Sentenza n. 82 del 1958
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SENTENZA N. 82

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti promossi dal Presidente del Consiglio dei Ministri con i seguenti ricorsi:

1) ricorso notificato il 9 aprile 1958, depositato il 18 aprile 1958 nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 8 del Registro ricorsi 1958, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana sorto per effetto del decreto 23 novembre 1957, n. 418, dell'Assessore all'industria e commercio della Regione siciliana, col quale é stato concesso alla Società p. a. Mediterranea Raffineria Siciliana Petroli di impiantare e gestire in Milazzo una raffineria per il trattamento industriale di oli minerali;

2) ricorso notificato il 14 luglio 1958, depositato il 24 luglio 1958 nella cancelleria della Corte costituzionale ed iscritto al n. 21 del Registro ricorsi 1958, per conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione siciliana sorto per effetto del decreto 19 maggio 1958, n. 1115, dell'Assessore all'industria e commercio della Regione siciliana, col quale é stato concesso alla Società p.a. A.N.I.C. di impiantare e gestire nella zona portuale di Gela uno stabilimento per la distillazione di olio minerale greggio, e del successivo decreto 17 giugno 1958, n. 1216, col quale la concessione predetta é stata trasferita dalla Società A. N. I. C. alla Società p.a. A.G.I.P. Mineraria.

Udita nell'udienza pubblica del 3 dicembre 1958 la relazione del Giudice Antonio Manca;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi per il Presidente del Consiglio dei Ministri e gli avvocati Giuseppe Guarino, Mario Rotondi e Luigi Maniscalco Basile per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con decreto 23 novembre 1957, n. 418, l'Assessore all'industria e commercio della Regione siciliana, ha concesso alla Società per azioni Mediterranea Raffineria Siciliana Petroli, con sede in Palermo, di impiantare e gestire in Milazzo, in provincia di Messina, una raffineria per il trattamento industriale degli oli minerali.

In relazione a tale decreto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione avanti alla Corte costituzionale, con atto notificato il 9 aprile 1958 e depositato nella cancelleria il 18 aprile successivo, sostenendo che compete allo Stato la potestà di emanare l'atto di concessione per l'installazione di impianti per la lavorazione degli oli industriali anche nel territorio della Regione siciliana.

L'Avvocatura dello Stato ha dedotto che la materia stessa delle concessioni in esame esula dalla competenza regionale, e in particolare dalla materia dell'industria e commercio, devoluta, ai sensi rispettivamente degli artt. 14, lett. d, e 20 dello Statuto siciliano, alla potestà legislativa esclusiva ed alla potestà amministrativa della Regione.

Né si possono intendere concretamente trasferiti agli organi regionali - ha precisato la difesa dello Stato - le funzioni relative alla materia stessa per effetto delle disposizioni di attuazione emanate col D.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, concernente il passaggio all'Amministrazione regionale delle attribuzioni del Ministro dell'industria e commercio; poiché, nell'ordinamento dello Stato, l'art. 5 del R.D.L. 2 novembre 1933, n. 1741 (convertito nella legge 8 febbraio 1934, n. 367), prevede che la competenza del Ministro dell'industria e commercio é esercitata di concerto con il Ministro per le finanze. Da ciò deriverebbe che l'atto di concessione costituirebbe un atto complesso, con la partecipazione non soltanto degli organi preposti all'industria e commercio, ma anche di quelli finanziari dello Stato, ai quali spetta valutare gli interessi che si connettono allo speciale regime doganale, cui sono sottoposte le importazioni di oli grezzi destinati alla lavorazione industriale nelle raffinerie di cui trattasi; interessi espressamente sottratti alla potestà finanziaria della Regione dall'art. 39 dello Statuto.

Aggiunge l'Avvocatura che l'atto di concessione deve essere emanato previo parere del Ministero della difesa, in luogo della soppressa Commissione di difesa, circa la scelta del luogo più opportuno per l'installazione degli impianti di raffineria, in relazione all'importanza degli stessi ai fini della difesa nazionale.

Da questo particolare procedimento in base al quale é emanato il provvedimento di concessione, ed inoltre dalla natura degli interessi le cui valutazioni concorrono nell'emanazione dell'atto stesso, l'Avvocatura dello Stato desume l'impossibilità che, alle concessioni previste dal ricordato R. D. 2 novembre 1933, n. 1741, provveda, nell'ambito delle attribuzioni devolute con le sopraccitate disposizioni statutarie e di attuazione, l'Assessore regionale all'industria e commercio, e tanto meno che questi possa emanare atti di concerto con gli organi del Governo centrale, preposti alle amministrazioni finanziarie, non essendo sufficiente, in ipotesi, neanche il benestare degli organi finanziari periferici.

La difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri osserva infine che l'attività amministrativa svolta nella materia dà luogo giuridicamente ad un conflitto di attribuzione di competenza di questa Corte. Ma fa pure notare che da tale attività derivano effetti analoghi a quelli conseguenti all'esercizio di una potestà normativa da parte della Regione, e che potrebbe comportare - così si esprime l'Avvocatura - non soltanto il sorgere di una questione di legittimità costituzionale, ma altresì il sorgere di un conflitto di merito per il contrasto con gli interessi nazionali. Conclude pertanto perché sia dichiarato che non compete ad alcuno degli organi regionali di rilasciare, ai sensi e per gli effetti del decreto-legge 2 novembre 1933, n. 1741, concessioni per l'impianto e gestione di raffinerie di oli minerali e, in conseguenza, sia annullato il decreto 23 novembre 1957, n. 418, dell'Assessore dell'industria e commercio della Regione siciliana.

Il Presidente della Regione si é costituito davanti alla Corte, a mezzo degli avvocati Luigi Maniscalco Basile, prof. Mario Rotondi e prof. Giuseppe Guarino, depositando in cancelleria le deduzioni in data 28 aprile 1958.

In via pregiudiziale la difesa della Regione ha eccepito che il ricorso sarebbe irricevibile, perché proposto tardivamente, dopo cioè la scadenza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 39 della legge n. 87 del 1953.

Deduce, al riguardo, che il provvedimento di concessione sarebbe stato trasmesso in copia e quindi portato a conoscenza delle Amministrazioni interessate, cioè: all'Ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione, organo periferico del Ministero delle finanze, il 4 dicembre 1957; al Ministero dell'industria e commercio, Direzione generale affari generali, Ufficio petroli, il 28 dicembre 1957, e al Ministero della marina mercantile, Direzione generale demanio e pesca, il 4 dicembre 1957, oltre che alla Capitaneria di porto di Messina ed al Comando dei vigili del fuoco di detta città.

La difesa della Regione ha eccepito inoltre l'irricevibilità del ricorso per acquiescenza da parte dell'Amministrazione statale, non soltanto al provvedimento ora impugnato, ma anche agli altri provvedimenti di concessione (prodotti in copia tra i documenti allegati alle deduzioni) che l'Assessore regionale aveva precedentemente emanati.

Ha rilevato altresì, in relazione all'atto ora impugnato, che gli organi dello Stato avrebbero in modo esplicito riconosciuto, nella corrispondenza con la Regione, la competenza dell'Assessore regionale.

Il ricorso sarebbe pure irricevibile e inammissibile, in quanto, nella specie, lo Stato prospetterebbe in sostanza la violazione delle disposizioni di attuazione contenute nel D.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182, e quindi la violazione di una legge ordinaria e non già di alcuna norma costituzionale. Mancherebbe quindi il presupposto per la proposizione del conflitto di attribuzione, così come disciplinato dall'art. 39 della legge n. 87 del 1953.

Nel merito la difesa della Regione sostiene la infondatezza del ricorso, osservando anzitutto che le attribuzioni dell'Assessore all'industria e al commercio hanno fondamento nelle disposizioni costituzionali degli articoli 14, lett. d, e 20 dello Statuto siciliano, nonché nelle ricordate norme di attuazione del 1949, che hanno disposto il passaggio all'Amministrazione regionale delle attribuzioni già spettanti, nella materia, al competente Ministero.

Quanto alla tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, nel senso che la concessione per l'impianto di raffineria, come atto da emanarsi di concerto fra più organi preposti a diversi dicasteri, non consentirebbe il decentramento ad organi regionali, rileva, in linea generale, che l'istituto del concerto non darebbe luogo ad un nuovo organo di carattere collegiale; onde, dato che le competenze attribuite dalla legge ai vari organi che concorrono all'emanazione dell'atto conserverebbero il loro originario carattere, ne deriverebbe che la competenza del Ministro per l'industria e commercio ad emanare l'atto stesso avrebbe carattere prevalente, mentre la partecipazione all'atto da parte del Ministro delle finanze avrebbe carattere accessorio e subordinato, con la conseguenza che la competenza anzidetta sarebbe passata alla Regione, in base al decreto del 1949, senza alcuna limitazione. D'altra parte, sempre secondo la difesa della Regione, l'emanazione di atti di concerto sarebbe ammissibile fra organi regionali e organi dello Stato, a prescindere dalle norme e dalle modalità, che peraltro non riguarderebbero la questione di costituzionalità. Parimenti esulerebbe dal tema del dibattito davanti a questa Corte l'illegittimità del provvedimento, in quanto emanato senza il parere del Ministero della difesa, poiché si tratterebbe di vizio deducibile davanti al giudice amministrativo; a parte il rilievo che la Commissione suprema di difesa, cui si riferisce l'art. 15 della legge del 1933, é stata soppressa e che non sussisterebbe alcuna norma in base alla quale le funzioni, già attribuite a detta Commissione, sarebbero state devolute al Ministero competente.

Nota infine la difesa della Regione che, non essendo contestata la competenza regionale a rilasciare le licenze per le ricerche petrolifere e ad emanare le concessioni di sfruttamento, sarebbe illogico e pregiudizievole agli interessi della Regione non ammettere anche la competenza per le concessioni degli impianti di raffinerie.

La difesa della Regione ha concluso quindi per il rigetto del ricorso.

Con successivo atto notificato il 14 luglio 1958 il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, ha pure proposto ricorso per conflitto di attribuzione, nella stessa materia di cui al precedente ricorso, in relazione ad altro provvedimento del 19 maggio 1958, n. 1115, dell'Assessore dell'industria e commercio, con il quale é stato concesso alla Società p. a. A.N.I.C., con sede legale in Roma, di impiantare e gestire nella zona portuale di Gela uno stabilimento per la distillazione di olio minerale grezzo, e in relazione altresì al successivo decreto 17 giugno 1958, n. 1216, con il quale la predetta concessione é stata trasferita dalla Soc. A.N.I.C. alla Soc. per azioni A.G.I.P. Mineraria.

Anche di tali decreti il ricorrente ha chiesto l'annullamento, per violazione degli articoli 14, lett. d, e 20 dello Statuto siciliano e dell'art. 1 del D.P.R. 5 novembre 1949, n. 1182.

Con le deduzioni, depositate nella cancelleria della Corte il 24 luglio 1958, l'Avvocatura dello Stato enuncia motivi analoghi a quelli già esposti nel ricorso n. 8.

Costituitasi in giudizio la Regione siciliana, a mezzo degli stessi difensori sopra ricordati, con deduzioni depositate il 31 luglio 1958, eccepisce l' irricevibilità e l'inammissibilità del ricorso nei confronti del decreto dell'Assessore 19 maggio 1958, n. 1115, nei termini già prospettati in replica al ricorso n. 8, e in quanto al merito conclude per il rigetto del ricorso in base alle stesse argomentazioni già svolte nelle precedenti deduzioni.

Riguardo poi al successivo decreto di trasferimento della concessione, emanato dall'Assessore regionale in data 17 giugno 1958, n. 1216, deduce l'inammissibilità del ricorso, trattandosi di un provvedimento di carattere strumentale ed esecutivo del precedente provvedimento di concessione.

L'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria difensiva il 19 novembre 1958.

In ordine alle eccezioni pregiudiziali dedotte dalla Regione, esclude che, nei giudizi davanti a questa Corte, possa verificarsi acquiescenza, trattandosi di un'eccezione preclusiva propria dei processi davanti le giurisdizioni ordinarie e amministrative. Sostiene, d'altra parte, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli organi costituzionali legittimati a proporre il ricorso per conflitto di attribuzione sono soltanto, rispettivamente, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Giunta regionale. Di guisa che, secondo l'Avvocatura, da un lato, nessun effetto, ai fini del riconoscimento della competenza dello Stato o della Regione ad emanare determinati provvedimenti, potrebbe legittimamente attribuirsi ad atti o comportamenti di organi diversi da quelli indicati; e, dall'altro, la decorrenza del termine di sessanta giorni stabilito dal secondo comma dell'art. 39 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, non potrebbe verificarsi se non dalla notificazione del provvedimento che si assume lesivo della competenza, o dalla piena conoscenza del medesimo da parte del Presidente del Consiglio o del Presidente della Giunta regionale, non avendo alcuna rilevanza la conoscenza del provvedimento anzidetto da parte di organi diversi e tanto meno periferici. Sussisterebbero, d'altra parte, anche i presupposti necessari per sollevare il conflitto davanti a questa Corte, poiché i due ricorsi riguardano non già la validità degli atti di concessione o di trasferimento della concessione stessa, in sé considerati, ma in quanto emanati da organi privi di competenza.

Nel merito conferma ed illustra le ragioni esposte nelle deduzioni per ribadire, in particolare, la tesi fondamentale sostenuta nel ricorso. L'Avvocatura insiste tra l'altro nel rilevare che alla Regione sono stati trasferiti soltanto i poteri spettanti al Ministero dell'industria e commercio; e non anche le attribuzioni di competenza del Ministero delle finanze e del Ministero della marina mercantile, che riguardano rispettivamente il regime doganale, le imposte di fabbricazione e il demanio marittimo. Dal che deriverebbe, in linea generale, che nel caso di attribuzione di poteri da esercitare congiuntamente da più organi statali, con unico atto, diretto ad una stessa finalità, da un lato l'atto sarebbe giuridicamente inscindibile e dall'altro ciascuno degli organi che vi partecipano non potrebbe da solo esercitare tale potere.

In tale situazione, a parte la necessità di sentire anche i pareri delle altre Amministrazioni eventualmente interessate, la Regione non avrebbe competenza a provvedere sulle concessioni anzidette, essendo da escludere, sia che gli organi regionali possano adottare provvedimenti di concerto con gli organi dell'Amministrazione centrale, dato che la legislazione vigente prevede soltanto l'emanazione di atti delle Amministrazioni statali sentita la Regione, sia che ad un provvedimento da emanare di concerto si possa sostituire un provvedimento da emanare su parere.

Anche la difesa della Regione ha depositato una memoria il 20 novembre 1958, insistendo sulle eccezioni d' irricevibilità e di inammissibilità dei ricorsi, già proposte nelle deduzioni.

Aggiunge peraltro, in relazione al ricorso n. 8, che la prova della conoscenza del provvedimento di concessione emanato dall'Assessore regionale risulterebbe anche da due altre circostanze:

1) l'emanazione, in data 9 gennaio 1958, da parte del Prefetto di Messina, del decreto di occupazione di urgenza della zona di terreno necessaria per l'impianto della raffineria;

2) la notificazione, in data 27 gennaio 1958, alle Amministrazioni interessate, del ricorso della Società Rasion al Consiglio di giustizia amministrativa contro il provvedimento dell'Assessore.

Insiste, d'altra parte, nel rilevare che la Regioneavrebbe esercitato soltanto le attribuzioni del Ministero dell'industria, trasferite alla Regione siciliana con il decreto legislativo del 1949; che perciò non ha invaso le attribuzioni di altre Amministrazioni, attribuzioni non comprese nel trasferimento; e che posto ciò, oltre alla mancanza di interesse a impugnare il provvedimento, i motivi di illegittimità posti a fondamento del ricorsi costituirebbero, se mai, violazione di leggi ordinarie, e non di norme di carattere costituzionale; vale a dire violazione della legge 2 novembre 1933, n. 1741, e relativo regolamento, per il mancato concerto col Ministero delle finanze e perché non sarebbe intervenuto il parere del Ministero della difesa; e violazione delle disposizioni di attuazione del 5 novembre 1949, qualora si ritenesse che queste escludessero per le Regioni la competenza ad emanare provvedimenti, per i quali fosse richiesto il concerto con altri dicasteri statali.

Nel merito, illustrando ampiamente le tesi prospettate nelle deduzioni per contrastare quelle sostenute dalla difesa dello Stato, insiste particolarmente nel porre in rilievo che, poiché in base alla disposizione dell'art. 14, lett. d, dello Statuto ed al decreto legislativo di attuazione del 1949, sarebbero indubbiamente passate alla Regione le attribuzioni del Ministero dell'industria e commercio, ciò porterebbe a ritenere che la materia rientrasse nella sfera di competenza della Regione. E non potrebbe costituire ostacolo al trasferimento di tale competenza, né il fatto che la materia attribuita al Ministro dell'industria sia obiettivamente collegata con materie rientranti nella competenza di amministrazioni diverse, e neppure la circostanza che i provvedimenti devoluti al Ministro dell'industria debbano essere emanati di concerto con altri dicasteri del Governo centrale.

Secondo la difesa della Regione infatti non sussisterebbero né dal punto di vista logico, né in base al diritto positivo, difficoltà per ammettere che anche la Regione possa emanare atti di concerto con altre Amministrazioni dello Stato, data la possibilità che alla formazione dell'atto di concerto, come atto complesso, concorrano manifestazioni di volontà ineguali e promananti da enti pubblici diversi.

Tutto ciò a parte il rilievo, prospettato in linea subordinata, che l'obbligo del provvedimento di concerto, nella materia in esame, sarebbe stato abolito in base a varie leggi ricordate nella memoria.

 

Considerato in diritto

 

I due ricorsi, riguardando le stesse questioni, devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

La Corte non ritiene fondata l'eccezione di irricevibilità dei ricorsi, preliminarmente dedotta dalla difesa della Regione, perché proposti dopo la scadenza del termine di sessanta giorni stabilito dal secondo comma dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

La difesa della Regione sostiene, come si é già in precedenza accennato, che i due decreti del 23 novembre 1957, n. 418, e del 19 maggio 1958, n. 1115, emanati dall'Assessore per l'industria e commercio della Regione siciliana sono stati comunicati alle Amministrazioni statali interessate, cioé, in particolare, al Ministero dell'industria e commercio, al Ministero della marina mercantile ed al Ministero delle finanze per il tramite dell'Ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione (U.T.I.F.) in Palermo. Di guisa che, secondo la difesa della Regione, le amministrazioni stesse avrebbero avuto conoscenza dei provvedimenti, e si sarebbe quindi verificata la condizione necessaria e sufficiente per far decorrere il termine utile per proporre l'impugnazione, in base appunto alla disposizione sopra citata.

La Corte osserva al riguardo che, nell'art. 39 della legge n. 87 del 1953, é delineato, quanto all'oggetto e ai soggetti chiamati a parteciparvi, il giudizio per conflitto di attribuzione fra Stato e Regione e fra Regioni. Si stabilisce infatti, nel primo comma, in quali casi si può proporre, davanti alla Corte costituzionale, il regolamento di competenza; nel terzo comma si indicano gli organi degli enti anzidetti legittimati ad agire e a contraddire; e, nel quarto, si precisa quale sia la materia contenziosa da sottoporre all'esame della Corte. Tra queste disposizioni si inserisce, nel secondo comma, quella che fissa il termine entro il quale si può sollevare il conflitto, stabilendone la decorrenza dalla notificazione o pubblicazione, ovvero dall'avvenuta conoscenza dell'atto impugnato. La stessa formulazione dell'articolo, quindi, già dimostra un logico collegamento di quest'ultima disposizione, circa il termine e la sua decorrenza, con le altre contenute nello stesso articolo e particolarmente con la disposizione del terzo comma. Nel senso cioè che (a parte la pubblicazione dell'atto, la quale, nei casi indicati dalla legge, ha gli effetti propri della notificazione) la notificazione o la conoscenza del provvedimento debbano intendersi riferite agli organi legittimati a proporre il ricorso, cioè, per lo Stato, al Presidente del Consiglio dei Ministri e, per la Regione, al Presidente della Giunta regionale. Ciò in applicazione del principio generale di diritto processuale secondo cui l'atto, che può formare oggetto di impugnazione, deve essere portato a conoscenza del soggetto cui la legge attribuisce la potestà di agire.

Che d'altronde la disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 39 debba essere intesa nel senso rigoroso sopra accennato, discende logicamente dall'interpretazione che, al terzo comma della stessa norma, ha dato questa Corte con giurisprudenza costante. La Corte ha ritenuto (sentenze nn. 8 e 17 del 1957) che ai giudizi per conflitto di attribuzione possono partecipare soltanto lo Stato e la Regione, come titolari dei poteri rispetto ai quali é sorto il conflitto; ed ha precisato, nella sentenza n. 9 del 1957, che soltanto al Presidente del Consiglio dei Ministri, o ad un Ministro da lui delegato, per lo Stato, e soltanto al Presidente della Giunta regionale, in seguito a deliberazione di questa, spetta la legittimazione ad agire e a contraddire nei giudizi anzidetti.

Dalle suesposte osservazioni deriva quindi che il termine di sessanta giorni utile per proporre il ricorso non può decorrere se non dalla notificazione dell'atto agli organi predetti o dalla data in cui ne abbiano avuto conoscenza; e che non può avere alcuna rilevanza il fatto che il provvedimento, che ha dato luogo al conflitto, sia stato notificato o comunicato ad altri organi dell'Amministrazione centrale o regionale, diversi da quelli indicati espressamente nel terzo comma dell'art. 39. Se così non fosse si giungerebbe all'inaccettabile conseguenza che il termine di sessanta giorni, che la legge vuole che resti libero a favore dell'organo legittimato a ricorrere, potrebbe subire riduzioni più o meno notevoli, a seconda della maggiore o minore tempestività, da parte degli organi dell'Amministrazione centrale o regionale, nel dare comunicazione dell'atto rispettivamente al Presidente del Consiglio, o al Presidente della Giunta regionale.

Data pertanto la situazione di fatto prospettata dalla difesa della Regione, nella specie, il termine di sessanta giorni non può ritenersi decorso, rispetto ai ricorsi nn. 8 e 21, che rispettivamente si riferiscono ai decreti emanati dall'Assessore il 23 novembre 1957, n. 418, e 19 maggio 1958, n. 1115; ricorsi che devono quindi dichiararsi ammissibili, restando assorbita l'eccezione di inammissibilità del ricorso n. 21, proposta dalla difesa della Regione, nella parte che riguarda il successivo decreto del 17 giugno 1958, n. 1216, che concerne il trasferimento della concessione oggetto del precedente decreto del 19 maggio 1958.

Non può essere neppure accolta l'eccezione di irricevibilità ed inammissibilità dei due ricorsi, pure dedotta in via pregiudiziale dalla difesa della Regione, sotto il profilo dell'acquiescenza da parte dello Stato, non soltanto nei confronti dei provvedimenti dell'Assessore ora impugnati, ma anche rispetto a quelli precedentemente emanati. É da ricordare in proposito la giurisprudenza di questa Corte, che deve essere confermata, secondo la quale é stata respinta ripetute volte l'eccezione di inammissibilità per acquiescenza, ritenendosi che nei giudizi davanti a questa Corte non possono avere rilievi istituti, come quello dell'acquiescenza, quali sono stati specialmente elaborati nella giurisprudenza amministrativa.

É da notare comunque che non risulta e neppure si accenna ad un atto o a un comportamento, riferibili al Presidente del Consiglio dei Ministri, unico organo legittimato ad agire, che possano ritenersi incompatibili con la volontà di proporre l'impugnazione.

Passando al merito dei due ricorsi, é da premettere che la Regione, com'é pacifico, non ha emanato alcuna legge che riguardi la materia in contestazione, in base alla potestà normativa prevista nella lett. d dell'articolo 14 dello Statuto speciale.

La questione centrale della causa quindi, se e in quali limiti abbia competenza l'Assessore regionale in ordine alle concessioni per raffinerie, deve essere esaminata, alla stregua delle disposizioni emanate dallo Stato con il decreto-legge 2 novembre 1933, n. 1741, (convertito nella legge 8 febbraio 1934, n. 367) e con il relativo regolamento del 20 luglio 1934, n. 1303, sulla base delle disposizioni dello Statuto speciale e del decreto del Presidente della Repubblica 5 novembre 1949, n. 1182, contenente le norme di attuazione dello Statuto medesimo nella materia relativa all'industria e al commercio.

Questo decreto, nell'art. 1, stabilisce che le attribuzioni del Ministero nella materia anzidetta sono esercitate, nel territorio della Regione siciliana, dall'Amministrazione regionale nei limiti dell'art. 20 dello Statuto speciale.

Il decreto legge del 1933 (al quale del resto si fa espresso riferimento anche nei decreti emanati dall'Assessore regionale per l'industria e il commercio) nell'articolo 4 dispone che le concessioni per trasformare, rettificare o comunque elaborare gli oli minerali, devono essere chieste al Ministro per le corporazioni (ora Ministro per l'industria e per il commercio); il quale - precisa l'art. 5 - provvede, a suo insindacabile giudizio, di concerto col Ministro delle finanze. Aggiunge, nella lett. a del secondo comma dello stesso art. 5, che, pure di concerto con il Ministro delle finanze, il Ministro dell'industria dà la sua approvazione circa il luogo e le modalità secondo le quali devono essere costruiti gli impianti. Dispone inoltre, nell'art. 7, che gli opifici ai quali é rilasciata la concessione per la raffineria degli oli minerali provenienti dall'estero sono considerati fuori della linea doganale; che la franchigia doganale é limitata alle materie prime, alla cui classificazione procede il Ministro dell'industria sempre di concerto con quello delle finanze; e che sui prodotti ottenuti, immessi in consumo, saranno applicati i dazi e i diritti accessori che saranno stabiliti nella tariffa doganale. Secondo il citato decreto legge inoltre (art. 16) e secondo l'art. 40 del regolamento occorre il provvedimento del Ministro per l'industria di concerto con quello delle finanze per il trasferimento delle concessioni. Come pure, in base all'art. 18, primo comma, del decreto e all'art. 43, secondo comma, del regolamento, in relazione all'art. 52 del Codice della navigazione, é necessario che il provvedimento del Ministero dell'industria sia emanato di concerto con quello della marina mercantile, quando la concessione interessa il demanio marittimo.

Riferendosi appunto alla disciplina stabilita dalle disposizioni ora ricordate, l'Avvocatura dello Stato sostiene che, con le norme di attuazione contenute nel decreto legislativo del 5 novembre 1949, n. 1182, sarebbero state trasferite alla Regione soltanto le attribuzioni del Ministero dell'industria e non quelle che rientrano nella competenza delle altre amministrazioni interessate e, in particolare, dei dicasteri delle finanze e della marina mercantile. E come quindi il Ministero dell'industria non avrebbe competenza esclusiva nella materia, e non potrebbe perciò emanare decreti di concessione, se non col concorso degli altri organi dell'Amministrazione centrale, in specie previo concerto con gli organi indicati dal decreto predetto, così, precisa l'Avvocatura dello Stato, si deve ritenere che alla Regione non sia stato trasferito il potere di emanare decreti del genere di quelli impugnati. Poiché sarebbe da escludere, allo stato della legislazione, la configurabilità di atti emanati di concerto fra l'Assessore regionale ed i Ministri sopra indicati.

La Corte é d'avviso che la tesi prospettata in termini tali, che porterebbero a negare in modo assoluto ogni competenza della Regione nella materia, non può essere accolta. Tale tesi infatti pone alle norme dello Statuto regionale e a quelle di attuazione limiti che non appaiono giustificati. Nelle materie attinenti all'industria e al commercio spetta alla Regione un'ampia potestà normativa, di carattere così detto esclusivo, ai sensi dell'art. 14, lett. d, dello Statuto speciale, con espressa esclusione dei rapporti di diritto privato. Il decreto legislativo del 5 novembre 1949, d'altra parte, in aderenza alla predetta norma statutaria trasferisce, senza apportarvi eccezioni, agli organi regionali le attribuzioni già spettanti al Ministero dell'industria; che anzi vi comprende anche la materia delle assicurazioni sulla vita e sugli infortuni (art. 4, secondo comma), nella quale la Regione, dati i riflessi sul piano nazionale, agisce previa intesa col Ministero dell'industria, sentita la Commissione consultiva istituita con il decreto legislativo del 15 settembre 1946, n. 349. Una restrizione quindi in ordine al trasferimento della competenza, per quanto attiene alle concessioni delle raffinerie petrolifere da impiantare nel territorio della Regione, non potrebbe essere introdotta, in via di interpretazione, senza modificare arbitrariamente la portata delle disposizioni statutarie e di attuazione. Non si può perciò fondatamente disconoscere (come del resto non é stato disconosciuto da organi delle Amministrazioni centrali, secondo quanto risulta dalla corrispondenza prodotta dalla difesa della Regione) che anche le attribuzioni del Ministero dell'industria, nella materia di cui si discute, siano passate alla Regione.

Appare chiaro peraltro che al trasferimento agli organi regionali della detta competenza, in quanto essa trae origine, come si è accennato, da norme statutarie e di attuazione, non é di ostacolo, come osserva la Regione, la circostanza - posta invece in rilievo dall'Avvocatura dello Stato - che il Ministro dell'industria, nella materia, non può provvedere da solo, ma deve agire di concerto con il Ministero delle finanze, e, nei casi indicati dalla legge, anche con quello della marina mercantile. Tale circostanza, invero, non può incidere sulla competenza regionale, se non nel senso che la competenza stessa, poiché sostituisce, in base alle norme di attuazione, quella del Ministero dell'industria, ne subisce le stesse limitazioni. Anche alla Regione quindi spetta, come espressione della propria autonomia, l'iniziativa per emanare i decreti di concessione; ma, allo stesso modo che l'organo dello Stato non può provvedere al riguardo se non col concorso delle altre amministrazioni interessate, così anche la Regione, dovendo osservare le disposizioni del decreto legge del 1933 e del regolamento del 1934, non potrebbe emanare un provvedimento di concessione senza la partecipazione di quegli organi delle Amministrazioni centrali il cui concorso é richiesto dalle norme predette: partecipazione che deve attuarsi mediante accordi fra Stato e Regione ad integrazione dei poteri di questa ultima nella materia di che trattasi.

Resta in tal modo soddisfatta, nella sostanza, l'esigenza della legge, anche se tale accordo, ai fini dell'emanazione del provvedimento da parte dell'amministrazione regionale, venga manifestato senza la forma tipica del concerto, quale é adottata per i provvedimenti dello Stato. Che se invece la Regione (come si é verificato nella specie), nell'emanare il provvedimento, prescinde dall'anzidetto accordo, esorbita dai limiti delle proprie attribuzioni, incidendo sulle materie riservate agli organi dello Stato. Ed é da notare a questo proposito che, contrariamente a quanto sostiene la difesa della Regione, non si tratta di vizio dell'atto da dedursi davanti agli organi della giustizia amministrativa, ma di illegittimità che ha rilevanza costituzionale, posto che il trasferimento di funzioni dallo Stato alla Regione, dotata di autonomia, si risolve in un'attribuzione di competenze che si attuano in concreto sul piano costituzionale, e può perciò dar luogo ad un conflitto di attribuzione, sul quale deve decidere questa Corte, al sensi dell'art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Non ha d'altra parte fondamento la tesi, pure prospettata dalla difesa della Regione nell'ultima parte della memoria, secondo la quale, in base ad alcune leggi emanate durante la guerra, il Ministero dell'industria non sarebbe più obbligato ad agire di concerto. É da osservare al riguardo che il decreto-legge del 7 settembre 1942, n. 975 (sul quale specialmente si fonda tale tesi) ha istituito, per la durata della guerra, un Commissariato generale per i combustibili liquidi, i carburanti e i lubrificanti, devolvendogli (art. 2), oltre le funzioni dell'Ufficio combustibili liquidi, istituito con decreto-legge del 30 gennaio 1941, n. 271, anche tutte le attribuzioni demandate ad altri organi dello Stato. Non vi furono comprese però quelle riguardanti la materia fiscale, contrariamente a quanto sostiene la difesa della Regione, rimanendo immutato per queste l'obbligo del concerto. Al quale ha ottemperato il Commissario generale, come é dato anche desumere, ad esempio, dal decreto n. 618 del 12 giugno 1943, relativo alla revoca di una concessione; decreto emanato dal Commissario stesso di concerto col Ministro delle finanze, la cui firma appare nell'atto a fianco di quella del Commissario. Successivamente il decreto-legge del 6 aprile 1944, n. 106, sopprimendo il Commissariato, attribuì le funzioni del medesimo all'Ufficio dei combustibili liquidi, organo del Ministero dell'industria. La legge del 4 gennaio 1951, n. 5, da ultimo ha abrogato tutte le disposizioni predette (art. 2) e ha restituito al Ministero dell'industria le attribuzioni previste dalle leggi sulla disciplina della produzione e del commercio dei combustibili liquidi, già demandate al Commissariato generale prima ed all'Ufficio combustibili liquidi poi. É chiaro perciò che nessuna disposizione ha modificato la ripartizione delle competenze fra i dicasteri interessati e l'obbligo del concerto.

Da tutte le osservazioni sopra esposte risulta palese che i decreti, in riferimento ai quali é stato sollevato il conflitto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, devono ritenersi illegittimi e devono quindi essere annullati.

É sufficiente rilevare che, per quanto riguarda la competenza finanziaria in ordine al regime doganale e all'imposta di fabbricazione, dal decreto n. 418 del 23 novembre 1957 non risulta alcun intervento del Ministro delle finanze. Risulta soltanto, da una lettera inviata il 26 settembre 1957 all'Assessore dell'industria dall'Ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione di Messina, pure esibita dalla difesa della Regione, che il Ministero stesso aveva chiesto esaurienti e dattagliati ragguagli relativamente agli impianti delle raffinerie di Milazzo.

Per quanto riguarda il decreto del 19 maggio 1958, n. 1115, risulta dall'epigrafe il solo parere dell'Ufficio tecnico delle imposte di fabbricazione di Palermo, che, oltre ad essere ufficio periferico, ha competenza che non abbraccia la materia doganale, per la quale il decreto-legge del 1933 richiede l'intervento del Ministro delle finanze.

É chiaro inoltre che dall'annullamento di quest'ultimo decreto, discende logicamente anche l'annullamento del successivo decreto del 17 giugno 1958, n. 1216, concernente il trasferimento della concessione oggetto dello stesso provvedimento del 19 maggio 1958.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

pronunciando con unica sentenza sui ricorsi in data 4 aprile e 12 luglio 1958, notificati rispettivamente il 9 aprile e il 14 luglio dello stesso anno, e iscritti ai numeri di ruolo 8 e 21 del Registro ricorsi, proposti dallo Stato per conflitto di attribuzione circa i decreti 23 novembre 1957, n. 418, 19 maggio 1958, n. 1115, e 17 giugno 1958, n. 1216, emanati dall'Assessore dell'industria e commercio della Regione siciliana:

a) respinge le eccezioni di irricevibilità e inammissibilità dedotte in via pregiudiziale dalla Regione siciliana;

b) in parziale accoglimento dei ricorsi anzidetti dichiara la incompetenza della Regione ad emanare provvedimenti di concessione di raffinerie, senza la partecipazione degli organi dello Stato;

c) annulla i sopraindicati decreti emanati dall'Assessore all'industria e commercio della Regione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI -  Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO -  Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1958.