Sentenza n. 236 del 2013

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SENTENZA N. 236

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    GALLO                                              Presidente

-    Luigi                      MAZZELLA                                        Giudice

-    Gaetano                 SILVESTRI                                              

-    Sabino                    CASSESE                                                 

-    Giuseppe                TESAURO                                                

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                        

-    Giuseppe                FRIGO                                                      

-    Alessandro             CRISCUOLO                                           

-    Paolo                      GROSSI                                                    

-    Giorgio                   LATTANZI                                               

-    Aldo                       CAROSI                                                    

-    Marta                     CARTABIA                                              

-    Sergio                     MATTARELLA                                        

-    Mario Rosario        MORELLI                                                 

-    Giancarlo               CORAGGIO                                             

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio e Veneto e dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna con ricorsi notificati rispettivamente il 12-17, il 12, il 15 e il 12 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16, il 17 e il 19 ottobre 2012 ed iscritti ai nn. 145, 151, 159 e 160 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 16 ottobre la Regione Lazio ha impugnato, tra gli altri, l’articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 della Costituzione.

Il ricorrente premette che la norma impugnata, nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha stabilito che «Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano, la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati. [...] che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costituzione».

Il legislatore ha previsto un’apposita procedura articolata in tre passaggi: a) ricognizione, entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto, di tutti gli «enti, agenzie e organismi» che esercitano funzioni fondamentali o, in ogni caso, di tipo amministrativo degli enti locali (comma 2); b) definizione, mediante intesa da adottarsi in sede di Conferenza Unificata, dei «criteri e della tempistica» per l’attuazione della norma (comma 3); c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie e organismi, con conseguente nullità di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province e i Comuni, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, non abbiano concretamente dato attuazione al precetto normativo (comma 4).

Poste tali premesse, secondo la Regione ricorrente, non dovrebbero nutrirsi dubbi sul fatto che la disciplina impugnata contrasti con gli art. 123 e 117, comma quarto, Cost., incidendo indebitamente sulla sfera di autonomia organizzativa e di funzionamento dell’amministrazione regionale.

A tale proposito la ricorrente ribadisce che i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento regionale attengono, ai sensi dell’art. 123 Cost., all’autonomia statutaria, nell’esercizio della quale la Regione Lazio ha individuato e disciplinato puntualmente una serie di strutture organizzative, quali le «Agenzie regionali» (art. 54 dello statuto), gli «enti pubblici dipendenti dalla Regione» (art. 55 dello statuto), le «società ed altri enti privati a partecipazione regionale» (art. 56 dello statuto), rimettendo alla legge regionale la disciplina relativa all’istituzione e al funzionamento di tali organismi.

La materia «organizzazione amministrativa» della Regione, inoltre, ricade, in forza dell’art. 117, comma quarto, Cost., nella propria potestà legislativa residuale e non sono ammesse interferenze ad opera del legislatore statale.

Sulla base di ciò, la Regione conclude nel senso che il censurato art. 9, commi l, 2, 3 e 4 − per effetto del quale è prevista la «soppressione» o l’«accorpamento» di enti, agenzie e organismi comunque denominati – deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dei citati articoli 123 e 117, comma quarto, Cost., trattandosi di previsione che incide in via immediata sui predetti ambiti materiali di competenza regionale.

L’illegittimità costituzionale dello stesso articolo rileverebbe, altresì, sotto un ulteriore e concorrente profilo. Il comma l, infatti, impone anche agli enti locali l’obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art. 117, comma sesto, Cost., che riconosce, come noto, ai predetti enti la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte attraverso enti, agenzie ed organismi vari.

A seguito della riforma del titolo V della Costituzione, che ha delineato un nuovo quadro delle funzioni e dei poteri dei Comuni e delle Province (e delle Città metropolitane), è possibile individuare un fondamento di rango costituzionale alla disciplina delle funzioni e dell’organizzazione degli enti locali. Inoltre, la lesione delle menzionate sfere di autonomia costituzionale garantite in capo alle Regioni e agli enti locali non sarebbe esclusa dall’individuazione, da parte del legislatore statale, dell’accordo in Conferenza unificata e dal richiamo al principio di leale collaborazione per l’attuazione della norma.

Tali meccanismi di raccordo si mostrano inidonei ad evitare le lesioni di competenza prospettate, ove si consideri che, per espressa previsione normativa (comma 4), si procederà comunque alla soppressione ope legis di enti, agenzie ed organismi vari, con conseguente nullità degli atti da essi adottati, qualora la Regione e gli enti locali laziali non abbiano dato, entro nove mesi dall’entrata in vigore del decreto − e, dunque, in un arco temporale ristretto − intera attuazione al dettato normativo statale.

La ricorrente censura anche l’eccessiva astrattezza e genericità del meccanismo volto ad individuare i «criteri e la tempistica» per l’attuazione della norma, ove si consideri che tali criteri saranno facilmente applicabili nelle sole ipotesi di enti ed organismi che risultino, in maniera inequivocabile, inutili ed antieconomici. Nei restanti casi, tuttavia, sarebbe particolarmente difficoltosa la ricerca di presupposti univoci e precisi sulla cui base procedere, in vista dell’unica finalità di ridurre del 20 per cento gli oneri finanziari, alla soppressione o all’accorpamento degli organismi contemplati dalla norma.

La Regione evidenzia che la richiamata disciplina statale, la quale fa leva su finalità formalmente connesse al «coordinamento e al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica», non possa ritenersi legittimamente adottata dallo Stato nell’esercizio della propria competenza legislativa concorrente in tema di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», prevista dall’art. 117, comma terzo, Cost. e dall’art. 119, comma secondo, Cost.

La ricorrente, a tal proposito, richiama la giurisprudenza costituzionale che ha negato ogni valore all’autoqualificazione ai fini dell’individuazione della materia cui ascrivere la normativa impugnata (sentenza n. 247 del 2010), dovendosi far riferimento all’oggetto della disciplina medesima.

Secondo la Regione, il legislatore statale non sarebbe intervenuto, se non in termini meramente marginali e riflessi, nella materia «coordinamento della finanza pubblica», rispetto alla quale, peraltro, lo Stato deve in ogni caso limitarsi a dettare esclusivamente norme di principio e non di dettaglio come nella presente circostanza. In realtà, l’oggetto della disciplina impugnata sarebbe rappresentato da un vasto e profondo intervento modificativo dell’assetto organizzativo regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo Stato non potrebbe vantare alcuna competenza.

Sulla base di queste considerazioni la Regione chiede che la norma impugnata sia dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 Cost.

1.1.− In data 26 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Lazio.

La difesa statale evidenzia che gli obblighi di soppressione o accorpamento o riduzione degli oneri finanziari sono motivati dalle esigenze di coordinamento e di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, nonché di contenimento della spesa e di migliore svolgimento delle funzioni amministrative. Il processo di riforma degli enti pubblici strumentali è, d’altronde, già da diversi anni al centro di numerosi interventi normativi diretti a procedere ad una loro drastica riduzione, per razionalizzare il funzionamento della pubblica amministrazione e contenere le spese della stessa.

L’Avvocatura dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui le disposizioni statali che intervengono in tema di coordinamento della finanza pubblica possono incidere anche sulla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione (sentenza n. 159 del 2008), riconducibile al comma quarto dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003). Le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 142 del 2012, n. 139 del 2009, n. 289 e n. 120 del 2008).

Entrambi i requisiti sarebbero nel caso di specie rispettati. La disposizione in esame, infatti, in attuazione dell’obiettivo generale di contenere una voce importante della spesa pubblica corrente, prevede un’articolata procedura (commi 2 e 3) in cui s’innestano diversi momenti di raccordo tra lo Stato e le Regioni e distinti adempimenti per pervenire, entro il termine individuato dalla norma, alla soppressione degli enti, il tutto nel rispetto del principio di leale collaborazione. In particolare, il comma 2 vincola ad un accordo, da perseguire in sede di Conferenza unificata (ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali»), la ricognizione degli enti da sopprimere o da accorpare. Il comma 3 rimanda ad un’intesa – da concludere nella stessa sede, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e sulla base del principio di leale collaborazione – per ciò che concerne la definizione delle modalità e della tempistica per l’attuazione degli obblighi di cui alla norma in commento. La previsione finale, secondo cui, in caso di mancato intervento da parte degli enti territoriali interessati entro il termine di 9 mesi, si determina l’automatica soppressione degli enti e vengono colpiti da nullità tutti gli atti da questi successivamente adottati, ponendosi al termine di una procedura caratterizzata da numerosi momenti di concertazione che lasciano alle regioni ampie possibilità di autonome scelte in merito alla razionalizzazione degli enti strumentali, rappresenta, invero, strumento di concreta attuazione della disposizione in esame, al fine di realizzare gli obiettivi indicati dal legislatore statale.

2.− Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 17 ottobre la Regione Veneto ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.

Dopo aver riportato il contenuto della norma impugnata, la ricorrente evidenzia che la stessa non contiene principi fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica» dettati dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente e, dunque, si pone in contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.

La Regione Veneto richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale con la quale si è affermato che quando una disposizione di legge statale imponga− come nel caso di specie − vincoli ad una singola voce di spesa delle Regioni (o degli Enti locali), essa deve considerarsi costituzionalmente illegittima, perché «pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall’ambito dei poteri statali in materia di coordinamento della finanza pubblica» risolvendosi ciò «in un’indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (sentenze n. 182 del 2011 e n. 157 del 2007).

In particolare, secondo la ricorrente, i commi l, l-bis e 4 dell’art. 9 porrebbero chiaramente precetti specifici e puntuali che comprimono l’autonomia finanziaria regionale: alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della riduzione di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti che svolgono funzioni amministrative regionali (comma l); alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e culturali (comma l­bis).

La violazione degli artt. 118 e 119 Cost. sarebbe evidente e consequenziale rispetto alla già denunciata violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost.

Lo stesso comma 5, imponendo alle Regioni di adeguarsi ai principi di cui al comma l, relativamente agli enti, alle agenzie ed agli organismi comunque denominati e di qualsiasi natura che svolgano ai sensi dell’art.118 Cost. funzioni amministrative conferite alle medesime Regioni, imporrebbe, in realtà, alle Regioni di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in palese contrasto con gli artt.117 e 119 della Costituzione, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 157 del 2007.

La Regione Veneto censura anche il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui che vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost.

Tale norma esulerebbe dalle materie che l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost. riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Inoltre risulterebbe violato anche l’art. 118 Cost. perché una siffatta disciplina interferisce con l’autonomia amministrativa degli Enti locali e con il potere delle Regioni di conferire funzioni amministrative agli Enti locali.

Infine, la Regione ritiene violato anche l’art. 119 Cost., perché la norma impugnata interferisce pesantemente con l’autonomia finanziaria regionale e locale.

A tal proposito la ricorrente evidenzia che le Regioni sono legittimate a denunciare l’illegittimità costituzionale di una legge statale anche per violazione delle competenze proprie degli Enti locali purché la «stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consenta di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n.169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).

La ricorrente lamenta anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe imposto dall’alto divieti e vincoli, piuttosto che sollecitare correzioni idonee a coniugare la ricchezza dei diversi modelli organizzativi con la necessità di contenimento della spesa pubblica in contrasto con il principio di ragionevolezza.

2.1.− In data 21 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Veneto.

Nell’atto di costituzione vengono sviluppate difese analoghe a quelle svolte nell’atto di costituzione contro il ricorso della Regione Lazio che sono state sopra riportate.

3.− Con ricorso notificato il 15 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 ottobre la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché degli artt. 3, 97 e 117, comma quarto, Cost.

Preliminarmente, la Regione evidenzia che l’impugnazione dell’art. 9 avviene in subordine, per l’ipotesi che esso risulti applicabile alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Infatti, secondo la ricorrente, la norma impugnata non sarebbe destinata a vincolarla, per il disposto della clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo la quale «fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».

Pertanto non sarebbero vincolanti per la Regione tutte le disposizioni che non contengono una specifica affermazione circa la loro applicabilità alle autonomie speciali.

Inoltre, secondo la ricorrente, l’art. 9 non porrebbe alcun vincolo ai modi con i quali in futuro le «procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione» ne disciplineranno eventualmente l’applicazione (sentenze n. 198, n. 193 e n. 178 del 2012).

La Regione ritiene che la non applicabilità dell’art.9 alle autonomie speciali, in forza della clausola di salvaguardia, non possa essere contraddetta da quanto statuito con la sentenza n. 289 del 2008 perché in quel caso la clausola di salvaguardia era formulata in modo del tutto generico tale da non consentire la disapplicazione delle norme di quel decreto. Infatti non risultava neppure precisato «quali norme (dovessero) considerarsi non applicabili alla ricorrente per incompatibilità con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione e quali, invece, (dovessero) ritenersi applicabili».

Mentre nel caso in esame la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis individuerebbe con precisione le disposizioni che rimangono applicabili, con ciò individuando precisamente anche quelle non applicabili, costituite dall’insieme delle altre.

Inoltre, l’art. 24-bis non condizionerebbe l’applicabilità delle disposizioni in questione ad un indeterminato giudizio di compatibilità, ma la escluderebbe direttamente, rinviandola per il futuro alle «procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione», cioè ad ulteriori e futuri atti normativi, il cui contenuto è vincolato solo dallo statuto e dalla stessa Costituzione.

La ricorrente, tuttavia, nel caso la Corte ritenga applicabile l’art. 9 in esame anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, censura la norma per violazione degli artt. 117 e 118 Cost.

La disposizione impugnata avrebbe, secondo la ricorrente, contenuto prettamente organizzativo e violerebbe la competenza primaria regionale di cui all’art. 4, numero l, dello statuto speciale di autonomia, in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione (oltre che la competenza residuale in materia riconosciuta a tutte le Regioni).

La parte della norma che si riferisce agli enti locali, violerebbe sia la competenza legislativa primaria della Regione in materia di ordinamento degli enti locali prevista dall’art. 4, numero l-bis, dello statuto speciale di autonomia, sia la competenza regionale in materia di finanza locale prevista dall’art. 54 del medesimo statuto (secondo il quale «allo scopo di adeguare le finanze delle Province e dei Comuni al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, il Consiglio regionale può assegnare ad essi annualmente una quota delle entrate della Regione») e dalle norme di attuazione di cui all’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), che ha precisato che «spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l’ordinamento finanziario e contabile, l’amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali» (comma l), e che «la regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3» (comma 2).

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sottolinea, inoltre, che la legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», in attuazione di un accordo stipulato tra Regione e Stato, ha stabilito le modalità con cui la medesima Regione concorre agli obiettivi di finanza pubblica e, soprattutto, ha stabilito chiaramente che lo Stato non può dettare norme di coordinamento finanziario in relazione agli enti locali del Friuli­ Venezia Giulia i cui costi, del resto, sono a carico della Regione.

La ricorrente evidenzia che la citata legge n. 220 del 2010 si è basata su un accordo e non può essere unilateralmente derogata dal legislatore statale, pena la violazione del principio pattizio che domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali.

Risulterebbe, infine, violata anche la stessa autonomia organizzativa degli enti locali, garantita dall’art. 114, comma secondo, Cost., nonché dall’art.117, comma sesto (secondo periodo), Cost., in tema, rispettivamente, di autonomia statutaria e regolamentare.

Le disposizioni sopra riportate sarebbero, poi, costituzionalmente illegittime per ulteriori specifiche ragioni. In primo luogo, sarebbe illegittimo il vincolo posto dal comma l a Regioni, Province e Comuni teso a sopprimere o accorpare gli «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica», o a ridurre almeno nella misura del 20% gli oneri finanziari relativi ad essi.

Quanto alla soppressione, si tratterebbe di un irragionevole vincolo alla autonomia organizzativa della Regione e degli enti autonomi, smentito del resto dallo stesso legislatore, che lo pone in alternativa alla predetta riduzione degli oneri finanziari.

Ma anche tale vincolo sarebbe illegittimo, in quanto relativo ad una specifica voce di spesa, che per giunta non rappresenta né un aggregato complessivo né un aggregato significativo, essendo evidente che sia le funzioni che le strutture che attualmente esercitano le funzioni dovrebbero essere ricollocate, senza neppure la garanzia di una effettiva riduzione di spesa.

Ma anche ove, in denegata ipotesi, tale principio fosse in sé e per sé legittimo come principio di coordinamento della finanza pubblica, sarebbero comunque illegittime le norme dettagliate che lo accompagnano (sentenze 297 del 2009 e n. 159 del 2008). Così sarebbe per la norma che direttamente esclude l’applicazione della disposizione alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali, anziché lasciare tale individuazione alle singole regioni interessate, che, tra l’altro, sono competenti anche per le materie in questione.

Così sarebbe per il comma 4, in base al quale, trascorsi nove mesi senza che le regioni, le province e i comuni abbiano dato attuazione a quanto disposto dal comma l, «gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma l sono soppressi», e «sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi».

Si tratterebbe di un intervento non consentito rispetto all’autonomia organizzativa della ricorrente Regione (anche in relazione alla propria potestà primaria in materia di enti locali e dei propri compiti in materia di finanza locale) e degli stessi enti locali.

La Regione ricorrente richiama la sentenza n. 237 del 2009 che ha dichiarato illegittima una analoga disciplina di dettaglio ed auto applicativa. Si tratterebbe inoltre di una norma del tutto irragionevole, in quanto la «soppressione», con norma generale, di strutture non precisamente individuate, e la dichiarazione di nullità di atti anche essi non precisamente individuati, determina una situazione di incertezza giuridica con riferimento sia al personale che alle funzioni, mentre la transizione delle competenze a organi e strutture non individuati ne comprometterebbe l’esercizio.

Alla ricorrente sembra, dunque, evidente la violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

La Regione sarebbe legittimata ad invocare i principi di ragionevolezza e buon andamento, perché le norme che li violano inciderebbero su materie regionali (sentenze n. 80 e n. 22 del 2012), anzi condizionerebbero la stessa organizzazione della Regione e degli enti locali della Regione.

La ricorrente impugna per gli stessi motivi anche il comma 5 dell’art. 9 evidenziando l’oscurità della norma che, peraltro, si porrebbe in contraddizione con il comma 4, rendendo il complesso normativo ulteriormente incerto, con nuova violazione dei parametri già esposti a proposito del comma 4.

Da ultimo, la Regione impugna il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui fa «divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione».

Poiché gli enti locali non hanno altre funzioni che quelle fondamentali e le altre ad essi conferite, la norma si traduce in un divieto assoluto per essi di istituire «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica». Inoltre la norma è destinata ad applicarsi a tutti gli enti locali, eccettuato forse il Comune di Roma per il suo speciale status di capitale. Nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il divieto si applicherebbe al comune più piccolo così come per i Comuni di Udine e Trieste. Nessuno di essi sarebbe giuridicamente in grado di istituire il minimo organismo, comunque denominato e di «qualsiasi natura giuridica».

Una simile disposizione − nella sua estensione indiscriminata − violerebbe evidentemente il principio di ragionevolezza e di proporzionalità, non essendovi rapporto alcuno con i presunti vantaggi per la finanza pubblica, la cui portata del resto non è neppure enunciata.

Vi sarebbe, infine, l’evidente violazione della potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, nonché dell’autonomia stessa degli enti locali interessati, come protetta dagli artt. 114 e 117 Cost., sopra indicati.

3.1.− In data 22 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

La difesa statale rileva che le norme censurate sono volte ad assicurare il coordinamento ed il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa ed il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dispongono che Regioni, Province e Comuni assicurino la riduzione degli oneri finanziari relativi ad enti, agenzie ed organismi che esercitino funzioni spettanti agli enti territoriali. Le stesse, pertanto, rientrerebbero nella copertura statuale del coordinamento della finanza pubblica.

Inoltre, il legislatore statale avrebbe anche previsto un ampio coinvolgimento degli enti territoriali interessati. Si prevede, infatti, che la ricognizione di qualsivoglia ente avvenga in sede di accordo sancito nell’ambito della Conferenza unificata e che, quindi, nella stessa sede, si provveda, mediante intesa, alla individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione di quanto previsto dall’articolo e alla definizione delle modalità di monitoraggio.

Il legislatore, pertanto, avrebbe prefigurato un percorso procedurale dominato dal principio consensualistico cui conseguirebbe l’infondatezza di tutte le doglianze formulate dalla ricorrente.

Per quanto riguarda le censure mosse ai profili sanzionatori in caso di mancata attuazione del disposto di cui al comma l, l’Avvocatura dello Stato rileva che, anche in questo caso, gli strumenti previsti dal legislatore costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica e rientrano nella competenza legislativa concorrente dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost.

Infine, quanto al comma 6, che contiene il divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, i rilievi della regione non dovrebbero essere accolti, atteso che anche per essi varrebbe la riconducibilità ai principi di coordinamento della finanza pubblica.

4.− Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 ottobre, la Regione autonoma Sardegna ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9, commi 1, 2, 3, e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli artt. 3, 117, comma terzo, e 119 Cost.

La Regione evidenzia che la norma impugnata regola nel dettaglio l’organizzazione amministrativa degli enti territoriali, imponendo alle Regioni e agli enti locali non solo una quota di risparmio di gestione delle funzioni amministrative così esercitate, ma obbligando all’accorpamento o alla soppressione di enti e organizzazioni, senza considerare che la Regione, nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e «biblioteche e musei di enti locali» (art. 3, comma 1, lettere a, b e q, dello statuto speciale di autonomia), potrebbe conseguire il medesimo risultato di contenimento della spesa pubblica utilizzando le forme di gestione delle funzioni pubbliche ritenute più idonee allo scopo.

Per tale motivo la disposizione menzionata violerebbe le norme statutarie indicate, e, nello stesso tempo, anche l’art. 117, comma terzo, Cost., nella misura in cui detta norme per il coordinamento della finanza pubblica che travalicano i «principi fondamentali» della materia.

L’imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza pubblica, di obblighi che si ripercuotono direttamente sull’organizzazione degli enti locali fa sì che sia lesa anche l’autonomia finanziaria della Regione, di cui all’art. 7 dello statuto speciale e all’art. 119 Cost., che tale autonomia tutelano.

A questo proposito la ricorrente richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2007 nella quale si afferma che non è contestabile «il potere del legislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti», e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 36 del 2004). Tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento della finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenze n. 417 del 2005, n. 353, n. 345 e n. 36 del 2004). Un tale obbligo, però, deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, la previsione normativa del metodo dell’accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell’economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve considerarsi espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto «patto di stabilità» (sentenza n. 353 del 2004).

Pertanto, il legislatore statale, onde conseguire il maggior risparmio nello svolgimento delle funzioni pubbliche degli enti locali, doveva limitarsi ad indicare il risparmio atteso, rispettando l’autonomia organizzativa delle Regioni.

Né si potrebbe dire, ovviamente, che con l’articolo censurato il legislatore statale abbia inteso esercitare la propria potestà esclusiva in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., per la semplice ragione che tale competenza generale non può certo prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione delle antinomie) su quella speciale dettata, in materia, dall’art. 3, comma 1, lettere a) e b), dello statuto speciale, che affida alla competenza esclusiva della Regione autonoma Sardegna le materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».

Senza considerare, inoltre, che l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., «concerne l’istituzione e la regolazione delle funzioni amministrative, il procedimento da seguire, gli interessi pubblici da perseguire, mentre la disposizione censurata agisce sul versante dell’organizzazione degli enti al fine di conseguire un ipotetico vantaggio di finanza pubblica».

Per quest’ultimo profilo, poi, sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in relazione all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e q), dello statuto speciale di autonomia , in quanto il divieto per gli enti locali di istituire enti strumentali impedisce che Province e Comuni, anche in ossequio alla normativa regionale, possano esercitare le proprie funzioni in regime di intercomunalità, istituendo un apposito ente associativo, anche qualora tale modello organizzativo comporti significative economie di scala.

4.1.− In data 21 novembre 2011 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Sardegna.

La difesa statale rileva che attraverso le misure introdotte dall’articolo impugnato il legislatore ha inteso assicurare, come si legge al comma primo dell’art. 9, «il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative». La norma segue le previsioni restrittive del patto di stabilità interno di cui all’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2012, n. 122, il cui comma 32, recante il divieto di costituire società per i comuni con una densità abitativa inferiore a determinati parametri è espressamente richiamato al comma 7 dell’art. 9 in esame.

Sarebbe pertanto riduttiva e, comunque, infondata, l’impostazione interpretativa che della norma in esame ha dato la ricorrente, omettendo di misurarne la legittimità nel più ampio contesto degli interventi legislativi miranti alla realizzazione del medesimo obiettivo del rispetto dei vincoli posti dal patto di stabilità.

È noto come il legislatore statale possa, con una disciplina di principio, imporre agli enti territoriali, anche ad autonomia speciale, determinati obblighi volti al contenimento della spesa pubblica a fini di coordinamento finanziario. Sotto tale profilo, la giurisprudenza della Corte ha elaborato una nozione ampia in materia di «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica», precisando che la piena attuazione del suddetto principio di coordinamento fa sì che la competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere legislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo» (sentenze n. 112 e n. 29 del 2011, n. 57 del 2010). Peraltro, al comma 3 della disposizione in esame, il legislatore introduce anche, quale presupposto applicativo delle nuove regole, una previsione di reciproca collaborazione tra lo Stato e le Regioni, al fine di raggiungere, attraverso gli strumenti di leale cooperazione, una soluzione condivisa sull’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione del sistema che contemperi le peculiarità degli enti coinvolti.

5.− In prossimità dell’udienza le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, hanno presentato memorie con le quali hanno ribadito le ragioni a sostegno dell’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, insistendo per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

6.− L’Avvocatura dello Stato, sempre in prossimità dell’udienza, ha presentato memorie con le quali ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno dell’infondatezza dei ricorsi.

Considerato in diritto

1.− Le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con distinti ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 145, 151, 159 e 160 del registro ricorsi dell’anno 2012, hanno sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale tra gli altri dell’art. 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costituzione.

Per tutte le ricorrenti il punto centrale del dubbio di costituzionalità è costituito, in sintesi, dalla asserita lesione della loro potestà legislativa in materia di «organizzazione regionale» di cui all’art. 117, comma quarto, Cost., dalla violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost. e dalla assenza di titoli di legittimazione dello Stato ad adottare la disciplina in esame.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia lamenta anche la lesione da parte della norma impugnata degli artt. 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), che riserva alla competenza legislativa primaria della Regione la materia ordinamento degli uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione mentre la Regione autonoma Sardegna lamenta anche la violazione degli artt. 3, comma l, lettere a), b) e q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), ove si attribuisce alla Regione medesima la competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e «biblioteche e musei di enti locali».

Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, la quale avrà ad oggetto esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la valutazione delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate Regioni.

2.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia solleva le questioni di costituzionalità solo in via cautelativa qualora si ritenga l’art. 9 direttamente applicabile anche a Regioni e Province autonome.

In realtà, secondo la ricorrente, le disposizioni del decreto-legge non sarebbero vincolanti per gli enti che godono di autonomia speciale, dovendosi applicare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo la quale «fermo restando il contributo delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».

2.1.− Le questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna non sono fondate.

La clausola di salvaguardia prevista dall’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012 rimette l’applicazione delle norme introdotte dal decreto alle procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.

Tale clausola è stata introdotta, in sede di conversione, alla fine del testo del d.l. n. 95 del 2012, proprio per garantire che il contributo delle Regioni a statuto speciale all’azione di risanamento venga realizzato rispettando i rapporti e i vincoli che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e Regioni a statuto speciale. Essa dunque non costituisce una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la «precisa funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che siano "rispettati” gli statuti speciali» (sentenza n. 241 del 2012) ed i particolari percorsi procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti medesimi.

La previsione di una procedura "garantita” al fine di applicare agli enti ad autonomia speciale la normativa introdotta esclude, perciò, l’automatica efficacia della disciplina prevista dal decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 178 del 2012). Le norme dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, dunque, non sono immediatamente applicabili alle Regioni ad autonomia speciale, ma richiedono il recepimento tramite le apposite procedure prescritte dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria.

La partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura impedisce che possano introdursi norme lesive degli statuti e determina l’infondatezza delle questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna (sentenze n. 178 del 2012 e n. 145 del 2008).

3.− La prima delle questioni sollevate, comune ai restanti ricorsi delle Regioni Lazio e Veneto, riguarda il comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 il quale, nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, stabilisce che «Regioni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costituzione».

Vi è da premettere che, per la migliore comprensione della disposizione, sarebbe stato preferibile non spezzare il collegamento tra i primi due verbi («sopprimono o accorpano») e le parole che fungono da complemento oggetto («enti, agenzie e organismi comunque denominati»), spostando al termine della frase il terzo verbo e l’espressione cui viene a dare significato («o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%»).

Secondo le Regioni ricorrenti, la norma sopra citata violerebbe l’art. 117, comma quarto, Cost. in quanto ascrivibile alla materia «organizzazione amministrativa» delle Regioni.

La Regione Lazio evoca anche la violazione dell’art. 123 Cost. perché i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni sono riservati all’autonomia statutaria.

La Regione Veneto lamenta inoltre l’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria regionale in violazione degli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost.

3.1.− La questione non è fondata.

In primo luogo, è necessario individuare l’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 in quanto le Regioni ricorrenti incorrono nell’erroneo presupposto interpretativo di ritenere che tale disposizione disciplini anche l’accorpamento, la soppressione o la riduzione, nella misura del 20 per cento dei costi, degli enti, agenzie e organismi comunque denominati istituiti dalla Regione per lo svolgimento delle funzioni amministrative di propria competenza.

Infatti, come si è detto, la principale delle censure svolte nei ricorsi in esame riguarda la violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni in ordine alla materia «organizzazione amministrativa della Regione e degli enti pubblici regionali» rientrante nella competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art.117, comma quarto, Cost.

L’art. 9, comma 1, invece, prevede esclusivamente la soppressione, l’accorpamento e la riduzione dei costi di enti, agenzie o organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che svolgano funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera p), Cost. o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost.

La disposizione in esame individua, dunque, un criterio funzionale per circoscriverne l’ambito di applicazione rivolgendosi solo ai soggetti − enti, agenzie e organismi comunque denominati − che operano nell’ambito di Comuni, Province e Città metropolitane.

Del resto, che gli enti strumentali delle Regioni siano esclusi dall’ambito di applicazione della norma non è soltanto affermato nella Relazione al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, nella quale si precisa che «Si introduce l’obbligo, con l’articolo 9, per gli enti territoriali di sopprimere o accorpare enti, agenzie ed organismi al fine di raggiungere una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento» e ribadito dal Relatore che ha illustrato il provvedimento alla Commissione Bilancio della Camera nella seduta del 1° agosto 2012, ma risulta dalla stessa lettera della disposizione legislativa. Infatti la platea dei soggetti destinatari dell’intervento è costituita esclusivamente da quelli che esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali (ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera p, Cost.) o funzioni amministrative spettanti ai suddetti enti locali ai sensi dell’art. 118 Cost. Il riferimento, nell’incipit della disposizione, alle "Regioni” deve, quindi, intendersi come una fuorviante indicazione del soggetto, dotato di potere legislativo, che, ai sensi del comma secondo dell’art. 118 Cost., può, unitamente allo Stato, conferire agli enti locali funzioni amministrative.

La disposizione che potrebbe interferire con l’organizzazione amministrativa regionale è il comma 5 dell’art. 9, che prevede l’obbligo per le Regioni di procedere, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, all’adeguamento ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgano, ai sensi dell’art. 118 Cost., funzioni conferite alle medesime Regioni.

Pertanto le censure delle ricorrenti aventi ad oggetto la violazione da parte dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 della competenza legislativa residuale delle Regioni nella materia «organizzazione regionale» di cui all’art. 117, comma quarto, Cost. non sono fondate.

Per lo stesso motivo, non sono fondate anche le censure proposte rispettivamente dalla Regione Lazio in relazione alla violazione dell’art. 123 Cost., che rimette alla potestà statutaria la determinazione dei principi fondamentali dell’organizzazione regionale (nei limiti dei principi fondamentali) e quella della Regione Veneto, in relazione agli artt. 117, comma terzo, 118 e 119 Cost. per l’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria regionale.

3.2.− La Regione Lazio impugna l’art. 9, comma 1, anche sotto il profilo dell’illegittima imposizione agli enti locali, da parte del legislatore statale, dell’obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art. 117, comma sesto, Cost., che riconosce ai predetti enti la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte anche attraverso enti, agenzie ed organismi vari.

La Regione Veneto, invece, lamenta la violazione, da parte della norma citata, dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost..

Va premesso che tali censure sono ammissibili in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, le Regioni sono legittimate a denunciare l’illegittimità costituzionale di una legge statale anche per violazione delle competenze proprie degli Enti locali perché la «stretta connessione in particolare [...] in tema di finanza regionale tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consent(e) di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 298 del 2009, n. 169 del 2007, n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).

3.3.− Le questioni non sono fondate.

Il legislatore motiva la previsione di obblighi di soppressione o accorpamento o riduzione degli oneri finanziari con le «esigenze di coordinamento, conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, (di) contenimento della spesa e […] migliore svolgimento delle funzioni amministrative».

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secondo cui il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).

Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del 2011, nonché sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007).

In altri termini, le norme statali devono limitarsi a porre obiettivi di contenimento senza prevedere in modo esaustivo strumenti e modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi in modo che rimanga uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011). Inoltre, la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.

Sulla base delle considerazioni che precedono e in applicazione dei canoni interpretativi sopra indicati deve ritenersi che le disposizioni contenute nell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 costituiscono effettivamente espressione di principi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica proprio per la chiara finalità di riduzione della spesa e per la proporzionalità dell’intervento rispetto al fine che il legislatore statale intende perseguire. La norma impugnata, infatti, dopo aver indicativamente previsto la possibilità di una soppressione o di un accorpamento degli «enti, agenzie e organismi comunque denominati», limita il contenuto inderogabile della disposizione al risultato di una riduzione del 20 per cento dei costi del funzionamento degli enti strumentali degli enti locali. In sostanza, l’accorpamento o la soppressione di taluni di questi enti può essere lo strumento, ma non il solo, per ottenere l’obiettivo di una riduzione del 20 per cento dei costi.

Per il raggiungimento di questo obiettivo, i commi 2 e 3 prevedono un duplice procedimento volto alla ricognizione di tali enti e all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione del principio posto dal comma 1 con il coinvolgimento delle autonomie locali. Il comma 2 dell’art. 9, infatti, prevede che «con accordo sancito in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si provvede alla complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica di cui al comma 1» mentre il comma 3 rimanda l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma e per la definizione delle modalità di monitoraggio ad un’intesa «ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e sulla base del principio di leale collaborazione».

Il legislatore statale ha, dunque, previsto un ampio coinvolgimento anche delle autonomie locali nell’individuare le modalità della riduzione dei costi degli enti strumentali mediante lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

Deve, pertanto, ritenersi che quanto disposto dal comma in questione non comporti, di per sé, una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. all’autonomia degli enti locali, cui la legge statale può legittimamente prescrivere criteri ed obiettivi di riduzione dei costi. Va anche sottolineato che l’obiettivo di riduzione degli oneri finanziari relativi agli enti strumentali in misura non inferiore al 20 per cento è rispettoso del canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto alla sfera di autonomia degli enti locali.

4.− Il comma 1-bis dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 è impugnato dalla sola Regione Veneto nella parte in cui esclude dall’ambito di applicazione del comma 1 le aziende speciali, gli enti e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

Secondo la ricorrente, tale disposizione impedirebbe alle Regioni il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

4.1.− La questione non è fondata.

Infatti, come si è detto, gli enti strumentali delle Regioni sono esclusi dall’ambito di applicazione del comma 1, che invece si rivolge solo a enti, agenzie e organismi comunque denominati che svolgono funzioni amministrative – fondamentali o conferite − di Comuni, Province e Città metropolitane.

5.− La Regione Lazio impugna i commi 2 e 3 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui prevedono una procedura concertata per la ricognizione di tutti gli «enti, agenzie e organismi» e per la definizione, mediante intesa, da adottarsi in sede di Conferenza unificata, dei «criteri e della tempistica» per l’attuazione della norma.

La ricorrente evidenzia l’eccessiva astrattezza e genericità del meccanismo volto all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma in assenza di titoli di legittimazione statale, non essendo le norme citate ascrivibili alla competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. e, in ogni caso, non potendosi qualificare le stesse quali norme di principio nella suddetta materia.

5.1.− La questione non è fondata.

Il processo di razionalizzazione degli enti pubblici strumentali, attraverso la loro trasformazione, soppressione o accorpamento, con l’obiettivo del contenimento dei costi, presenta problematiche particolarmente complesse in relazione alle esigenze di riorganizzazione dell’esercizio delle funzioni precedentemente svolte dagli enti in oggetto e al trasferimento del personale dipendente.

Va ribadito ancora una volta che le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 9 si rivolgono esclusivamente ad enti, agenzie e organismi comunque denominati che svolgono funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane e, che pertanto, le stesse non ledono alcuna prerogativa organizzativa o finanziaria regionale.

Il legislatore statale, con le citate disposizioni, sempre in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa corrente per il funzionamento degli enti strumentali degli enti locali, si limita a individuare un procedimento che vede il più ampio coinvolgimento delle autonomie locali, oltre che delle stesse Regioni, mediante il meccanismo dell’intesa in sede di conferenza unificata, per stabilire concretamente le modalità con le quali deve essere raggiunto l’obiettivo prefissato di riduzione di spesa.

Ne consegue che le disposizioni impugnate, considerate nel loro insieme e in relazione al risultato finale che esse si prefiggono di raggiungere, non si pongono in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost., in quanto non prevedono «in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il perseguimento» di obiettivi di riequilibrio finanziario, non introducono limiti puntuali a singole voci di spesa degli enti locali e, pertanto, non comportano alcuna indebita invasione dell’autonomia finanziaria degli enti locali (sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).

6.− Le Regioni ricorrenti impugnano anche il comma 4 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012.

Tale disposizione prevede che «decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, se le Regioni, le Province e i Comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi. Sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi».

La Regione Lazio ritiene che detto comma violi l’art. 117, comma quarto, Cost. in quanto norma ascrivibile alla materia "organizzazione amministrativa” della Regione e l’art. 123 Cost. perché i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni sono riservati all’autonomia statutaria.

La Regione Veneto afferma che la citata disposizione, introducendo precetti specifici e puntuali che chiaramente comprimono l’autonomia finanziaria regionale e degli enti locali, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost. Ritiene anche violati gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto sarebbe leso il principio di "ragionevolezza della legislazione”.

In particolare, la Regione lamenta, da un lato che la norma impugnata non consente il contenimento della spesa pubblica per il tramite della riduzione di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti che svolgono determinate funzioni amministrative e dall’altro, che è impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

Va, preliminarmente, affermata l’ammissibilità di tutte le censure, anche se non riferite a parametri relativi al riparto delle competenze legislative.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative (ex plurimis, sentenze n. 128 e n. 33del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010).

Nel caso in esame l’automatica soppressione di tutti gli enti strumentali degli enti locali impedisce che questi possano svolgere anche le funzioni eventualmente conferite ai medesimi dal legislatore regionale nell’esercizio delle proprie competenze legislative.

Risulta evidente, pertanto, che la questione, se pure sollevata in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., coinvolga anche le attribuzioni costituzionali delle Regioni.

6.1.− La questione è fondata.

Il legislatore statale, decorso il termine di nove mesi dall’approvazione del decreto-legge, sopprime in modo indistinto tutti gli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite di Province e Comuni senza che questi siano sufficientemente individuati.

L’incertezza circa i soggetti destinatari della norma è tale che, come si è visto, lo stesso legislatore statale ha ritenuto necessario un procedimento concertato per la complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica da sopprimere o accorpare e per l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma.

Risulta palese, pertanto, la contraddittorietà della disposizione in esame, che stabilisce la soppressione ex lege di tutti gli enti comunque denominati allo scadere del termine di nove mesi dall’approvazione del decreto-legge non tenendo conto della previsione di cui ai commi 2 e 3, istitutiva di un procedimento volto alla ricognizione dei suddetti enti e all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma con il coinvolgimento delle autonomie locali.

Inoltre, l’automatica soppressione di enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che esercitano, anche in via strumentale, funzioni nell’ambito delle competenze spettanti a Comuni, Province, e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost., prima che tali enti locali abbiano proceduto alla necessaria riorganizzazione, pone a rischio lo svolgimento delle suddette funzioni, rischio ulteriormente aggravato dalla previsione della nullità di tutti gli atti adottati successivamente allo scadere del termine.

In conclusione, la difficoltà di individuare quali siano gli enti strumentali effettivamente soppressi e la necessità per gli enti locali di riorganizzare i servizi e le funzioni da questi svolte rendono l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 manifestamente irragionevole

Restano assorbite le restanti censure della norma in esame sollevate dalle Regioni Lazio e Veneto in relazione ad altri parametri.

7.− La Regione Veneto impugna anche il comma 5 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui prevede che: «Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione, funzioni amministrative conferite alle medesime regioni».

Secondo la ricorrente, in tal modo il legislatore statale imporrebbe alle Regioni di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost.

7.1.− La questione non è fondata.

Una volta riconosciuta al comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 la natura di normativa di principio nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. deve, a maggior ragione, riconoscersi la medesima natura anche al successivo comma 5.

Con tale disposizione, infatti, il legislatore statale ha fissato degli obiettivi di riduzione dei costi degli enti strumentali lasciando alle Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, il più ampio spazio di autonomia per adeguarsi ai principi stabiliti dal comma 1. Infatti, mentre con riferimento alla riduzione dei costi degli enti strumentali degli enti locali, come si è visto, è stata prevista una procedura concertata particolarmente celere per dare attuazione alla norma, invece, per quanto riguarda le Regioni non è stato previsto alcun termine e non è stata imposta alcuna specifica modalità per l’adeguamento dell’ordinamento regionale ai suddetti principi.

La disposizione impugnata, dunque, costituisce principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo, Cost.) ed è pertanto ascrivibile a tale titolo alla competenza legislativa concorrente dello Stato. Ne consegue che l’eventuale impatto di essa sull’autonomia finanziaria (119 Cost.) ed organizzativa (117, comma quarto, e 118 Cost.) delle Regioni si traduce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della legittimità costituzionale» (sentenza n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).

8.− La Regione Veneto, infine, impugna il comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, ritenendo che tale disposizione, nella parte in cui vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost., violi gli artt. 117, comma 2, lettera p), 118 e 119 Cost., perché, non disciplinando gli organi di governo e le funzioni fondamentali degli Enti locali, invade una materia riservata alla potestà legislativa regionale e interferisce con l’autonomia amministrativa e finanziaria degli Enti locali oltre che con il potere di conferire funzioni amministrative agli Enti locali.

8.1.− La questione relativa al comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 non è fondata nei sensi di seguito precisati.

La norma impugnata stabilisce il divieto per gli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 Cost. Tale disposizione deve essere necessariamente coordinata con quanto stabilito nei commi precedenti e, in particolare, nel comma 1.

Infatti l’obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20 per cento, anche mediante la soppressione o l’accorpamento dei medesimi. Pertanto la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che il divieto di istituire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione del 20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire che, se, complessivamente, le spese per «enti, agenzie e organismi comunque denominati» di cui ai commi 1 e 6 del citato art. 9, resta al di sotto dell’80 per cento dei precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6.

Una siffatta interpretazione, costituzionalmente orientata, si rende necessaria anche per consentire agli enti locali di dare attuazione al comma 1 mediante l’accorpamento degli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite. In tal modo, infatti, gli enti locali potranno procedere all’accorpamento degli enti strumentali esistenti anche mediante l’istituzione di un nuovo soggetto, purché sia rispettato l’obiettivo di riduzione complessiva dei costi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge oggetto di impugnazione;

riuniti i giudizi;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2, 3, 5 e 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 1-bis, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, commi secondo, lettera p), terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costituzione, dalle Regioni Lazio e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate – nei sensi di cui in motivazione − le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi secondo e quarto, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2013.