SENTENZA N. 397
ANNO 2006
Commenti alla decisione di
I. Renzo Dickmann, La Corte precisa i limiti dei controlli sostitutivi delle Regioni sulle Comunità Montane (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
II. Edoardo C. Raffiota, A proposito dei poteri sostitutivi esercitati nei confronti delle comunità montane (per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e le Comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni. Misure di sostegno per i piccoli comuni), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l’11 ottobre 2005, depositato in cancelleria il successivo 19 ottobre ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2005.
Visto l’atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Graziano Campus e Alberto Salvatore Romano per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato l’11 ottobre 2005 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 19 ottobre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e le Comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni. Misure di sostegno per i piccoli comuni).
2.— Il suddetto art. 11, al comma 1, stabilisce che le Comunità montane – istituite con le leggi regionali indicate nella tabella A allegata alla medesima legge n. 12 del 2005 – operano fino al novantesimo giorno successivo alla pubblicazione del piano di riordino degli ambiti territoriali ottimali; a decorrere dal novantunesimo giorno, pertanto, si intendono abrogate le leggi e le disposizioni regionali elencate nella suddetta tabella e le Comunità montane sono soppresse.
È previsto, inoltre (art. 11, comma 2), che entro sessanta giorni prima della scadenza del suddetto termine, i presidenti delle Comunità montane comunichino all’assessore degli enti locali una serie di dati (lo stato di consistenza dei beni mobili ed immobili, la ricognizione di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi; la situazione di bilancio; l’elenco dei procedimenti in corso; le tabelle organiche, la composizione degli organici, l’elenco del personale per qualifiche e ogni altra indicazione utile a definirne la posizione giuridica).
Ai sensi del comma 3 dell’art. 11 della suddetta legge regionale, «qualora i presidenti delle Comunità montane non provvedano entro il termine, il Presidente della Regione nomina un commissario ad acta».
3.— Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri tale ultima disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima, in quanto violerebbe gli articoli 117 e 120 della Costituzione.
3.1.— La difesa dello Stato, preliminarmente, da un lato, riconosce che la Regione Sardegna ha «competenza legislativa esclusiva» in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», richiamando l’art. 1, comma 2, lettera b) (recte: art. 3, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e, dall’altro, afferma che la competenza legislativa attribuita alle Regioni in relazione alle Comunità montane deve essere ricondotta all’art. 117, quarto comma, della Costituzione.
Non di meno, nell’esercizio di tale potestà legislativa, ad avviso del ricorrente, come ritenuto dal Consiglio di Stato con il parere n. 1506/2002 del 2003, le Regioni devono rispettare «la Costituzione, i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e dall’ordinamento comunitario, nonché le prerogative costituzionali degli enti locali (art. 114 della Costituzione), tenendo anche conto delle indicazioni che possono trarsi in materia dagli articoli 123, ultimo comma, e 44 della Costituzione».
3.2.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, quindi, pur riconoscendo che le Regioni possono disciplinare le Comunità montane, anche prevedendo l’esercizio di un potere sostitutivo regionale nei confronti dei medesimi enti, afferma in sostanza che tale potere, per essere legittimo, deve rispettare i principi enunciati da questa Corte in ordine al potere sostitutivo esercitato dalle Regioni nei confronti degli enti locali (è richiamata, al riguardo, la sentenza n. 43 del 2004).
In particolare, il ricorrente ricorda che la giurisprudenza costituzionale, sul punto, ha affermato che:
– le ipotesi di esercizio dei poteri sostitutivi devono essere previste e disciplinate dalla legge;
– la sostituzione può essere prevista solo per compiere atti o attività prive di discrezionalità nell’an;
– il potere sostitutivo deve essere esercitato da un organo di governo della Regione o sulla base di una decisione di questo;
– la legge deve disporre idonee garanzie procedimentali per l’esercizio di tale potere, in conformità al principio di leale collaborazione.
La disposizione impugnata, pertanto, poiché non prevede alcuna procedura per l’esercizio del potere in questione, né alcun meccanismo di collaborazione con l’ente inadempiente (sentenza n. 69 del 2004), si porrebbe in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, anche perché le Comunità montane dispongono di un’autonomia fortemente garantita, come dimostrerebbe l’attribuzione alle stesse della potestà statutaria e regolamentare (si cita la sentenza n. 244 del 2005).
Infine, alla luce delle considerazioni che precedono, l’Avvocatura dello Stato ha dedotto che la norma regionale impugnata violerebbe il principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto la richiamata autonomia statutaria ed organizzativa delle Comunità montane deve essere, in ogni caso, salvaguardata da parte delle Regioni, mediante norme che prevedano un procedimento volto a promuovere il loro coinvolgimento nell’ambito della procedura di esercizio dei poteri sostitutivi.
4.— Si è costituita in giudizio la Regione Sardegna e ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, non fondato.
4.1.— In via preliminare, la Regione ha dedotto che il fondamento delle proprie competenze legislative, in materia di Comunità montane, deve essere rinvenuto nel proprio statuto speciale di autonomia e, in particolare, nell’art. 3, lettera b), dello stesso.
La difesa regionale osserva, quindi, come il Presidente del Consiglio dei ministri, pur richiamando la suddetta norma statutaria, abbia invocato, quali parametri, le sole disposizioni costituzionali, senza chiarire per quale motivo le stesse debbano essere applicate alla Regione Sardegna.
Di conseguenza, il ricorso sarebbe inammissibile, in quanto lo Stato, nel contestare la legittimità costituzionale delle leggi delle Regioni ad autonomia speciale, deve argomentare per quale ragione debba essere preso in considerazione il parametro costituzionale anziché lo statuto speciale (sono richiamate le sentenze n. 304 del 2005, n. 8 del 2004, n. 213 del 2003).
4.2.— Nel merito, la Regione resistente ha affermato che la questione di costituzionalità non è fondata, e ha dedotto una pluralità di argomenti difensivi.
In primo luogo, le Comunità montane non sono previste da alcuna norma costituzionale, e gli articoli 114 e 120 della Costituzione fanno riferimento solo ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni.
La difesa della Regione ricorda che, in un caso analogo, la Corte ha ritenuto compatibile con le norme costituzionali, anche a prescindere da particolari articolazioni procedimentali, la previsione, con legge regionale, di poteri sostitutivi esercitati dalla Regione nei confronti delle Comunità montane (si cita la sentenza n. 244 del 2005).
Infine, la resistente sottolinea come la comunicazione prevista dalla disposizione impugnata avrebbe carattere obbligatorio, in quanto integralmente vincolata nel contenuto, attinente all’adempimento di una serie di obblighi di comunicazione di dati oggettivi, indispensabili per dare attuazione alla nuova disciplina regionale in materia di Comunità montane.
In ogni caso, afferma la difesa regionale, qualora si dovesse ritenere necessario consentire all’ente sostituito di «interloquire», ciò potrebbe dare luogo ad una integrazione della disciplina regionale in via interpretativa, ma non ad una declaratoria di illegittimità costituzionale.
5.― In data 10 ottobre 2006 la Regione Sardegna ha depositato memoria con la quale ha ribadito le difese già svolte.
In particolare, la resistente ha riaffermato la sussistenza di una propria competenza legislativa esclusiva, in merito al riordino delle unioni di comuni e delle Comunità montane, in ragione di quanto previsto dall’art. 3, lettera b), dello statuto di autonomia.
Quindi, in via preliminare, la Regione ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri, nel dedurre l’illegittimità costituzionale della norma de qua, non avrebbe preso in esame le disposizioni statutarie, come, invece, ritenuto necessario dalla giurisprudenza di questa Corte.
Nel merito, la difesa regionale ha richiamato le argomentazioni già sottoposte all’esame della Corte, ponendo in evidenza come, medio tempore, la giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 456 del 2005, abbia riaffermato che le Comunità montane non sono enti dotati di autonomia costituzionale garantita.
Pertanto, poiché solo Comuni, Province e Città metropolitane sono gli enti locali forniti di garanzia costituzionale, solo a quest’ultimi sono applicabili le disposizioni costituzionali invocate dallo Stato. Le Comunità montane, invece, costituiscono enti locali creati e disciplinati da norme di rango sub-costituzionale, la cui adozione è rimessa, per la Regione Sardegna, alla potestà legislativa esclusiva della medesima, in base alle previsioni dello statuto speciale e, per le Regioni a statuto ordinario, alla potestà legislativa residuale delle stesse.
Considerato in diritto
1.— Il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri è volto a censurare l’art. 11, comma 3, della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e le Comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni. Misure di sostegno per i piccoli comuni), nella parte in cui prevede che il Presidente della Regione nomina un commissario ad acta qualora i presidenti delle Comunità montane non provvedano, entro il termine stabilito dal primo comma dello stesso art. 11, ad inviare all’assessore degli enti locali una serie di dati indicati al precedente comma 2 (lo stato di consistenza dei beni mobili ed immobili, la ricognizione di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi; la situazione di bilancio; l’elenco dei procedimenti in corso; le tabelle organiche, la composizione degli organici, l’elenco del personale per qualifiche e ogni altra indicazione utile a definirne la posizione giuridica). Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe gli artt. 117 e 120 della Costituzione, in relazione, quest’ultimo, al principio di leale collaborazione.
2.— Ha carattere preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla Regione Sardegna, nonché della ulteriore questione pregiudiziale, rilevabile d’ufficio, afferente ad una delle censure prospettate dal ricorrente.
3.— Per quanto attiene alla eccezione sollevata dalla resistente, quest’ultima deduce la inammissibilità del ricorso, per non avere lo Stato chiarito per quale ragione dovrebbero trovare applicazione le disposizioni contenute nel nuovo Titolo V della Costituzione e non già quelle statutarie.
L’eccezione non è fondata.
In realtà, sia pure sinteticamente, il ricorrente si è dato carico di individuare la norma statutaria (art. 1, comma 2, lettera b: recte, art. 3, lettera b, della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante “Statuto speciale per la Sardegna”) attributiva della potestà legislativa regionale in materia di enti locali e dunque anche di Comunità montane, ancorché abbia successivamente svolto le censure avendo riguardo ai parametri costituzionali contenuti nel nuovo Titolo V, con riferimento alla asserita violazione degli artt. 117 e 120 della Costituzione.
Ciò può ritenersi sufficiente ai fini dell’ammissibilità del ricorso, avendo questa Corte già chiarito che il riconoscimento della competenza legislativa di tipo residuale, di cui al quarto comma dell’art. 117 della Costituzione, rappresenta, ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), una «forma di autonomia più ampia» rispetto alla competenza legislativa esclusiva attribuita dalle norme statutarie (cfr. sentenza n. 274 del 2003). Il che, appunto, giustifica, sul piano processuale, la prospettazione da parte del ricorrente della violazione degli evocati parametri costituzionali.
4.— Ciò chiarito, deve comunque osservarsi, anche in assenza di rilievi di parte, la inammissibilità per genericità della censura di violazione dell’art. 117 della Costituzione: l’Avvocatura dello Stato non ha, infatti, specificato quali sarebbero le ragioni per cui tale norma costituzionale risulterebbe violata, rimanendo oscuro tanto il richiamo al parere del Consiglio di Stato n. 1506/2002 del 2003, quanto il riferimento ai limiti che incontra la potestà legislativa regionale.
5.— Alla luce di quanto sopra, il thema decidendum deve essere limitato all’esame della censura di violazione dell’art. 120 della Costituzione, con la quale si lamenta che la Regione – pur avendo il potere di disciplinare la materia afferente alle Comunità montane e di prevedere poteri sostitutivi in capo ad organi regionali – avrebbe disatteso i limiti che questa Corte ha fissato con riferimento alla modalità di esercizio dei suddetti poteri. In particolare, la difesa dello Stato ritiene che non sarebbe stato garantito il rispetto del principio di leale collaborazione attraverso la previsione di un procedimento volto a promuovere il coinvolgimento degli enti inadempienti.
5.1.— La questione non è fondata.
5.2.— Al riguardo, è necessario, innanzitutto, muovere dalla individuazione della portata e dell’ambito di applicazione dei limiti posti al potere sostitutivo regionale dalla sentenza n. 43 del 2004 di questa Corte, il cui contenuto è richiamato dal ricorrente a sostegno della censura formulata.
La Corte – con tale sentenza e con altre successive (in particolare, v. sentenze numeri 167 del 2005; 236 e 69 del 2004) – ha chiarito che l’art. 120, secondo comma, della Costituzione «non può essere inteso nel senso che esaurisca, concentrandole tutte in capo allo Stato, le possibilità di esercizio di poteri sostitutivi». La Corte ha, pertanto, ritenuto ammissibile che la legge regionale, intervenendo in materie di propria competenza e nel disciplinare, ai sensi degli articoli 117, terzo e quarto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, l’esercizio di funzioni amministrative di competenza degli enti territoriali minori, preveda «anche poteri sostitutivi in capo ad organi regionali, per il compimento di atti o di attività obbligatorie, nel caso di inerzia o di inadempimento da parte dell’ente competente, al fine di salvaguardare interessi unitari che sarebbero compromessi dall’inerzia o dall’inadempimento medesimi» (così la citata sentenza n. 43 del 2004).
Nella stessa sentenza sono stati, inoltre, indicati i criteri che devono essere rispettati affinché si possa ritenere legittimo l’esercizio di poteri sostitutivi regionali.
In particolare, la Corte ha affermato che la legge regionale deve «apprestare congrue garanzie procedimentali (…), in conformità al principio di leale collaborazione (…), non a caso espressamente richiamato anche dall’articolo 120, secondo comma, ultimo periodo, della Costituzione a proposito del potere sostitutivo “straordinario” del Governo, ma operante più in generale nei rapporti fra enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita». E le garanzie procedimentali, assicurate dalla previsione di idonee forme collaborative, devono essere osservate anche quando venga in rilievo una attività interamente vincolata nel contenuto.
6.— Orbene, i suddetti principi, così enucleati dalla giurisprudenza costituzionale, devono necessariamente trovare ingresso nella legge regionale la quale preveda l’esercizio di poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali; pena la illegittimità costituzionale della legge stessa.
L’esercizio di detti poteri, con i limiti innanzi precisati, presuppone, infatti, che ci si trovi di fronte ad «enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita» (sentenza n. 43 del 2004). Deve cioè trattarsi degli enti previsti dagli articoli 114 e 118 della Costituzione, vale a dire Comuni, Province e Città metropolitane.
Soltanto quando la Regione eserciti il suddetto potere sostitutivo nei confronti di tali enti si rende necessario, sul piano costituzionale, il rispetto di una procedura articolata di garanzia che impone, tra l’altro, la costante osservanza di regole di cooperazione e consultazione con i soggetti inerti o inadempienti. In altri termini, la Regione, mediante l’esercizio di un siffatto potere sostitutivo, subentra, per il soddisfacimento di interessi unitari, nell’esercizio di funzioni amministrative di cui all’art. 118 Cost. Venendo, pertanto, in rilievo funzioni costituzionalmente garantite a tali soggetti, trova giustificazione la necessità che sia previsto e disciplinato un «procedimento nel quale l’ente sostituito sia comunque messo in grado di evitare la sostituzione attraverso l’autonomo adempimento, e di interloquire nello stesso procedimento» (sentenza n. 43 del 2004). La ragione insita nella necessità costituzionale di un rigido meccanismo cooperativo risiede, dunque, nella esigenza di consentire all’ente locale, all’esito di una puntuale contestazione o diffida da parte del competente organo regionale, di potere svolgere le funzioni che la Costituzione direttamente gli attribuisce. In quest’ottica, soltanto nel caso in cui detto ente persista nella inerzia o nell’inadempimento può giustificarsi un esercizio in via sostitutiva delle relative funzioni da parte della Regione.
7.— La medesima procedura di garanzia, caratterizzata dagli stessi limiti, non deve necessariamente essere prevista dalla normativa regionale, a pena di incostituzionalità, nella ipotesi in cui si consenta l’esercizio di poteri sostitutivi regionali nei confronti di enti sub-regionali sforniti di autonomia costituzionale, come appunto le Comunità montane dopo la riforma del Titolo V.
Ciò in diretta conseguenza della affermazione fatta da questa Corte in ordine alla circostanza che gli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, non trovano applicazione nei confronti delle Comunità montane, in quanto in tali disposizioni si fa esclusivo riferimento ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane e l’indicazione deve ritenersi tassativa (sentenze numeri 456 e 244 del 2005). Allo stesso modo non si estende alle Comunità montane il sistema delle garanzie, in sede di esercizio delle funzioni amministrative, assicurato dal nuovo art. 118 della Costituzione.
In conclusione, dunque, non venendo in rilievo enti ad autonomia costituzionalmente garantita, non possono essere utilmente richiamati i criteri e i limiti che la giurisprudenza di questa Corte ha elaborato in relazione al modello di potere sostitutivo – diverso da quello contemplato dalla norma impugnata – esercitato nei confronti degli enti che, invece, per espressa statuizione costituzionale, godono di siffatte garanzie.
8.— È bene, tuttavia, precisare che quanto sin qui detto non significa che nei casi in cui il potere sostitutivo concerne enti non dotati di autonomia costituzionalmente garantita, quali sono le Comunità montane, esso possa essere esercitato senza alcuna garanzia per gli enti stessi.
L’esercizio di un siffatto potere – inserendosi in un procedimento amministrativo in funzione di controllo sostitutivo – soggiace alle regole procedimentali eventualmente predeterminate di volta in volta dal legislatore, nonché al principio generale del giusto procedimento, che impone di per sé la garanzia del contraddittorio a tutela degli enti nei cui confronti il potere è esercitato.
Pertanto, ai presidenti delle Comunità montane dovranno comunque essere assicurate, sulla base dei suddetti principi, forme di partecipazione e consultazione nel corso del procedimento amministrativo così come definito dalla legge. E l’eventuale violazione delle prescritte regole partecipative, ricorrendone i presupposti, potrà essere fatta valere innanzi ai competenti organi della giurisdizione amministrativa nelle forme di rito.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge della Regione Sardegna 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e le Comunità montane. Ambiti adeguati per l’esercizio associato di funzioni. Misure di sostegno per i piccoli comuni), proposta, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 11, comma 3, della legge della Regione Sardegna n. 12 del 2005, proposta, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, in relazione al principio di leale collaborazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2006.
Franco BILE, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria l’1 dicembre 2006.