamentali dettati dal legislatore
con la legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008) e
successive modifiche – per ridelineare, in una prospettiva di contenimento
della spesa pubblica, l’assetto dei suddetti enti.
Proprio in riferimento
alla legislazione statale precedente, la normativa impugnata, secondo le
Regioni Calabria e Campania, sarebbe irragionevole e contraddittoria, oltre che
lesiva del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
Le Regioni Calabria e
Campania, infine, deducono la violazione del giudicato costituzionale, in
quanto la normativa impugnata vanificherebbe quanto statuito dalle sentenze di questa
Corte n. 237 del 2009 e n. 27 del 2010
sui limiti del potere statale di intervento sulla riduzione della spesa delle
comunità montane, oltre che sulla fissazione dei requisiti necessari per la
costituzione delle comunità stesse.
3.― Come si è prima
precisato, la sola Regione Toscana ha impugnato l’art. 2, comma 186, lettera a),
della legge n. 191 del 2009, il quale prevede per i comuni la soppressione del
difensore civico, deducendo la violazione degli artt. 114, 117, secondo, terzo,
quarto e sesto comma, 119 Cost., in base alle
argomentazioni che seguono.
Poiché il difensore civico
non rientra tra gli organi del comune, la disciplina di tale figura e la
previsione della sua eventuale soppressione esulerebbero dalla potestà
legislativa esclusiva dello Stato nella materia concernente la legislazione
elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni,
province e città metropolitane, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p),
essendo rimesse alla potestà statutaria e regolamentare degli enti locali, in
forza di quanto disposto dal citato secondo comma, lettera p), dell’art.
117 Cost., e del sesto comma del medesimo articolo.
La norma impugnata,
quindi, violerebbe l’autonomia di detti enti sancita dall’art. 114 Cost., nonché la potestà legislativa residuale della
Regione in materia di organizzazione dell’esercizio delle sue funzioni.
La ricorrente ricorda di
avere già legiferato in materia, promuovendo, in sede statutaria, l’istituzione
della rete di difesa civica locale e adottando, successivamente, la legge
regionale n. 27 aprile 2009, n. 19 (Disciplina
del difensore civico regionale).
4.― Sia
La norma impugnata, ad
avviso della Regione Toscana, non sarebbe ascrivibile alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettere g), e p),
Cost. e determinerebbe la lesione dell’autonomia
statutaria e regolamentare dei comuni ex artt. 114 e 117, sesto comma, Cost., nonché della potestà residuale della Regione, nella
quale rientrerebbe la disciplina delle forme associative degli enti locali. Né,
per l’estremo dettaglio delle disposizioni in essa contenute, quest’ultima
potrebbe essere qualificata alla stregua di un principio fondamentale nella
materia del coordinamento della finanza pubblica.
Anche
5.― In via
preliminare, devono essere affrontate alcune questioni pregiudiziali attinenti
alla individuazione dell’ambito entro il quale procedere all’esame di merito
delle censure sollevate dalle ricorrenti.
Vengono in rilievo, a
questo riguardo, le modifiche legislative che, successivamente alla
proposizione dei ricorsi, hanno interessato le norme impugnate, nonché quelle,
come si vedrà, a queste ultime connesse.
5.1.― Il
decreto-legge n. 2 del
In sede di conversione in
legge del citato decreto-legge, ad opera della legge 26 marzo 2010, n. 42 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, recante interventi urgenti concernenti
enti locali e regioni), la suddetta disposizione è
stata modificata e sono stati, altresì, innovati il comma 186, lettere a)
ed e), e il comma 187 dell’art. 2 della suddetta legge finanziaria per
il 2010.
Nel nuovo testo dell’art.
1, comma 2, del decreto-legge n. 2 del 2010 permane la decorrenza
dell’applicazione dell’art. 2, comma 186, lettera e), dal 2011, mentre
quella dell’art. 2, comma 186, lettera a), è stata fissata, in ogni
comune interessato, dalla data di scadenza dei singoli incarichi dei difensori
civici e dei direttori generali in servizio al momento di entrata in vigore
della legge di conversione del suddetto decreto-legge.
5.2.― In
particolare, il comma 186, lettera a), è stato modificato nel senso che
la previsione della soppressione del difensore civico, di cui al testo unico
degli enti locali, riguarda il solo difensore civico comunale, le cui funzioni
sono state attribuite ora a quello della provincia nel cui territorio rientra
il relativo comune, mediante anche ridefinizione della sua denominazione in
«difensore civico territoriale».
5.3.― Il comma 186,
lettera e), del medesimo articolo, a sua volta, è stato modificato nel
senso di escludere dalla soppressione ivi prevista i bacini imbriferi montani
(BIM), costituiti ai sensi dell’art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959
(Norme modificatrici del T.U. delle leggi sulle acque e sugli impianti
elettrici). Rimane fermo il trasferimento ai comuni delle funzioni già
esercitate dai consorzi soppressi.
È poi intervenuto
l’articolo 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure
urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, che ha dettato, come
si dirà in seguito, nuove disposizioni sull’esercizio in forma associata delle
funzioni dei comuni.
5.4.― Anche il
successivo comma 187 è stato modificato.
Come sarà precisato in
prosieguo, da un lato, si è previsto che, nelle more dell’attuazione della
legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), parte delle
risorse, già prima attribuite alle comunità montane, sono devolute non più ai
comuni montani, ma ai comuni già appartenenti alle comunità montane, previa
intesa da raggiungere in sede di Conferenza unificata; dall’altro, si è soppresso
l’inciso relativo alla definizione dei requisiti per la qualificazione come
montani dei comuni.
5.5.― Tutte le
suddette disposizioni sopravvenute, come si è rilevato, non hanno costituito
oggetto di impugnazione da parte delle ricorrenti.
6.― Orbene, la novellazione sopra richiamata integra una ipotesi di ius superveniens
che incide sulle disposizioni statali oggetto di impugnazione con i ricorsi in
via principale proposti dalle Regioni. E secondo la giurisprudenza di questa
Corte, qualora dalla disposizione legislativa sopravvenuta sia desumibile una
norma sostanzialmente coincidente con quella impugnata, la questione – in forza
del principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei
giudizi in via d’azione – deve intendersi trasferita sulla nuova norma (tra le
molte, sentenza
n. 40 del 2010).
Diversamente, quando la
norma modificata non abbia avuto attuazione medio tempore, si può avere
un effetto satisfattorio delle pretese della parte ricorrente, che dà luogo ad
una pronuncia di cessazione della materia del contendere. Del pari, nelle
medesime condizioni di inattuazione, la sopravvenuta
modifica legislativa può incidere a tal punto sulla originaria norma da
determinare, in mancanza di una nuova impugnazione, il sopravvenuto difetto di
interesse a proseguire nel giudizio. Ed è chiaro come in detta ipotesi sia
onere della parte ricorrente, ove voglia contestare la legittimità
costituzionale della norma sopravvenuta, anche eventualmente in connessione con
quella originaria, di proporre una nuova impugnazione.
6.1.― Ciò premesso,
va osservato che, con riguardo all’art. 2, comma 186, lettera a), la novellazione intervenuta successivamente alla legge n. 191
del 2009 comporta un sostanziale mutamento della disposizione sottoposta al
vaglio di questa Corte, tale da determinare, attesa la mancanza di una
specifica impugnazione della nuova norma, il sopravvenuto difetto di interesse
della Regione Toscana e, dunque, l’inammissibilità della questione.
Ed infatti, rimane ferma
la soppressione del difensore civico comunale come soggetto incardinato nella
struttura organizzativa del comune, ma, in ragione del ius
superveniens, le sue funzioni possono essere
attribuite, mediante apposita convenzione tra più comuni, al difensore civico
della provincia, nel cui territorio rientrano i relativi comuni, che assume la
denominazione di «difensore civico territoriale». Non può, quindi, affermarsi,
dopo le modifiche introdotte dalle disposizioni sopravvenute, che sono state
soppresse le funzioni precedentemente attribuite al difensore civico comunale.
È vero, invece, che per effetto di queste ultime norme, si è inciso soltanto
sulla titolarità delle funzioni di difesa civica comunale, prevedendosi che
queste siano esercitate ad un livello territoriale più ampio, vale a dire
quello provinciale; di qui anche la modifica della formale denominazione del
soggetto che è incaricato di svolgerle, come si è accennato, in «difensore
civico territoriale».
6.2.― A conclusioni
analoghe deve pervenirsi per quanto riguarda l’art. 2, comma 186, lettera e),
della legge n. 191 del 2009.
Ed infatti, anche in
ordine a tale disposizione deve essere dichiarata l’inammissibilità della
relativa questione di costituzionalità, promossa dalle Regioni Toscana e
Campania, per sopravvenuto difetto di interesse all’impugnazione.
È pur vero che la
sopravvenienza normativa costituita dalla novellazione
introdotta dal decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo risultante dalla legge di
conversione n. 42 del 2010, si è limitata ad escludere dalla soppressione dei
consorzi di funzioni tra gli enti locali i bacini imbriferi montani, ma nella
ricognizione del ius novorum,
che ha interessato la disposizione impugnata, non può omettersi di considerare
l’art. 14, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito nella legge
n. 122 del 2010.
La sopra citata
disposizione stabilisce che «le funzioni fondamentali dei comuni, previste
dall’articolo 21, comma 3», della legge n. 42 del 2009, «sono obbligatoriamente
esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei
comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, esclusi le isole monocomune ed il comune di Campione d’Italia». Il citato
articolo prosegue disponendo che «tali funzioni sono obbligatoriamente
esercitate in forma associata, attraverso convenzione o unione, da parte dei
comuni, appartenenti o già appartenuti a comunità montane, con popolazione
stabilita dalla legge regionale e comunque inferiore a 3.000 abitanti».
È evidente, quindi, che la
sopravvenuta previsione dell’esercizio obbligatorio da parte dei comuni, in
forma associata, di importanti funzioni e l’espresso riferimento alle comunità
montane contenuto nel citato art. 14, comma 28, privano di effettività ed attualità
la doglianza delle Regioni ricorrenti, con la conseguenza che deve essere
dichiarata inammissibile la relativa questione di costituzionalità sollevata
con i ricorsi introduttivi del presente giudizio.
6.3.― A conclusioni
parzialmente diverse da quelle relative al comma 186, lettere a) ed e),
deve pervenirsi in ordine al successivo comma 187.
Le nuove disposizioni
introdotte nella legge n. 191 del 2009 dal legislatore (che – come si è già
detto – non hanno formato oggetto di impugnazione da parte delle ricorrenti)
hanno inciso in modo rilevante sul tessuto normativo specifico, oggetto dei
ricorsi ora in esame.
Al riguardo, va rilevato
che nel comma 187, prima delle modificazioni ad esso apportate dal
decreto-legge n. 2 del 2010, come convertito dalla legge n. 42 del 2010, erano
contenute tre distinte disposizioni, tutte oggetto di censure da parte delle
ricorrenti:
a) la prima stabiliva che −
a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa legge − lo Stato
«cessa di concorrere al finanziamento delle comunità montane previsto dall’art.
34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dalle altre disposizioni
di legge relative alle comunità montane»;
b) la seconda stabiliva
che, «nelle more dell’attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, il 30 per
cento delle risorse finanziarie di cui al citato articolo 34 del decreto
legislativo n. 504 del 1992 e alle citate disposizioni di legge relative alle
comunità montane è assegnato ai comuni montani e ripartito tra gli stessi con
decreto del Ministero dell’interno»;
c) la terza stabiliva che
ai suddetti fini «sono considerati comuni montani i comuni in cui almeno il 75
per cento del territorio si trovi al di sopra dei
Il successivo
decreto-legge n. 2 del 2010, nel testo risultante dalla relativa legge di
conversione, con il comma 1-sexies del medesimo art.
a) è rimasta inalterata la
prima disposizione sopra riportata, relativa alla cessazione del finanziamento
statale in favore delle comunità montane di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 504
del 1992 e alle altre disposizioni di legge relative alle medesime comunità;
b) le parole «ai comuni
montani» sono state sostituite da quelle: «ai comuni appartenenti alle comunità
montane»;
c) sono state aggiunte al
comma 187, secondo periodo, le parole «previa intesa sancita in sede di
Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281»;
d) è stata soppressa,
infine, la disposizione relativa alla fissazione del requisito, per la
qualificazione di comune montano, concernente il limite di
Orbene, tenuto conto
dell’entità delle modificazioni apportate al comma
Nessuna modificazione è,
invece, intervenuta quanto alla disposizione, contenuta nella prima parte del
comma 187, relativa alla cessazione del finanziamento statale stabilito in
favore delle comunità montane dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 504 (Riordino della finanza
degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992,
n. 421) e dalle altre disposizioni di legge recanti
finanziamenti dello Stato a favore delle comunità medesime; nonché a quella
relativa allo strumento, il decreto ministeriale appunto, previsto per la
ripartizione, in via transitoria, delle risorse pari al 30 per cento del
finanziamento statale al quale si riferisce la norma di soppressione.
Per questa parte, dunque,
non può ritenersi che si sia determinata né la cessazione della materia del
contendere, né la inammissibilità dei ricorsi per sopravvenuto difetto di
interesse, tenuto conto della autonomia delle disposizioni stesse rispetto alle
altre sulle quali il legislatore dello Stato è intervenuto con la normativa di
modificazione della legge n. 191 del 2009.
In tale situazione, tenuto
conto della sostanziale identità di contenuto tra la originaria disposizione
della prima parte del comma 187 e quella introdotta dalla novella disposta dal
decreto-legge n. 2 del
7.― Nel merito, la
questione è parzialmente fondata.
8.― Come si è
innanzi precisato, la parte del citato comma ritualmente oggetto di censura ad
opera delle ricorrenti è quella concernente la soppressione del finanziamento
statale previsto dall’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992, nonché da ogni altra
disposizione dello Stato che abbia stabilito finanziamenti in favore delle
comunità montane.
Tale previsione è connessa
a quanto sancito da una norma contenuta nel comma 183, secondo la quale «il
contributo ordinario base spettante agli enti locali a valere sul fondo
ordinario» di cui al citato art. 34, comma 1, lettera a), «è ridotto per
ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, rispettivamente di 1 milione di euro, di
5 milioni di euro e di 7 milioni di euro per le province e di 12 milioni di
euro, di 86 milioni di euro e di 118 milioni di euro per i comuni».
È chiaro, pertanto, che le
disposizioni qui censurate si inquadrano in una complessa manovra di
contenimento della spesa nel settore pubblico allargato, con particolare
riferimento alla spesa per gli enti locali.
8.1.― A questo
riguardo, deve essere, innanzitutto, richiamato il contenuto specifico del
citato art. 34, il quale concorre a disciplinare, in generale, i trasferimenti
erariali in favore degli enti in questione, nonché delle comunità montane.
Il comma 1 del suddetto
articolo individua nel fondo ordinario, nel fondo consolidato e nel fondo
perequativo degli squilibri di fiscalità locale le principali fonti del
finanziamento statale dei bilanci delle province e dei comuni.
Il comma 2 prevede, poi,
che lo Stato concorre al finanziamento delle opere pubbliche degli enti locali
con il fondo nazionale speciale per gli investimenti.
Il comma
Il comma 4 prevede,
infine, che per le comunità montane lo Stato concorra al finanziamento dei
bilanci, ai sensi del comma 1, con assegnazioni a valere sul fondo ordinario e
sul fondo consolidato.
In particolare, dal
combinato disposto dei commi sopracitati, si evince, dunque, che per i bilanci
delle comunità montane lo Stato concorre al finanziamento della spesa corrente
con assegnazioni a valere sul fondo ordinario e sul fondo consolidato, mentre
per i trasferimenti in conto capitale assume rilievo il fondo nazionale
ordinario per gli investimenti, che trova specifica disciplina nell’art. 28,
comma 1, lettera c), del medesimo d.lgs. n. 504 del 1992. Si tratta di
un fondo diretto, sostanzialmente, al finanziamento della spesa per il
pagamento delle rate di ammortamento dei mutui stipulati anteriormente
all’entrata in vigore del citato decreto legislativo.
8.2.― Ulteriori
disposizioni al riguardo, per quanto specificamente concerne il finanziamento
di opere pubbliche di preminente interesse sociale ed economico anche delle
comunità montane, si rinvengono nel successivo art. 41 dello stesso
provvedimento legislativo, il quale prevede, al comma 1, che l’assegnazione dei
contributi è effettuata con proiezione triennale e, al comma 4, che, quanto
alle comunità montane, il fondo è distribuito alle Regioni per il successivo
riparto tra i suddetti organismi.
8.3.― Ciò chiarito
in via generale, deve osservarsi che priva di rilievo è, innanzitutto, la
censura di violazione del giudicato costituzionale prospettata da alcune delle
ricorrenti.
Come questa Corte ha più
volte affermato (ex multis, sentenza n. 262 del
2009), perché vi sia violazione del giudicato costituzionale è necessario
che una norma sopravvenuta ripristini o preservi l’efficacia di una norma già
dichiarata incostituzionale.
Nel caso di specie, il
legislatore ha adottato una disposizione che non ne riproduce un’altra già
dichiarata non conforme a Costituzione, né fa a quest’ultima rinvio. Di qui la
infondatezza della censura in esame.
8.4.― Tanto
premesso, ai fini della disamina delle questioni concernenti la dedotta
violazione dei parametri costituzionali di cui al combinato disposto degli
artt. 3, 114, 117 e 119 Cost., occorre
preliminarmente rammentare come, ai fini dell’identificazione della materia
nella quale si colloca la normativa impugnata, sia necessario fare riferimento
all’oggetto della disciplina medesima, tenendo conto della sua ratio,
tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, così da identificare
correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (ex multis, sentenza n. 430 del
2007).
Facendo applicazione del
suddetto criterio, è evidente che le disposizioni impugnate trovano
collocazione nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del
coordinamento della finanza pubblica, prevista tra quelle di competenza
concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost.
8.5.― Nella
giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secondo cui
norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali
possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza
pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a
porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o
modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (tra le molte, sentenza n. 237 del
2009).
Peraltro, come la stessa
giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di affermare proprio con riguardo
alle comunità montane (citata sentenza n. 237 del
2009), non costituisce ostacolo all’esercizio della potestà legislativa
statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, attraverso
la fissazione dei relativi principi fondamentali, la circostanza che si incida
su un ambito materiale, quale quello relativo alle comunità montane, rimesso
alla potestà legislativa residuale delle Regioni.
D’altronde, in un contesto
di carattere più generale, questa Corte ha posto in rilievo che limiti
finanziari per le Regioni e gli enti locali, volti al perseguimento degli
obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa, sono in linea
con la più recente interpretazione della nozione di «coordinamento della
finanza pubblica» fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale, ormai
«costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spesa di enti
pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario»,
per cui il legislatore statale può «legittimamente imporre alle Regioni vincoli
alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica
complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali,
condizionati anche da obblighi comunitari» (così sentenza n. 52 del
2010, nonché sentenze n. 237 e n. 139 del 2009).
Naturalmente, però, la
disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il generale canone della
ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo
prefissato.
8.6.― Orbene, la
normativa in esame è chiaramente finalizzata al contenimento della spesa
pubblica degli enti locali e, per il suo contenuto oggettivo, al pari di
disposizioni simili recate da precedenti, analoghi provvedimenti legislativi
dello Stato, costituisce espressione del potere dello Stato di fissare i
principi fondamentali nella materia sopra indicata. Essa, in quanto tale, è
idonea ad incidere, come si è accennato, su una materia, quale quella
concernente la disciplina delle comunità montane, rimessa alla potestà
legislativa residuale delle Regioni e, di conseguenza, a superare il vaglio di
costituzionalità con riferimento alla prospettata lesione dei citati parametri
costituzionali e, in particolare, quello di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.
Né è senza significato che
la stessa normativa preveda un regime transitorio proprio per consentire la
graduale riallocazione a livello locale della spesa per le comunità montane in
questione. Non senza aggiungere che questa Corte, in fattispecie per molti
versi analoghe, ha già avuto modo di affermare, sul presupposto che la
disciplina delle comunità montane rientra nella competenza residuale delle
Regioni, che spetta a queste ultime, in base all’art. 119 Cost.,
«provvedere al loro finanziamento insieme ai Comuni di cui costituiscono la
"proiezione”». Da tale affermazione, costituente ormai ius
receptum, «consegue che la progressiva riduzione
del finanziamento statale relativo alle suddette comunità montane non contrasta
con la giurisprudenza di questa Corte in materia di autonomia finanziaria delle
Regioni e degli enti locali» (sentenza n. 27 del
2010).
È pur vero che numerose
leggi statali, come osservato in particolare dalla Regione Calabria, hanno
disposto nel tempo finanziamenti a favore delle comunità montane; tuttavia, le
sopravvenute esigenze di contenimento della spesa pubblica nella finanza locale
possono giustificare interventi legislativi di riduzione e razionalizzazione
delle erogazioni dello Stato in favore delle Regioni e degli enti locali, nel
medesimo settore, nel segno di una diversa allocazione delle risorse in vista
di un equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione
con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi
comunitari (citata sentenza n. 237 del
2009), nonché del buon andamento delle pubbliche amministrazioni.
8.7.― Neppure può
dirsi che si sia in presenza di una totale soppressione del finanziamento
statale previsto dall’art. 34 sopra citato, in quanto il medesimo comma
8.8.― Né, infine,
può essere condivisa, nella sua assolutezza, l’affermazione secondo la quale la
normativa impugnata avrebbe disposto la totale cancellazione del finanziamento
statale precedentemente disposto a favore delle comunità montane, nel palese
intento di procedere surrettiziamente alla soppressione di detti organismi. Ciò
in quanto, da un lato, in una parte consistente il predetto finanziamento non
risulta eliminato, anche per effetto della presente pronuncia come risulterà
nel prosieguo e, dall’altro, non è senza significato che talune disposizioni
legislative, pure richiamate dalle ricorrenti, hanno confermato la permanenza
delle comunità montane nell’ordinamento, dal momento che ad esse la normativa
statale continua a fare riferimento. Del resto, la giurisprudenza
costituzionale ha chiarito che le comunità montane non sono previste dall’art.
114 Cost. come enti costituzionalmente necessari (sentenza n. 229 del
2001).
In realtà, in linea
generale, le misure ora in esame, contenute in una legge finanziaria,
perseguono la finalità di contenimento della spesa pubblica corrente nel
settore degli enti locali. Esse, pertanto, devono essere ascritte, nel catalogo
fissato dall’art. 117 Cost., alla materia del
coordinamento della finanza pubblica.
8.9.― Sotto altro
aspetto,
La censura non è fondata,
in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il principio di
leale collaborazione non trova applicazione nelle procedure di formazione delle
leggi. E, d’altronde, detto principio ha trovato concreta applicazione nella
specie, in seguito alle modifiche operate all’originario testo dal comma 187 dal
decreto-legge n. 2 del 2010, nella successiva fase di adozione del decreto
ministeriale di riparto, tra i comuni interessati, in fase transitoria, del 30
per cento delle risorse previste dall’art. 34 del d.lgs. n. 504 del 1992.
8.10.― Alla luce
delle considerazioni che precedono, in sostanza, l’autonomia finanziaria delle
Regioni e degli enti locali, anche quale garanzia di risorse per il
finanziamento delle funzioni pubbliche loro attribuite, non può ritenersi
violata dall’intervento statale in questione, per la parte relativa, appunto,
all’art. 34 del citato d.lgs. n. 504 del 1992.
In realtà, la destinazione
ai comuni facenti parte delle comunità montane di parte delle risorse in
questione, sia pure in via transitoria, connota l’intervento dello Stato come
"riduzione progressiva”, con i temperamenti derivanti dalla presente pronuncia
come qui di seguito sarà precisato, del finanziamento statale, nel quadro di
una complessiva manovra di finanza pubblica.
8.11.― Le
disposizioni contenute nella prima parte del comma in questione, tuttavia, solo
in parte superano il vaglio di ragionevolezza, che, come si è detto,
costituisce limite generale all’esercizio della potestà legislativa.
A questo riguardo,
infatti, va osservato che il comma in esame, per quanto attiene al fondo
nazionale ordinario per gli investimenti non contiene alcuna indicazione, che
pure sarebbe stata necessaria, in ordine al pagamento delle rate di
ammortamento sui mutui pluriennali ancora in essere, stipulati dalle comunità
montane con il concorso dello Stato, che ha fatto sorgere in capo a queste
ultime un legittimo affidamento.
La norma, quindi, nello
stabilire anche la cessazione del finanziamento statale delle comunità in
questione tramite il fondo nazionale ordinario per gli investimenti (cui fa
espresso riferimento l’art. 34, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992), palesa
una irragionevolezza che si riverbera sulla autonomia finanziaria delle Regioni
e degli enti locali come ridisegnata dall’art. 119 Cost.
e come operante nelle more dell’attuazione del c. d. federalismo fiscale,
lasciando privo di copertura finanziaria e, comunque, di una regolamentazione
sia pure transitoria, un settore di rilievo, qual è quello degli investimenti
strutturali a medio e lungo termine effettuati mediante la stipulazione di
mutui originariamente "garantiti” dal finanziamento statale.
8.12.― Sotto altro
aspetto, viziato da illegittimità costituzionale è anche il generico ed
indeterminato riferimento, contenuto nel primo periodo del comma
Risulta palese, pertanto,
la violazione dell’art. 119 Cost., in quanto la
rilevata genericità della norma è tale da impedire alle Regioni, nell’esercizio
della loro autonomia finanziaria, di riorganizzare, in modo razionale,
l’allocazione delle risorse disponibili e pianificare la spesa in sede locale.
8.13.― Non va,
infatti, sottaciuto che i provvedimenti finanziari adottati dallo Stato allo
scopo di razionalizzare e contenere la spesa nel settore pubblico allargato,
pur dovendo avere un carattere di assoluta generalità e lo scopo di porre un
freno al dilagare di tale spesa – anche mediante la fissazione di criteri
d’ordine generale, appunto costituenti espressione di principi fondamentali
della materia, che lasciano, in sede applicativa, specifici ambiti di autonomia
alle Regioni e agli enti locali minori – non possono, tuttavia, prescindere
dalla individuazione certa delle fonti di finanziamento delle spese degli enti
locali territoriali e dunque anche delle comunità montane e dei comuni che di
esse fanne parte. Diversamente, ne verrebbe compromessa la certezza sia delle
fonti di finanziamento della spesa degli enti interessati, sia delle risorse
economiche effettivamente disponibili per gli enti stessi, da impiegare per il
raggiungimento delle rispettive finalità istituzionali.
8.14.― Alla luce
delle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 187, primo periodo, della legge n. 191 del
2009, nella parte in cui, nel richiamare l’articolo 34 del d.lgs. n. 504 del
1992, viene soppresso il concorso dello Stato al finanziamento delle comunità
montane con il fondo nazionale ordinario per gli investimenti, nonché
nell’inciso «e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità
montane».
8.15.― Deve,
altresì, essere dichiarata, per consequenzialità logica, l’illegittimità
costituzionale della previsione, contenuta nel successivo secondo periodo,
della devoluzione, in via transitoria, ai comuni già facenti parte delle
comunità montane, del trenta per cento delle risorse sia derivanti dal fondo
ordinario nazionale per gli investimenti, sia spettanti agli stessi organismi
in applicazione delle altre «disposizioni di legge» come sopra specificato, in
quanto si tratta di disposizioni strettamente connesse al primo periodo del
comma 187, di cui è dichiarata la parziale illegittimità costituzionale.
9.― Quanto alle
censure relative alla dedotta violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,
la ricorrente Regione Campania non adduce una sufficiente motivazione circa il
modo in cui l’asserita violazione di tali parametri costituzionali ridondi in
una lesione delle proprie competenze legislative, amministrative o finanziarie.
Ciò comporta che deve
essere dichiarata inammissibile la questione promossa dalla Regione stessa con
riferimento ai suddetti parametri costituzionali.
10.― In conseguenza
di quanto innanzi, deve essere considerata assorbita la richiesta, avanzata
dalla sola Regione Campania, di sospensione dell’efficacia delle disposizioni
impugnate.
per questi
motivi
riuniti i ricorsi,
riservata a separate pronunce la decisione sulle altre
questioni con essi sollevate;
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 187, della legge 23
dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nella parte in cui:
a) nel primo periodo, nel
richiamare l’articolo 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504
(Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’art. 4 della
legge 23 ottobre 1992, n. 421), sopprime il concorso dello Stato al
finanziamento delle comunità montane con il fondo nazionale ordinario per gli
investimenti,
b) nel medesimo primo
periodo, contiene l’inciso «e dalle altre disposizioni di legge relative alle
comunità montane»,
c) nel secondo periodo,
prevede la devoluzione ai comuni, già facenti parte delle comunità montane, del
trenta per cento delle risorse provenienti dal fondo ordinario nazionale per
gli investimenti,
d) nel secondo periodo,
contiene l’inciso «e alle citate disposizioni di legge relative alle comunità
montane»;
2) dichiara
inammissibili le residue questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 187, della legge n. 191 del 2009, promosse dalle Regioni Calabria,
Liguria e Campania in riferimento, nel complesso, agli artt. 3, 97, 114, 117,
118, 119, 123, 136 e 137 della Costituzione, ai principi di ragionevolezza, di
leale collaborazione, di certezza delle entrate e di affidamento, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
186, lettera a), della legge n. 191 del 2009 (testo pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2009, n. 302 – supplemento ordinario n.
243), promossa dalla Regione Toscana in riferimento agli artt. 114, 117 e 119
della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma
186, lettera e), della legge n. 191 del 2009 (testo pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2009 – supplemento ordinario n. 243),
promosse dalle Regioni Toscana e Campania in riferimento, nel complesso, agli
artt. 3, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di
leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 novembre
2010.