Sentenza n. 58 del 1959
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SENTENZA N. 58

ANNO 1959

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Tomaso PERASSI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti promossi con i seguenti ricorsi:

1) ricorso della Regione siciliana, notificato il 20 luglio 1959, depositato il 27 luglio 1959 nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 16 del Registro ricorsi del 1959, per conflitto di attribuzione tra la Regione siciliana e lo Stato sorto per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 25 giugno 1959, n. 1098, con il quale sono stati annullati il decreto del Presidente della Regione siciliana 28 maggio 1959, n. 203- A, e il decreto dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo 27 aprile 1949, n. 1;

2) ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il 4 agosto 1959, depositato il 7 agosto 1959 nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 18 del Registro ricorsi del 1959, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana sorto per effetto del decreto del Presidente della Regione siciliana 28 maggio 1959, n. 203-A, contenente autorizzazione alla società "A. Zagara" a costruire e gestire un Kursaal in Taormina.

Udita nell'udienza pubblica del 14 ottobre 1959 la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino e Natale Ciancio, per la Regione siciliana, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto del 27 aprile 1949, n. 1, dell'Assessore della Regione siciliana per il turismo e lo spettacolo (pubblicato il 30 aprile 1949 nella Gazzetta Ufficiale della Regione), in relazione al decreto legge 22 aprile 1943, n. 560, e al decreto interministeriale 3 aprile 1947, si autorizzava (art. 1) l'Ente turistico ed alberghiero della Libia (E. T. A. L.), istituito con decreto legge 31 maggio 1935, n. 1410, a svolgere in Sicilia, per la durata di Venti anni, i programmi inerenti al proprio scopo di incremento turistico ed alberghiero. Si disponeva, nell'art. 2, che l'ente medesimo poteva svolgere nella Regione, anche a mezzo di sub-concessionari, tutte le attività connesse con lo scopo anzidetto, ivi compreso l'esercizio del giuoco d'azzardo, e, nell'art. 3, si designava il comune di Taormina quale centro principale per lo svolgimento di tali attività. A questo decreto era allegato un regolamento per la disciplina, in particolare, dell'organizzazione turistica, alberghiera e dell'esercizio del giuoco; regolamento cui furono apportate modificazioni con provvedimento assessoriale 20 maggio 1950, n. 1525.

Con successivo decreto del Presidente della Regione in data 28 maggio 1959, n. 203-A (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione del 6 giugno 1959), l'autorizzazione concessa con il ricordato decreto 27 aprile 1949, n. 1, era confermata (art. 1) per la durata di venti anni prorogabili, riguardo a tutte le attività già previste, a favore della società "A. Zagara", sub- concessionaria dell'E. T. A. L. Si stabiliva in particolare, nell'art. 2, che le attività medesime dovevano essere esercitate secondo le modalità indicate nel regolamento approvato il 27 aprile 1949 e nel provvedimento del 20 maggio 1950, con le modifiche e le aggiunte di cui agli articoli successivi. Nei quali (art. 3) si poneva a carico della società "Zagara" la costruzione, entro tre anni dalla pubblicazione del decreto, del Kursaal e dell'annesso albergo; si disciplinava (art. 4) il limite massimo delle poste dei "giuochi di fortuna"; si stabiliva (art. 5) quali persone non potessero partecipare al giuoco. Nell'art. 6 si disponeva che la società "Zagara", entro sei mesi dalla pubblicazione del decreto e fino alla ultimazione del Kursaal, doveva esercitare, in quanto possibile, tutte le attività autorizzate in locali provvisori. Si indicavano poi, negli artt. 7 e 8, la destinazione delle percentuali sui proventi lordi del giuoco e le modalità di pagamento alla Regione.

Il decreto del Presidente della Regione e quello emanato dall'Assessore nel 1949, in applicazione dell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale (approvato con decreto del 3 marzo 1934, n. 383) sono stati annullati con decreto del Presidente della Repubblica del 25 giugno 1959, n. 1098, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e su conforme parere del Consiglio di Stato. In riferimento a questo decreto ha proposto ricorso per regolamento di competenza il Presidente della Regione siciliana, debitamente autorizzato dalla Giunta regionale, con atto notificato al Presidente del Consiglio dei Ministri il 20 luglio 1959.

Per la Regione si sono costituiti, il 27 luglio 1959, l'avvocato Giuseppe Guarino e l'avvocato Natale Ciancio. Per il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituita l'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le deduzioni il 25 luglio 1959.

La difesa della Regione deduce, col primo motivo, la violazione degli artt. 14, 20 e 23 dello Statuto siciliano, e degli articoli 116 e 125 della Costituzione.

Sostiene che il potere di annullamento di ufficio degli atti amministrativi emanati dalla Regione spetterebbe soltanto al Governo regionale, in base all'art. 23 dello Statuto speciale e non al Governo dello Stato, dato che la Regione, quale soggetto costituzionale, godrebbe di speciale autonomia garantita da leggi costituzionali; autonomia sostanzialmente diversa da quella attribuita ai comuni e alle province. Lo Statuto speciale escluderebbe che lo Stato possa esercitare un controllo sugli atti amministrativi della Regione, potendo soltanto impugnare i regolamenti regionali, davanti all'Alta Corte siciliana, e i provvedimenti amministrativi davanti alla Corte costituzionale, con ricorso per conflitto di attribuzione. Aggiunge che se si ammettesse che il Governo dello Stato avesse conservato il potere di annullare di ufficio gli atti delle Regioni, si verrebbe in sostanza a disapplicare la disciplina costituzionale dei conflitti di attribuzione, in quanto il Governo dello Stato "potrebbe farsi giustizia da sé, sottraendosi alla giurisdizione della Corte costituzionale".

Col secondo motivo deduce, sotto altro aspetto, la violazione degli artt. 14 e 20 dello Statuto speciale.

Sostiene che il decreto del Presidente della Repubblica, ora impugnato, dovrebbe ritenersi collegato con la materia che ha formato oggetto dei provvedimenti amministrativi regionali annullati, cioè la materia del turismo e della organizzazione di servizi propri della Regione. Donde la illegittimità costituzionale del decreto del Capo dello Stato, poiché avrebbe invaso la sfera di competenza esclusiva della Regione, di cui all'art. 14, lett. n, dello Statuto speciale.

Con il terzo motivo, in via subordinata, la difesa della Regione siciliana deduce la violazione dell'art. 21 dello Statuto regionale, poiché la deliberazione del Consiglio dei Ministri relativa all'annullamento dei due decreti regionali sarebbe stata adottata senza la prescritta partecipazione del Presidente della Regione, trattandosi di materia di interesse della medesima.

Conclude quindi, perché, in accoglimento del ricorso, si dichiari che spetta soltanto alla Regione annullare d'ufficio i propri atti e che nessun potere spetta al riguardo al Governo dello Stato, e per conseguenza si annulli il provvedimento impugnato.

L'Avvocatura dello Stato osserva che l'illegittimità prospettata nel primo motivo del ricorso potrebbe essere considerata sotto due aspetti distinti.

Sotto un primo aspetto, in quanto si contesta che il Governo dello Stato potrebbe annullare in ogni tempo gli atti amministrativi della Regione e si sostiene che tale potere spetterebbe invece al Governo regionale, la censura sarebbe ammissibile formalmente, ma sarebbe infondata nel merito, in base anche ai principi già affermati da questa Corte con le sentenze n. 24 del 1957 e n. 23 del 1959.

Si assume che il potere di annullamento, in base all'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, avrebbe carattere generale e potrebbe quindi essere esercitato nei confronti di tutti gli atti amministrativi anche degli enti locali, nonostante la loro autonomia; che tale potere spetterebbe esclusivamente agli organi supremi dello Stato, poiché si tratterebbe di un controllo del tutto distinto e diverso dai controlli ordinari, in quanto presuppone, per il suo esercizio, la valutazione dell'interesse generale. Valutazione che potrebbe essere fatta soltanto dal Governo dello Stato, anche quale espressione del carattere unitario dell'ordinamento amministrativo dello Stato, in relazione al precetto dell'art. 5 della Costituzione.

Si aggiunge che l'appartenenza esclusiva al Governo dello Stato dell'accennato potere di annullamento, particolarmente riguardo agli atti della Regione siciliana, troverebbe espressa conferma nell'art. 6, primo comma, del testo unico della legislazione comunale e provinciale per la Regione (approvato con decreto del Presidente della Regione in data 9 giugno 1954, n. 9). Nel quale articolo appunto il potere di annullamento sarebbe deferito al Presidente della Repubblica. Né avrebbero rilevanza in contrario la disposizione dell'art. 27 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 62, e quella contenuta nell'art. 1 della successiva legge 14 dicembre 1953, n. 67, perché l'una e l'altra disposizione riguarderebbero, in via generica, la sostituzione degli organi regionali a quelli statali nelle norme della legislazione sugli enti locali, restandone esclusa la competenza generale ed eccezionale del Governo e del Capo dello Stato, che non potrebbe ritenersi trasferita alla Regione.

Sotto altro aspetto, concernente la questione se il Governo dello Stato, ammesso che ne fosse l'esclusivo titolare, avesse esercitato legittimamente il potere di annullamento nei confronti della Regione, la censura contenuta nel primo motivo sarebbe inammissibile, poiché verterebbe non già sulla appartenenza, bensì sui limiti e sul corretto esercizio del potere anzidetto. Questione che esulerebbe dalla competenza di questa Corte, poiché mancherebbero gli estremi del conflitto di attribuzione, quale é configurato nell'art. 134 della Costituzione e nell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Comunque si fa rilevare che la censura, anche sotto questo profilo, sarebbe infondata nel merito, in relazione al carattere particolare dell'annullamento d'ufficio, sopra delineato.

Né, si aggiunge, con l'esercizio di tale potere nei confronti della Regione, si verrebbe ad eludere la giurisdizione della Corte costituzionale in materia di conflitti di attribuzione, poiché l'illegittimità degli atti può derivare, come nella specie, anche da motivi diversi dalla competenza.

La difesa dello Stato ritiene infondato anche il secondo motivo del ricorso proposto dalla Regione, osservando, in proposito, che gli atti di controllo, per se stessi, rimangono distinti ed autonomi rispetto alla materia oggetto dell'atto sul quale viene esercitato il controllo stesso. Materia che comunque, nella specie, esulerebbe dalla competenza della Regione.

Il terzo motivo del ricorso sarebbe inammissibile, poiché non riguarderebbe alcuna questione di legittimità costituzionale.

L'Avvocatura conclude quindi perché si respinga il ricorso e si dichiari che spetta al Governo dello Stato il potere di annullare in ogni tempo gli atti amministrativi illegittimi della Regione siciliana.

La difesa della Regione, con memoria depositata il 1 ottobre 1959, illustrando i motivi del ricorso, precisa, circa il primo motivo, che esulerebbero dal campo dell'attuale dibattito le questioni se il potere di annullamento di ufficio spetti al Governo dello Stato nei confronti delle altre Regioni e riguardo agli enti locali. A confutazione poi dell'eccezione d'inammissibilità dedotta dall'Avvocatura dello Stato, chiarisce che il decreto del Presidente della Repubblica avrebbe invaso la sfera di competenza della Regione siciliana sotto tre aspetti:

1) in quanto il Governo dello Stato avrebbe esercitato un potere di spettanza del Governo della Regione;

2) in quanto il provvedimento del Capo dello Stato riguarderebbe la materia del turismo, rientrante nella potestà normativa e amministrativa della Regione;

3) in quanto sarebbe stata violata la competenza del Presidente della Regione circa il potere di partecipare alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, che ha preceduto l'emanazione del decreto di annullamento ora impugnato.

Per ciò che attiene alla questione fondamentale sulla spettanza al Governo regionale del potere di annullare d'ufficio in ogni tempo gli atti amministrativi emanati dal Presidente o dagli Assessori della Sicilia, la difesa della Regione osserva anzitutto che, in base a vari articoli dello Statuto speciale, alla Giunta regionale spetta il governo della Regione, cioè tanto l'attività amministrativa in stretto senso, quanto le funzioni esecutive, vale a dire quelle di carattere politico e di alta amministrazione. Aggiunge d'altra parte che, nell'ambito dell'amministrazione dello Stato, il potere di annullamento, diverso da quello spettante all'autorità gerarchicamente superiore, opererebbe nel caso di mancanza di rapporto gerarchico e per gli atti per i quali agli organi inferiori sia attribuita competenza esclusiva. Anche sotto questo aspetto quindi detto potere si dovrebbe riconoscere al Governo regionale, come unico mezzo di autotutela, nel caso di mancato annullamento dell'atto illegittimo in via ordinaria.

La spettanza del potere al Governo regionale inoltre si baserebbe sull'art. 27 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 62, non impugnato. Si osserva al riguardo che, in seguito alla facoltà concessa dall'art. 2 della successiva legge del 14 dicembre 1953, n. 67, il Governo regionale provvide all'emanazione del testo unico (di semplice coordinamento) della legislazione in materia comunale e provinciale (approvato con decreto del Presidente della Regione del 9 giugno 1954, n. 9) riproducendo bensì, nel primo e nel secondo comma dell'art. 6, la disposizione dell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con decreto del 3 marzo 1934, n. 383, ma aggiungendo, nel terzo comma, la disposizione dell'art. 27 della ricordata legge regionale nel quale agli organi dello Stato verrebbero sostituiti quelli regionali.

Passando quindi ad esaminare le caratteristiche particolari del potere di annullamento d'ufficio, la difesa della Regione non condivide l'opinione che nell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1934 sarebbe contenuto un principio generale applicabile a tutti gli atti amministrativi emessi da qualsiasi organo o ente pubblico. Dai precedenti legislativi dell'art. 6 e dalle disposizioni contenute in altri articoli dello stesso testo unico (artt. 1, 2, 3, 4, 7, 8 e 16) si desumerebbe invece che la disposizione del ricordato art. 6 sarebbe limitata agli atti degli enti locali. Con la conseguenza quindi che, di fronte al precetto dell'art. 5 della Costituzione, che sancisce l'obbligo dello Stato di riconoscere e promuovere le autonomie locali, tale potere, per essere ammesso nei confronti della Regione siciliana, dovrebbe risultare da espressa disposizione, perché, in caso diverso, costituirebbe violazione dell'autonomia.

D'altra parte, lo Statuto speciale della Sicilia escluderebbe ogni forma di controllo amministrativo del Governo dello Stato, e perciò anche il provvedimento di annullamento preveduto dal testo unico della legge comunale e provinciale del 1934. Con parallelismo, anche sotto questo aspetto, con il controllo sugli organi che, a differenza degli altri statuti, é deferito al Parlamento.

La Regione insiste infine sulla tesi, pure prospettata nel primo motivo del ricorso, che, se si ammettesse il potere di annullamento da parte dello Stato, si verrebbe ad eludere la competenza giurisdizionale della Corte costituzionale in materia di conflitti di attribuzione; non essendo neppure accettabile ammettere tale potere limitatamente al caso in cui, nell'atto amministrativo regionale, si riscontrassero eventualmente vizi di legittimità diversi da quelli concernenti la sfera di competenza della Regione.

Quanto al secondo ed al terzo motivo, la difesa regionale, riferendosi anche alle argomentazioni esposte nella memoria presentata nel ricorso n. 18 del 1959, illustra le tesi svolte nelle deduzioni.

L'Avvocatura dello Stato, nella memoria depositata il 1 ottobre 1959, relativamente al primo motivo del ricorso della Regione, ribadisce che, nell'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, sarebbe contenuto un principio di carattere generale, applicabile quindi, senza necessità di espressa disposizione, anche al di fuori della materia riguardante gli enti locali. L'annullamento d'ufficio riguarderebbe perciò tutti gli atti amministrativi emanati sia dallo Stato, sia da altri enti pubblici. E sebbene tale potere, di carattere assoluto ed eccezionale, possa inquadrarsi nell'ampio concetto del controllo, ne differirebbe tuttavia sostanzialmente, per il suo carattere peculiare. Si distinguerebbe inoltre dall'autotutela in senso stretto, in quanto questa spetta in genere a tutte le autorità amministrative, mentre l'anzidetto potere sarebbe attribuito ad un organo diverso e a salvaguardia di un interesse del tutto differente.

In base a questi elementi, tenuto anche conto del procedimento previsto per l'emanazione del decreto del Presidente della Repubblica, la difesa dello Stato esclude che l'anzidetto potere eccezionale, in mancanza di una espressa disposizione che lo attribuisca alla Regione, possa essere da questa esercitato, sia sugli atti emanati dai propri organi amministrativi, sia sugli atti degli altri enti pubblici, che agiscono nell'ambito del territorio regionale. Diversa sarebbe la questione se spetti alla Regione il potere di annullare i propri atti in base all'ordinario principio di auto-tutela, riconosciuto in generale dall'ordinamento giuridico a tutte le autorità amministrative.

Tale tesi troverebbe anche conferma nel primo e nel secondo comma dell'art. 6 del testo unico della legislazione comunale e provinciale per il territorio siciliano, approvato con decreto del Presidente della Regione 9 giugno 1954, n. 9. E riguardo all'art. 27 della legge regionale 7 dicembre 1953, n. 62, rileva che questo riguarderebbe tutte le ipotesi diverse da quelle prevedute nei due commi precedenti. Che se, prosegue l'Avvocatura, si ritenesse possibile un'interpretazione diversa dell'art. 27 e dell'art. 6 del testo unico regionale, questa Corte potrebbe in via incidentale, e senza bisogno di alcun'altra formalità, esaminare la legittimità costituzionale delle norme anzidette.

La difesa dello Stato insiste d'altra parte nel prospettare la questione se, nella specie, sia configurabile il conflitto quale é disciplinato nel nostro sistema, in quanto, ammesso che il potere generale di annullamento spetti sempre allo Stato e non alla Regione, nella specie si avrebbe una controversia circa il corretto esercizio del potere medesimo. Il che importerebbe eventualmente violazione di una norma ordinaria e non costituzionale. Comunque, anche sotto questo aspetto, la tesi della Regione sarebbe infondata nel merito, dato il carattere particolare del potere generale di annullamento e dato anche che le Regioni sono enti autarchici che agiscono nell'ambito dell'ordinamento statale, ai sensi dell'art. 5 della Costituzione, ed a tale ordinamento subordinate.

Circa poi il rilievo della difesa della Regione, che cioè lo Stato, esercitando il potere di annullamento, potrebbe eludere la competenza attribuita alla Corte costituzionale, qualora si trattasse di questioni concernenti la sfera di competenza della Regione, l'Avvocatura osserva che il rilievo sarebbe fondato soltanto se il vizio dell'atto annullato dal Governo riguardasse la competenza anzidetta e se lo Stato rivendicasse a se stesso il potere di provvedere sulla materia oggetto dell'atto ritenuto illegittimo. Tale ipotesi peraltro non si verificherebbe nella specie, sia perché il provvedimento della Regione importerebbe violazione di una legge ordinaria, sia perché neppure agli organi del potere esecutivo sarebbe consentito derogare alle norme del Codice penale. Si dovrebbe quindi escludere, nella specie, qualsiasi interferenza fra l'atto di annullamento e la competenza della Corte costituzionale. Competenza che non si pone in dubbio che sussista, ad esclusione di qualsiasi altro rimedio, ed in deroga anche all'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, quando sussistano gli estremi del conflitto di attribuzione.

L'Avvocatura dello Stato ribadisce infine l'infondatezza del secondo motivo e l'inammissibilità del terzo, aggiungendo, circa quest'ultimo, che comunque sarebbe infondato, perché l'attribuzione al Presidente della Regione del potere di partecipare al Consiglio dei Ministri, non costituirebbe obbligo per il Governo di sollecitarne la presenza, tanto più quando, come nella specie, si tratti di deliberazioni in danno e non nell'interesse della Regione.

Con ricorso notificato il 4 agosto 1959 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato conflitto di attribuzione in riferimento al decreto del Presidente della Regione siciliana 28 maggio 1959, n. 203-A, per il caso che sia accolto il precedente ricorso, con il quale la Regione ha impugnato, in questa sede, il decreto 25 giugno 1959, n. 1098, del Presidente della Repubblica.

Anche in questa causa si sono costituiti tempestivamente, depositando le deduzioni, l'Avvocatura generale dello Stato nell'interesse del Presidente del Consiglio dei Ministri e gli avvocati Guarino e Ciancio per la Regione siciliana.

La difesa dello Stato non contesta che la materia del turismo rientri nella potestà normativa esclusiva della Regione. Rileva peraltro che, date le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Regione del 28 maggio 1959, n. 203-A, sopra ricordate, l'oggetto del provvedimento, sebbene in apparenza diretto all'esercizio di attività turistiche, nella sostanza riguarderebbe il giuoco d'azzardo. Il decreto stesso quindi non si riferirebbe a materia, come il turismo, di competenza esclusiva della Regione, ma stabilirebbe invece una deroga alle disposizioni dell'art. 718 del Codice penale, che considera reato l'esercizio del giuoco d'azzardo. Deroga che non potrebbe derivare se non da una legge dello Stato, e mai da un provvedimento emanato dalla Regione.

L'Avvocatura conclude pertanto chiedendo che si dichiari che non spetta alla Regione siciliana di autorizzare l'esercizio del giuoco d'azzardo, e, in conseguenza, si annulli il decreto impugnato.

La difesa della Regione eccepisce pregiudizialmente l'inammissibilità del ricorso sotto due aspetti.

Deduce anzitutto il difetto di interesse per lo Stato ad ottenere l'annullamento del provvedimento del Presidente della Regione. Questo provvedimento infatti avrebbe lo stesso oggetto dei decreti dell'Assessore regionale 27 aprile 1949, n. 1, e 30 maggio 1950. E, siccome questi due decreti non sono stati impugnati, essi riprenderebbero vigore, se fosse annullato il decreto emanato dal Presidente della Regione, oggetto dell'attuale ricorso. Donde l'inutilità pratica di una dichiarazione di nullità del decreto stesso.

Deduce altresì che il ricorso sarebbe inammissibile per acquiescenza. Istituto che, se é dubbio possa applicarsi nei ricorsi per illegittimità costituzionale delle leggi, sarebbe certamente applicabile nei giudizi per conflitto di attribuzione, che presenterebbero caratteristiche analoghe ai ricorsi in sede di giustizia amministrativa. Nella specie l'acquiescenza deriverebbe dal fatto che il decreto del Presidente della Regione, ora impugnato, avrebbe semplicemente confermato quell'autorizzazione all'E. T. A. L., che già aveva formato oggetto del provvedimento assessoriale del 1949, che non é stato invece impugnato, e dal comportamento del Governo rispetto ad altre Regioni.

Nel merito, ai rilievi dell'Avvocatura dello Stato la difesa della Regione oppone l'infondatezza del presupposto da cui muove il ricorrente, quello cioè che il decreto impugnato riguardi principalmente il giuoco d'azzardo, mentre invece l'autorizzazione alla sub-concessionaria società "A. Zagara" comprenderebbe una serie di attività di carattere turistico, tra le quali l'apertura del Kursaal e l'esercizio del giuoco.

La difesa della Regione ricorda che l'E. T. A. L., ente istituito con decreto legge 31 maggio 1935, n. 1410, con lo scopo di gestire alberghi e di svolgere ogni attività turistica, nel 1937 fu autorizzato ad esercitare a Tripoli il giuoco d'azzardo, che, con decreto interministeriale del 30 aprile 1947, emanato in base alla facoltà concessa dalla legge 18 maggio 1942, n. 669, e dal decreto legge 22 aprile 1943, n. 560, l'E. T. A. L. fu autorizzato ad esercitare in Italia la sua attività, e che in relazione a questo provvedimento fu emanato il decreto dell'Assessore del 1949 concernente l'autorizzazione a costruire il Kursaal a Taormina. Ne trae quindi la conseguenza che l'autorizzazione ad esercitare il giuoco deriverebbe all'E. T. A. L., e poi alla sub-concessionaria società Zagara, dalle leggi e dal decreto anzidetto e non già dai provvedimenti regionali, che si sarebbero limitati, il decreto dell'Assessore, a stabilire il luogo dove l'E. T. A. L. avrebbe potuto esercitare la propria attività, e, il decreto del Presidente, a confermare quanto già precedentemente disposto.

Né, secondo la difesa della Regione, avrebbe rilevanza il fatto che, con provvedimento ministeriale del 1951, l'autorizzazione all'E. T. A. L. fu revocata, perché tale revoca non produrrebbe la caducazione automatica del decreto emanato dall'Assessore regionale nel 1949.

Si fa notare d'altra parte che tutti i provvedimenti emanati dallo Stato di autorizzazione a costruire e gestire Kursaal, non avrebbero avuto come oggetto l'autorizzazione specifica a derogare alla disciplina del giuoco contenuta nel Codice penale, bensì in generale lo svolgimento di attività turistiche, e ricorda in proposito i decreti legge relativi alle autorizzazioni concesse ai comuni di San Remo, di Campione e di Venezia, nei quali in sostanza si sarebbero date maggiori facoltà ai comuni in materia turistica. Dal che deriverebbe che anche i provvedimenti emanati dagli organi regionali non avrebbero carattere diverso e che i provvedimenti stessi riguarderebbero la materia del turismo.

Si conclude quindi chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o in subordine infondato nel merito.

Con memoria depositata il 1 ottobre 1959 l'Avvocatura dello Stato, a conferma ed illustrazione di quanto dedotto nel ricorso, osserva che, poiché il giuoco d'azzardo costituisce reato previsto dal Codice penale (artt. 718 e segg.), si tratterebbe di materia penale, circa la quale alla Regione, come ha più volte affermato la Corte costituzionale, non spetta alcuna potestà normativa. Sarebbe invece riservato allo Stato di provvedere al riguardo con atto di carattere legislativo, come dimostrerebbero i decreti legge emanati nella materia. Contesta inoltre che l'esercizio del giuoco possa essere compreso in un attività turistica, la quale dovrebbe essere intesa, conformemente al sistema seguito dalla legislazione statale, in senso proprio, con esclusione quindi di qualsiasi provvedimento che abbia oggetto diverso. E, per quanto attiene alla Regione, se ne avrebbe espressa conferma nel decreto legislativo 9 aprile 1956, n. 510, di attuazione dello Statuto siciliano in materia di turismo, con il quale sono state trasferite alla Regione le attribuzioni del Commissario del turismo, già stabilite dal decreto legislativo del 12 settembre 1947, n. 941. Attribuzioni che riguarderebbero esclusivamente attività turistiche; di guisa che la competenza della Regione, nella materia anzidetta, non potrebbe essere più estesa di quella devoluta al Commissario nel territorio dello Stato. Né potrebbe parlarsi, aggiunge l'Avvocatura, di una conferma di precedenti autorizzazioni al riguardo, poiché, a prescindere dal decreto dell'Assessore del 1949, che non sarebbe stato mai registrato e non avrebbe quindi avuto effetto, quando fu emanato il decreto del Presidente della Regione del 1959, all'E. T. A. L. era stata già revocata l'autorizzazione ad esercitare in Italia le attività già svolte nella Libia. E si pone pure in rilievo che la facoltà concessa dalla legge del 18 maggio 1942, n. 669, e dal decreto legge 22 aprile 1943, n. 560, al Ministro dell'Africa italiana, d'intesa con i Ministri delle finanze e delle corporazioni, di autorizzare gli enti operanti nell'Africa orientale e nella Libia ad esercitare la loro attività in Italia, con osservanza delle disposizioni vigenti, avrebbe avuto soltanto l'effetto di derogare ai limiti territoriali fissati per lo svolgimento dell'attività dell'ente, lasciando peraltro integra la competenza ordinaria per la concessione di speciali autorizzazioni. Ritiene quindi che,., nel caso dell'E. T. A. L., sarebbe stata necessaria un ulteriore autorizzazione specifica da parte dell'organo competente, che non sarebbe né l'Assessore né il Presidente della Regione. L'Avvocatura insiste quindi nelle conclusioni già proposte.

Anche la Regione ha depositato, nella stessa data del 1 ottobre 1959, una memoria, nella quale illustra l'inammissibilità del ricorso sotto gli aspetti già dedotti.

Sostiene inoltre l'inammissibilità del ricorso anche perché mancherebbero gli estremi del conflitto di attribuzione, dato che lo Stato sostiene che il decreto del Presidente della Regione derogherebbe alle norme del Codice penale in materia di giuoco (tesi infondata in merito, secondo la Regione), assumendo che in tale materia non potrebbe provvedere in via amministrativa neppure il Governo dello Stato. La Regione perciò non avrebbe sotto questo aspetto invaso la competenza dello Stato.

Nel merito la difesa della Regione ribadisce, svolgendole ampiamente, le due tesi già prospettate nelle deduzioni a confutazione del ricorso.

La prima, rilevando in sostanza che l'organizzazione di un casinò o di un Kursaal, come oggetto di concessione amministrativa, esulerebbe dalla materia penale. Tale organizzazione, come si desumerebbe da tutta la legislazione italiana in materia che la difesa della Regione esamina analiticamente, non riguarderebbe il giuoco d'azzardo in sé considerato, ma riguarderebbe piuttosto un'attività turistica ed alberghiera che funzionerebbe in comuni che fossero stazioni di cura, di soggiorno e di turismo. Secondo tale tesi quindi l'esercizio del giuoco rientrerebbe fra le attività (da utilizzarsi da turisti e forestieri) comprese nella complessa organizzazione del Kursaal, autorizzato a svolgere le attività stesse in determinati comuni, cui verrebbero conferite facoltà più ampie in materia di turismo.

Ed anche per la Regione siciliana, che in materia di turismo ha competenza esclusiva, i provvedimenti emanati rifletterebbero un'organizzazione del tipo di quella accennata, come si dedurrebbe dai decreti dell'Assessore del 1949 e del 1950, data la località cui essi si riferiscono.

La seconda tesi é prospettata in subordine, nel senso che il decreto impugnato, ed a maggior ragione quello emanato dal Presidente della Regione, non avrebbero per oggetto un'autorizzazione per l'esercizio del giuoco all'ente E. T. A. L. e alla società sub-concessionaria Zagara. L' E. T. A. L. infatti, in base al decreto legge del 1935 che lo aveva istituito, già era autorizzato a gestire un Kursaal e a gestirlo in Libia in base ai decreti del governatore del 1937; e con il decreto interministeriale del 1947 era stato poi autorizzato a svolgere la propria attività in Italia. Ne conseguirebbe che il decreto dell'Assessore del 1949 per il suo contenuto e per il collegamento con i provvedimenti già emanati dallo Stato, riguarderebbe l'autorizzazione all'E. T. A. L. ad esercitare in Taormina quelle stesse attività che avevano formato oggetto delle precedenti autorizzazioni. Questo essendo il contenuto del decreto emanato dall'Assessore nel 1949 sarebbe da escludere altresì che anche il decreto del Presidente della Regione, ora impugnato, contenga un'autorizzazione all'esercizio del giuoco.

La difesa della Regione insiste quindi nelle conclusioni già prese, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e in subordine sia rigettato.

 

Considerato in diritto

 

I due ricorsi, discussi nella stessa udienza, per la loro connessione, devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

Come si é già accennato in precedenza, la Regione ha impugnato il decreto del Presidente della Repubblica del 25 giugno 1959, n. 1098, perché avrebbe violato la sfera di competenza costituzionale attribuita alla Regione, in quanto il Governo dello Stato avrebbe esercitato il potere di annullamento d'ufficio su atti propri della Regione medesima, mentre tale potere spetterebbe al Governo regionale; perché il decreto del Capo dello Stato avrebbe inciso nella materia del turismo che rientra nella potestà normativa esclusiva attribuita alla Sicilia dall'art. 14, lett. n, dello Statuto speciale; e perché inoltre, alla deliberazione del Consiglio dei Ministri che precedette l'emanazione del decreto di annullamento, non sarebbe stato invitato a partecipare il Presidente della Regione, ai sensi dell'art. 21 dello stesso Statuto.

É da premettere, come pure rileva la difesa della Regione, che, dati i termini nei quali é stato proposto il ricorso, esulano dall'ambito dell'attuale controversia la questione se spetti o meno al Governo dello Stato il potere di annullamento d'ufficio degli atti amministrativi nei confronti delle altre Regioni, e nei confronti degli enti locali che svolgono la loro attività nel territorio regionale. Il tema del dibattito quindi, per quanto attiene all'accennato potere di annullamento, resta circoscritto ai rapporti tra lo Stato e la Regione siciliana.

Ai fini dell'ammissibilità del ricorso l'Avvocatura dello Stato rileva che, nella questione generale che forma oggetto del primo motivo, si possono individuare due distinte censure. In quanto cioé, da un lato, la Regione rivendica ai propri organi il potere di annullare d'ufficio gli atti amministrativi da essa emanati, e in quanto, dall'altro, si duole che il Governo dello Stato abbia esercitato tale potere nei confronti dell'Amministrazione regionale, con un atto di controllo non consentito dal sistema statutario. E mentre, in relazione al primo aspetto, non dubita dell'ammissibilità del ricorso, poiché risulterebbe sicuramente delineato il conflitto di attribuzione, quale é configurato nell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dubita invece che il conflitto possa riscontrarsi sotto il secondo aspetto. Deduce in proposito che, dovendosi ammettere che il potere generale di annullamento spetta al Governo dello Stato, la questione se questo potere possa correttamente esercitarsi anche rispetto agli atti amministrativi emanati dalla Regione, potrebbe dar luogo ad un giudizio ordinario circa la legittimità degli atti medesimi, e non ad una controversia di carattere costituzionale di competenza di questa Corte.

L'eccezione non appare fondata. Anzitutto essa presuppone già risoluto, nel senso sostenuto dalla difesa dello Stato, il problema, che attiene invece al merito, se il potere di annullamento d'ufficio, di cui all'art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale (approvato con decreto del 3 marzo 1934, n. 383) spetti alla Regione, per quanto riguarda i propri atti, e non al Governo dello Stato. E da tener presente, in secondo luogo, che la difesa della Regione, come risulta diffusamente chiarito nella memoria, ha impugnato il decreto del Presidente della Repubblica, sostenendo, non soltanto che spetta agli organi regionali l'anzidetto potere, ma altresì che il Governo dello Stato, esercitandolo nei confronti della Regione, avrebbe illegittimamente interferito nella sfera di competenza propria della medesima, mediante un atto di controllo sugli atti amministrativi regionali il quale, in base a disposizioni dello Statuto speciale, non potrebbe spettare al Governo dello Stato. Ora non pare dubitabile che, in queste censure, dato che la Regione rivendica di fronte allo Stato la propria autonomia costituzionalmente garantita, che afferma essere stata lesa dal provvedimento statale, si riscontrino gli estremi del conflitto di attribuzione ai sensi e per gli effetti preveduti dall'articolo 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in relazione all'art. 134 della Costituzione.

Il primo motivo del ricorso pertanto, considerato sotto gli aspetti cui si riferisce l'Avvocatura, deve ritenersi ammissibile.

Ma é anche ammissibile il secondo motivo, necessariamente collegato al primo, in quanto la difesa della Regione, come si é accennato, deduce che il Governo, in particolare, avrebbe esercitato il controllo mediante il decreto di annullamento incidendo in una materia, quella turistica, che la Regione sostiene rientri nella sua esclusiva competenza legislativa e amministrativa. Peraltro, pure relativamente a tale doglianza, si profila, nella memoria dell'Avvocatura, un'eccezione di inammissibilità (sollevabile del resto anche di ufficio) che riguarda la configurabilità del conflitto e quindi la competenza di questa Corte. Rispondendo ad una argomentazione della Regione, prospettata nel senso che lo Stato con l'esercizio del potere di annullamento verrebbe ad eludere, in certi casi, l'accennata competenza, l'Avvocatura osserva che "l'argomentazione sarebbe fondata soltanto nella ipotesi in cui il vizio dell'atto annullato riguardasse la competenza costituzionale, e sempre quando la Stato rivendicasse a sé il potere che ritenesse non rientrare nella competenza della Regione". Nella specie per altro, si chiarisce, gli organi regionali, con i provvedimenti annullati, avrebbero derogato all'art. 718 del Codice penale che vieta il giuoco d'azzardo. Di guisa che, in relazione ai provvedimenti annullati con il decreto ora impugnato, non sorgerebbe alcuna questione costituzionale da decidersi in sede di conflitto di attribuzione, sia perché i provvedimenti anzidetti sarebbero viziati da "illegittimità ordinaria", sia perché i provvedimenti stessi non avrebbero invaso la sfera di competenza riservata all'Amministrazione dello Stato, perché neppure a quest'ultima sarebbe consentito derogare alle norme del Codice penale, occorrendo invece un provvedimendo di carattere legislativo.

Senonché, circa il primo punto, occorre tener presente che la censura é dedotta dalla ricorrente con particolare riferimento alla motivazione del decreto di annullamento ora impugnato. Dalla quale risulta che é stata ritenuta la illegittimità dei provvedimenti emanati dal Presidente e dall'Assessore regionale, in quanto "tali decreti erano intesi a consentire un'attività vietata dagli articoli 718-725 del Codice penale". Ora la Regione (riferendosi espressamente a quanto dedotto nel ricorso proposto per lo Stato dal Presidente del Consiglio dei Ministri) oppone che i provvedimenti anzidetti avevano per oggetto la costruzione di un Kursaal in Taormina, con una organizzazione complessa di carattere prevalentemente turistico ed alberghiero (materia questa di esclusiva competenza della Regione), e non comportavano perciò alcuna deroga alla legge penale, anche se, in questa organizzazione, era compreso il giuoco d'azzardo. Ai fini dell'ammissibilità del secondo motivo del ricorso quindi, non si può fondatamente disconoscere che, anche sotto tale aspetto, si configuri un conflitto di attribuzione di competenza di questa Corte. Poiché appunto la Regione, come si é detto, sostiene che il contenuto dei provvedimenti annullati rientri nella sua competenza esclusiva, violata dal decreto di annullamento.

Per quanto riguarda il secondo punto dell'argomentazione prospettata dalla difesa dello Stato, é da osservare, sempre ai fini dell'ammissibilità del ricorso, che ammesso che alle norme del Codice penale si possa derogare soltanto con legge dello Stato e non con un provvedimento amministrativo, ciò non importa tuttavia che, nell'ipotesi dianzi configurata, si esca dall'ambito dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Questo dispone, com'é noto, che lo Stato, e per esso il Presidente del Consiglio dei Ministri, può proporre il ricorso per il regolamento di competenza davanti questa Corte, quando la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato medesimo. Sfera di competenza che, data l'ampia formulazione della legge, non può che riferirsi allo Stato considerato nella sua unità organica. Nei giudizi promossi ai sensi del citato art. 39 lo Stato, attraverso l'organo costituzionalmente qualificato, agisce o contraddice nei confronti della Regione, a tutela dell'ordinamento giuridico generale stabilito dalla Costituzione e quindi a tutela dei poteri allo Stato stesso conferiti. Di guisa che il conflitto é configurabile, non soltanto quando si assume che la Regione, con un suo atto amministrativo, abbia interferito nella sfera di competenza propria del Governo, organo del potere esecutivo, ma anche quando, come nel caso, si deduce che l'atto regionale abbia inciso sulle attribuzioni del potere legislativo. Se fosse esatta la tesi, cui accenna la difesa dello Stato, alla competenza della Corte costituzionale si apporterebbero limitazioni non autorizzate dalla formulazione della legge, che, come si é detto, é ampia e comprensiva, con palese e non ammissibile deviazione dal sistema relativo al regolamento costituzionale dei rapporti fra lo Stato e le Regioni.

Nel merito, circa la prima questione sottoposta all'esame di questa Corte, la difesa della Regione, come si é accennato, sostiene che il potere di annullare di ufficio, in sede governativa, gli atti del Presidente e degli Assessori regionali, sarebbe trasferito al Governo regionale. Potere, che, a quanto si assume, avrebbe caratteristiche analoghe a quello conferito al Governo dello Stato dall'art. 6 del testo unico del 1934, per l'organo cui tale potere sarebbe devoluto, per le differenze sostanziali fra l'atto emanato nell'esercizio del potere medesimo e l'annullamento ordinario in via gerarchica, per le formalità che ne condizionerebbero l'emanazione e per gli atti che potrebbero formarne oggetto.

Tale tesi peraltro non può ritenersi fondata. Le sentenze di questa Corte nn. 24 del 1957 e 23 del 1959, pure ricordate dalle parti, sebbene concernenti, la prima, la dichiarazione di illegittimità di una disposizione legislativa regionale sarda attributiva alla Regione dell'accennato potere di annullamento nei confronti degli atti degli enti locali, e, la seconda, l'applicazione di tale potere, da parte del Governo, ad un provvedimento di un comune della provincia di Bolzano, enunciano tuttavia principi di portata più generale, che chiariscono e precisano i caratteri fondamentali del potere di annullamento di ufficio disciplinato dal predetto testo unico del 1934.

Nella sentenza n. 24, infatti, si é posto in rilievo che detto potere eccezionale, pur rientrando nella categoria degli atti di controllo in largo senso, "presuppone per il suo esercizio una valutazione dell'interesse generale, che può essere fatta soltanto dagli organi supremi del potere esecutivo, e deve essere circondato da particolari garanzie, appunto in considerazione della sua eccezionalità, quali la pronuncia per decreto del Capo dello Stato, sentito il parere del Consiglio di Stato". Nella successiva sentenza n. 23 del 1959, questi principi sono stati confermati, osservando che il potere di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, quando lo esigano ragioni di interesse generale, é istituto che risale alla fondazione dello Stato italiano, e che, fin da allora, nonostante l'originaria mancanza di una norma di legge che lo disciplinasse, é stato costantemente considerato come manifestazione essenziale della legalità e dell'unitarietà di direzione dell'ordinamento amministrativo dello Stato, e riconosciuto altresì applicabile a tutti gli atti amministrativi, da qualsiasi autorità statale o autarchica promanassero. Se ne é perciò dedotto che questo speciale istituto, preordinato alla tutela della legalità e dell'interesse generale, "non soltanto non contrasta con i principi costituzionali relativi all'organizzazione amministrativa dello Stato e alle autonomie locali, ma si inserisce in piena armonia nel sistema, concepito dall'art. 5 della Costituzione, nel quale il decentramento organico e istituzionale é ordinato in modo da non contrastare col carattere unitario dello Stato". E si aggiunge infine che, "a meno che urti con altri precetti, non può ledere le autonomie il ripristino da parte dello Stato della legalità turbata da atti degli enti pubblici".

Ora la tesi sostenuta dalla Regione é in contrasto con tali principi che devono essere confermati. E, in base ai principi stessi, resta altresì superata l'obiezione con la quale si pone il dubbio, non fondato, che la norma del citato art. 6 contenga un principio generale (in relazione agli atti amministrativi ai quali é stato ritenuto applicabile), il quale trascende l'ambito della materia cui si riferisce l'accennato testo unico, secondo l'opinione accolta dalla dottrina e dalla costante giurisprudenza. Il richiamo quindi dell'anzidetta disposizione, contenuto nelle leggi ricordate negli scritti difensivi della Regione - in quella del 17 luglio 1890, n. 6972, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (art. 52), nel testo unico del 30 dicembre 1923, n. 3256, sulle bonifiche (art. 101) e nel testo unico del 27 luglio 1934, n. 1265, delle leggi sanitarie - non significa, come si sostiene, che l'accennato potere, per l'eccezionalità che lo contraddistingue, possa esercitarsi soltanto nei casi espressamente contemplati. Ma deve essere considerato quale applicazione del principio generale di cui é fatto cenno. Ed infatti la disposizione dell'art. 357 del testo unico delle leggi sanitarie, stabilisce che, per quanto concerne gli annullamenti di ufficio, si osservano le norme generali stabilite nel testo unico della legge comunale e provinciale. Che d'altra parte il potere di annullamento, di cui si tratta, abbia carattere eccezionale, é generalmente riconosciuto, ma non nel senso sostenuto dalla difesa della Regione. L'eccezionalità invero si ricollega al fatto che l'esercizio del potere stesso é attribuito ad un organo diverso da quelli cui é devoluto il potere ordinario di annullamento e che il Governo può discrezionalmente avvalersene soltanto quando, per la tutela dell'interesse generale, si manifesta la necessità di ripristinare la legalità turbata da atti amministrativi illegittimi (come ha già posto in rilievo la sentenza di questa Corte n. 23 del 1959), e non abbiano regolarmente funzionato gli organi ordinari di controllo. Il che non esclude quindi che l'annullamento di ufficio possa esercitarsi anche al di fuori dei casi preveduti espressamente da norme legislative.

Con quanto si é finora osservato peraltro non si nega che il Governo della Regione siciliana, come ogni altra autorità amministrativa, possa annullare o revocare gli atti della propria amministrazione, ma si intende ribadire, in relazione all'attuale controversia, il concetto che l'accennato potere attribuito in base all'art. 6 del testo unico del 1934, come é disciplinato dalla legge statale, non può ritenersi attribuito alla Regione, essendo demandato al Governo dello Stato, con particolari modalità, in considerazione dell'interesse generale che ne condiziona e ne giustifica l'esercizio.

Per quanto riguarda l'altra questione, collegata con la prima, relativa alla illegittimità dell'esercizio di tale potere nei confronti dei provvedimenti emanati dal Presidente della Regione e dal'Assessore per il turismo e lo spettacolo, é da ricordare che la questione stessa, come pure si é già accennato, é prospettata negli scritti difensivi della Regione e nella discussione orale, sotto due profili diversi. Sotto un primo profilo, di carattere generale, si fa rilevare che nessun atto di controllo può essere esercitato da organi centrali dello Stato riguardo all'attività amministrativa propria della Regione siciliana. Ciò, in quanto, nello Statuto speciale, si trova delineato un sistema autonomo e compiuto di controllo sugli atti emanati dagli organi regionali. Sistema che renderebbe incompatibile con l'autonomia, garantita alla Regione da norme di carattere costituzionale, qualsiasi intervento da parte del Governo dello Stato.

Sotto un profilo particolare (prospettato nel secondo motivo) la Regione osserva d'altra parte, come si é già rilevato, che l'atto di controllo non può essere dissociato dalla materia oggetto dei provvedimenti annullati, e che perciò, in quanto incide nella materia del turismo, il decreto impugnato avrebbe invaso la sfera di competenza della Regione.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, all'esame dell'accennata questione particolare osterebbe la considerazione che l'attività di controllo in genere ed il potere governativo di annullamento in specie, sono distinti ed autonomi rispetto alla materia oggetto del provvedimento annullato. Senonché, nei giudizi per conflitto di attribuzione, come é espressamente stabilito dall'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87, un atto amministrativo dello Stato, o della Regione, può essere impugnato quando abbia invaso la competenza costituzionale dell'uno o dell'altra. Siffatta violazione peraltro può sussistere in relazione all'atto per sé considerato e con riguardo all'oggetto cui l'atto si riferisce. Ora il decreto del Presidente della Repubblica é stato impugnato, sia per se stesso, é opportuno qui ripeterlo, sostenendosi che il potere di annullamento spetta agli organi regionali, e che comunque il Governo dello Stato ha esercitato un controllo illegittimo sugli atti amministrativi della Regione, e sia per il suo contenuto, in quanto avrebbe interferito in materia riservata alla Regione.

Ciò chiarito ed essendosi ritenuta infondata la prima delle tre tesi prospettate dalla difesa regionale, ad avviso della Corte, per decidere l'attuale controversia, si può prescindere dall'esaminare la seconda, circa l'ammissibilità di un controllo da parte del Governo dello Stato sugli atti amministrativi della Regione siciliana; problema che perciò rimane del tutto impregiudicato. Infatti alla dichiarazione d'illegittimità del decreto del Presidente della Repubblica si perviene, nel caso concreto, per l'assorbente motivo che il Governo, con un atto di controllo in sede amministrativa, ha interferito in una questione di rilevanza costituzionale attinente al regolamento dei rapporti fra lo Stato e la Regione siciliana. Questione che, come si é in precedenza accennato esaminando le eccezioni di inammissibilità del ricorso, dà luogo ad un conflitto di attribuzione, la cui risoluzione perciò non può spettare che a questa Corte. Alla quale il sistema instaurato dalla Costituzione attribuisce competenza esclusiva, con pienezza di effetti della decisione, dato che l'articolo 38 della ricordata legge stabilisce che la Corte, quando risolve il conflitto, non soltanto dichiara il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione, ma annulla altresì l'atto viziato da incompetenza. Ora il decreto del Presidente della Repubblica é in evidente contrasto con tale sistema, il quale prevede un controllo di carattere giurisdizionale che, per la materia che forma oggetto del dibattito e per la natura dell'organo cui é attribuito, esclude necessariamente - come pure riconosce l'Avvocatura - l'intervento di qualsiasi altro organo dello Stato. Controllo pertanto che, mentre rappresenta la suprema garanzia circa il regolamento dei rapporti fra lo Stato e le Regioni, nell'ambito dell'ordinamento giuridico, costituisce, in pari tempo, anche la più alta tutela dell'autonomia alle Regioni stesse attribuita dalla Costituzione e dagli Statuti.

Per tali considerazioni il ricorso della Regione, sotto l'aspetto ora esaminato, deve ritenersi fondato e, per conseguenza deve essere annullato il decreto del Presidente della Repubblica.

Resta assorbito il terzo motivo dedotto, del resto, in linea subordinata.

Occorre pertanto esaminare il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, contro il decreto del Presidente della Regione 28 maggio 1959, n. 283.

La difesa della Regione deduce pregiudizialmente quattro motivi di inammissibilità.

Col primo sostiene il difetto d'interesse, da parte dello Stato, ad ottenere l'annullamento del decreto anzidetto, che, si assume, sarebbe stato impugnato soltanto nella parte che riguarda l'autorizzazione all'esercizio del giuoco d'azzardo. Autorizzazione che sarebbe contenuta invece nel precedente provvedimento dell'Assessore per il turismo e lo spettacolo in data 27 aprile 1949, n. 1, confermato, su questo punto, dal successivo provvedimento del Presidente. Donde l'inutilità di un'eventuale pronunzia di annullamento di quest'ultimo decreto, perché rivivrebbe quello emanato dall'Assessore, non impugnato e non più impugnabile per decorrenza del termine. L'assunto non é fondato.

Con la legge 18 maggio 1942, n. 669, contenente norme relative alla gestione, nel territorio dello Stato, durante la guerra, delle attività economiche esercitate nell'Africa orientale, si stabilì che gli enti, istituiti per l'esercizio delle attività anzidette, potevano, col consenso dei Ministri per l'Africa italiana, per le finanze e per le corporazioni, esercitarle anche al di fuori del territorio stesso, con l'osservanza delle disposizioni vigenti in materia. Con decreto legge del 22 aprile 1943, n. 560, tale disposizione fu estesa anche agli enti che svolgevano la loro attività nella Libia. E pertanto, con decreto interministeriale del 30 aprile 1947, l'Ente turistico ed alberghiero della Libia (E. T. A. L.), istituito con decreto del 31 maggio 1935, n. 1410, con sede in Tripoli, fu autorizzato ad esercitare in Italia gestioni alberghiere e le altre attività economiche previste dall'articolo primo del ricordato decreto del 1935. Riferendosi appunto - come risulta dalle premesse - al predetto decreto ministeriale, l'Assessore della Regione siciliana, nel 1949, autorizzò lo stesso E. T. A. L. a svolgere, in Taormina, i programmi inerenti al proprio scopo e, anche a mezzo di dipendenti e di sub-concessionari, tutte le attività connesse con lo scopo anzidetto, già esercitate in Libia, compreso il giuoco d'azzardo. L'autorizzazione ministeriale, peraltro, venute a cessare le ragioni che l'avevano giustificata, fu revocata con successivo decreto del 3 maggio 1951 e cessò di avere effetto dalla data del decreto stesso. Quando perciò é stato emanato il decreto del Presidente della Regione, ora impugnato, cioé nel 1959, l'E. T. A.L. non avrebbe più potuto esercitare alcuna attività nel territorio dello Stato (anche ammesso che vi fosse compreso il giuoco d'azzardo), e non avrebbe più potuto quindi neppure esercitarla in Sicilia, dato che all'estensione dell'attività anzidetta faceva espresso riferimento, come presupposto necessario, il provvedimento dell'Assessore. Il quale pertanto (a parte che é rimasto privo di efficacia, non essendo stato registrato alla Corte dei conti) non può rivivere in seguito all'eventuale annullamento del decreto impugnato.

É pure infondato il secondo motivo di inammissibilità, con il quale si deduce che il decreto del Presidente della Regione non sarebbe impugnabile, in quanto, nella parte che ha formato oggetto del ricorso (l'autorizzazione ad esercitare il giuoco d'azzardo), avrebbe integralmente confermato il contenuto di quello precedente emanato dall'Assessore.

Questa Corte, con la sentenza n. 44 del 1957, ha chiarito "che nei giudizi di legittimità costituzionale, anche proposti in via principale, non possono avere rilievo istituti, come quelli dell'inammissibilità del ricorso per acquiescenza, e per il carattere confermativo del provvedimento impugnato, quali sono stati specialmente elaborati dalla giurisprudenza amministrativa". Il principio, già applicato ai giudizi per conflitto di attribuzione con la sentenza n. 82 del 1958, deve essere ora confermato. In questi giudizi infatti, promossi dallo Stato o dalle Regioni, si discute della legittimità di atti amministrativi, i quali, per se stessi singolarmente considerati, costituiscono manifestazioni concrete ed autonome del potere che lo Stato o le Regioni, a seconda dei casi, assumono di loro spettanza, in base alla Costituzione o agli Statuti speciali. Di guisa che la proposizione del ricorso in relazione a ciascun provvedimento é legittimata, indipendentemente dal fatto che non sia stato impugnato un precedente provvedimento di contenuto sostanzialmente identico. Né vi contrasta la sentenza di questa Corte n. 32 del 1958, perché, nel caso allora esaminato (proroga del termine per l'adozione del libretto personale per i lavoratori agricoli in alcune provincie), il ricorso é stato dichiarato inammissibile, in quanto l'atto successivamente emanato aveva carattere meramente accessorio di quello precedente non impugnato. Non si può quindi porre in dubbio l'ammissibilità dell'attuale ricorso. É pure da notare comunque che il decreto del Presidente della Regione, oltre ad essere stato emanato da un'autorità diversa, riguarda anche un diverso soggetto, cioé la società "A. Zagara" e non più l'ente pubblico E.T.A.L. cui si riferisce il decreto precedente, e che richiama, é vero, le disposizioni già comprese in quest'ultimo e nelle modificazioni, ma le adotta integrandole e modificandole (art. 2), anche in qualche parte riguardante l'esercizio del giuoco d'azzardo.

Per quanto concerne poi l'acquiescenza derivante dal comportamento dello Stato, per respingere l'eccezione basta considerare che il difetto di impugnazione di provvedimenti emanati da altra Regione nella materia del giuoco, non può ovviamente ritenersi incompatibile con la proposizione del ricorso relativamente ad atti promananti, come nel caso, da una Regione diversa; e che lo Stato non aveva alcuna ragione di impugnare il decreto dell'Assessore, in quanto era rimasto giuridicamente privo di effetto per mancata registrazione.

Deduce infine la difesa della Regione l'inammissibilità del ricorso per mancanza degli estremi del conflitto di attribuzione, in relazione alla tesi sostenuta dalla difesa dello Stato, che cioè il decreto del Presidente della Regione conterrebbe una deroga ad una norma penale, circa la quale neppure il potere esecutivo sarebbe competente a provvedere.

La questione peraltro é stata già esaminata in relazione ai motivi di inammissibilità nei riguardi del ricorso proposto dalla Regione. Non é perciò il caso di ripetere le osservazioni già esposte in proposito, per respingere ora, pure sotto questo profilo, l'eccezione di inammissibilità.

Nel merito l'Avvocatura sostiene, come si é in precedenza accennato, che il decreto del Presidente della Regione avrebbe, come principale e preminente oggetto, l'esercizio del giuoco d'azzardo, e che tutte le altre attività turistiche, alberghiere e sportive, cui si riferisce il decreto stesso, sarebbero a questo subordinate. Con la conseguenza quindi dell'illegittimità totale (e in questo senso appunto conclude la difesa dello Stato) del decreto anzidetto, perché l'esercizio del giuoco d'azzardo é vietato dal Codice penale e il derogare a tale divieto esulerebbe dalla competenza regionale.

A tale tesi la Regione oppone in sostanza che, quando si tratta di una fattispecie complessa quale l'organizzazione di un Kursaal, la cui istituzione sia stata autorizzata nei comuni considerati stazioni di cura, di soggiorno o di turismo (come appunto quello di Taormina), nell'organizzazione stessa resterebbero assorbite tutte le attività turistiche, alberghiere, artistiche e sportive, compreso l'esercizio del giuoco d'azzardo, che, per se stesso, isolatamente considerato, non sarebbe consentito. Di guisa che la disciplina giuridica della fattispecie anzidetta sarebbe quella propria della organizzazione e non quella particolare inerente alla attività vietata. Il decreto del Presidente della Regione quindi, avendo come oggetto l'istituzione del Kursaal, con tutte le attività di cui si é fatto cenno, resterebbe nell'ambito della competenza regionale, poiché riguarderebbe la materia del turismo. Come parimenti all'incremento del turismo, ampliando la competenza originariamente spettante ai comuni, si riferirebbero, secondo la difesa della Regione, anche i provvedimenti emanati dallo Stato a favore dei comuni di S. Remo, di Campione e di Venezia (decreti 22 dicembre 1927, n. 2448, 2 marzo 1933, n. 201, e 16 luglio 1936, n. 1404). In base ai quali provvedimenti, nei detti comuni, si é pure consentito, comprendendolo nel complesso delle attività turistiche, anche l'esercizio del giuoco d'azzardo.

Senonché può ammettersi che, nel decreto del Presidente della Regione, in quanto ha autorizzato la società "A. Zagara" a costruire in Taormina un Kursaal, alberghi ed altri locali adatti a manifestazioni artistiche, culturali e sportive e ad esercitare molteplici attività, compreso l'esercizio del giuoco d'azzardo, si possa riscontrare un'organizzazione complessa e multiforme. Può pure ritenersi che un'organizzazione siffatta possa essere ricondotta ad un concetto unitario da un punto di vista tecnico ed economico, per l'attuazione e lo sviluppo di un determinato programma, preordinato allo sviluppo turistico nel comune di Taormina. Ciò non significa però che, dal punto di vista giuridico ed al fine specifico dell'attuale giudizio, ciascuna delle dette attività, sol perché compresa nell'accennata organizzazione, venga ad assumere fisionomia diversa da quella che le é propria, e che quindi anche il giuoco d'azzardo, considerato come reato, possa diventare un'attività senz'altro consentita. Se ciò fosse esatto sarebbe del tutto agevole eludere la legge, tutte le volte che si istituissero organizzazioni analoghe a quella cui si é accennato, il che ovviamente non é ammissibile. Ne deriva che, nel complesso contenuto del decreto ora impugnato, le varie attività che la società "A. Zagara" é autorizzata a svolgere, devono essere mantenute distinte e distintamente considerate. Ciò dimostra che non può essere neppure accolta la tesi inversa dedotta dalla difesa dello Stato, che porterebbe all'annullamento totale del decreto, nel senso di un assorbimento di tutte le altre attività in quella concernente l'esercizio del giuoco.

Ora non può sorgere dubbio (e non é infatti contestato) che, per tutte quelle attinenti allo sviluppo e al potenziamento del turismo, alle quali si riferisce anche il decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 1956, n. 510 (che ha trasferito all'Amministrazione regionale le attribuzioni del Commissariato per il turismo), la competenza a provvedere spetti esclusivamente alla Regione in base all'art. 14, lett. n, dello Statuto speciale. Non altrettanto deve dirsi invece per quanto concerne il giuoco d'azzardo, il cui esercizio (contrariamente a quanto rileva la difesa della Regione) é pure autorizzato dal predetto decreto del Presidente della Regione, che ne disciplina le modalità e stabilisce, fra l'altro, anche le percentuali dovute alla Regione, al Comune di Messina e al Comune di Taormina. É certo infatti che tale autorizzazione trascende la sfera di competenza attribuita alla Regione dallo Statuto speciale, poiché, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che deve essere confermata (sentenze n. 6 del 1956, nn. 21, 23 e 58 del 1957), in base agli artt. 3, 5 e 25 della Costituzione, é precluso non soltanto alla Sicilia, ma anche alle altre Regioni, di emanare provvedimenti nella materia penale, la quale invece é riservata alla competenza esclusiva dello Stato. E la preclusione non sussiste soltanto nel senso (già esaminato da questa Corte) che le Regioni non possono né creare nuove figure di reati, né richiamare, per violazione di norme regionali, sanzioni penali già comminate da leggi dello Stato, ma anche quando, come appunto si é verificato nella specie, il provvedimento é inteso a rendere lecita un'attività, cioè l'esercizio del giuoco d'azzardo, che dalla legge dello Stato é considerata illecita e passibile di sanzione penale. Anche in questa ipotesi, infatti, derogando alle disposizioni della legge penale, le Regioni vengono ad interferire in una materia che, sotto ogni aspetto, é sottratta alla loro competenza, per le ragioni che questa Corte ha già esposto nelle sentenze sopra ricordate.

Da quanto si é finora osservato consegue che il decreto impugnato, nella parte che concerne l'esercizio e la disciplina del giuoco d'azzardo, non può ritenersi legittimo.

Appena occorre aggiungere che non ha fondamento la tesi dedotta dalla Regione in linea subordinata, nel senso cioè che l'autorizzazione ad esercitare il giuoco non deriverebbe direttamente dai provvedimenti emanati dalla Regione, bensì dall'autorizzazione già concessa all'E.T.A.L. per esercitare il giuoco nella Libia. Di guisa che il contenuto del decreto dell'Assessore del 1949 consisterebbe nel permesso rilasciato all'E. T. A. L. di esercitare anche in Sicilia quelle attività, per le quali già aveva ottenuto l'autorizzazione da organi dello Stato, autorizzazione che il decreto del Presidente della Regione avrebbe semplicemente confermato.

Peraltro l'infondatezza di tali rilievi risulta palese da quanto si é in precedenza osservato riguardo all'autonomia del decreto del Presidente della Regione rispetto al decreto dell'Assessore. L'autorizzazione alla società "A. Zagara" perciò é contenuta esclusivamente nel decreto anzidetto e non in quello precedente dell'Assessore e non si può ricollegare al provvedimento ministeriale a favore dell'E. T. A. L. successivamente revocato.

É da notare infine che la difesa della Regione in qualche accenno negli scritti difensivi, e particolarmente nella discussione orale, ha prospettato anche la tesi che il decreto oggetto del ricorso potrebbe trovare giustificazione, in relazione al sistema adottato dallo Stato, in una perequazione di trattamento rispetto agli altri comuni cui si riferiscono i provvedimenti statali. Si deve però osservare che le ragioni per le quali é dichiarata, nell'attuale giudizio, l'illegittimità del decreto del Presidente della Regione, nella parte sopra indicata, portano, dal punto di vista processuale, a ritenere superata detta questione prospettata pure in subordine, la soluzione della quale comunque presupporrebbe l'indagine circa la legittimità dei provvedimenti statali emanati a favore di altri comuni; indagine che esula dai limiti dell'attuale controversia.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando sui due ricorsi riuniti, proposti rispettivamente dalla Regione siciliana, con atto notificato il 20 luglio 1959, e dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto notificato il 4 agosto 1959:

a) respinge le eccezioni di inammissibilità rispettivamente dedotte dalla Regione e dal Presidente del Consiglio;

b) in accoglimento del ricorso proposto dalla Regione siciliana, dichiara che non spetta allo Stato annullare il decreto emanato dall'Assessore regionale per il turismo e lo spettacolo in data 27 aprile 1949, n. 1, e il successivo decreto emanato dal Presidente della Regione in data 28 maggio 1959, n. 203-A, e per conseguenza annulla il decreto del Presidente della Repubblica in data 25 giugno 1959, n. 1098;

c) in accoglimento del ricorso proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dichiara che non spetta alla Regione siciliana emanare provvedimenti in materia di giuochi d'azzardo in deroga a norme penali, e per conseguenza annulla il decreto del Presidente della Regione siciliana in data 28 maggio 1959, n. 203-A, nella parte in cui autorizza l'apertura di una casa da giuoco in Taormina.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 novembre 1959.

Tomaso PERASSI - Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI  - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA.

 

Depositata in cancelleria il 1 dicembre 1959.