Sentenza n.61 del 1987

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SENTENZA N. 61

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma terzo, secondo capoverso e 35 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1986)" promosso con ricorso della Regione Sicilia, notificato il 28 marzo 1986, depositato in cancelleria il 4 aprile 1986 ed iscritto al n. 7 del registro ricorsi 1986;

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1986 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Uditi gli Avvocati Giuseppe Guarino e Giuseppe La Loggia per la Regione Sicilia, e l'Avvocato dello Stato Paolo Vittoria per il Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ritenuto in fatto

  1. - Con ricorso 28 marzo 1986, la Regione Sicilia ha impugnato gli artt. 3, terzo comma, secondo capoverso, e 35 della legge 28 febbraio 1986, n. 41 (legge finanziaria 1986), in riferimento agli artt. 20, 36, 37, 38 e 43 dello Statuto speciale siciliano e agli artt. 1, 2, 3, 8 e 9 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074.

L'art. 3, terzo comma, secondo capoverso, della l. n. 41 del 1986 dispone che la misura della tassa di circolazione sui veicoli e autoscafi, a decorrere dall'1 gennaio 1986, é pari a quella stabilita per il 1985 e "i proventi derivanti dagli aumenti disposti con l'art. 2 D.L. 22 dicembre 1981, n. 787, conv. nella l. 26 febbraio 1982, n. 52, continuano ad essere riservati all'erario dello Stato". Secondo la Regione, tale disposizione sarebbe illegittima e lesiva della propria autonomia, ponendosi in contrasto con gli artt. 36 e 43 dello statuto speciale e con l'art. 2 del d.P.R. n. 1074/1965.

Quest'ultimo articolo dispone infatti che spettano alla Regione siciliana "tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette e indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime". Viceversa la disposizione impugnata si limita a disporre la riserva degli aumenti della tassa all'erario, senza indicare in alcun modo le finalità particolari che dovrebbero essere soddisfatte con tali entrate.

Dopo aver precisato il quadro degli interventi normativi in materia, si rileva, con particolare riferimento all'art. 1 del D.L. 21 dicembre 1982, n. 923, convertito in legge con modificazioni dalla legge 9 febbraio 1983, n. 29, che esso dispose fra l'altro che fossero prorogati per il 1983 gli importi da corrispondere per tassa erariale di circolazione e che l'intero gettito derivante da tale proroga fosse "di esclusiva spettanza dell'erario", senza peraltro indicarne la destinazione, la "particolarità dello scopo", richiesta dalla legge. Altrettanto hanno poi fatto l'art. 5, secondo comma, della legge finanziaria 1984 e l'art. 3, ora impugnato, della legge finanziaria del 1986.

Detta riserva, poi, in virtù dell'ultima legge finanziaria, non é più a tempo determinato, ma definitiva. Ne deriverebbe che il carattere generico ed indistinto della destinazione del gettito considerato renderebbe illegittima la norma.

  1. - La Regione Sicilia ha impugnato anche l'art. 35 della l. n. 41 del 1986. Delineato lo svolgimento della normazione in materia di deposito delle disponibilità liquide regionali, la Regione lamenta che l'esenzione da tale deposito, prevista dall'art. 38 della l. n. 526 del 1982 e della l. n. 720 del 1984, per le sue entrate ex artt. 36 e 38 dello Statuto, sia stata sospesa dall'art. 35 della l. n. 41 del 1984, il quale ha stabilito che, a decorrere dalla data della entrata in vigore della stessa legge, sino al 31 dicembre 1987, tali norme non sono più applicabili con il conseguente obbligo per le aziende di credito che detengono disponibilità della Regione di versare l'eccedenza, rispetto ai limiti stabiliti, in quattro rate; in caso di mancata comunicazione alle aziende di credito dell'ammontare massimo delle giacenze disponibili, le aziende stesse debbono far riferimento, ai fini del versamento, all'intera disponibilità.

Tale disposizione - secondo la Regione - sarebbe illegittima e lesiva della sua autonomia e delle sue competenze, in riferimento agli artt. 20, 36, 37, 38 e 43 dello Statuto e al d.P.R. n. 1074 del 1965, come si evincerebbe dagli stessi principi stabiliti dalla Corte costituzionale.

In particolare - si espone nel ricorso - l'art. 35 impugnato comporta una sostanziale deroga alle norme di attuazione dello Statuto, senza il rispetto delle procedure di cui all'art. 43 dello Statuto stesso.

L'esigenza di "limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacità di spesa degli enti" sussisterebbe esclusivamente per le entrate provenienti dal bilancio dello Stato, mentre non sussiste per le entrate proprie che la Regione siciliana direttamente riscuote, pur avvalendosi di uffici statali, sostenendo le spese di uffici e servizi (artt. 20 e 37, secondo comma dello Statuto; artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 1074 del 1965).

Riguardo al contributo di solidarietà nazionale previsto dall'art. 38 dello Statuto, la Regione siciliana osserva che, secondo quanto stabilito nella sentenza n. 95 del 1981, l'adempimento del debito da parte dello Stato deve aversi mediante il versamento alla Regione dell'importo dovuto "nel corso dell'anno successivo a quello cui il contributo si riferisce", come prevede l'art. 3 della legge n. 182 del 1978, così che la norma impugnata contrasterebbe, al riguardo, nettamente con tale principio nonché col sistema finanziario della Regione, quale emerge dallo Statuto, non fondato su trasferimenti da parte dello Stato, sia pure di quote di tributi erariali regionalmente riscosse, ma sulla devoluzione totale e piena dei tributi medesimi, che pertanto assumono le caratteristiche di veri e propri tributi propri della Regione.

  1. - Dinanzi a questa Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

Ricostruito il sistema normativo concernente la tassa sulla circolazione dei veicoli e autoscafi e facendo riferimento alla tassa come configurata dall'art. 5 del D.L. n. 953 del 1982, l'art. 3 della legge finanziaria del 1984 (L. 27 dicembre 1983, n. 730) ne ha mantenuto per il 1984 ed il 1985 la misura prevista per il 1983 e altrettanto ha fatto l'art. 3 della legge finanziaria 1986 (L. 28 febbraio 1986, n. 41), il quale ha statuito che continua ad essere riservato all'erario dello Stato il provento degli aumenti disposti con l'art. 2 del D.L. n. 787 del 1981 (conv. nella L. n. 52 del 1982).

Secondo il Presidente del Consiglio, dalla ricostruzione della successione delle leggi, si desume che il gettito derivante dagli aumenti preveduti con il D.L. n. 787 del 1981 é rientrato dal 1983 nella riserva allo Stato perché destinato a coprire i maggiori oneri derivanti allo Stato medesimo dalla legislazione in materia di finanza locale ed é conforme al precetto contenuto nell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, anche in mancanza di un'espressa menzione della particolare esigenza al cui soddisfacimento é rivolta l'entrata.

La sola reiterazione della riserva é sufficiente ad assicurare il permanente collegamento tra l'esigenza sopra specificata e l'attribuzione del provento allo Stato.

Quanto all'abrogazione delle disposizioni particolari concernenti le entrate proprie della Regione Sicilia, il Presidente del Consiglio rileva che la questione coincide con quella proposta dalla Regione Trentino-Alto Adige con ricorso 27 marzo 1986 (n. 8/86 R.O.). Rinvia quindi alle considerazioni svolte in riferimento a quel ricorso, aggiungendo solo che la Corte costituzionale ha più volte distinto tra norme che disciplinano i procedimenti di acquisizione delle entrate e norme che regolano la utilizzazione delle giacenze di tesoreria, ritenendo l'illegittimità delle prime se modificano unilateralmente i procedimenti disciplinati dalle norme di attuazione per regolare l'afflusso delle entrate, e invece la legittimità delle seconde, anche quando incidono su entrate proprie delle regioni a statuto differenziato, giacché costituiscono manifestazione del potere statale di regolazione del credito.

Con memoria del 12 novembre 1986 la Regione Sicilia ha ulteriormente illustrato le proprie richieste.

In particolare, quanto alla questione relativa all'art. 35 della l. n. 41 del 1986, nelle note depositate si sostiene che la normativa impugnata sarebbe lesiva dell'autonomia finanziaria della Regione, secondo i principi stabiliti nelle sentenze n. 242 e 243 del 1985 di questa Corte, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale della differente regolamentazione in materia finanziaria delle varie Regioni, giacché "gli stessi Statuti stanno a dimostrare che in tal campo le ragioni di specialità prevalgono spesso sulle ragioni d'uniformità di trattamento".

Considerato in diritto

  1. - É fondata la censura dell'art. 3, terzo comma, secondo capoverso, seconda parte della l. 28 febbraio 1986, n. 41 (legge finanziaria per il 1986), in relazione all'art. 2, primo comma, d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria e in riferimento all'art. 36 di detto Statuto, approvato con d.legisl. 15 maggio 1946, n. 455.

Si é già esposto (cfr. n. 1) che la norma impugnata concernente la tassa di circolazione sugli autoveicoli e gli autoscafi - dispone che tale tassa (dovuta a decorrere dal 1ø gennaio 1983, in base alla sola iscrizione nei pubblici registri: art. 5, comma 31 d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, conv. in l. 28 febbraio 1983, n. 53), é pari a quella stabilita per l'anno 1985 e che i proventi derivanti dagli aumenti disposti con l'art. 2 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 787, convertito con modificazioni nella l. 26 febbraio 1982, n. 52, "continuano ad essere riservati all'Erario dello Stato e l'ammontare di tali aumenti continua a non influire su quello della corrispondente tassa regionale".

In precedenza, l'art. 4 d.l. 28 febbraio 1981, n. 38 (conv. nella l. 23 aprile 1981, n. 153) aveva aumentato del 50%, dal 1ø gennaio 1981 gl'importi della tassa erariale di circolazione, destinando allo Stato i proventi di tale aumento al fine di coprire gli oneri derivanti dallo stesso decreto n. 38 del 1981 per il finanziamento dei comuni e delle province. Il sopra menzionato d.l. n. 787 del 1981 (conv. nella l. 26 febbraio 1982, n. 52) aveva aumentato ulteriormente detta tassa, conservandone la destinazione all'erario dello Stato per la copertura degli oneri inerenti al finanziamento dei comuni e delle province (art. 2 penultimo comma del d.l. n. 787 del 1981, soppresso dalla legge di conversione, che ha però inserito analoga disposizione nell'art. 9 del d.l.).

Gli aumenti furono prorogati per il 1983 dall'art. 1 d.l. 21 dicembre 1982, n. 923 (conv. nella l. 9 febbraio 1983, n. 29), e il relativo gettito continuò ad essere devoluto allo Stato, senza - peraltro - specifica ed espressa destinazione; devoluzione reiterata dalla legge finanziaria per il 1984 (l. 27 dicembre 1983, n. 730), la quale dispose che per il 1984 e il 1985 la tassa di cui all'art. 5, trentunesimo comma, del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953 fosse pari a quella stabilita per il 1983, prescrivendo che il relativo gettito spettasse allo Stato (senza indicazione della specifica destinazione di esso). In connessione con la proroga per il 1983 degli aumenti su detti, l'art. 36, comma secondo, del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55 (conv. nella l. 26 aprile 1983, n. 131, contenente provvedimenti urgenti per il settore della finanza locale per l'anno 1983) dispose che agli oneri da esso derivanti si sarebbe provveduto anche con un'aliquota delle maggiori entrate previste dal d.l. n. 923 del 1982.

  1. - L'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, norme di attuazione dello Statuto della Regione Sicilia in materia finanziaria, sancisce che, ai sensi del primo comma dell'art. 36 dello Statuto, spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, "ad eccezione delle nuove entrate tributarie, il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura degli oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime".

Questa norma ha carattere derogatorio, in quanto sottrae alla "spettanza" della Regione siciliana le nuove entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, che abbiano destinazione legislativamente prevista e determinata, che ne giustifichi la sottrazione alla finanza regionale. Questa circostanza spiega l'apposizione delle "cautele", alle quali l'art. 2 delle norme attuative dello Statuto condiziona la destinazione "esterna" degli anzidetti tributi, cautele dirette anche a rendere possibile il controllo politico sull'esatto e corretto esercizio della deroga.

L'Avvocatura generale dello Stato ha sostenuto che l'adempimento delle rigorose prescrizioni finalistiche si deve considerare soddisfatto dall'originaria destinazione degli aumenti in questione all'erario dello Stato, per far fronte agli oneri inerenti al finanziamento dei Comuni e delle Province, secondo la disposizione del d.l. n. 38 del 1981 e da ultimo del d.l. n. 55 del 1983, ai quali l'impugnato art. 3, terzo comma, si ricollega.

  1. - Tale tesi non appare fondata.

Infatti già nel d.l. n. 923 del 1982 manca l'espressa indicazione della destinazione del provento al soddisfacimento di specifiche finalità. Né a ciò può ritenersi che fosse sufficiente il disposto dell'art. 3 del D.L. n. 55 del 1983, nel quale fu statuito che agli oneri previsti da tale D.L., relativi alla finanza locale, si sarebbe fatto fronte anche con un'aliquota delle maggiori entrate previste dal D.L. n. 923 del 1982. Trattasi, infatti, di una norma che funziona da clausola di copertura di spesa e la indicazione delle disposizioni relative alle diverse fonti di copertura della spesa difficilmente può considerarsi per se stessa idonea a rappresentare le "particolari finalità" perseguite dai connessi proventi, alla stregua dell'art. 2 delle norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia finanziaria, che richiede una specifica clausola di destinazione.

Comunque, sicuramente il collegamento con l'originaria destinazione finalistica dei proventi fu interrotto già dalla legge n. 730 del 1983 (legge finanziaria per il 1984), che prorogò gli aumenti in discorso per il 1984 e per il 1985 senza alcuna indicazione della loro specifica destinazione così come ha fatto per il 1986, l'impugnato art. 3, terzo comma, della l. n. 41 del 1986. D'altronde, la mera previsione della devoluzione statale del tributo, contenuta nella legge finanziaria, non appare idonea ad identificare la specificità dell'impiego. Compito di quella legge é infatti il perseguimento di equilibri complessivi e delle strategie per realizzarli (cfr. art. 11 l. 5 agosto 1978, n. 468: adeguamento delle entrate e delle uscite del bilancio dello Stato, delle aziende autonome e degli enti che si ricollegano alla finanza statale, agli obiettivi di politica economica cui si ispirano il bilancio pluriennale e quello annuale). Inoltre la precisa e diretta indicazione delle finalità, alle quali é destinato il tributo, é particolarmente necessaria nella specie, in quanto si intende devolvere il relativo gettito al finanziamento degli enti locali, la cui cura lo Statuto della Regione Sicilia attribuisce in via esclusiva alla competenza normativa ed amministrativa della Regione.

  1. - Giova ricordare, infine, che la Corte (sent. 16 maggio 1968, n. 47), a proposito della reiterazione dell'addizionale pro Calabria (legge, quindi, di contenuto diverso da quella finanziaria e con intenti dichiaratamente finalistici), affermò che la peculiarità dello scopo era immanente nella legge, dato che quell'addizionale costituiva "un tipo di tributo" a cui l'Erario era ricorso per "soddisfare particolari finalità". Particolari finalità, la cui indicazione fu riscontrata (con riferimento specifico, anche se implicito: sent. 15 giugno 1967, n. 75) nelle norme di due decreti legge, relativi ad eventi calamitosi (terremoto), in connessione con la loro origine e con il loro contenuto. Si trattava dell'aumento temporaneo dell'imposta sui prodotti petroliferi, deliberato in concomitanza con gli indicati eventi, alle conseguenze dei quali si doveva provvedere urgentemente. La comunanza di origine e di finalità degli interventi era idonea a stabilirne la sincronica identità di destinazione.

Situazione, questa, del tutto diversa dalla fattispecie in esame, la quale non corrisponde a legge che istituisce imposta di scopo. La norma sospettata si limita a disporre il mantenimento alla riserva statale dei proventi dell'aumento del tributo: circostanza che, in materia di aumento di addizionale riservata all'Erario e destinata ad istituire un'entrata sostitutiva di agevolazioni fiscali concesse a determinate categorie di lavoratori, indusse la Corte a risolvere il relativo conflitto promosso dalla Regione Sicilia, dichiarando spettare a questa regione il provento dell'addizionale stessa (sent. 15 marzo 1972, n. 49).

  1. - La seconda norma impugnata nel ricorso é l'art. 35 della l. 28 febbraio 1986, n. 41, che ha stabilito, a decorrere dalla sua entrata in vigore e sino al 31 dicembre 1987, la non applicabilità delle disposizioni del secondo e terzo comma dell'art. 38 della l. 7 agosto 1982, n. 526 e dell'art. 2 della l. 29 ottobre 1984, n. 720.

Tracciando l'evoluzione della normativa, é da rilevare che l'art. 31 della legge n. 468 del 1978 previde l'obbligo delle Regioni, anche a statuto speciale, di tenere in conti correnti non vincolati presso il Tesoro le disponibilità liquide, "limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato". A sua volta, l'art. 40 della legge n. 119 del 1981 (modificato successivamente dall'art. 21 del d.l. n. 463 del 1983, dall'art. 35 della legge n. 730 del 1983 e dall'art. 3 della l. n. 720 del 1984) sancì, da un lato, il divieto del deposito a qualsiasi titolo presso le aziende di credito, per un importo superiore al 12% (ridotto al 4% dalla l. n. 720 del 1984) dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza, con obbligo di versare le somme in eccedenza nei conti correnti presso il Tesoro; dall'altro lato, dispose che le somme dei trasferimenti statali affluissero nei conti presso il Tesoro, con esclusione però del contributo di cui all'art. 38 dello statuto della Regione Sicilia. Al riguardo, l'art. 38, secondo e terzo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 526, statuì poi che, agli effetti delle disposizioni contenute nei predetti artt. 31 della legge n. 468 del 1978 e 40 della legge n. 119 del 1981 (oltre che dell'art. 10 della legge n. 181 del 1982), non fossero "computabili le somme costituenti entrate della Regione Sicilia a norma dell'art. 36 dello statuto della Regione stessa e del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, e quelle alla medesima dovute o versate a norma dell'art. 38 di detto statuto". Alle somme anzidette non erano, così, dichiarate applicabili le disposizioni dei più volte citati artt. 31 legge n. 468 del 1978 e 40 legge n. 119 del 1981.

Tale particolare disciplina, che esonerava la Regione Sicilia dal "regime di tesoreria", confermata dalla l. 29 ottobre 1984, n. 720, é divenuta inoperante sino al 31 dicembre 1987, come si é detto, in base all'art. 35 della l. n. 41 del 1986.

  1. - Le censure, contenute nel ricorso, di violazione degli articoli 20, 36, 37, 38 e 43 dello Statuto siciliano e del d.P.R. n. 1074 del 1965 (in varie disposizioni e, segnatamente, in quella dell'art. 2), che contiene le norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria, sono collocate sullo sfondo della "specialità" della normativa finanziaria della Regione siciliana.

Questa normativa si fonda sul principio enunciato dall'art. 36 St., secondo il quale "al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi deliberati dalla medesima". A questa norma si collega l'art. 2 delle già ricordate norme di attuazione in materia finanziaria (d.P.R. n. 1074 del 1965), che afferma la "spettanza" alla Regione delle entrate tributarie "da essa direttamente deliberate, e di tutte le entrate tributarie riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette ed indirette, comunque denominate", con l'eccezione, che é stata considerata diffusamente nella prima parte della presente decisione e che qui non interessa (cfr. nn. 4-5-6-7).

In sostanza, la Regione censura la disposizione dell'art. 35 della l. n. 41 del 1986, in quanto sottopone al regime di tesoreria - già introdotto per tutte le Regioni a statuto speciale (eccettuate le Regioni Sicilia e Trentino-Alto Adige) - le entrate ad essa spettanti ex artt. 36 Statuto e 2 delle norme di attuazione, vale a dire il complesso delle entrate tributarie di sua pertinenza.

La Corte non può condividere l'ampiezza della contestazione regionale; innanzi tutto perché ad essa si oppone (con la eccezione, che qui si intende formulare) la sua diffusa, univoca giurisprudenza.

  1. - L'esigenza di istituire un sistema restrittivo "di giacenza" delle disponibilità liquide delle Regioni é stata collegata dalla Corte all'inevitabile gradualità della spesa, che produce un ristagno delle somme non erogate, con conseguenze gravemente negative sulle pubbliche finanze. Sicché "diventa...un'esigenza fondamentale per lo Stato limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacità di spesa degli enti". La normativa impugnata "non preclude alle Regioni la facoltà di disporre delle proprie risorse, nel senso di valutarne discrezionalmente la congruità rispetto alle necessità concrete e di indirizzarle verso gli obiettivi rispondenti alle finalità istituzionali, ma si limita a consentire il controllo del flusso delle disponibilità di cassa, coordinandolo con le esigenze generali dell'economia nazionale, nel quadro della regolamentazione del credito, che é dovere peculiare dello Stato". Anche se questa separazione comporta "una minore redditività delle somme depositate nelle tesorerie dello Stato rispetto a quella che si avrebbe presso le aziende di credito", si tratta di "una conseguenza di fatto che non investe aspetti costituzionalmente tutelati, non incidendo sull'autonomia finanziaria delle Regioni" (sentenze 29 ottobre 1985, n. 243; 22 ottobre 1982, n. 162).

Una volta accertata "la validità d'un limite delle complessive disponibilità regionali suscettibili di rimanere depositate presso aziende di credito", la determinazione della corrispondente percentuale si risolve (sent. 5 novembre 1984, n. 245) in una puntuale e conseguenziale decisione di "politica economica" che non si presta ad essere sindacata dalla Corte (sent. n. 243 del 1985 cit.). Quest'ultima decisione, richiamando ancora i princìpi affermati nella sentenza n. 162 del 1982, ha escluso che il divieto posto alle Regioni di fruire, al di là del tetto legislativamente prefissato, delle disponibilità depositate a qualunque titolo presso aziende di credito, determini "invasione o lesione dell'autonomia costituzionalmente tutelata", sia delle Regioni a statuto speciale che di quelle a statuto ordinario.

La Corte non ha motivo di allontanarsi da tale consolidato indirizzo, anche perché esso é stato costantemente accompagnato dalla raccomandazione, tratta dalle finalità e dal meccanismo di funzionamento del "sistema di tesoreria", intesi ad evitare che tale sistema si trasformi in "un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale, che si presti a venire manovrato in modo da precludere o da ostacolare la disponibilità delle somme occorrenti alle Regioni per l'adempimento dei loro compiti istituzionali. Se si verificasse in tal senso una reale menomazione dell'autonomia finanziaria, alle Regioni non mancherebbero i mezzi per invocarne ed ottenerne la tutela" (sentenze 22 dicembre 1977, n. 155 e 8 giugno 1981, n. 94).

  1. - Questo premesso, la Corte ritiene che la possibilità di deroga al sistema, descritto nella sua genesi e nelle sue finalità, debba valutarsi alla stregua di un motivo, ricorrente sotto vari profili nell'impugnativa, la quale ha dedotto l'illegittimità della norma sospettata, in quanto comprensiva delle c.d. "entrate proprie" (o "tributi propri") della Regione Sicilia.

In verità, non é dato riscontrare nella censura una chiara individuazione delle fattispecie che si vorrebbero eccettuate, facendosi riferimento talora alle "entrate che la Regione direttamente riscuote" e "che non importano trasferimenti di fondi", talaltra alla peculiarità del modo e del tempo di adempimento dell'obbligo di "solidarietà" e del versamento del relativo contributo; talaltra, infine, anche se genericamente, alla "particolare specialità" del regime della Regione Sicilia, che "presuppone una totale autonomia della Regione stessa nella provvista dei mezzi finanziari", fondata "sulla devoluzione totale e piena dei tributi", ad essa attribuiti, che "pertanto assumono le caratteristiche di tributi propri".

  1. - Per collocare a fuoco la censura, la Corte ritiene preliminarmente di dover precisare, in base al sistema normativo, il concetto di "tributi propri" (o di "entrate proprie") della Regione Sicilia (i termini sono usati come equivalenti), in relazione all'oggetto, all'evoluzione e ai limiti di operatività sul c.d. "sistema di tesoreria".

Si é rilevato già che l'art. 31 della legge n. 468 del 1978, nel primo comma, sancì l'obbligo delle Regioni a statuto ordinario e speciale di depositare "le disponibilità liquide" in conti correnti non vincolati con il Tesoro "limitatamente alle assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato".

Questo principio e il complesso della disciplina sono fondati sulla esigenza di non consentire la giacenza in sede regionale di proventi del bilancio dello Stato che non siano di tempestivo e sollecito impiego.

Si é del pari descritta la evoluzione della disciplina della l. n. 468 del 1978, nella quale si inseriva la eccezione al principio dell'affidamento alla Tesoreria statale, posta nei confronti della Regione Sicilia dall'art. 38, secondo comma, della l. 7 agosto 1982, n. 526 e dall'art. 2, terzo comma, della l. 29 ottobre 1984, n. 720. Tali norme stabilivano - per quello che interessa il presente giudizio - che, ai fini di determinare il limite delle somme da depositare presso la tesoreria statale, non fossero computabili le entrate della Regione Sicilia, ai sensi dell'art. 36 dello Statuto e delle relative disposizioni di attuazione in materia finanziaria (d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074) e quelle alla medesima dovute o versate secondo l'art. 38 di detto statuto.

  1. - Nell'impugnazione si rileva che la ratio ispiratrice della norma restrittiva, volta a limitare l'onere derivante dalla provvista alla regione di fondi statali rispetto alla effettiva capacità di spesa, mentre può ricorrere per le entrate provenienti dal bilancio dello Stato, non é riferibile alle "entrate proprie che la regione direttamente riscuote e per le quali lo Stato non effettua alcun versamento alla Regione".

La configurazione (così operata dalla difesa regionale) delle "entrate (o tributi) proprie" - desunta dall'elemento della riscossione diretta da parte della regione e dalla mancanza di trasferimenti finanziari - si discosta dal criterio indicato dall'art. 119, secondo comma, Cost. In base a quest'ultimo, infatti, i "tributi propri" regionali sembrano distinguersi da quelli erariali alla stregua dell'entità dell'attribuzione dei proventi alle regioni: totale per i primi; parziale per gli altri.

Entrambe le concezioni - quella prospettata dalla ricorrente e l'altra, di largo impiego dottrinale, fondata sull'interpretazione letterale della norma dell'art. 119, secondo comma, Cost. - non coincidono con i criteri espressi in sede costituente (Atti Ass. cost. pag. 4416-17). Alla stregua dei lavori preparatori la categoria dei tributi (o entrate) propri appare, invero, riconducibile alla speciale potestà normativa tributaria della Regione, che si concreta in tipi di tributi da essa configurati.

Per penetrare l'essenza della categoria di tributi occorre far riferimento al primo comma dell'art. 119 Cost. - ove é sancito il principio dell'autonomia finanziaria regionale - piuttosto che al secondo comma, che é normalmente proposto come norma specifica della materia.

Il concetto di autonomia (in essa compresa la potestà normativa: cfr. sent. 19 dicembre 1986, n. 271) dà base unitaria ai tributi "propri", riferiti sia alle regioni a statuto ordinario che a quelle a regime speciale, pur nei diversi limiti entro i quali l'autonomia stessa é capace di operare. Tali limiti sono segnati, per le regioni a statuto ordinario, dalle leggi della Repubblica (art. 119, primo comma; sent. 19 dicembre 1986, n. 271 cit.); per le regioni a regime differenziato, dagli statuti speciali (con le relative norme di attuazione), nel quadro della Carta costituzionale nonché dei princìpi e degli interessi generali, cui si informano le leggi dello Stato (cfr. art. 17 St. Reg. Sicilia).

  1. - Nel disegno di questa categoria di tributi (o entrate) "propri" - quale che ne possa essere la sua concreta consistenza - ricorrono i motivi che indussero all'adozione per la regione Sicilia di un sistema di autonomia particolarmente differenziato, anche in materia tributaria. E, pertanto, la configurazione della categoria va verificata alla stregua dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione in materia finanziaria.

L'elemento deliberativo diretto da parte della regione, prescritto dall'art. 36 St. - nel quale si esprimono in modo pregnante l'affermazione dell'autonomia e il miraggio dell'autosufficienza finanziaria - é ribadito nell'art. 2, primo comma, delle norme di attuazione in materia finanziaria.

Questa disposizione amplia il novero dei tributi spettanti alla regione, comprendendovi tutte le entrate tributarie riscosse nell'ambito del suo territorio, ad eccezione delle nuove entrate tributarie, delle quali ci si é già occupati (cfr. nn. 4 e 5).

Accanto all'elemento della "deliberazione diretta" prescritto - in corrispondenza con l'art. 36 St. - dall'art. 2 cit., l'art. 6 delle norme di attuazione, dopo averla circoscritta nei "limiti dei principi del sistema tributario dello Stato", finalizza la potestà normativa della Regione, prevedendo la facoltà di "istituzione" di "nuovi tributi in corrispondenza alle particolari esigenze della comunità regionale".

Entrambi gli elementi concorrono a precisare l'oggetto e i fini della potestà della Regione Sicilia: questa consente alla Regione di deliberare "tipi" specifici di tributi, nell'ambito, certamente residuale, ma non meno qualificante, ad essa assegnato dalla vigenza delle disposizioni delle leggi tributarie dello Stato, le quali sono applicabili nel territorio della Regione stessa (art. 6, primo comma, delle norme di attuazione cit.).

La delimitazione della figura del tributo (o entrata) proprio, desunta dai lavori preparatori, dalla normativa della Carta costituzionale e dallo Statuto speciale, nonché dai princìpi delle leggi dello Stato, viene, dunque, a coincidere puntualmente con a) l'elemento della "deliberazione diretta" del tributo da parte della Regione (artt. 36, primo comma, St., 2, primo comma, prima parte, delle norme di attuazione in materia finanziaria: cfr. sent. 6 giugno 1973, n. 71 di questa Corte), deliberazione che costituisce la più piena espressione dell'autonomia normativa; con b) la finalità di provvedere alle esigenze della comunità regionale, alle quali l'autonomia stessa deve corrispondere (art. 6, secondo comma, norme di attuazione cit.). Questo elemento caratterizza la finalità dell'autodeterminazione siccome intesa a provvedere a bisogni particolari della struttura comunitaria locale; esso si segnalò (Atti Ass. Cost., loc. cit.) come uno dei momenti qualificanti dello Statuto speciale e si é riproposto con particolare vigore in sede parlamentare, in occasione della revisione del "sistema di tesoreria" per la Regione siciliana - operata dall'impugnato art. 35 l. n. 41 del 1986 -, dando impulso ad appassionati interventi ed a ripetuti tentativi di soluzioni mediatrici tra le opposte tendenze statali e regionali.

Non sfugge alla Corte l'attuale non rilevante, consistenza dei "tributi propri" ("direttamente deliberati": artt. 36 St.; 2, primo comma, disp. attuaz., cit.) della Regione Sicilia, categoria alla quale si affidarono molte speranze dei fondatori dello Statuto speciale; ma alla richiesta della Regione deve riconoscersi anche valore di principio, intesa com'é ad individuare l'ambito dell'autonomia regionale in materia tributaria.

L'autonomia anzidetta e la connessa configurazione di "tributi propri", oltre ad esplicarsi nella fase costitutiva dei tributi, si riflette, infatti, sulle operazioni successive (che sono di specifica titolarità regionale), quali l'impiego e il regime dei relativi proventi.

  1. - Non rientrano, invece, nella categoria dei tributi propri della Regione Sicilia "le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate" (art. 2, primo comma, seconda parte, delle norme di attuazione) e ogni altro tributo previsto dall'art. 36 St. e dagli artt. 2 e 4 delle norme di attuazione cit.

Né appartengono a tale categoria le entrate (previste dall'art. 4 delle norme di attuazione) spettanti alla Regione, "relative a fattispecie tributarie maturate nell'ambito regionale, che affluiscono ad uffici finanziari situati fuori del territorio della Regione".

In entrambe le ipotesi non ricorre né l'esercizio diretto di potestà normativa regionale, né la destinazione peculiare alle esigenze della comunità regionale, elementi costitutivi, entrambi - come si é visto - del tipo di tributo (o entrata) proprio regionale.

  1. - É infine da escludere dal novero delle "entrate proprie" il contributo statale devoluto alla Regione siciliana "a titolo di solidarietà nazionale" (art. 38 St.).

Tale erogazione si colloca tra i "contributi" "provenienti dal bilancio dello Stato", ai quali si riferisce la ratio e si applica il precetto dell'art. 31 della l. 5 agosto 1978, n. 468.

Non giova al riguardo far leva sull'espressione "lo Stato verserà annualmente", contenuta nell'art. 38 St. ora ricordato. La norma "obbliga" lo Stato al versamento che deve essere effettuato nell'arco cronologico definito (cfr. art. 3 l. 27 aprile 1978, n. 182); l'assoggettabilità del contributo a revisione (secondo e terzo comma dell'art. 38 cit.) non tocca, poi, il modo e il tempo dell'adempimento.

Non ricorre, quindi, nella figura del contributo di solidarietà alcuno degli elementi che, come si é visto, valgono a caratterizzare l'entrata "propria" della Regione Sicilia.

  1. - Né giova ad estendere la delimitazione, così operata, della esenzione dal "sistema di tesoreria", il richiamo agli artt. 17 e 20 dello Statuto che attribuiscono alla Regione funzioni normative "esecutive ed amministrative", in materia di credito e di risparmio.

Per quanto riguarda tale potestà é da riconoscerle carattere concorrente con quella statale, dato che essa trova limite nei princìpi ed interessi generali, cui si informa la legislazione dello Stato, pur essendo diretta a soddisfare condizioni particolari ed interessi propri della Regione (art. 17 St. cit.). Non può, dunque, dubitarsi che la normativa impugnata, adeguando la situazione regionale siciliana a quella nazionale in materia di "giacenze", abbia introdotto nell'ambito locale l'osservanza di princìpi e il rispetto di interessi generali, che si impongono alla Regione nella sua sfera normativa e amministrativa, fatta eccezione delle "entrate (o tributi) proprie", alla stregua della presente decisione.

  1. - Né può considerarsi rilevante in materia la normativa della riscossione dei tributi, alla quale si é fatto ampio riferimento nel ricorso: essa trova puntuali limiti operativi nell'art. 8 e nell'art. 9 delle stesse norme di attuazione dello Statuto, le quali prevedono soluzioni aperte sia alla gestione diretta regionale che a quella statale ovvero alla concessione.

Non appare opportuno approfondire tale tema, poiché esso, in conformità della giurisprudenza di questa Corte, non si riflette sull'applicabilità della normativa sul "sistema di tesoreria".

Pertanto non rileva al riguardo il principio, esattamente affermato, alla stregua della legislazione allora vigente, dall'Alta Corte per la Regione siciliana (sent. 18 ottobre 1950, n. 7 (?)), secondo il quale la Regione é titolare della potestà di riscossione delle imposte dirette come necessario riflesso della potestà deliberativa in materia di tributi.

  1. - L'art. 35 della l. n. 41 del 1986 vìola gli artt. 36, 37 e 38 dello Statuto della Regione siciliana e l'art. 2, primo comma, prima parte, delle relative norme di attuazione e, di conseguenza, l'art. 43 dello Statuto stesso, unicamente nei limiti del riferimento ai "tributi propri" nei sensi innanzi esposti.

Sotto questo esclusivo aspetto, anche la seconda parte del ricorso della Regione é da accogliere.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, terzo comma, secondo capoverso, seconda parte, della l. 28 febbraio 1986, n. 41 recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1986)", nella parte in cui dispone che i proventi derivanti dagli aumenti disposti con l'art. 2 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 787 (Disposizioni fiscali urgenti), convertito con modificazioni nella legge 26 febbraio 1982, n. 52 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 787, concernente disposizioni fiscali urgenti) continuano ad essere riservati all'Erario dello Stato;

Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 35 della l. 28 febbraio 1986, n. 41 recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1986)" limitatamente alla parte in cui si riferisce anche ai "tributi deliberati" dalla Regione Sicilia (ex art. 36 R.d.legisl. 15 maggio 1946, n. 455).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: PESCATORE

Depositata in cancelleria il 2 marzo 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE