Sentenza n. 193 del 2012

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SENTENZA N. 193

ANNO 2012

 

Commento alla decisione di

 

Ettore Jorio

La Consulta "raccomanda” l’applicazione del federalismo fiscale e "invita” alle riforme strutturali

 

(per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alfonso                   QUARANTA                                                Presidente

- Franco                     GALLO                                                           Giudice

- Luigi                       MAZZELLA                                                        

- Gaetano                  SILVESTRI                                                         

- Sabino                     CASSESE                                                            

- Giuseppe                 TESAURO                                                           

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                   

- Giuseppe                 FRIGO                                                                 

- Alessandro              CRISCUOLO                                                      

- Paolo                       GROSSI                                                               

- Giorgio                    LATTANZI                                                          

- Aldo                        CAROSI                                                               

- Marta                      CARTABIA                                                         

- Sergio                      MATTARELLA                                                   

- Mario Rosario         MORELLI                                                            

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 20, commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 4, 5 e 17-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e dell’art. 1, commi 8 e 9, lettera b), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, promossi con due ricorsi della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e con due ricorsi della Regione autonoma Sardegna, notificati il 14 settembre e il 15 novembre 2011, depositati in cancelleria il 20 settembre, il 22 ed il 24 novembre 2011, ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 94, 96, 139 e 160 del registro ricorsi 2011.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2012 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia, Massimo Luciani per la Regione Sardegna e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 20 settembre (reg. ric. n. 94 del 2011), la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e, tra queste, dell’art. 20, commi 4 e 5, per violazione degli artt. 116 e 119 della Costituzione, degli artt. 48 e 49 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e del principio di leale collaborazione.

1.1.— La ricorrente illustra anzitutto il contenuto precettivo del comma 4 dell’art. 20, secondo il quale, «fermo restando quanto previsto dal comma 3, ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica (…) si intendono estese anche agli anni 2014 e successivi» le misure previste per l’anno 2013 dall’art. 14, comma 1, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Ciò fino «alla entrata in vigore di un nuovo patto di stabilità interno fondato, nel rispetto dei principi del federalismo fiscale di cui all’articolo 17, comma 1, lettera c), della legge 5 maggio 2009, n. 42, sui saldi, sulla virtuosità degli enti e sulla riferibilità delle regole a criteri europei con riferimento all’individuazione delle entrate e delle spese valide per il patto».

La ricorrente segnala che le misure di cui all’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010 prevedono il contributo degli enti territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, nella misura fissata, in termini di fabbisogno e indebitamento netto, quanto alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, in 500 milioni di euro per l’anno 2011 ed in 1.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012 (lettera b).

In epoca successiva, la legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), con la tabella 1, richiamata dal comma 131 dell’art. 1, ha indicato per il Friuli-Venezia Giulia l’obiettivo della riduzione di spesa pari ad euro 77.216.900 per il 2011 e ad euro 154.433.800 l’anno per il 2012 ed il 2013.

Il senso dell’impugnato comma 4 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 sarebbe dunque quello di rendere stabili e continuative le indicate misure di contenimento finanziario.

Per altro – prosegue la ricorrente – il comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, anch’esso oggetto di censura, prevede ulteriori restrizioni di spesa per gli enti territoriali, misurate, quanto alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, in 1.000 milioni di euro per il 2013, ed in 2.000 milioni di euro a partire dal 2014.

Secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia, le norme censurate ledono l’autonomia finanziaria che è riconosciuta alla Regione medesima dall’art. 48 del suo statuto e dall’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost. Le stesse norme violerebbero l’art. 116, primo comma, Cost., e l’art. 49 del citato statuto speciale.

1.2.— Ai fini di un migliore inquadramento delle questioni promosse, la ricorrente evidenzia come le misure introdotte dalle norme impugnate si aggiungano ad altre, a partire da quelle previste dal già citato d.l. n. 78 del 2010 e fino alla previsione del comma 156 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, che richiede alla Regione Friuli-Venezia Giulia un ulteriore «effetto positivo sull’indebitamento netto», pari a 150 milioni di euro nel 2011, 200 milioni di euro nel 2012, 250 milioni di euro nel 2013, 300 milioni di euro nel 2014, 350 milioni di euro nel 2015, 340 milioni di euro nel 2016, 350 milioni di euro annui dal 2017 al 2030 e 370 milioni di euro annui a decorrere dal 2031.

Dopo aver operato un computo presuntivo degli oneri su di essa ricadenti, la ricorrente osserva come si tratti comunque di impegni destinati ad aumentare in virtù delle modifiche apportate alle norme impugnate, con effetto dal gennaio 2012, dall’art. 1, comma 8, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), in corso di conversione al momento della proposizione del ricorso e successivamente convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148. L’art. 1, comma 8, del citato d.l. n. 138 del 2011 ha infatti incrementato le diminuzioni di spesa prescritte, anticipandole al 2012.

1.3.— La Regione Friuli-Venezia Giulia ammette che l’imposizione agli enti regionali di contenimenti «transitori» delle spese non contrasta di per sé con la Costituzione (è citata, al proposito, la sentenza n. 284 del 2009 della Corte costituzionale), e che il vulnus all’autonomia finanziaria deve essere apprezzato valutando la complessiva disponibilità di risorse per l’assicurazione dei fini istituzionali. Proprio per tale ragione, tuttavia, la legittimità di singole disposizioni (le sole che possono essere impugnate, entro termini tassativi) dovrebbe essere misurata nel più ampio contesto degli interventi legislativi che concorrono alla realizzazione del medesimo obiettivo. In questa prospettiva, le norme impugnate sarebbero illegittime per contrasto con l’art. 119 Cost. e con l’art. 48 dello statuto speciale, in quanto finalizzate ad una riduzione della capacità di spesa tale da pregiudicare l’assolvimento delle funzioni pubbliche conferite alla Regione.

La ricorrente pone in rilievo che il primo comma dell’art. 116 Cost. attribuisce alle Regioni a statuto speciale margini privilegiati di autonomia, anche sul piano finanziario (è richiamata la sentenza n. 82 del 2007 della Corte costituzionale). Tuttavia, in violazione della norma costituzionale appena citata, i commi 4 e 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 riservano alle Regioni speciali ed alle Province autonome un trattamento deteriore rispetto a quello applicato per le Regioni ordinarie, esigendo dalle prime riduzioni di spesa complessivamente più rilevanti che per le seconde.

La sperequazione sarebbe tanto più irragionevole considerando che questa differenziazione opererebbe «in un contesto normativo stabile, quanto alle funzioni, per le Regioni ordinarie», mentre sarebbe aumentato il concorso specifico della Regione Friuli-Venezia Giulia, la quale sarebbe chiamata a partecipare all’attuazione del federalismo fiscale con una contribuzione di 370 milioni di euro l’anno, attraverso il versamento di somme allo Stato o la rinuncia ad assegnazioni statali connesse a leggi di settore, o infine assumendo direttamente funzioni amministrative attualmente esercitate dallo Stato, con gli oneri conseguenti (art. 1, comma 152, delle legge n. 220 del 2010).

A parere della ricorrente, dunque, se è vero che le risorse attribuite alle Regioni speciali sono più ampie, in dipendenza dell’assetto di competenze realizzato dalle leggi di rango costituzionale, è vero anche che solo questo tipo di leggi può modificare l’equilibrio corrispondente.

D’altra parte – osserva ancora la difesa regionale – l’art. 49 dello statuto speciale assicura determinate entrate per il perseguimento dei fini istituzionali della Regione (è citata la sentenza n. 74 del 2009 della Corte costituzionale), ma la relativa garanzia non avrebbe senso se fosse legittima una compressione sostanziale della capacità di utilizzare le entrate medesime per i fini propri, di talché le norme censurate violerebbero, indirettamente, anche il parametro statutario indicato.

1.4.— La Regione Friuli-Venezia Giulia non nega che anche le Regioni a statuto speciale siano soggette ai principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, i quali devono essere ovviamente fissati dallo Stato, anche in adempimento di obblighi europei (è richiamata la sentenza n. 82 del 2007 della Corte costituzionale); che siano esposte all’andamento del ciclo economico riguardo all’attribuzione di quote fisse del gettito fiscale; che siano chiamate a gestire la propria autonomia «in armonia con i princìpi della solidarietà nazionale» (come recita l’art. 48 dello statuto speciale).

Tuttavia la considerazione di tali valori deve avvenire mediante il ricorso a «strumenti costituzionalmente ammissibili nell’ordinamento». Così, ad esempio, le norme di attuazione statutaria (art. 4 del d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale») consentono allo Stato di non attribuire alla Regione le nuove entrate tributarie statali il cui gettito sia destinato, con apposite leggi, alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato, specificate nelle leggi medesime (è citata, in proposito, la sentenza n. 61 del 1987 della Corte costituzionale).

Inoltre, le stesse disposizioni statutarie sull’autonomia finanziaria possono sempre essere modificate senza ricorrere alla revisione con legge costituzionale, purché vi sia il coinvolgimento della Regione (art. 63, quinto comma, dello statuto speciale).

In termini generali, poi, i rapporti finanziari tra Stato e Regione sono ispirati al principio della determinazione consensuale, che vale a contemperare le esigenze di rispetto dei limiti alla spesa, imposti dal cosiddetto «patto di stabilità», con la peculiare autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale (sono richiamate le sentenze n. 82 del 2007 e n. 353 del 2004 della Corte costituzionale).

Quale espressione di tale principio, la ricorrente evoca la disposizione di cui all’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), che rimette alle norme di attuazione statutaria la concretizzazione dei principi del federalismo fiscale. Viene ricordato, inoltre, che i commi 152 e 156 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, concernenti lo specifico apporto del Friuli-Venezia Giulia al risanamento della finanza pubblica, sono il frutto di procedure di concertazione tra lo Stato e la Regione stessa.

Le norme impugnate sarebbero, pertanto, illegittime anche perché introdotte in violazione del principio costituzionale di collaborazione.

Da ultimo, la ricorrente sottolinea che dall’eventuale annullamento dei commi 4 e 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 non deriverebbe «alcun necessario pregiudizio alla "unità economica della Repubblica”, né ai principi di solidarietà nazionale, né agli obiettivi di risanamento finanziario», in quanto lo Stato continuerebbe ad avere tutti gli strumenti per perseguire tali obiettivi nel rispetto dell’autonomia regionale.

2.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato in data 24 ottobre 2011, chiedendo che il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

La difesa statale assume che le doglianze della ricorrente sarebbero infondate, anzitutto, in ragione dell’indebito accostamento operato tra misure che sono state adottate con finalità diverse. Le misure assunte con la legge n. 220 del 2010 afferirebbero principalmente all’attuazione del federalismo fiscale, nella prospettiva del contributo richiesto alle autonomie speciali secondo il disposto dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009. Le misure di cui alle norme oggetto dell’impugnazione, invece, implicano il concorso di tutti gli enti territoriali per il superamento di una crisi finanziaria grave e contingente, secondo gli impegni assunti anche in ambito europeo.

Secondo l’Avvocatura generale, la censura fondata sull’asserita sperequazione del carico imposto alle Regioni a statuto speciale sarebbe inammissibile, perché essenzialmente centrata sull’art. 3 Cost., e dunque su un parametro non evocabile nel giudizio di legittimità promosso in via principale. In ogni caso, le norme impugnate sarebbero intervenute ad eliminare uno squilibrio determinatosi con il d.l. n. 78 del 2010, che aveva imposto alle Regioni ordinarie un carico di gran lunga eccedente quello gravante sulle Regioni speciali.

Infondate, da ultimo, sarebbero anche le doglianze pertinenti al principio di leale collaborazione. Le norme in esame, infatti, non incidono né sulla procedura per l’annuale determinazione del livello complessivo delle spese e dei relativi pagamenti, né sulla procedura regolata dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, che attiene, peraltro, alla diversa materia dell’attuazione del federalismo fiscale.

3.— Con ricorso notificato il 14 settembre 2011 e depositato il successivo 20 settembre (reg. ric. n. 96 del 2011), la Regione autonoma Sardegna ha promosso – con riguardo agli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. ed agli artt. 1, 3, 4, 5, 7 ed 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 5, e 17-bis, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011, ed ulteriormente modificato dal d.l. n. 138 del 2011, in fase di conversione al momento del ricorso.

3.1.— In via preliminare, la ricorrente richiama il contenuto dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, ponendo a raffronto il testo originario della disposizione con quello modificato in sede di conversione del decreto, ed illustra le ulteriori modifiche subite dalla stessa disposizione per effetto degli interventi attuati con il d.l. n. 138 del 2011.

Tale ultima novella, in particolare, non avrebbe inciso sulla struttura della manovra realizzata mediante il d.l. n. 98 del 2011, i cui vizi sarebbero rimasti inalterati; piuttosto, il d.l. n. 138 del 2011 avrebbe modificato «alcuni dati quantitativi della manovra», anticipandone temporalmente gli effetti. Da quanto appena detto la ricorrente deduce l’irrilevanza, ai fini delle odierne censure, dell’eventuale mancata conversione, in tutto o in parte, del d.l. n. 138 del 2011.

Sempre in via preliminare, la Regione Sardegna richiama le modifiche recate all’art. 8 del suo statuto dall’art. 1, comma 834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007). Nella prospettazione della ricorrente, le nuove norme statutarie in materia di entrate regionali – la cui mancata attuazione, «per la colpevole inerzia dello Stato», ha dato luogo al promovimento di un conflitto di attribuzione, iscritto al numero 8 del registro conflitti enti 2011 – costituiscono parametro di valutazione della legittimità delle norme impugnate.

3.2.— Nel merito, la Regione lamenta, anzitutto, la violazione dell’art. 8 del proprio statuto, anche in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 5 e 7 dello statuto medesimo, ed agli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. La ricorrente osserva come la norma statutaria, per quanto modificata (secondo le previsioni dello stesso statuto) con disposizione di rango ordinario (legge n. 296 del 2006), funga comunque da parametro di valutazione della legittimità costituzionale delle norme impugnate (sono citate le sentenze n. 70 del 1987 e n. 215 del 1996 della Corte costituzionale).

Secondo la difesa regionale, l’interlocuzione con lo Stato, culminata nella menzionata riforma della norma statutaria sulle entrate regionali, dimostrerebbe per tabulas che la vecchia disciplina della materia non garantiva la possibilità di assolvere ai compiti istituzionali della Regione Sardegna. L’assetto scaturito dalla riforma, peraltro, non sarebbe ancora operativo a causa dell’inerzia statale riguardo agli adempimenti necessari allo scopo (questione oggetto del già citato ricorso per conflitto di attribuzione n. 8 del 2011).

Di conseguenza, la Regione Sardegna, «il cui regime delle entrate è stato esplicitamente ritenuto inadeguato», sarebbe assoggettata al «generale regime premiale e sanzionatorio, connesso al rispetto del patto di stabilità, in ragione di criteri palesemente irragionevoli se applicati ad un Ente che (…) è tuttora in attesa dell’ottenimento delle risorse cui ha statutariamente diritto».

3.3.— Per le ragioni anzidette la ricorrente impugna le disposizioni recate dal comma 2 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, le quali prevedono la divisione degli enti territoriali in classi di merito al fine di determinare la misura della loro partecipazione al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. In particolare, sono censurate le norme che stabiliscono i parametri per la valutazione della virtuosità degli enti, in quanto ritenuti incongruenti con la modifica statutaria avvenuta nel 2006.

Anzitutto, il criterio indicato alla lettera a) del comma 2 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, che mira a dare «prioritaria considerazione» alla «convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard», trascurerebbe la diversità dei costi sostenuti in una Regione insulare (come la Sardegna) rispetto a quelli cui si riferisce la norma impugnata. Ciò determinerebbe la violazione dell’art. 3 Cost., per l’indebita equiparazione fra situazioni diverse e per l’irragionevolezza della norma censurata, nonché degli artt. 5, 116, 117 e 119 Cost., che garantiscono l’autonomia della Regione Sardegna, con particolare riferimento (quanto all’art. 116) alla sua specialità e (quanto all’art. 119) alla sua autonomia finanziaria. Sarebbe altresì violato lo statuto speciale sardo, con particolare riferimento agli artt. 1 (che costituisce la Sardegna in Regione autonoma), 3, 4 e 5 (che elencano le funzioni regionali, il cui esercizio sarebbe palesemente pregiudicato dall’adozione del criterio sopra descritto), e 7 (che riconosce l’autonomia finanziaria della Regione).

Oltre alla lesione dei parametri costituzionali e statutari indicati, si determinerebbe una puntuale violazione dell’art. 8 dello statuto speciale; norma, questa, modificata proprio in ragione dell’inadeguatezza delle entrate regionali rispetto alle spese necessarie per l’assolvimento delle funzioni. Pertanto, l’imposizione alla Regione Sardegna dell’obbligo di convergere sui costi standard, senza alcun adattamento alle condizioni peculiari dell’ente, connesse all’insularità, produrrebbe il contrasto con l’art. 8 dello statuto speciale.

È impugnata anche la norma che individua fra i «parametri di virtuosità» il rispetto del patto di stabilità interno (lettera b del citato comma 2 dell’art. 20), in quanto non riconoscerebbe la peculiare situazione della Regione Sardegna che – si ribadisce – vedrebbe riconosciuta per statuto l’inadeguatezza delle proprie risorse finanziarie. La ricorrente precisa che non chiede di essere esonerata dai vincoli derivanti dal patto di stabilità e sottolinea come la necessità di assicurare comunque le funzioni di spettanza istituzionale comporti uno svantaggio inevitabile nella competizione tra le Regioni al fine di ottenere una classificazione elevata in punto di «virtuosità». Da quanto appena detto deriverebbe la violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. e degli artt. 1, 3, 4, 5 e 7 dello statuto speciale, per le ragioni già riferite in relazione alla lettera a) del comma 2 dell’art. 20.

In particolare, l’indisponibilità de facto delle maggiori risorse previste dall’art. 8 dello statuto impedirebbe alla Regione Sardegna di perseguire adeguatamente l’obiettivo di rispetto del patto di stabilità, con effetti tanto più dannosi ove tale rispetto fosse valutato secondo il criterio del saldo finanziario, come disposto dal comma 656 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006.

Quanto alla lettera d) del comma 2 dell’art. 20, che valorizza il criterio dell’autonomia finanziaria, la ricorrente ammette trattarsi, sul piano generale, di una norma ragionevole, che perderebbe però tale ragionevolezza ove riferita alla Regione Sardegna, stante la più volte citata indisponibilità dei mezzi che sarebbero necessari – per norma statutaria – al fine di esercitare detta autonomia. Ancora una volta, dunque, sarebbero violati gli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. e gli artt. 1, 3, 4, 5 e 7 dello statuto speciale, per le ragioni indicate in precedenza.

Analogamente, il criterio di cui alla successiva lettera e), riferito all’equilibrio di parte corrente del bilancio regionale, potrebbe ragionevolmente applicarsi alla ricorrente solo in regime di piena ed effettiva applicazione dell’art. 8 dello statuto speciale. Di qui la violazione degli anzidetti parametri costituzionali e statutari.

3.4.— La Regione Sardegna assume l’illegittimità dei commi 2-bis e 2-ter dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, i quali fissano ulteriori indicatori che dovranno essere valutati in vista del decreto interministeriale di classificazione degli enti territoriali in fasce di merito. In particolare, il comma 2-bis stabilisce criteri connessi alla qualità dei servizi ed il comma 2-ter un meccanismo di correzione in base al miglioramento dei misuratori di cui al precedente comma 2. Anche in questo caso, vi sarebbe violazione dei parametri costituzionali e statutari più volte indicati, essendo la ricorrente discriminata, a causa della «conclamata insufficienza delle risorse attribuite», circa le possibilità effettive di accesso ad una elevata classificazione, tale in potenza da sottrarre la stessa ricorrente all’obbligo di contribuire agli obiettivi di finanza pubblica.

3.5.— Per quest’ultima ragione, in particolare, sarebbe illegittimo anche il comma 3 dell’art. 20, il quale appunto stabilisce che gli enti classificati al livello più elevato di «virtuosità», fermo restando l’obiettivo del comparto, sono esonerati dal concorso al risanamento.

3.6.— Sempre alla luce dell’asserita difformità dei flussi finanziari disponibili rispetto alle statuizioni dell’art. 8 del proprio statuto, la Regione Sardegna assume l’illegittimità del comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, ove si dispone il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica con «ulteriori misure» in termini di fabbisogno e di indebitamento netto.

Per i motivi più volte indicati, l’analogia di trattamento rispetto alle altre Regioni, pur nella perdurante mancata attuazione della previsione statutaria in materia di finanza regionale, implicherebbe la violazione dell’art. 8 dello statuto speciale, anche in rapporto ai principi di uguaglianza e ragionevolezza fissati all’art. 3 Cost. La norma impugnata contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto, nonché con gli artt. 5, 116, 117 e 119 Cost., per le ragioni già riferite in relazione ai commi precedenti dell’art. 20.

La ricorrente pone in particolare rilievo, sempre con riguardo al comma 5, come resti frustrato il principio di finanziamento integrale delle funzioni demandate alle Regioni ex art. 119 Cost. (sono citate le sentenze n. 245 del 1984 e n. 307 del 1983 della Corte costituzionale), anche alla luce del fatto che nuove funzioni sono state trasferite alla Sardegna proprio con la legge di riforma dell’art. 8 del relativo statuto (art. 1, commi 836 e 837, della legge n. 296 del 2006).

A parere della Regione Sardegna, il comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 violerebbe gli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto sardo e gli artt. 3, 116, 117 e 119 Cost. anche per il trattamento discriminatorio riservato alle Regioni ad autonomia speciale, cui sarebbe imposto un onere irragionevolmente più gravoso di quello posto a carico delle Regioni a statuto ordinario.

Ancora una volta, la sperequazione avrebbe speciale rilievo quanto alla ricorrente, per le ragioni ormai ripetutamente indicate. La prova che lo Stato avrebbe potuto e dovuto adottare modelli differenziali di concorso alla stabilizzazione finanziaria sarebbe data, ad esempio, dalle disposizioni concernenti il «Piano Sud» assunte con il d.l. n. 138 del 2011, (in corso di conversione al momento dell’odierno ricorso e successivamente convertito dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011), ove è stabilita l’assunzione in carico da parte dello Stato e delle altre Regioni di una porzione degli oneri potenzialmente spettanti alle Regioni interessate dal suddetto Piano (art. 5-bis).

La Regione Sardegna prospetta ulteriormente la violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 del proprio statuto e degli artt. 3, 116, 117 e 119 Cost., in quanto la creazione di uno «pseudo-comparto» comprendente tutte le autonomie regionali sarebbe del tutto irrazionale, assimilando realtà disomogenee sotto molteplici aspetti, quand’anche si avesse riguardo alle sole Regioni a statuto speciale. La disposizione impugnata avrebbe infatti completamente trascurato le differenti discipline che segnano la compartecipazione alle entrate, a norma, per la Sardegna, del più volte citato art. 8 dello statuto, e delle rispettive disposizioni statutarie quanto alla Sicilia (artt. 36 e seguenti), alla Valle d’Aosta (art. 12), al Friuli-Venezia Giulia (art. 48 e seguenti), al Trentino-Alto Adige (artt. 69 e seguenti).

La indebita assimilazione di trattamento ridonderebbe a carico della ricorrente, vulnerando la sua autonomia finanziaria, garantita dall’art. 7 dello statuto e dall’art. 119 Cost.

3.7.— A parere della Regione Sardegna, e sempre per le stesse ragioni, anche il comma 17-bis dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, che stabilisce riduzioni dei rimborsi e delle compensazioni relativi alle imposte, «dell’importo di 700 milioni di euro per l’anno 2013 e di 1.400 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014», avrebbe dovuto recare un differente trattamento per la ricorrente.

3.8.— È censurato, infine, il comma 2-quater del citato art. 20, che sostituisce il comma 31 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, concernente l’esercizio in forma associata di funzioni fondamentali da parte dei Comuni. L’intervento statale in detta materia violerebbe l’art. 3, primo comma, lettera b), dello statuto speciale della Sardegna. Tale norma riserva infatti alla Regione la potestà legislativa in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».

La disposizione impugnata, ed in particolare l’innalzamento della soglia demografica per l’identificazione dei Comuni obbligati all’esercizio associato delle funzioni, non potrebbe essere considerata quale norma fondamentale delle «riforme economico-sociali della Repubblica», e dunque violerebbe la competenza esclusiva della ricorrente.

3.9.— Da ultimo, la difesa regionale sottolinea che le censure da essa formulate sono rivolte al testo del d.l. n. 98 del 2011, come risultante a seguito della sua conversione in legge e della successiva entrata in vigore del d.l. n. 138 del 2011 (non ancora convertito in legge al momento della proposizione del ricorso). Al riguardo, la ricorrente precisa che l’eventuale mancata conversione in legge del d.l. n. 138 del 2011 sarebbe comunque priva di conseguenze rispetto alle censure mosse al provvedimento impugnato, rimasto inalterato nella sua struttura essenziale. Nel caso opposto, le stesse censure dovrebbero trasferirsi sulla legge di conversione, a condizione che questa non modifichi la sostanza normativa del decreto (sono citate le sentenze n. 326 del 2010 e n. 232 del 2011 della Corte costituzionale).

4.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato il 24 ottobre 2011, chiedendo che il ricorso della Regione Sardegna venga respinto in quanto infondato.

La difesa statale, dopo aver riassunto le doglianze prospettate con il ricorso, osserva preliminarmente come tutte le norme impugnate siano finalizzate al risanamento della finanza pubblica, obiettivo cui nessun ente territoriale potrebbe sottrarsi.

4.1.— In particolare, le censure mosse al comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, pur formalmente centrate sull’asserita violazione dell’art. 8 dello statuto della Regione interessata, sarebbero in effetti riferite ai principi di uguaglianza e ragionevolezza, riconducibili ad un parametro, l’art. 3 Cost., che le Regioni non possono invocare nel giudizio in via principale, salva la prova della ridondanza della lesione sul terreno delle attribuzioni di competenza (è citata la sentenza n. 116 del 2006 della Corte costituzionale).

Si tratterebbe, in ogni caso, di doglianze infondate. L’onere più elevato per le Regioni a statuto speciale, derivante dalla norma censurata, sarebbe infatti destinato a compensare lo squilibrio determinato dall’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, che aveva imposto alle Regioni a statuto ordinario risparmi di spesa di gran lunga più elevati di quelli richiesti alle restanti Regioni ed alle Province autonome.

In ogni caso, le autonomie speciali sarebbero preservate dalla perdurante necessità di un accordo con il Ministro dell’economia e delle finanze, da raggiungere entro il 31 dicembre dell’anno precedente, circa il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti.

4.2.— Quanto alle censure concernenti i commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3 e 17-bis del citato art. 20, l’Avvocatura generale dello Stato osserva come le norme sul patto di stabilità interno non possano costituire il terreno di attuazione del testo riformato dell’art. 8 dello statuto speciale della Sardegna. D’altra parte, i commi 838 e 839 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, non prevedendo alcuna copertura in termini di indebitamento netto, a seguito della disposta riforma dell’art. 8 dello statuto speciale della Sardegna, avrebbero presupposto il rispetto dei vincoli di spesa recati dal patto di stabilità.

L’autonomia delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome sarebbe comunque preservata, a parere dello Stato, dalla non diretta applicabilità nei loro confronti dei parametri di «virtuosità» censurati dalla ricorrente, vista la già citata necessità di concordare annualmente, con lo Stato, il livello delle spese e dei pagamenti.

D’altra parte, lo stesso parametro della convergenza della spesa storica ai fabbisogni ed ai costi standard sarebbe privo di rilievo diretto per le Regioni a statuto speciale, in base all’art. 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) ed all’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province). Per le autonomie speciali, piuttosto, resta fermo il disposto dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, a mente del quale le modalità di concorso al perseguimento degli obiettivi convergenti sulla stabilità finanziaria sono definite con norme di attuazione dei rispettivi statuti, approvate secondo le procedure previste. Lo stesso art. 27, al comma 2, dispone che le citate norme di attuazione tengono conto dei fattori peculiari di ogni realtà regionale e provinciale, anche con specifico riguardo agli svantaggi strutturali permanenti ed ai costi dell’insularità.

5.— Con memoria depositata il 29 maggio 2012 la Regione Sardegna, nell’insistere per l’accoglimento del ricorso, ha inteso replicare alle osservazioni sviluppate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

5.1.— Riguardo alla pretesa inammissibilità delle censure fondate sull’art. 3 Cost., relativamente al comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, la ricorrente rammenta d’aver evocato una lunga serie di parametri posti a protezione della sua autonomia (anche) finanziaria, e ricorda che la giurisprudenza costituzionale ammette il riferimento a parametri «intimamente connessi» a quelli che presidiano le competenze e le prerogative regionali.

5.2.— Nel merito, l’argomento per il quale la norma impugnata varrebbe a compensare un preteso precedente squilibrio in danno delle Regioni a statuto ordinario costituirebbe la conferma che le norme attuali sono squilibrate in danno delle Regioni speciali. D’altra parte, la ragionevolezza della sperequazione non potrebbe essere misurata in una logica di «regressus ad infinitum», pena la sostanziale insindacabilità delle disposizioni assunte.

La Regione Sardegna nega rilevanza, poi, alla procedura negoziale – prevista dall’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010 – per la definizione del patto di stabilità territoriale. La Corte costituzionale avrebbe infatti già chiarito come detta procedura debba comunque svilupparsi entro l’ambito finanziario definito, tra l’altro, dalla normativa censurata (è citata la sentenza n. 118 del 2012).

Infine, osservando che il Presidente del Consiglio non avrebbe obiettato agli ulteriori ed essenziali argomenti posti a sostegno della questione promossa, la ricorrente richiama nuovamente detti argomenti, nei termini sopra sintetizzati.

5.3.— La Regione Sardegna procede quindi all’esame dei rilievi mossi alle censure concernenti i commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater e 17-bis del citato art. 20, nel contempo analizzando le variazioni introdotte dall’art. 30 della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012).

Anzitutto, il comma 4 dell’art. 30 ha abrogato una delle norme impugnate, il comma 2-ter dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, con l’effetto di eliminare finanche il meccanismo di correzione, previsto nella norma abrogata, cui il Presidente del consiglio aveva fatto riferimento per sostenere la ragionevolezza complessiva della disciplina censurata.

Le modifiche recate al comma 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 – per mezzo dell’art. 30, comma 2, della legge n. 183 del 2011 – sarebbero irrilevanti per le Regioni a statuto speciale, in quanto prevederebbero riduzioni del contributo richiesto solo in favore di altri enti territoriali.

Priva di rilevanza sarebbe anche l’intervenuta modifica del comma 2 dell’art. 20 citato (ad opera dell’art. 30, comma 3, lettera a, della legge n. 183 del 2011), con la conseguente riduzione da quattro a due delle classi di merito istituite in punto di «virtuosità» degli enti territoriali. La ricorrente, infatti, ha inteso escludere in radice la legittimità di una comparazione con altre Regioni nel contesto della mancata attuazione del testo novellato dell’art. 8 del proprio statuto.

Ancor più irrilevanti sarebbero le ulteriori modifiche recate alle norme impugnate.

Nel merito, la Regione Sardegna afferma di condividere l’«interpretazione conforme a Costituzione», desumibile dall’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui le procedure valutative in questione, ed in particolare il criterio di prioritaria convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard, non sarebbero applicabili alle Regioni a statuto speciale. Tuttavia solo l’accoglimento delle questioni sollevate darebbe certezza agli interpreti e sarebbe integralmente satisfattivo, alla luce del principio – asseritamente enunciato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 118 e n. 99 del 2012 – per il quale la Sardegna non potrebbe essere coinvolta nel patto di stabilità fino a quando non sia data piena attuazione all’art. 8 del suo statuto.

In particolare, con la citata sentenza n. 118 del 2012, sarebbe stata stabilita la necessità di considerare l’attuale vigenza della norma statutaria sulle entrate regionali nella procedura negoziale concernente il patto di stabilità territoriale, non potendo rimanere «indipendenti e non coordinati, nel suo ambito, i profili della spesa e quelli dell’entrata». La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 99 del 2012, pure citata, avrebbe inoltre smentito l’assunto della parte resistente, secondo cui l’attuazione del testo novellato dell’art. 8 dello statuto richiederebbe necessariamente l’intervento legislativo dello Stato: infatti, sarebbe stato riconosciuto il diritto della Regione Sardegna di redigere il proprio bilancio preventivo in base alle previsioni della norma statutaria, la cui attuazione non richiederebbe affatto la procedura regolata dall’art. 56 dello statuto medesimo (cioè mediante specifiche norme di attuazione).

6.— Con ricorso notificato il 15 novembre 2011 e depositato il successivo 22 novembre (reg. ric. n. 139 del 2011), la Regione Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011, e, tra queste, dell’art. 1, comma 8, per violazione degli artt. 116 e 119 Cost., degli artt. 48 e 49 della legge cost. n. 1 del 1963 e del principio di leale collaborazione.

6.1.— La ricorrente evidenzia come il comma 5 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011 avesse posto a carico delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, un onere di 1.000 milioni di euro per il 2013 e di 2.000 milioni a decorrere dal 2014. Per effetto delle modifiche recate dalla norma impugnata, gli oneri sono stati anticipati al 2012 e fissati in 2.000 milioni di euro.

Secondo la difesa regionale, l’impatto effettivo della normativa impugnata sulla sua autonomia finanziaria e sulle risorse disponibili per lo svolgimento delle funzioni istituzionali può essere compreso solo rilevando come gli oneri relativi si aggiungano a quelli già imposti nel corso del 2010.

A norma dell’art. 14, comma 1, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano sono state chiamate a concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013, in «termini di fabbisogno e indebitamento netto», per 500 milioni di euro per l’anno 2011 e 1.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2012. Con il comma 131 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, e con la tabella 1 allegata alla legge medesima, è stato stabilito un concorso della Regione Friuli-Venezia Giulia alla manovra finanziaria per oltre 77 milioni di euro nel 2011, e per oltre 154 milioni euro l’anno riguardo al biennio successivo. Infine, a norma dell’art. 1, comma 156, della stessa legge n. 220 del 2010, la ricorrente è chiamata a garantire un effetto positivo sull’indebitamento netto, ulteriore rispetto a quello previsto dalla legislazione vigente, di 150 milioni di euro nel 2011, di 200 milioni di euro nel 2012, di 250 milioni di euro nel 2013, di 300 milioni di euro nel 2014, di 350 milioni di euro nel 2015, di 340 milioni di euro nel 2016, di 350 milioni di euro annui dal 2017 al 2030, e di 370 milioni di euro annui a decorrere dal 2031.

A tutto ciò si sono aggiunti gli oneri previsti dall’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, come implementati dalle norme impugnate nella presente sede.

6.2.— La Regione Friuli-Venezia Giulia ribadisce che l’imposizione agli enti regionali di contenimenti «transitori» delle spese non contrasta di per sé con la Costituzione e che il vulnus all’autonomia finanziaria deve essere apprezzato valutando la complessiva disponibilità di risorse per l’assicurazione dei fini istituzionali. Proprio per tale ragione, tuttavia, la legittimità di singole disposizioni (le sole che possono essere impugnate, entro termini tassativi) dovrebbe essere misurata nel più ampio contesto degli interventi legislativi che concorrono alla realizzazione del medesimo obiettivo. In questa prospettiva, le norme impugnate sarebbero illegittime per contrasto con l’art. 119 Cost. e con l’art. 48 dello statuto speciale, in quanto finalizzate ad una riduzione della capacità di spesa tale da pregiudicare l’assolvimento delle funzioni pubbliche conferite alla Regione.

6.3.— La lesione denunciata sarebbe resa ancor più evidente dalla violazione concorrente degli ulteriori parametri evocati. In particolare, la ricorrente prospetta un contrasto tra la norma impugnata e l’art. 116, primo comma, Cost., che comprende l’autonomia finanziaria tra le condizioni particolari riconosciute alle Regioni a statuto speciale.

La disciplina censurata realizzerebbe una grave sperequazione tra le Regioni ordinarie (chiamate per il 2012 ad un contributo complessivo di 1.600 milioni di euro) e le meno numerose Regioni speciali e Province autonome (chiamate per lo stesso anno ad un contributo di 2.000 milioni, 762 dei quali a carico del Friuli-Venezia Giulia).

La sperequazione sarebbe tanto più ingiustificata in quanto, mentre per le Regioni ordinarie sarebbe stabile il quadro delle funzioni istituzionalmente demandate, il concorso specifico della ricorrente all’attuazione del federalismo fiscale è stato incrementato, a norma dell’art. 1, comma 152, della citata legge n. 220 del 2010.

L’indicata alterazione dei rapporti non potrebbe essere giustificata, secondo la Regione, dal maggior flusso di risorse verso gli enti a statuto speciale. I rapporti di scala nella divisione delle risorse, come disegnati dall’ordinamento costituzionale, non potrebbero essere modificati se non percorrendo «le vie costituzionalmente prescritte», e non certamente con le norme ordinarie oggetto delle odierne censure.

Dette norme, d’altra parte, violerebbero anche l’art. 49 dello statuto della ricorrente, che garantisce alla Regione determinate entrate (è citata la sentenza n. 74 del 2009 della Corte costituzionale), e che non può essere eluso attraverso una massiccia riduzione della spesa.

Il necessario concorso degli enti territoriali allo sforzo generale della stabilizzazione finanziaria, anche in ossequio ad obblighi europei, può certamente essere assicurato, ma solo attraverso gli strumenti ammessi dall’ordinamento costituzionale. Tra questi, le norme di attuazione statutaria (è citata la sentenza n. 75 del 1967 della Corte costituzionale), le quali consentono deroghe finalizzate ad assicurare finalità contingenti o continuative dello Stato, che però siano oggetto di una specifica clausola di destinazione (è citata la sentenza n. 61 del 1987), e che possono essere modificate con legge ordinaria, purché nel procedimento sia coinvolta la Regione interessata (art. 63, quinto comma, dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia).

La Corte costituzionale avrebbe chiarito che l’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni all’azione di risanamento della finanza pubblica deve essere contemperato con la peculiare autonomia finanziaria delle Regioni a statuto speciale, attraverso il metodo dell’accordo tra le Regioni stesse ed il Ministero dell’economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti (sono citate le sentenze n. 82 del 2007 e n. 353 del 2004). A tale principio sarebbero ispirate le discipline introdotte con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e con l’art. 1, commi 152 e 156, della legge n. 220 del 2010, già citate. Lo stesso carattere, invece, farebbe difetto nella normativa impugnata.

7.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato il 23 dicembre 2011, chiedendo che il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia sia respinto.

L’Avvocatura generale ricorda come le misure disposte dal decreto-legge impugnato costituiscano un intervento emergenziale, originato da una situazione di carattere eccezionale e finalizzato al risanamento della finanza pubblica. Più volte la Corte costituzionale avrebbe riconosciuto che l’autonomia delle Regioni a statuto speciale non vale ad esimerle da vincoli di bilancio introdotti dal legislatore statale «in via transitoria o in vista di specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (sentenza n. 36 del 2004; sono citate anche le sentenze n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, nn. 353, 345 e 36 del 2004). La Corte avrebbe anche precisato come lo Stato, nell’ambito della propria competenza esclusiva in materia tributaria (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), possa disporre in merito alla disciplina di tributi da esso istituiti, anche se il correlativo gettito sia di spettanza della Regione, purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte.

Le doglianze della ricorrente sarebbero dunque generiche, inidonee a documentare la grave alterazione del rapporto tra bisogni regionali e risorse finanziare complessivamente messe a disposizione della Regione, con conseguente inammissibilità delle questioni sollevate.

7.1.— Le questioni sarebbero, comunque, infondate. La ricorrente avrebbe arbitrariamente accostato gli oneri derivanti dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 138 del 2011, che sono finalizzati al risanamento della finanza pubblica, e le disposizioni relative all’attuazione del federalismo fiscale, di cui alla legge n. 220 del 2010 ed alla legge n. 42 del 2009.

L’efficacia della manovra di risanamento, pacificamente riguardante tutti gli enti territoriali, sarebbe stata pregiudicata se fossero state introdotte eccezioni o discipline particolari in rapporto al processo di progressiva attuazione del federalismo.

Il carico imposto alle Regioni a statuto speciale, d’altra parte, interverrebbe a compensare l’opposto squilibrio determinatosi, in danno delle Regioni ordinarie, a seguito del d.l. n. 78 del 2010.

Infine, la difesa statale evidenzia come l’osservanza del principio di leale collaborazione sia assicurata dal disposto dell’art. 32, comma 11, della legge n. 183 del 2011, il quale prevede, al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, che le Regioni a statuto speciale, escluse la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, concordino «entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell’economia e delle finanze, per ciascuno degli anni 2012, 2013 e successivi, il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, determinato riducendo gli obiettivi programmatici del 2011 della somma degli importi indicati dalla tabella di cui al comma 10», e complessivamente fissati dai decreti-legge n. 78 del 2010, n. 98 del 2011 e n. 138 del 2011.

8.— Con memoria depositata in data 28 maggio 2012, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha inteso replicare ad alcune delle osservazioni espresse nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri.

La ricorrente nega, in primo luogo, che il verificarsi di una situazione eccezionale possa consentire la deroga alle norme costituzionali poste a tutela dell’autonomia regionale, ed in particolare delle Regioni a statuto speciale. Una «valutazione comparativa» delle esigenze dell’intera collettività – si osserva – può svolgersi solo attraverso procedure costituzionalmente compatibili, come ad esempio quelle di approvazione delle disposizioni di attuazione degli statuti regionali, richiamate per l’attuazione del federalismo fiscale.

In secondo luogo, la Regione considera privi di rilievo i riferimenti alla giurisprudenza costituzionale concernente la competenza statale a variare la disciplina di tributi erariali in parte destinati alle finanze regionali. La riduzione del prelievo lascia inalterate le percentuali riservate, mentre i divieti di spesa, operati in termini assoluti, vanificherebbero di fatto la stessa disponibilità delle entrate.

In terzo luogo, la Regione Friuli-Venezia Giulia nega fondamento al rilievo per il quale non avrebbe provato uno squilibrio grave tra risorse disponibili e necessità di finanziamento delle attività istituzionali. A prescindere dall’enorme impatto delle misure contestate sul bilancio regionale (attestato da studi in allegato alla memoria), la ricorrente assume che spetterebbe allo Stato, una volta approvate le disposizioni statutarie sulle entrate, dimostrare l’esistenza di variazioni che legittimino l’alterazione del relativo equilibrio.

La ricorrente contesta, ancora, le affermazioni secondo cui le norme impugnate andrebbero valutate separatamente da quelle concernenti il federalismo fiscale (essendo invece congiunto il relativo effetto sull’autonomia finanziaria regionale) e si sarebbe dovuto compensare un precedente squilibrio in danno delle Regioni ordinarie (non essendosi spiegato l’attuale squilibrio in danno di quelle speciali).

Infine, quanto al rispetto del principio di leale collaborazione (desumibile, secondo lo Stato, dall’art. 32, comma 11, della legge n. 183 del 2011), la difesa regionale rileva come proprio la mancata osservanza delle procedure negoziali costituisca un vizio delle norme impugnate.

9.— Con ricorso notificato il 15 novembre 2011 e depositato il successivo 24 novembre (reg. ric. n. 160 del 2011), la Regione Sardegna ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011, e, tra queste, dell’art. 1, comma 9, lettera b), per violazione degli artt. 5, 116, 117 e 119 Cost. e degli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948, recante lo statuto speciale per la Regione Sardegna.

La ricorrente esordisce rammentando come la norma impugnata incida sulla situazione determinatasi a seguito delle modifiche recate, per mezzo dell’art. 1, comma 834, della legge n. 296 del 2006, all’art. 8 dello statuto speciale della stessa Regione Sardegna. Le nuove misure previste in tema di entrate tributarie non sono state ancora attuate, e la ricorrente ricorda d’avere, per questo, promosso un conflitto di attribuzione tra enti (reg. confl. enti n. 8 del 2011).

La difesa regionale osserva che la riforma dell’art. 8 era derivata dalla palese insufficienza, riconosciuta dallo Stato, delle risorse utilizzabili per l’assolvimento dei propri compiti istituzionali. Ricorda, altresì, che, sebbene modificato con legge ordinaria, il menzionato art. 8 funge da parametro di valutazione della legittimità costituzionale delle norme oggetto dell’odierno ricorso.

9.1.— La Regione Sardegna precisa che la disposizione in esame era già stata impugnata dalla stessa ricorrente nella versione originaria, quella cioè non emendata dalla legge di conversione, considerandone il portato di modifica del comma 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011. La legge di conversione, successiva al primo ricorso, ha operato una variazione solo formale (sostituendo le parole «di cui a primi due periodi» con le seguenti «di cui ai primi due periodi»). Ugualmente la stessa Regione ritiene di proporre l’odierno ricorso – «fosse pure per tuziorismo» – replicando le censure già a suo tempo proposte riguardo, appunto, al comma 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, ed alla cui sintesi si rinvia.

10.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio con atto depositato il 23 dicembre 2011, chiedendo che il ricorso della Regione Sardegna sia respinto.

L’Avvocatura generale rileva come le censure della ricorrente reiterino quelle proposte contro il comma 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, e siano dunque essenzialmente incentrate sulla mancata attuazione del nuovo regime statutario per i flussi d’entrata. Pertanto, la difesa statale ribadisce che le norme impugnate rispondono ad esigenze urgenti ed insopprimibili di contenimento della spesa, e non possono rappresentare la sede per doglianze che riguardano un diverso oggetto.

11.— Con memoria depositata in data 29 maggio 2012, la Regione Sardegna ha inteso replicare a parte delle osservazioni espresse nell’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri.

Per quanto attiene all’art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, nel testo risultante a seguito della relativa conversione in legge, la ricorrente contesta l’obiezione secondo cui le questioni relative all’attuazione dell’art. 8 dello statuto sarebbero irrilevanti ai fini della valutazione di interventi volti al necessario ed urgente contenimento della spesa pubblica. La Regione Sardegna – si osserva – non intende discutere la necessità della propria partecipazione allo sforzo comune, ma chiede che tale partecipazione sia regolata in corrispondenza effettiva al contenuto della norma statutaria.

La necessaria correlazione tra regole del patto di stabilità e concreta attuazione dell’art. 8 dello statuto speciale sarebbe stata, del resto, riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 118 del 2012. In proposito la ricorrente svolge osservazioni analoghe a quelle espresse con la memoria depositata nel giudizio introdotto con il ricorso n. 96 del 2011, alla cui sintesi si rinvia.

Considerato in diritto

1.— Le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con quattro distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sia nel testo risultante a seguito delle modifiche operate dal successivo decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), in corso di conversione al momento della proposizione dei primi due ricorsi (reg. ric. n. 94 e n. 96 del 2011), sia nel testo vigente dopo la conversione del citato d.l. n. 138 del 2011 ad opera dell’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148 (reg. ric. n. 139 e n. 160 del 2011).

Tra le disposizioni impugnate dalle due Regioni rileva in questa sede l’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011.

In particolare, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato i commi 4 e 5 del menzionato art. 20 (reg. ric. n. 94 del 2011) e l’art. 1, comma 8, del d.l. n. 138 del 2011 (reg. ric. n. 96 del 2011), recante modifiche al testo originario dell’art. 20, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011.

La Regione Sardegna ha, invece, impugnato i commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 5 e 17-bis, dell’art. 20 (reg. ric. n. 139 del 2011) e l’art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011 (reg. ric. n. 160 del 2011), recante modifiche al testo originario dell’art. 20, comma 3, del d.l. n. 98 del 2011.

Riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nei decreti-legge n. 98 e n. 138 del 2011, vengono in esame in questa sede le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 20, commi 2, 2-bis, 2-ter, 2-quater, 3, 4, 5 e 17-bis, del d.l. n. 98, ed all’art. 1, commi 8 e 9, lettera b), del d.l. n. 138.

I giudizi, così separati e delimitati, in considerazione della loro connessione oggettiva devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica pronuncia.

2.— Le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto i commi 2, 2-bis, 2-ter e 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, e l’art. 1, comma 9, lettera b), del d.l. n. 138 del 2011, possono essere trattate congiuntamente in quanto la Regione Sardegna utilizza, a sostegno della loro fondatezza, le stesse argomentazioni.

2.1.— È opportuna in via preliminare, data la successione degli interventi legislativi sulle norme oggetto di censura, una precisa ricostruzione della disciplina sottoposta dalla ricorrente al vaglio di legittimità di questa Corte.

I commi 2, 2-bis, 2-ter e 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, sono stati impugnati nel testo risultante a seguito della conversione in legge e delle modifiche operate dal d.l. n. 138 del 2011, prima che quest’ultimo venisse convertito (reg. ric. n. 96 del 2011).

Il solo comma 3 dell’art. 20 è stato modificato in sede di conversione in legge del d.l. n. 138 del 2011, e la Regione Sardegna ha ritenuto di impugnare (reg. ric. n. 160 del 2011) anche la relativa disposizione di modifica (art. 1, comma 9, lettera b, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011).

Il comma 2 dell’art. 20, nel testo vigente al momento dell’impugnazione, stabiliva che, al fine di ripartire – tra gli enti del singolo livello di governo – «l’ammontare del concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica», fissati dal comma 5 dello stesso art. 20 e dall’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, i predetti enti fossero divisi, con un apposito decreto ministeriale, «in quattro classi» sulla base di alcuni parametri di virtuosità indicati nelle lettere da a) a l).

Il comma 2-bis comprende, tra gli anzidetti parametri di virtuosità, «indicatori quantitativi e qualitativi relativi agli output dei servizi resi».

Il comma 2-ter, nel testo vigente prima della sua abrogazione, prevedeva che il decreto di cui al comma 2 individuasse «un coefficiente di correzione connesso alla dinamica nel miglioramento conseguito dalle singole amministrazioni».

Il comma 3 dispone, tra l’altro, che gli enti collocati nella classe più virtuosa «non concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica».

Successivamente agli odierni ricorsi, le disposizioni indicate sono state ulteriormente modificate dall’art. 30, commi 2 e 3, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), che ha, tra l’altro, ridotto da quattro a due le classi di merito degli enti del singolo livello di governo ed ha previsto la decorrenza dell’operatività di alcuni «parametri di virtuosità», indicati dal comma 2 dell’art. 20, a far data dall’anno 2013. Inoltre, l’art. 30, comma 4, della legge n. 183 del 2011 ha disposto l’abrogazione del comma 2-ter dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011.

La mancata alterazione della sostanza normativa censurata fa sì che le questioni prospettate sul testo dei commi 2, 2-bis e 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, come vigente al momento dell’impugnazione, si trasferiscano sul testo oggi in vigore (ex plurimis, sentenze n. 30 del 2012 e n. 153 del 2011).

2.2.— Riguardo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2-ter, del d.l. n. 98 del 2011 si deve dichiarare la cessazione della materia del contendere, poiché, come sopra rilevato, successivamente alla proposizione degli odierni ricorsi, la norma impugnataè stato abrogata dall’art. 30, comma 4, della legge n. 183 del 2011, senza che sia stato adottato il decreto di cui al comma 2 dell’art. 20.

L’abrogazione della disposizione censurata, unitamente alla sua mancata applicazione nel periodo di vigenza, impone la declaratoria di cessazione della materia del contendere.

2.3.— Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2, 2-bis e 3, del d.l. n. 98 del 2011 non sono fondate.

2.3.1.— L’Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che le norme in oggetto non si applicano alle Regioni speciali e alle Province autonome, in quanto, ai sensi dell’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), gli enti suddetti concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti», anche alla luce «degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell’insularità e dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o parte di essi».

A conferma di questo assunto, il Presidente del Consiglio ha richiamato il disposto dell’art. 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), e dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province), norme entrambe applicabili alle sole Regioni a statuto ordinario.

A questi argomenti la difesa regionale, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, ne ha aggiunto altri, pur insistendo per l’accoglimento delle questioni.

Innanzitutto, la ricorrente ha sottolineato che i commi 128 e 129 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2011), richiamati nel comma 3 dell’art. 20 del d.l. n. 98 del 2011, si riferiscono alle sole Regioni di diritto comune, mentre la ripartizione del concorso alla manovra finanziaria delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano è regolata dai commi 131 e 132 del medesimo art. 1.

In secondo luogo, la difesa regionale ha evidenziato come l’art. 32 della legge n. 183 del 2011 richiami i parametri di virtuosità di cui all’art. 20, comma 2, del d.l. n. 98 del 2011 solo con riferimento alle Regioni a statuto ordinario. Al contrario, per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome, l’art. 32, comma 10, della legge n. 183 non opera alcun richiamo ai detti criteri.

2.3.2.— Come ricordato dalla difesa statale, l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 dispone: «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, e secondo il principio di graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all’art. 2, comma 2, lettera m)».

La norma riportata possiede una portata generale ed esclude – ove non sia espressamente disposto in senso contrario per casi specifici da una norma successiva – che le previsioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica possano essere ritenute applicabili alle Regioni a statuto speciale al di fuori delle particolari procedure previste dai rispettivi statuti. Tale principio è stato successivamente ribadito dalla normativa richiamata dalle parti ed in particolare dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 216 del 2010, e dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge n. 220 del 2010. Si deve aggiungere che – secondo quanto rilevato dalla difesa della Regione Sardegna – l’art. 32, comma 8, della legge n. 183 del 2011 richiama i parametri di "virtuosità” di cui all’art. 20, comma 2, del d.l. n. 98 del 2011 con esclusivo riferimento alle Regioni a statuto ordinario.

Il comma 1 del medesimo art. 32 stabilisce esplicitamente che anche le Regioni speciali e le Province autonome concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni contenute nei commi successivi, da ritenersi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., con ciò confermando che l’estensione alle Regioni speciali delle disposizioni in materia di finanza deve essere espressamente dichiarata e circoscritta dal legislatore, salva naturalmente ogni valutazione sulla legittimità costituzionale di tale estensione, nei singoli casi in cui essa sia prevista. In caso di silenzio, resta valido il principio generale di cui al citato art. 27 della legge n. 42 del 2009.

Per i motivi esposti, le censure di legittimità costituzionale riguardanti le disposizioni sopra citate devono essere dichiarate non fondate, in quanto le norme in esse contenute non sono applicabili alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano.

3.— La Regione Sardegna ha impugnato l’art. 20, comma 2-quater, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 111 del 2011, per violazione dell’art. 3, primo comma, lettera b), dello statuto speciale sardo, che riserva alla ricorrente la potestà legislativa in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni». Il detto parametro statutario sarebbe violato in quanto la disposizione censurata, sostituendo il testo dell’art. 14, comma 31, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010, ed innalzando la soglia demografica per l’individuazione dei Comuni obbligati all’esercizio associato delle funzioni, non potrebbe essere considerata quale norma fondamentale delle riforme economico-sociali della Repubblica e dunque violerebbe la competenza esclusiva della ricorrente.

3.1.— Successivamente all’impugnazione, la disposizione novellata da quella censurata è stata modificata dall’art. 16, comma 24, del d.l. n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 148 del 2011, che, tra l’altro, ha ulteriormente innalzato, da 5.000 a 10.000 abitanti, «il limite demografico minimo che l’insieme dei Comuni che sono tenuti ad esercitare le funzioni fondamentali in forma associata deve raggiungere», ed ha previsto la possibilità per le Regioni di individuare un «diverso limite demografico», entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 138 del 2011.

L’art. 29, comma 11-bis, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 febbraio 2012, n. 14, ha poi previsto che «I termini temporali e le disposizioni di cui ai commi da 1 a 16, 22, 24, 25 e 27 dell’articolo 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sono prorogati di nove mesi».

Da ultimo, l’art. 19, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi dei cittadini) – non ancora convertito in legge – ha ulteriormente prorogato il termine per l’individuazione di un diverso limite demografico da parte delle Regioni («entro i tre mesi antecedenti il primo termine di esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del comma 31-ter»).

Le modifiche di cui si è riferito non hanno alterato la portata precettiva della norma impugnata, con la conseguenza che la questione originariamente promossa avverso l’art. 20, comma 2-quater, del d.l. n. 98 del 2011 deve ritenersi trasferita sul testo oggi vigente dell’art. 14, comma 31, del d.l. n. 78 del 2010.

3.2.— Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2-quater, del d.l. n. 98 del 2011, trasferita sul testo vigente dell’art. 14, comma 31, del d.l. n. 78 del 2010, non è fondata.

Anche in questo caso la difesa statale ha rilevato l’inapplicabilità alle Regioni speciali del comma impugnato per le ragioni già riferite nel punto 2.3.1., alle quali ha aderito, in via subordinata, la ricorrente.

Questa Corte condivide siffatta ricostruzione per i motivi già esposti al punto 2.3.2. Inoltre, con specifico riferimento alla norma qui in esame (comma 2-quater), le argomentazioni sopra illustrate trovano conferma in una considerazione ulteriore, desumibile dall’art. 16, comma 29, del d.l. n. 138 del 2011, il quale stabilisce che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai comuni appartenenti alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano nel rispetto degli statuti delle regioni e province medesime, delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42».

La previsione richiamata contiene una specifica clausola di salvaguardia che fa salvo, espressamente, il metodo pattizio (ex art. 27 della legge n. 42 del 2009) nella determinazione dei criteri e delle modalità di concorso delle autonomie speciali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. La scelta di metodo così operata consente di escludere che il legislatore statale abbia voluto rendere direttamente applicabili anche alle autonomie speciali le norme ivi contenute.

Pertanto, la questione promossa dalla Regione Sardegna deve essere dichiarata non fondata, in quanto la norma impugnata non si applica alle Regioni speciali ed alle Province autonome.

4.— Le questioni di legittimità costituzionale concernenti l’art. 20, commi 4 e 5, del d.l. n. 98 del 2011, e l’art. 1, comma 8, del d.l. n. 138 del 2011 sono fondate nei limiti di seguito specificati.

4.1.— Secondo le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, le norme citate violerebbero gli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost., gli artt. 48 e 49 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia e gli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto speciale della Regione Sardegna.

In particolare, il comma 4 è impugnato in quanto estende agli anni 2014 e seguenti le misure previste dall’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010. Il comma 5, come modificato dall’art. 1, comma 8, del d.l. n. 138 del 2011, è impugnato nella parte in cui dispone ulteriori tagli alle spese delle Regioni speciali, a decorrere dall’anno 2012.

Esigenze di connessione oggettiva delle questioni sollevate impongono di esaminare congiuntamente le censure prospettate.

Preliminarmente, occorre rilevare che il testo delle disposizioni impugnate non ha subito modifiche a seguito della conversione in legge del d.l. n. 138 del 2011, sicché la Corte deve pronunciarsi sulle questioni aventi ad oggetto le disposizioni dei commi 4 e 5 nel testo riformulato dal d.l. n. 138 del 2011.

Peraltro, con le modifiche citate da ultimo, il legislatore ha inteso soltanto anticipare nel tempo gli effetti delle misure disposte e variare l’entità dei tagli.

4.2.— Questa Corte si è recentemente espressa sulla non incompatibilità con la Costituzione delle misure disposte con l’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 78 del 2010, sul presupposto – richiesto dalla propria costante giurisprudenza – che possono essere ritenute principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., le norme che «si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente e non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi» (sentenza n. 148 del 2012; conformi, ex plurimis, sentenze n. 232 del 2011 e n. 326 del 2010).

Con riferimento alle norme oggetto del presente giudizio, si deve osservare che l’estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive già previste nella precedente normativa di cui sopra, fa venir meno una delle due condizioni sopra indicate, quella della temporaneità delle restrizioni. Né si potrebbe dire che il carattere transitorio delle suddette misure sia desumibile dall’inciso iniziale del comma 4 dell’art. 20 («Fino all’entrata in vigore di un nuovo patto di stabilità interno»), giacché si tratta di formula priva di riferimenti temporali precisi, che consente il protrarsi sine die delle misure, le quali rimarrebbero così solo nominalmente temporanee.

Al contempo, questa Corte non può stabilire a sua discrezione l’arco temporale di operatività delle norme in esame, così sostituendosi al legislatore. Si tratta, dunque, di dedurre dalla trama normativa censurata un termine finale che consenta di assicurare la natura transitoria delle misure previste e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno finanziario in corso.

L’esame congiunto dei commi 4 e 5 consente di individuare siffatto dies ad quem nell’anno 2014, espressamente richiamato nel comma 4, là dove estende «agli anni 2014 e successivi» le misure previste dall’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010. Per ragioni di coerenza, lo stesso termine finale va individuato anche in relazione al comma 5, il quale dispone ulteriori misure restrittive «ai medesimi fini di cui al comma 4».

Per i motivi esposti, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 119 Cost., degli artt. 48 e 49 dello statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, e degli artt. 7 e 8 dello statuto speciale della Regione Sardegna – dell’art. 20, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui estende anche agli anni successivi al 2014 le misure disposte dall’art. 14, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, e del comma 5 dello stesso art. 20, nella parte in cui dispone che le misure previste si applichino, nei confronti delle Regioni speciali, «per gli anni 2012 e successivi» e «a decorrere dall’anno 2012» (lettera b), anziché «sino all’anno 2014».

4.3.— Per le medesime ragioni deve essere dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale delle restanti parti del comma 5 dell’art. 20 (lettere a, c e d), le quali dispongono ulteriori misure restrittive – in riferimento alle Regioni ordinarie (lettera a), alle Province (lettera c) ed ai Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti (lettera d) – senza indicare un termine finale di operatività delle misure stesse.

L’intervento ablativo concerne pertanto le suddette norme nella parte in cui prevedono che gli interventi restrittivi si applichino, nella misura indicata, «a decorrere dall’anno 2012» (lettera a), «a decorrere dall’anno 2013» (lettera c), e «a decorrere dall’anno 2013» (lettera d), anziché «sino all’anno 2014».

5.— La questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 20, comma 17-bis, del d.l. n. 98 del 2011, deve essere dichiarata inammissibile per la genericità delle censure. La ricorrente Regione Sardegna si limita infatti ad affermare che «anche in questo caso la mancata considerazione della specificità della condizione della Regione Sardegna vizia la previsione impugnata, in riferimento a tutti i parametri e ai profili sopra evidenziati, che debbono intendersi qui pienamente richiamati».

I parametri cui fa riferimento la difesa regionale sono gli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. e gli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 dello statuto speciale della Regione Sardegna. Non sono tuttavia illustrate le ragioni per le quali la ricorrente ritiene che la norma in esame, disponendo una riduzione dei rimborsi e delle compensazioni relativi alle imposte, violi le attribuzioni costituzionali della Regione Sardegna, tutelate dai parametri indicati.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e nel decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, promosse dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 4, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui dispone che le misure previste si applicano «anche agli anni 2014 e successivi», anziché «sino all’anno 2014»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 5, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui dispone che le misure previste si applicano «per gli anni 2012 e successivi», anziché «sino all’anno 2014», e «a decorrere dall’anno 2012», anziché «sino all’anno 2014»;

3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 5, lettera a), del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui dispone che le misure previste si applicano «a decorrere dall’anno 2012», anziché «sino all’anno 2014»;

4) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 5, lettere c) e d), del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui dispongono che le misure previste si applicano «a decorrere dall’anno 2013», anziché «sino all’anno 2014»;

5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 17-bis, del d.l. n. 98 del 2011, promosse dalla Regione Sardegna, per violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 della Costituzione e degli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna);

6) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, commi 2, 2-bis e 3, del d.l. n. 98 del 2011, promosse dalla Regione Sardegna, per violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. e degli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948;

7) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2-quater, del d.l. n. 98 del 2011, trasferita sul testo vigente dell’art. 14, comma 31, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossa dalla Regione Sardegna, per violazione dell’art. 3, primo comma, lettera b), della legge cost. n. 3 del 1948;

8) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2-ter, del d.l. n. 98 del 2011, promosse dalla Regione Sardegna, per violazione degli artt. 3, 5, 116, 117 e 119 Cost. e degli artt. 1, 3, 4, 5, 7 e 8 della legge cost. n. 3 del 1948.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2012.