Sentenza n. 4 del 1966
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SENTENZA N. 4

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni BATTISTA BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso dal Presidente della Regione siciliana con ricorso notificato il 1 aprile 1965, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 10 successivo ed iscritto al n. 5 del Registro ricorsi 1965, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato sorto a seguito del D.P.R. 19 dicembre 1964, con il quale sono state annullate deliberazioni di Province e Comuni siciliani che avevano concesso al personale dipendente un'indennità di buona uscita e un aumento del 50 per cento delle quote di aggiunta di famiglia.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 1 dicembre 1965 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

uditi gli avvocati Vezio Crisafulli e Antonio Sorrentino, per la Regione siciliana, ed il sostituto avocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 1964, su proposta del Ministro dell'interno, sono state annullate d'ufficio, a norma dell'art. 6 della legge comunale e provinciale del 1934, alcune deliberazioni di Province e Comuni siciliani che avevano concesso al personale dipendente un'indennità di buona uscita e un aumento del 50 per cento delle quote di aggiunta di famiglia.

Avverso questo decreto ricorre, per risoluzione di conflitto d'attribuzioni, la Regione siciliana con atto depositato il 10 aprile 1965 e ritualmente notificato.

Secondo la ricorrente, il D.P.R. é illegittimo perché non é stato preceduto da deliberazione del Consiglio dei Ministri; deliberazione che era necessaria perché il citato art. 6 attribuisce al "Governo" il potere generale d'annullamento, e per "Governo" non può intendersi che il Consiglio dei Ministri (art. 92 della Costituzione): tanto é vero che la stessa legge comunale e provinciale distingue nettamente i casi in cui il potere d'annullamento spetta al Ministro (es. artt. 102 e 151) da quello in cui spetta al Governo; in realtà quest'ultimo potere, presupponendo una valutazione degli interessi generali dello Stato, potrebbe essere esercitato solo dagli "organi supremi" dell'esecutivo (sentenza n. 58 del 1959 della Corte costituzionale), cioè dal Consiglio dei Ministri.

Ne deriverebbe che il D.P.R. ha violato l'art. 21 dello Statuto siciliano e invaso la sfera di competenza regionale: infatti, a norma di questo articolo, il Presidente della Regione deve partecipare alle sedute del Consiglio dei Ministri che riguardano materie interessanti la Regione: siccome il provvedimento riguardava gli enti locali, e rispetto ad essi la competenza della Regione é molto vasta (art. 15, ultimo comma, dello Statuto siciliano), si é trattato evidentemente di materia d'interesse regionale; perciò si sarebbe dovuto invitare od ammettere il Presidente della Regione siciliana.

2. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenendo con atto dell'Avvocatura dello Stato depositato il 16 aprile 1965, si oppone osservando che il ricorso é inammissibile: la Regione non ha denunciato un vizio di costituzionalità, come sarebbe avvenuto se si fosse convocato il Consiglio dei Ministri senza chiamare il Presidente regionale, ma ha rilevato un vizio di legittimità ordinaria (proposta del Ministro invece che del Consiglio dei Ministri); essa, in sede di conflitto di attribuzioni, non può pretendere che un atto sia adottato dal Consiglio dei Ministri perché vi partecipi il proprio Presidente; non sarebbe neanche ipotizzabile che un conflitto d'attribuzioni sorga ad opera d'un atto a cui non ha concorso la deliberazione del Consiglio dei Ministri e rispetto al quale pertanto non sarebbe del pari ipotizzabile la partecipazione del Presidente regionale.

Del resto questo vizio, in realtà, non sussisterebbe poiché per tradizione secolare all'annullamento degli atti si é sempre provveduto su proposta del Ministro competente.

Il ricorso, comunque, sarebbe infondato: la Corte costituzionale (sentenza n. 12 del 1963), interpretando una norma dello Statuto sardo, ha escluso che l'intervento del Presidente regionale sia richiesto quando il Consiglio dei Ministri delibera se sollevare o meno una questione di legittimità o di merito su una legge regionale; altrettanto dovrebbe dirsi dell'atto d'annullamento di provvedimenti regionali, che appunto, esigendo una valutazione degli interessi generali dello Stato, non riguarda particolarmente Ia Regione come ente ed é riservato agli organi supremi del potere esecutivo.

Del resto l'art. 21, secondo l'Avvocatura dello Stato, ha una portata puramente politica spettando al solo Consiglio dei Ministri la valutazione dell'opportunità di invitare od ammettere alle proprie sedute il Presidente regionale; né la Regione può vantare su ciò alcuna pretesa.

3. - L'Avvocatura dello Stato, nella memoria del 21 ottobre 1965, riafferma l'inammissibilità della questione: la mancata deliberazione del Consiglio dei Ministri concreta, se mai, una violazione di legge ordinaria, tante é vero che una nuova legge ordinaria potrebbe non più esigere l'intervento del Consiglio senza per questo violare l'art. 21 dello Statuto siciliano.

Comunque, che per "Governo" non debba intendersi necessariamente il Consiglio dei Ministri, risulterebbe, secondo l'Avvocatura dello Stato, da molte norme, anche costituzionali, dove quel termine é impiegato per indicare i singoli Ministri (artt. 72, 78, 100, 121, 127, comma terzo, della Costituzione e disp. trans. XVII; artt. 38, 86, 111 e segg. del regolamento della Camera dei deputati; 72, 96 e segg. del regolamento del Senato; art. 17 del Codice civile; art. 5 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 149 del T.U. 4 febbraio 1915, n. 148; art. 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497; art. 5 della stessa legge comunale e provinciale 1934). Il Governo infatti, ex art. 92 della Costituzione, é composto dal Presidente del Consiglio e dai Ministri quali organi individuali; e l'attività di ciascuno di costoro, essendo imputabile al Governo come organo collegiale, secondo l'Avvocatura dello Stato può svolgersi in tutti i campi, escluso quello, riservato al Consiglio dei Ministri, della direzione politica e dell'indirizzo politico-amministrativo (Consiglio di Stato, sentenza n. 268 del 10 maggio 1963); anzi fuori da tali compiti la partecipazione del Consiglio dei Ministri costituisce sempre eccezione espressamente prevista dalla legge. Ma l'atto governativo d'annullamento ex art. 6 non é compreso nelle questioni di alta amministrazione né rientra in nessuna delle categorie per le quali il R.D. del 1901, n. 466, richiede espressamente la determinazione del Consiglio dei Ministri (e v. anche, per analogia, gli artt. 52 della legge del 1890, n. 6972, e 273 del T.U. 1937, n. 1757, sull'annullamento di atti di enti d'assistenza e in materia di finanza locale).

In particolare, l'Avvocatura ricorda che tutti gli affari in cui occorre il decreto del Presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato sono sottoposti al Consiglio dei Ministri solo se il Ministro competente non voglia uniformarsi a quel parere (art. 1, n. 7, del R. D. 14 novembre 1901, n. 466; art. 54 del R.D. 21 aprile 1942, n. 444). Ciò varrebbe anche nei casi di applicazione dell'art. 6 della legge comunale e provinciale 1934 e, siccome nel caso di specie il Ministro s'é uniformato a quel parere, non é stata necessaria la deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Oltre a ciò, afferma la Presidenza del Consiglio, il potere d'annullamento é espressione del carattere unitario dello Stato e pertanto non é materia che interessi la Regione; tanto più che i provvedimenti comunali e provinciali annullati col decreto che si impugna riguardano sicuramente materia estranea all'interesse regionale: infatti essi comportano spese che graverebbero esclusivamente sullo Stato, essendosene la Regione del tutto estraniata.

4. - La Regione, con memoria depositata il 18 novembre 1965, respinge l'eccezione di inammissibilità: il conflitto di attribuzioni può sorgere anche per violazione d'una legge ordinaria se con ciò sia stata invasa la "sfera costituzionale" della Regione, e tale sfera non é necessariamente quella determinata da norme "formalmente costituzionali"; inoltre, e specialmente, il vizio di "legittimità semplice" per contrasto con l'art. 6 della legge comunale e provinciale é stato denunciato dalla Regione solo in quanto ha dato modo di violare l'art. 21 dello Statuto siciliano, norma costituzionale attributiva di competenza al Presidente della Regione: dunque la violazione dell'art. 6 é sindacabile da questa Corte dato che si rientra nel caso di necessaria correlazione fra essa e la norma costituzionale dell'art. 21; anche secondo il Consiglio di Stato (27 febbraio 1963, n. 111) c'é conflitto d'attribuzioni quando uno dei soggetti con un proprio atto illegittimo rende impossibile l'esercizio di attribuzioni costituzionalmente spettanti ad altro soggetto; infine non vale ipotizzare una legge ordinaria che sottragga al Consiglio dei Ministri la competenza conferitagli dall'art. 6 in materia d'annullamento; tra l'altro questa legge sarebbe illegittima.

Lo sarebbe perché solo con un atto di alta amministrazione (lo ha riconosciuto proprio la Corte costituzionale) lo Stato può annullare in ogni tempo provvedimenti emessi da enti la cui autonomia é garantita dalla Costituzione: e l'alta amministrazione, anche per la sentenza del Consiglio di Stato richiamata nella memoria avversaria, é di competenza del solo Consiglio dei Ministri (vedi lo stesso art. 1 del R.D. del 1901, n. 466).

Quanto, poi, alle molte norme per le quali il Governo, secondo l'Avvocatura dello Stato, non coinciderebbe col Consiglio dei Ministri, la Regione osserva che per alcune ciò é discutibile, per altre, non tutte immuni da vizi di incostituzionalità, si tratta di casi assolutamente particolari, altre ancora si riferiscono al singolo Ministro ma in quanto rappresenta politicamente il Governo di cui é parte.

Se poi fosse vero che si sia andata formando una prassi, secondo cui i provvedimenti ex art. 6 non richiedono l'intervento del Consiglio dei Ministri, essa sarebbe illegittima: infatti non vi é dubbio, afferma la difesa regionale, che "Governo", prima e dopo la Costituzione (art. 92), é stato ed é sempre l'organo collegiale, poiché solo con la deliberazione collegiale può formarsi una volontà unitaria del Governo.

Infine, secondo la Regione, la formula dell'art. 21 dello Statuto siciliano é molto chiara e, attribuendo una competenza al suo Presidente, gli dà un vero e proprio diritto a partecipare alle adunanze del Consiglio dei Ministri; di modo che il mancato invito costituisce violazione di quella competenza (vedi anche Consiglio di Stato 27 febbraio 1963, n. 111) anziché esplicazione d'un apprezzamento insindacabile del Governo. Il potere di annullamento appartiene allo Stato ed é espressione del carattere unitario di quest'ultimo; ma ciò non toglie che, quando si esercita in materie interessanti la Regione, anch'essa vi debba partecipare col suo Presidente: e nel caso é incontestabile, secondo la difesa regionale, che l'annullamento interessa la Regione perché si riferisce ad atti di enti sottoposti, per disposizioni statutarie, al suo controllo.

5. - Nella discussione orale le difese hanno svolto e ulteriormente illustrato le loro tesi.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione di inammissibilità, proposta dalla Presidenza del Consiglio, non può essere accolta. La difesa regionale infatti denuncia la violazione della legge ordinaria (art. 6 della legge comunale e provinciale 1934) non per sé, ma perché avrebbe dato modo di eludere l'art. 21, comma terzo, dello Statuto siciliano, cioè una norma costituzionale della quale si afferma che attribuisce una certa competenza al Presidente della Regione: il conflitto é innegabile, assumendosi, dall'altra parte, che invece, col decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 1964, si é provveduto legittimamente in una materia di competenza dei soli organi statali.

2. - Quanto al merito, secondo la Corte l'annullamento di atti comunali e provinciali consentito al predetto art. 6 non é materia che interessi la Regione nel senso previsto dall'art. 21 dello Statuto siciliano. Trattasi, come é noto, di attività che non va confusa col controllo ordinario riservato all'ente regionale (artt. 130 della Costituzione e 15 dello Statuto siciliano) e che si svolge in una sede sottratta alla Regione: un potere di alta amministrazione, nel quale si manifesta la unitarietà dell'ordinamento amministrativo statale, in che, poi, s'armonizzano le stesse autonomie degli enti locali (art. 15 dello Statuto siciliano), esclude di per sé che al proprio esercizio partecipino enti con cui si articola invece la pluralità di strutture dello Stato. L'interesse, che legittima e muove di volta in volta l'impiego di tale strumento, é quello generale dell'intera comunità e perciò, qualunque sia la materia ed il luogo del particolare atto d'annullamento, é del tutto diverso dagli interessi tipici delle singole Regioni.

Per lo stesso motivo per cui quel potere é rimasto al Governo dello Stato, non passando alle Regioni, il suo esercizio resta estraneo a interventi regionali esterni od interni che ne comprometterebbero il carattere. Né basterebbe a giustificare l'intervento il rilievo che, nel caso di specie, si sono annullati provvedimenti di amministrazioni comunali e provinciali d'una unica Regione: la particolare situazione geografica degli enti, i cui atti vengono annullati, non modifica l'ispirazione unitaria del provvedimento che li annulla, mentre non é un interesse puramente territoriale quello a cui allude l'art. 21 dello Statuto siciliano. Rispetto al quale non si può sostenere e neanche la Regione sostiene che legittimi la presenza regionale allorché il Governo dello Stato delibera su materie che, interessando l'intera comunità, riguardano per ciò stesso le singole Regioni; di modo che la legittimità di tale presenza nei casi in cui quel potere si esplichi entro l'orbita d'una sola Regione é del pari insostenibile poiché non per questo esso muta natura: tanto più quando il suo esercizio rientra, come é accaduto nella specie, nel disegno generale di risanamento delle finanze locali dell'intero Paese.

3. - Poiché la materia del decreto impugnato non é di quelle che interessano la Regione siciliana a norma dell'art. 21, non é necessario risolvere le altre questioni che sono state prospettate.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara spettare soltanto allo Stato, senza partecipazione della Regione, il potere di annullamento previsto dall'art. 6 della legge comunale e provinciale 3 marzo 1934, n. 383;

respinge, in conseguenza, il ricorso proposto dalla Regione siciliana per l'annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 1964 col quale sono state annullate d'ufficio deliberazioni comunali e provinciali riguardanti la concessione di miglioramenti retributivi al personale.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 gennaio 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni BATTISTA BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 13 gennaio 1966.