Sentenza n. 75 del 1967
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SENTENZA N. 75

ANNO 1967

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 80, ultimo comma, del decreto - legge 18 novembre 1966, n. 976, recante "Ulteriori interventi e provvidenze per la ricostruzione e per la ripresa economica nei territori colpiti dalle alluvioni e mareggiate dell'autunno 1966", promosso con ricorso della Regione autonoma della Sardegna notificato il 17 dicembre 1966, depositato in cancelleria il 24 successivo ed iscritto al n. 27 del Registro ricorsi 1966.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 31 maggio 1967 la relazione del Giudice Antonino Papaldo;

uditi l'avv. Pietro Gasparri, per la Regione autonoma della Sardegna, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso depositato il 24 dicembre 1966, la Regione autonoma della Sardegna, nella persona del suo Presidente pro-tempore, ha prodotto ricorso per giudizio di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'ultimo comma dell'art. 80 del decreto - legge 18 novembre 1966, n. 976 (convertito con modificazioni nella legge 23 dicembre 1966, n. 1142) la quale riserva esclusivamente all'Erario dello Stato i proventi derivanti dalla applicazione dell'impugnato provvedimento legislativo nonché di quelli derivanti dal decreto - legge 9 novembre 1966, n. 913 (convertito nella legge 23 dicembre 1966, n. 1140), destinandoli a copertura degli oneri dipendenti dalle alluvioni e dalle mareggiate dell'autunno 1966.

Secondo la Regione la norma denunciata sarebbe in contrasto con l'art. 8, primo comma, dello Statuto speciale, in quanto, avendo modificato il precedente D. L. del 9 novembre 1966, n. 913, le avrebbe sottratto un maggior provento dell'imposta di fabbricazione sui prodotti petroliferi percetta nel suo territorio che quel provvedimento le aveva attribuito, e con gli artt. 47 e 54 dello Statuto stesso, per essere stata emanata con la forma del decreto - legge e non con quella della "legge formale" o "ordinaria della Repubblica" o senza che fosse stato previamente sentito il parere della Regione né invitato il suo Presidente a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri che l'aveva deliberata.

Nel giudizio si é costituita l'Avvocatura dello Stato, in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto depositato in data 6 gennaio 1967.

Dall'Avvocatura si deduce che il ricorso appare infondato sotto tutti gli aspetti prospettati.

Si osserva, innanzitutto, che la norma denunziata non avrebbe sottratto alcun cespite alla Regione né modificato i rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione, ma avrebbe adottato soltanto misure finanziarie eccezionali, destinandone il gettito a copertura degli interventi straordinari, richiesti dalla eccezionalità degli eventi dell'autunno del 1966. É pacifico, inoltre, che lo Stato - nonostante ogni disposizione statutaria che attribuisca alle Regioni tutto o parte del gettito di alcuni tributi - può aumentare le aliquote dei tributi stessi, introdurre tributi nuovi o imporre addizionali nuove riservandone a sé il gettito, secondo un principio di solidarietà nazionale riconosciuto dall'art. 7 dello stesso Statuto della Sardegna nonché dagli artt. 2 del D. P. 26 luglio 1965, n. 1074, e 4 del D. P. 23 gennaio 1965, n. 114, contenenti, rispettivamente, norme di attuazione degli Statuti speciali per la Sicilia e per il Friuli - Venezia Giulia.

Comunque, non sussisterebbe mai la denunciata violazione dell'art. 54 dello Statuto sardo per il fatto che si é provveduto con la forma del decreto - legge invece che con "legge ordinaria della Repubblica", essendo noto come con detta locuzione si sia inteso contrapporre le leggi dello Stato a quelle regionali nonché le leggi ordinarie a quelle costituzionali, e come il vigente ordinamento escluda ogni differenza di contenuto e di efficacia fra legge, decreto - legge e decreto legislativo e consideri, in particolare, alla stessa stregua della legge il decreto - legge che, dovendo essere convertito in legge entro sessanta giorni, ha una propria autonoma efficacia limitata nel tempo e condizionata alla conversione.

Inoltre l'estrema urgenza di adottare il decreto - legge ha impedito che si svolgesse un carteggio fra Governo e Giunta regionale, ma é certo che il Presidente della Regione venne sentito sia pure nelle vie brevi, come risulta dal fatto che "la sera del 16 novembre 1966 il funzionario proposto all'Ufficio Regioni della Presidenza del Consiglio ebbe un lungo colloquio telefonico con il Presidente della Regione, al quale fece presente i motivi che avevano impedito la convocazione - peraltro non necessaria - dei Presidenti delle Regioni per la seduta del Consiglio dei Ministri che aveva deliberato l'adozione del decreto - legge", e "che il giorno successivo il Presidente della Regione sarda comunicò, sempre telefonicamente, a mezzo del suo Capo di Gabinetto, che, data la prevedibile entità del ricavo la Regione era solo relativamente interessata alla cosa e, se richiesta, avrebbe volentieri rinunciato allo stesso". Il Presidente, tuttavia, si doleva di non essere stato convocato e non escludeva che la Giunta potesse decidere di impugnare, per questo particolare motivo, la legge.

Il parere, quindi, conclude l'Avvocatura, benché - a suo avviso - non necessario, venne richiesto ed acquisito, né può dubitarsi della idoneità della forma (verbale), tanto più quando, come era nella specie, vi sia assoluta urgenza di provvedere.

L'art. 54 dello Statuto, inoltre - continua l'Avvocatura - dispone che le norme contenute nel suo titolo III possono essere modificate con legge ordinaria statale sentita la Regione, ma non richiede affatto che il Presidente di essa partecipi, ai sensi dell'art. 47 dello Statuto stesso alla seduta del Consiglio dei Ministri che delibera la modificazione, ed a sostegno della propria tesi cita la sentenza costituzionale n. 4 del 1966.

Muovendo dalla medesima considerazione che il D. L. 18 novembre 1966, n. 976, é stato convertito in legge con molte modificazioni, compresa la integrale sostituzione dell'art. 80, che contiene la disposizione (ultimo comma) impugnata, sia l'Avvocatura generale dello Stato sia la Regione sarda hanno depositato rispettivamente, in data 26 aprile e 5 maggio 1967, brevi note aggiuntive.

Pur non intendendo contestare la impugnabilità dei decreti-legge né proporre il problema se dalla Regione ricorrente dovesse essere impugnata in via autonoma anche la legge di conversione, da parte dell'Avvocatura dello Stato si é sostenuto che nel presente giudizio é sorto, in sostanza, il problema della persistente ammissibilità del ricorso o, quanto meno, della sopravvenuta cessazione della materia del contendere, onde é necessario accertare l'effetto che produce, sul ricorso avverso il decreto - legge, la legge che lo converte con modificazioni, soprattutto quando, come nella specie, la disposizione impugnata sia stata sostituita, e non si tratti soltanto di una sostituzione formale.

Secondo l'Avvocatura, quindi, la legge di conversione non soltanto avrebbe sostanzialmente modificato la norma impugnata, ma, con l'introduzione dell'art. 88 bis, avrebbe espressamente disciplinato la partecipazione delle Regioni al provento derivante dall'applicazione delle misure speciali previste dai provvedimenti eccezionali, "regolandosi, così diversamente tutta la materia oggetto del presente ricorso, cioè, la destinazione del provento stesso".

E poiché la disposizione dell'art. 88 bis ha effetto retroattivo, perché si riferisce a tutti gli stanziamenti autorizzati dai decreti legge 913, 914 e 976 del 1966, l'Avvocatura, pur riconoscendo che l'art. 80 dell'impugnato D.L. n. 976 ha conservato il suo vigore fino all'entrata in vigore della legge di conversione, che l'ha sostituito, ritiene che "il suo annullamento mai potrebbe travolgere la disposizione di legge sostitutiva, non impugnata, e, comunque, che, essendo stati diversamente regolati ab initio i rapporti fra Stato e Regione in ordine alla ripartizione dei proventi derivanti dall'applicazione del D. L. 9 novembre 1966, n. 913, é venuto meno ogni interesse della Regione al presente ricorso, l'accoglimento del quale avrebbe effetti certamente limitati, ed é conseguentemente cessata, quanto meno sostanzialmente, la materia del contendere, fin dall'origine alla destinazione del provento stesso".

Concludendo, l'Avvocatura chiede che la Corte voglia dichiarare cessata la materia del contendere e, in via subordinata, dichiarare inammissibile ovvero respingere il ricorso per i motivi di cui all'atto di intervento che vengono confermati.

Da parte della ricorrente Regione si é, invece, sostenuto che l'impugnato ultimo comma dell'art. 80 del D. L. n. 976, in sede di conversione in legge, é rimasto - salvo una diversità di formulazione in ordine alla destinazione dei proventi previsti - sostanzialmente immutato. E poiché anche nell'emanare la legge di conversione non sarebbe stata rispettata la procedura prevista dall'art. 54, quarto comma, dello Statuto speciale - la quale richiede che per le modifiche allo Statuto in materia finanziaria si può provvedere con legge ordinaria, ma "in ogni caso sentita la Regione" - il vizio denunziato con il ricorso rimarrebbe fermo.

Prevenendo una eventuale eccezione dell'Avvocatura, la Regione ha poi affermato che quando viene impugnato un decreto-legge si impugna, implicitamente, anche la futura legge di conversione.

Dal fatto di non avere impugnato la legge di conversione, che tra l'altro presenta lo stesso vizio denunziato, di essere stata, cioè, emanata senza il previo parere della Regione, non potrebbero discendere gli effetti di un mancato ricorso, né si potrebbe pensare ad una posizione di acquiescenza per mancata impugnativa ovvero ad una tacita rinunzia del resto inammissibile nei procedimenti dinanzi alla Corte costituzionale; tutt'al più - sostiene la Regione - si avrebbe nella specie il caso di un "ricorso anticipato".

Il ricorso, quindi, conclude la Regione, deve essere deciso e la dichiarazione della sua fondatezza da parte della Corte dovrebbe imporre l'applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia di illegittimità costituzionale derivata della legge di conversione, a meno che la Corte non voglia - come altre volte ha fatto - investirsi, di propria iniziativa, in via incidentale, della questione di legittimità costituzionale della legge di conversione nei sensi sopra esposti.

 

Considerato in diritto

 

1. - Anche ai fini del giudizio sulle questioni preliminari, giova premettere un esame circa l'esatta portata delle norme da considerare.

Con decreto - legge del 9 novembre 1966, n. 913, fu disposto, con efficacia fino al 31 dicembre 1968, l'aumento dell'imposta di fabbricazione su alcuni prodotti petroliferi; circa la destinazione del gettito derivante da tale aumento nessun cenno fu fatto nel testo del decreto. Ma con decreto - legge di pari data, avente il n. 914, nel disporre varie provvidenze a favore degli alluvionati dell'autunno 1966, si provvide a destinare a tale scopo larga parte del gettito (e presumibilmente tutto il gettito) proveniente dal maggior carico fiscale imposto con il coevo decreto n. 913.

Con successivo decreto legge del 18 dello stesso mese di novembre, avente il n. 976, dopo avere disposto ulteriori interventi e provvidenze, nonché altri inasprimenti fiscali, fu stabilito che i proventi derivanti dall'applicazione dello stesso decreto e dall'applicazione del decreto-legge n. 913, destinati a sopperire agli oneri dipendenti dalle alluvioni o mareggiate dell'autunno 1966, sono riservati esclusivamente all'Erario dello Stato. Questa disposizione, contenuta nell'ultimo comma dell'art. 80 del detto decreto n. 976, forma oggetto dell'impugnativa in questa sede.

Il D. L. n. 913 fu convertito, senza modificazioni, nella legge 23 dicembre 1966, n. 1140, mentre i decreti - legge nn. 914 e 976 furono convertiti, con modificazioni, rispettivamente, nelle leggi aventi la stessa data del 23 dicembre 1966, con i numeri 1141 e 1142.

La legge di conversione del decreto n. 914 non contiene disposizioni che presentino interesse ai fini della proposta controversia; nella legge n. 1142, due disposizioni sono meritevoli di particolare esame: l'art. 80, che sostituisce integralmente l'art. 80 del decreto - legge, e l'art. 88 bis, il quale dispone: "Con decreto dei Ministri competenti é assegnata alle Regioni e Province a statuto speciale, nei cui territori si siano verificati gli eventi calamitosi di cui agli articoli precedenti, una quota parte degli stanziamenti autorizzati dal presente decreto e dal decreto - legge 9 novembre 1966, n. 914, in relazione alle materie su cui le Regioni e le Province medesime hanno competenza legislativa primaria in base ai rispettivi Statuti.

I poteri amministrativi previsti dal presente decreto e dal decreto - legge 9 novembre 1966, n. 914, e dalle norme in essi richiamate, sono esercitati, nelle materie su cui le Regioni e le Province a statuto speciale hanno competenza legislativa, dagli organi regionali o provinciali competenti".

Queste disposizioni, guardate nella loro origine e nel loro contesto, significano chiaramente che tutte le provvidenze e tutte le misure finanziarie adottate per la copertura delle spese occorrenti trovano la loro fonte unitaria e la loro disciplina nel complesso dei tre decreti - legge e delle relative leggi di conversione. Che l'aumento dell'imposta sui prodotti petroliferi, come gli altri inasprimenti fiscali, fossero destinati a quelle esigenze straordinarie, si evince con certezza dal fatto che trattasi di aumenti temporanei deliberati in concomitanza con gli eventi che si dovettero urgentemente fronteggiare. Né ha importanza il fatto che nel decreto n. 913 e nella sua legge di conversione nulla si dica circa la destinazione dei proventi, giacché, come si é accennato, la destinazione risulta dall'art. 26 del coevo decreto n. 914, dove il decreto n. 913 é indicato con la sola intestazione, senza la data ed il numero, apposti successivamente all'uno e all'altro decreto pubblicati lo stesso giorno in due edizioni straordinarie della Gazzetta Ufficiale: conferma questa della comunanza di origine e finalità dei due provvedimenti.

Quando, dunque, il decreto n. 976 enuncia, nell'art. 80, che tutti i proventi hanno pari destinazione, non dice cosa nuova o diversa, ma dichiara esplicitamente ciò che era stato voluto fin dal principio e fin dal principio risultava evidente dal complesso unitario delle disposizioni.

Neppure la legge di conversione del decreto n. 976, per la parte che interessa la controversia in esame, ha portato sostanziali innovazioni, giacché nel nuovo testo dell'art. 80, inserito nella legge di conversione, la disposizione del decreto - legge, impugnata in questa sede, é rimasta sostanzialmente inalterata.

Né é esatto quel che sostiene l'Avvocatura dello Stato, e cioè che una innovazione, rispetto alla disposizione impugnata, si sarebbe avuta per effetto dell'art. 88 bis, aggiunto con la legge di conversione. É vero che con l'art. 88 bis si é innovato nei rapporti tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale; ma l'innovazione attiene alla utilizzazione degli stanziamenti, mentre immutata é rimasta la norma relativa al diritto dell'Erario sull'intero gettito degli inasprimenti fiscali.

Si può concludere che, fin dall'origine, con i tre decreti - legge fu disposto che i proventi dei temporanei inasprimenti fiscali, compreso l'aumento dell'imposta sui prodotti petroliferi, furono attribuiti all'Erario dello Stato per fronteggiare alcune straordinarie esigenze e che tale attribuzione é rimasta invariata anche dopo le leggi di conversione.

2. - Per quanto si riferisce alle questioni preliminari, la Corte, premesso che non é contestata - e non sarebbe contestabile - l'ammissibilità della impugnativa dei decreti - legge in questa sede da parte delle Regioni, ritiene non fondate le eccezioni proposte dall'Avvocatura dello Stato circa la cessazione della materia del contendere e la sopraggiunta inammissibilità del ricorso.

Non cessa la materia del contendere quando, come nella specie, il contenuto della disposizione impugnata del decreto - legge resti inalterato con la legge di conversione anche se quella disposizione sia sostituita con un nuovo articolo.

Poiché, nella realtà di fatto, la legge di conversione nulla di nuovo ha determinato nei rapporti tra lo Stato e la Regione nei riguardi della percezione delle imposte, se ne deve dedurre la sopravvivenza della materia del contendere.

É chiaro che le eccezioni dell'Avvocatura muovono da concetti generali relativi alla natura del decreto - legge ed agli effetti che su di esso produce la legge di conversione. Ma la Corte ritiene che, nel caso oggi in esame, quei concetti generali non spieghino influenza.

Difatti, anche se si ammette che la legge di conversione rappresenti un quid novi che travolge e si sostituisce (non importa qui ricercare se e quando con effetto ex nunc o ex tunc) al decreto - legge, sarebbe contrario alla realtà inferirne che la legge elimini pure il contrasto da cui ebbe inizio la controversia. É da ritenere, invece, che, quando il contenuto di una disposizione del decreto - legge resti immutato nella legge di conversione, i termini del contrasto permangono nella loro sostanza, anche se in certi casi si possa inserire nella controversia qualche nuovo elemento di discussione.

Questa considerazione, che vale ad escludere, nell'attuale causa, la cessazione della materia del contendere, serve anche per disattendere la tesi della sopraggiunta inammissibilità del ricorso.

Dopo la legge di conversione, quando sostanzialmente rimanga inalterata la disposizione convertita, restano inalterati non soltanto l'interesse che diede luogo al ricorso ma anche la controversia. Questo risulta, nella maniera più evidente, nella causa attuale nella quale la questione é identica, rispetto sia al decreto - legge che alla legge di conversione.

E non si fa solo una considerazione di equità se si dice che la ricorrente, avendo manifestato la volontà di tutelare un suo diritto, può legittimamente attendere che la pronuncia abbia luogo sulla sostanza della controversia.

Specialmente in sede processuale, l'ordinamento non manca di principi, che sono qualificati in dottrina con varie denominazioni: economia dei giudizi, conservazione degli atti, perpetuatio e simili. Particolarmente le giurisdizioni amministrative hanno elaborato acconcie soluzioni per non deludere le aspettative di giustizia nei casi di modificazioni degli atti avvenute nel corso del giudizio.

Ed é ragionevole che anche nel procedimento di legittimità costituzionale il mutamento avvenuto durante il giudizio non possa e non debba influire sul corso del giudizio stesso, quando, come nella specie, permanga integro l'interesse alla decisione e restino immutati, nella sostanza, i termini della controversia.

In tali casi la decisione rispetto alla legge di conversione non interviene, in via conseguenziale, per effetto dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ma per l'originaria forza espansiva del ricorso contro la conforme disposizione del decreto - legge. Per la stessa ragione non occorre che la Corte sollevi apposito incidente di costituzionalità nei riguardi della legge di conversione.

In conclusione, le eccezioni preliminari proposte dall'Avvocatura devono essere disattese, restando però impregiudicata la soluzione di ogni altra questione sia, in generale, circa gli effetti della legge di conversione rispetto al decreto - legge convertito, sia, in particolare, nei riguardi della impugnazione del decreto-legge quando la disposizione della sopraggiunta legge di conversione non coincida con quella del decreto - legge denunziata con il ricorso.

3. - Se la parte spettante alla Regione di un certo provento deliberato con il decreto del 9 novembre fosse stata tolta alla Regione stessa con un decreto del successivo giorno 18, il pregiudizio per la Regione non sarebbe stato irrilevante dal punto di vista giuridico, anche se, dal lato economico, il pregiudizio sarebbe stato tanto esiguo da considerarsi quasi inesistente.

Sennonché, contrariamente a quanto, forse, dovette ritenere l'Ufficio Regioni della Presidenza del Consiglio dei Ministri (un funzionario del quale, come si legge nella memoria dell'Avvocatura dello Stato, avrebbe avuto contatti telefonici con il Presidente della Regione il 16 novembre) il decreto - legge n. 976 del 18 novembre, come appare dalla esposizione fatta nella prima parte delle considerazioni di diritto di questa sentenza, non apportò novità rispetto al decreto n. 913 del precedente giorno 9 per quanto si riferiva alla esclusiva attribuzione all'Erario del gettito derivante dagli inasprimenti fiscali deliberati contemporaneamente alle provvidenze disposte a favore degli alluvionati con l'altro decreto n. 914 di quella stessa data. E pertanto il decreto n. 976 nulla tolse alla Regione.

Ne consegue che l'attività statale di cui la Regione si lagna restava fuori dell'ambito dei rapporti tra Stato e Regione; quindi non ricorreva l'applicazione degli artt. 8, primo comma, e 54, quarto comma, dello Statuto sardo. A maggior ragione erano fuori campo l'art. 47, secondo comma, dello stesso Statuto in una materia di carattere e di interesse generale e - a parte il suo fondamento intrinseco - la pretesa della Regione circa la forma (legge o decreto - legge) con cui si potrebbero imporre le misure fiscali sul cui gettito ci siano interessenze delle Regioni.

É da concludere che la questione si deve dichiarare infondata, senza che occorra applicare il principio - che, del resto, la difesa della Regione, in linea di massima, non contesta - secondo cui la legge dello Stato può introdurre tributi nuovi, aumentare le aliquote o imporre addizionali anche in quei settori nei quali le Regioni, per disposizioni dei relativi statuti, abbiano diritto a tutto o a parte del gettito, quando le nuove entrate tributarie siano destinate alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato. Questo principio, che risulta dall'art. 7 dello Statuto sardo ed é stato affermato espressamente con gli artt. 2 del D. P. 26 luglio 1965, n. 1074, nei confronti della Sicilia, e 4 del D. P. 23 gennaio 1965, n. 114, nei confronti del Friuli - Venezia Giulia, vale per tutte le Regioni, trattandosi di un principio generale dell'ordinamento, dal quale la Corte non si é discostata fin dai primi tempi del proprio funzionamento (si veda la sentenza n. 21 del 29 giugno 1956, emessa su ricorso della stessa Regione sarda).

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinge le eccezioni pregiudiziali proposte dall'Avvocatura generale dello Stato;

dichiara non fondata la questione sollevata, col ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione sarda sulla legittimità costituzionale dell'art. 80, ultimo comma, del decreto - legge 18 novembre 1966, n. 976, concernente "Ulteriori interventi e provvidenze per la ricostruzione e la ripresa economica nei territori colpiti dalle alluvioni e mareggiate dell'autunno 1966", convertito nella legge 23 dicembre 1966, n. 1142, in riferimento agli artt. 8, comma primo, 47, comma secondo, e 54, comma quarto, dello Statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1967.

 

Gaspare AMBROSINI - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI 

 

Depositata in cancelleria il 3 luglio 1967.